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da Armanda Guiducci, La morte grande in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: LA MORTE GRANDE
(Il Mausoleo di Mosca)
Tutt'uno con le stratificazioni storiche che la rendono un luogo morale, la Piazza Rossa é un immenso spazio fisico, costruito e da godere. Si comprende bene il suo nome, che in vecchio russo suonava:
piazza bella ». Come a tutti gli spazi capaci di sprigionare un fascino potente, alla Piazza Rossa non si capita, si accede. Si arriva, cioè, con una preparazione. Che si provenga, infatti, dalla via Gorki e dalla piazza della Rivoluzione, che si giunga dalla piazza Manejnaïa, ad essa si sale. (Una fatalità da leggenda? Anche Mosca è costruita su sette colline). L'immensa spianata si apre allora all'occhio, con la grandezza di una cosa conquistata.
Sulla fiumana dell'asfalto, risorge improvviso ciel che da secoli sta: le mura merlate, le torri e le guglie, le chiese e i bulbi sfavillanti del Cremlino. A Sud, le zucche che si bilicano sulle torri della chiesa del Beato Basilio, a girotondo, esasperandone i lobi, gli occhi, le verruche di maiolica splendente, distaccano il cielo dal dorso della piazza. Dietro quelle cupole tortili, il pesante cielo moscovita dirada e sprofonda. Le nuvole galleggiano, portate al largo e lontane.
La prima acutissima sensazione che l'esserci nella Piazza Rossa, dà, è di respirare un tempo remoto.
Sopra la cintura merlata, le torri del Cremlino si avvicendano, le cuspidi a scudo di sé, scagliate di bronzo. Richiamano con forza irresistibile altre battaglie, altre paure, altre minacce, quelle dei nomadi polòvcy gettati all'assalto, delle orde tartare. Terrore, saccheggio, desolazione e difesa, il mondo impressionato dalle antiche cronache, dal Canto delle schiere di Igor, il mondo dell'infanzia selvaggia della vetusta 'Rus.
Il colore del sangue e del ramarro sono rappresi per l'intera piazza. Il chiarore del cielo li esalta, un falò che brucia da secoli. In lontananza, ardono mitemente i bulbi metallici delle tre chiese più antiche del Cremlino. La luce ne cava uno sfavillio di miele, il sole dischi e aureole.
58 ARMANDA .GUIDUCCI
Fra fortezze e chiese, l'ibrida potenza del medioevo russo può ancora scatenare il fiato vivente dei suoi spazi, intatto e robusto.
Ma ecco che dall'ammattonato delle mura di cinta del Cremlino distinguete la scalea di granito rossastro che squadra il Mausoleo di Lenin. L'intera parete che lo fronteggia dal lato opposto della spianata, e che aguzza suoi tetti dietro un filare di platani, dà nel liberty,
un grande magazzino. L'edificio di un mattone cupo, a torrette e pinnacoli, che vi sta alle spalle, a spartiacqua fra il traffico delle piazze Manejnaïa e della Rivoluzione é, vi rendete conto, non meno recente, il Museo di Storia. hanno imbalsamato il sonno mortale di Lenin. , giacciono nelle teche delle vetrine pesci e aringhe disseccati e affumicati e s'accatasta, a piramidi, lo scatolame dell'emporio di Stato. , sotto vetro, sfidano il tempo libri e ritratti, armi, arnesi e vessilli. Le austere sale un poco ombrose allineano, più o meno ingiallite, c le appartenenze » di quella che fu la vita di Lenin: i suoi stivali, la sua vettura scoperta, le sue fotografie, i brandelli mistici della Rivoluzione. (« Tutto ciò é cucito alla storia, / schedato e archiviato / e lo dipingono ormai / i Brodskij e i Repin ») (1).
Prende consistenza alfine, sopra la fascia delle mura, il Gran Palazzo, con la sua fisionomia ottocentesca, il doppio rango di finestre.
È vero : a volte più ti avvicini alla realtà, più l'hai a portata di mano, più ti sembra irreale. Il Grande Palazzo é sotto i tuoi occhi. Guardalo, da tutte le parti; arriva fin sul ponte che attraversa la Moskva, dietro il Beato Basilio, per scoprirne la lunga ordinata facciata giallina che affaccia al fiume; osservane tutti i particolari — é vertiginosamente lontano. Qui Stalin si adirava contro i suoi « gattini ». Qui, si raduna il Soviet Supremo delle repubbliche socialiste sovietiche.
Dentro le mura di cinta del Cremlino sono state calcinate le ceneri dei grandi comunisti caduti per la Rivoluzione. Nonostante il loro carico umano, intorno al Gran Palazzo le mura si drizzano aggressive, ritornano ad essere quello che sono sempre state: la cinta difensiva e minacciante d'una cittadella del potere.
In un punto delle mura, verso Sud, sì apre un passaggio. È la porta del Salvatore, vi passavano gli Zar. La custodiscono una sentinella dell'Armata Rossa, e un semaforo. Quando il rosso accende quel semaforo, il traffico sull'immensa piazza si congela. Chi si trova a pas
(1) Questi versi, e i seguenti citad nel testo, sono di Majakowskj.
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sare nelle vicinanze si ferma sui due piedi. La sentinella saluta, un gerarca in divisa varca spedito la soglia, una grossa macchina nera gli scivola incontro. Qualcun altro in divisa scende dalla vettura, apre lo sportello, si inchina. Il gerarca si curva, monta. L'automobile parte veloce sull'asfalto, aumenta di velocità, scompare al di del ponte sulla Moscova.
Sul semaforo scatta il verde. Di colpo, la gente riprende a camminare, il traffico si scongela.
Sulla Piazza Rossa l'andirivieni umano obbedisce a due ossessioni precise: della vita, della morte.
Dalla parte dei grandi magazzini, il formicolio é intenso. Donne e uomini marciano incessantemente verso gli ingressi, con reti strette nei grossi pugni. Questa rete che vedete pendere in mano a ogni cittadino moscovita, nella quale v'imbattete continuamente (non solo all'entrata e all'uscita dei magazzini, ma lungo ogni percorso cittadino) — flaccida, o gonfiata di pacchi di ogni sorta — é qualcosa di più di un oggetto standardizzato e d'uso normale. Diventa un simbolo della ricerca e della conquista del cibo, degli oggetti.
Per quanto odiosa, l'immagine del formicaio si impone: la vastità brulicante del moto, la frettolosità del va e vieni, la muta e dominante preoccupazione che le governa.
Mentre l'esistenza pratica incalza su questo lato della piazza, sull'altro, opposto, si svolge un pellegrinaggio alla morte.
Dal mattino inoltrato alle cinque della sera, ora in cui la morte vien restituita alla morte, si snoda, risalendo dalla Piazza Manejnaïa, sottostante, la serpentina ininterrotta di coloro che attendono pazientemente di accedere alla visione dei due grandi corpi: Lenin e Stalin.
Se la folla che si riversa al Gum non conosce altro rituale all'infuori dell'urto, della pressione, altra regola all'infuori di quella dello scambio immediato fra denaro e merce, la folla ancor più composita dei pellegrini al Mausoleo sottostà a un rituale prestabilito, a una vera e propria regia della morte.
Lo scopo é quello — alquanto mistico — dell'esaltazione e consacrazione della grandezza sovietica. La suggestione drammatica, infinita, che la morte esercita sui viventi, viene spesso sfruttata per questo fine sottilmente deviante. Il fascino delle «grandi tombe » é equivoco, quando intorno ad esse non cresca l'inesorabile erba, ma la pietra progettata.
Il Grand Tombeau di Napoleone a Parigi, calato alla maniera fa
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raonica in un immenso pozzo scolpito (così che solo dall'alto riesca possibile afferrarne il blocco delle dimensioni) é equivoco nella stessa maniera repellente, come sfruttamento della potenza della morte per la
potenza tout court. _
A costo di grandiosi trucchi architettonici, ciò che é assolutamente tragico e inappellabile viene risospinto alle assise degli interessi vitali di una nazione e della sua politica di prestigio. , il grande assente viene giudicato in contumacia, e regolarmente assolto dal delitto di aver vissuto, dai molteplici delitti che la sua potenza ha inevitabilmente provocato. Si crea cosí, in nome della continuità e della salvezza di una tradizione nazionale, un culto ottundente della morte.
In questa erezione della morte a potenza schiacciante per puri fini contingenti, una sostanziale mancanza di terrore e di pieta rende i mausolei moderni imparagonabili con la reale grandezza faraonica. Chi ha visitato le grandi tombe millenarie dell'Egitto, ha provato a inoltrarsi, vivo, nel cunicolo e nelle segrete della morte. L'ossessione del destino d'oltretomba, l'orrore della profanazione danno una cupa, ma solenne ragione all'accortezza degli inganni che dominano interamente queste costruzioni. La potenza della morte é più forte, insomma, della potenza e della fama del morto co sepolto.
Nei mausolei moderni, il gioco degli inganni é rovesciato: non si tratta più di stornare i vivi, di indurli a rispettare una solitudine senza scampo, bensì di attirarli alla fama del defunto, usando dell'atroce prestigio della sua passività per colpire e per marcare le coscienze in un senso voluto.
Se il Grand Tombeau parigino deve la propria maestà mostruosa al calcolo di effetti del genere, (raggiunti dilatando non soltanto le dimensioni della cripta, ma dalla tomba che rinserra il corto scheletro del condottiero), il mausoleo sovietico (umanissimo invece nelle dimensioni, e ammirevole per la semplicità architettonica) deve il suo fascino sinistro al fatto di poterli vedere, i morti. (« Io temo / che le processioni / ed i mausolei / il regolamento fisso / dell'amministrazione / anneghino / nell'incenso dolciastro / la semplicità / di Lenin. / Per lui tremo, come per la pupilla dell'occhio, / che non sia / falsato / dall'ideale dei pasticceri »).
Non so quanto questo fascino, che é quello arcaico ed irresistibile di una rivincita ingannevole sulla distruzione dell'essere umano, possa giocare molti dei pellegrini che giungono fin dalle repubbliche più lontane per sfilare davanti alle salme, sostare dinanzi a loro un attimo
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solo, e uscire con quella visione impressa negli occhi per tutta la vita. Dubito che possa mancare la sua presa; anche una coscienza preparata può difficilmente esorcizzarlo. Osservando nel corteo molte facce fisse e ottuse, arrivate chissà da quali campagne, vien fatto di pensare che, inevitabilmente, quel fascino si fisserà nella venerazione, nella superstizione, in un culto mistico della potenza dei propri capi e del proprio paese.
Che la regia del corteo miri a questo, é indubbio. La gente si assiepa fin dal mattino presto sulla Piazza Manejnaïa per aspettare il momento di essere ammessa al corteo, e di risalire in quello fino alla Piazza Rossa. Si tratta di una calca vera e propria, che si stringe ventre contro schiena, paziente e intollerante com'è sempre la folla in attesa, capace di una resistenza incredibile, viperinamente attenta a impedire ogni minima varco. I poliziotti la smistano, la inquadrano in ordine di precedenza. Alla coda del corteo vengono aggiunte due persone per volta. Subito, con passi lentissimi, esse si adeguano, diventano processione.
È rigidamente proibito camminare per tre. Un poliziotto interverrà a redarguire l'inosservante, ad assegnargli il posto che gli compete. Affiancarsi, camminare per due. Lo vogliono la lunghezza, il ritmo.
La regolarità con cui al corteo, continuamente mozzato della testa, viene rinnovata la coda, fa si che la serpentina non appaia un solo momento più breve, più rada. L'effetto è schiacciante; francamente — senza paragone. Tutti i visitatori dell'Urss non hanno esitato a definirlo
grandioso ». Con quest'aggettivo si liquida l'impressione soggiogante del numero che si moltiplica all'infinito. Un'impressione che sulla Piazza Rossa diventa un'esperienza visiva, un'emozione tanto più forte se, estendendo al tempo quella moltiplicazione nello spazio, si pensa che é da più di trenta anni che attraverso la piazza il gran serpe si snoda, si segmenta, e ricresce.
Altra cosa intollerata: che si parli. Ho veduto un vecchio dall'aspetto pezzente cacciato brutalmente fuori dalla fila per questa ragione, e rinserito solo dopo una contestazione concitata con un gruppo di poliziotti. II silenzio aiuta la lentezza, è un elemento indispensabile del rituale. In silenzio procedono giovani, vecchi, uomini, ragazzi, giovanette e vecchie, ragazze e donne, ucraini, kazakistani, usbechi, armeni, cittadini d'ogni repubblica, contadini, operai e militari, sovietici e cinesi, stranieri. Molti cinesi nel corteo, militari e intere famigliole, le donne con in collo i loro bimbi dagli occhi di mandorla immensi.
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A passi brevi e in silenzio, in un funerale eterno, finalmente si raggiunge la facciata del Mausoleo.
Quasi sotto la torre Spasskaïa, la più grande e la più bella sulla cinta del Cremlino, il Mausoleo discende per forti gradienti di granito rosa intenso dal tempietto, che lo corona, fino al livello della piazza. Benché opera dello Schoussev, un professore d'accademia, le sue proporzioni rifuggono dalla statura retorica. Certamente, gli giova il rapporto con l'alto muro del Cremlino che lo sovrasta alle spalle. Allorché Lenin vi fu ospitato, nel 1924, era di legno. (Lo Schoussev si era ispirato ai monumenti funerari dell'età preistorica). Cinque anni dopo, fu tradotto nella fastosità regale del marmo.
La rigida angolatura della scalea che balza verso il basso per blocchi parallelepipedi, impone l'idea della discesa sotterranea, della camera riposta della morte.
Con la sua mole tranquilla, con il suo orologio rotondo, con la stella librata sulla punta, la torre Spasskaïa domina quest'idea, impassibilmente.
(« Come scattano / folli / le lancette sulla Spasskaïa, / dall'inizio del minuto / all'ultimo quarto è uno scatto »). Questo fu il giorno il cui la torre scandì l'ora della morte di Lenin.
Guardo il corteo che si snoda, ordinato in mestizia e rigore dalla polizia (« la polizia, / faccia di culo ») e ripenso a quel vivo tempo di morte cantato da Maiakowski, quando sulla Piazza Rossa sembrò che nuovamente la Russia fosse diventata nomade. (« La diga delle strade / si spacca in mezzo / e cantando / gli uomini / si precipitano alla morte »).
Silenziosi, ordinati, a pascetti, gli uomini guadagnano il Mausoleo. Oltre il basso portale e il presentat'arm pietrificato delle sentinelle, la scalinata esterna del monumento si fa naturalmente scala interna, per la discesa alla cella. I marmi più preziosi che l'Unione Sovietica possegga sono stati impiegati per la facciata: il granito rosa proviene dall'Ucraina, dalla Carelia il porfido rosso che mensola il tempietto;. eppure si fondono senza sontuosità, con un effetto di colore caldo e tranquillo. Ignoro da quale regione sia stato cavato il marmo che riveste la sala di ingresso, che corre lungo le scale: è un marmo mai veduto in Europa, azzurro piombo, vibrante di scaglie e di riflessi argentei. Gelido e ardente, pulito e ricco — si intona benissimo a tutto, il clima del Mausoleo.
Mentre scendete, il silenzio che da tempo vi accompagna, si fa op
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pressivo, terribile. Si presenta e si paventa, in quest'ultimo scorcio dell'attesa, avvicinandosi la meta, e quale che sia il motivo che vi ha spinto quaggiù, il mistero sempre rinnovantesi della morte dell'uomo. Terminata la scala, si svolta sulla destra. Subito, come svoltate, sentite che siete ormai fra i defunti. L'ingresso alla cella è in faccia, fluttua un barbaglio rossastro. Entrate e, senza poter ancora discernere forme umane, scorgete dal retro i sarcofaghi, sopraelevati. Per passarvi davanti occorrerà salire una breve scala, discenderne una uguale per guadagnare l'uscita. Nella stanza, di proporzioni rispettose, una penombra rossa, una luce che vi gela le dita. Vi rendete conto che siete in una cella frigorifera.
« Fine; / fine, / fine. / Chi / convincere? / Un vetro, / e sotto vedete...» fino al petto, parallele a pochi metri di distanza, le statue di carne in cui abitarono gli uomini Stalin e Lenin. Due busti, piú precisamente. Dal ventre in giù, una coltre di bronzo copre, con pieghe pietose, le loro figure spezzate.
La luce rossa li lambisce e, sfiorando con un raggio rosato la testa e le mani scolpite in quella cera opaca in cui si blocca, con la morte, la nostra materia organica, trucca il pallore cadaverico.
La mano sinistra di Lenin poggia tesa sul massiccio lenzuolo. La destra è serrata a pugno, all'altezza del cuore, su una giacca simile a camiciotto, con il colletto alto chiuso e due tasche ai lati del petto.
Sono due mani piccole ma affusolate, con le nocche lunghe come hanno gli intellettuali: mani che hanno scritto, che hanno pensato, ricordarlo non fa fatica, da sole parlano del loro tempo trascorso. Le mani di Stalin ricadono pesanti sul bronzo, grandi, con le dita nocchiute, la palma spessa. La giubba militare cachi le taglia al polso.
La faccia di Lenin, minuta, stempiata, gli zigomi alti, è appuntita in una serietà indifferente. La morte marchia proprio sul viso di coloro che amarono la vita come un caldo continuo progetto, quest'impronta — di uomo che ha declinato, ormai, tutte le responsabilità.
La morte, che noi avvertiamo angosciosamente soprattutto come cessazione, è un crudele processo di metamorfosi. Qualcosa viene fissato per sempre, qualcosa viene cancellato per sempre sul volto dell'uomo che muore.
È come se, allorché sopraggiunge la fine, la tensione provocata dall'uomo, con la sua problematica presenza, nel mondo della natura, precipiti, per forza d'inerzia. E l'antagonismo fra la vita biologica e
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l'esistenza umana, nel momento stesso in cui culmina, si contenda per sempre le fattezze dell'individuo.
Il viso bloccato dalla morte non è mai, se non nei tratti somatici più grossolani o evidenti, il medesimo viso che l'uomo condusse in giro da vivo. E qualcosa di meno, e di più: è un volto, compiuto e rivelatore come una parola scritta; tragico, nella misura che gli spetta. Intanto, evade stranamente dal tempo: nonostante ogni segno, ogni piega dell'età, la propria stessa età non lo riguarda piú. A quale eta risale questa paralisi che colpisce tutto il corpo visibile di Lenin e tutto quello di Stalin? Lenin sembra vagamente più giovane, perché i capelli folti di Stalin sono brizzolati. Ma il viso di Stalin non è perciò più vecchio. In una maschera, é semplicemente assente l'angoscia del volto umano, di essere macinato dalla mola del tempo. E anche i volti di Stalin e di Lenin danno nella maschera — voi potreste semplicemente dire: un intellettuale russo, ricordandovi improvvisamente di qualche effigie di Dostoevsky tosi tipicamente slavo e somigliante, negli zigomi alti, nella fronte convessa, nelle mascelle che intenagliano il mento appuntito; un uomo da esercito e da cannoni, un generale, balenandovi irresistibilmente una qualche analogia visiva, chissà quando e dove afferrata, con un Pancho Villa o con un virulento capo militare da Americhe del Sud.
La chioma folta spazzolata all'indietro, i baffi imperiosi, il naso come un pugno in mezzo alla faccia, le guance che tradiscono il grande apoplettico, una grossa verruca immobile su quella di destra, e le labbra sensuali su cui aleggia il ricordo stupefacente di un sorriso, la testa di Giuseppe Stalin giace riversa in un altro emisfero, pur stando così vicina e parallela a quella di Vladimir Ilijc Lenin.
Donde gli viene quell'incredibile sorriso?
Ricordo il ritratto di Barbusse, che lo vide da vivo: « Sono gli occhi dal taglio esotico leggermente asiatico, che imprimono alla sua maschera di rude lavoratore un'aria ironica. C'è qualche cosa nello sguardo e nella espressione del viso che lo fanno apparire sempre sorridente. O meglio, si direbbe che egli stia sempre per sorridere. Così pure Lenin ».
Eppure, con la sua giustizia ironica, la metamorfosi irrimediabile ha cancellato ogni ricordo di sorriso dal piccolo volto d'avorio di Lenin, infinitamente più asiatico e più ironico nel taglio; lo ha mantenuto — una traccia beffarda e sconvolgente — su quello grezzo e sanguigno di Stalin.
L,
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Un sorriso impercettibile, chissà come fissatosi agli angoli delle labbra, che riesce peri a diffondersi, per tutta la faccia; un sorriso dominatore, di chi ce l'ha fatta, e che impone la presenza del terribile. La tenace indefettibilitá di tutti i dolori sofferti nei luoghi di esecuzione, nelle camere di tortura, urta contro quel sorriso — uno scontro silenzioso e pauroso di masse di energie invisibili.
« Basterà che io muova il mignolo ed egli non esisterà più ». « Basterà che io muova il mignolo e Tito non esisterà più. Egli cadrà ». « Muoverò il mignolo e Kossior non esisterà più; muoverò ancora una volta il mignolo e Postisciev e Ciubar non esisteranno più; muoverò ancora il mignolo e Voznesenski, Kuznezov e molti altri spariranno ».
Per quanto stranamente la morte si sia alleata alla propaganda,[...]

[...]tro quel sorriso — uno scontro silenzioso e pauroso di masse di energie invisibili.
« Basterà che io muova il mignolo ed egli non esisterà più ». « Basterà che io muova il mignolo e Tito non esisterà più. Egli cadrà ». « Muoverò il mignolo e Kossior non esisterà più; muoverò ancora una volta il mignolo e Postisciev e Ciubar non esisteranno più; muoverò ancora il mignolo e Voznesenski, Kuznezov e molti altri spariranno ».
Per quanto stranamente la morte si sia alleata alla propaganda, riproducendo quello stesso viso forte, ottimistico e sorridente che fu innalzato su migliaia e migliaia di cartelloni, é possibile dimenticare?
Disperata é la forza di sussistenza del dolore. La nostra medicina é la dimenticanza, la giustificazione. Riascoltatele solo un momento, davanti al letto bronzeo di Stalin, le parole che uno dei molti, a nome Eiche, scrisse per sé e per tutti gli altri:
« Le cose stanno nel modo seguente: non essendo in grado di sopportare le torture alle quali sono stato sottoposto da Usciakov e da Nikolaiev, e particolarmente dal primo — i quali hanno sfruttato il fatto che le mie costole fratturate non sono guarite e mi hanno fatto molto soffrire — sono stato costretto ad accusare me stesso ed altri ».
Una serietà terribile, pallida, sta rappresa sul volto di Lenin. Il suo pugno è contratto.
Il mignolo di Stalin è sigillato nell'indifferenza (le unghie serbano una traccia di nicotina).
Invano pensate che, a un certo momento, anche la morte ha alzato il suo mignolo — e Giuseppe Stalin è caduto fulminato. Una sproporzione fra i destini umani sussiste.
Sui pochi metri di distanza che separano queste due salme si ha l'impressione di misurare l'abisso. Allinearli così vicini...
Vicini e lontani, lontani ma vicini, se si è presi con forza da questa sensazione, ecco, almeno ora un tratto comune, un che di somigliante, qualcosa che li conforma, si riesce a scoprire. E una certa assenza. Una curiosa assenza, non di vita, come ci si potrebbe aspettare, ma di morte.
Passando la sua spugna nera sopra un volto umano, la morte, allo[...]

[...]destini umani sussiste.
Sui pochi metri di distanza che separano queste due salme si ha l'impressione di misurare l'abisso. Allinearli così vicini...
Vicini e lontani, lontani ma vicini, se si è presi con forza da questa sensazione, ecco, almeno ora un tratto comune, un che di somigliante, qualcosa che li conforma, si riesce a scoprire. E una certa assenza. Una curiosa assenza, non di vita, come ci si potrebbe aspettare, ma di morte.
Passando la sua spugna nera sopra un volto umano, la morte, allorché sopraggiunge, sembra preoccuparsi della sua eccessiva indivi
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dualità. Mira a distruggere, con calma furia, la propria principale nemica — l'espressione, questa immensa e millenaria creazione e vendetta della civiltà umana.
Sforzandosi di cancellarla, e stravolgendola, cerca di ristabilire nell'individuo la specie, di rodere i segni più trionfanti della ribellione. Nei minuti in cui, passando e ripassando, preparando in silenzio il viso dell'uomo al distacco, la spugna lo lava nel nulla, la metamorfosi é in atto. Alcuni muscoli vengono tesi, altri rilassati. Il viso, giacendo in una solitudine insostenibile, é contratto a metà. Per metà l'uómo dà sulla vita, per metà sull'ombra. È un processo che avviene per strappi insensibili ma rapidi. Nel tempo dell'agonia, questa plastica oscura ha modo di esercitarsi liberamente, di sbizzarrirsi.[...]



da Orlando P. [attribuzione Orlando Parizzi, curato da Danilo Montaldi], Vita di Orlando P. scritta da lui stesso (continuazione del numero precedente) in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: VITA DI ORLANDO P.
SCRITTA DA LUI STESSO
(continuazione del numero precedente)
Ritorna a lavorare da imbianchino. Ma un lunedì il padrone manca, e Orlando altri due operai, avendo venduto dei rottami, decidono di andare a bere.
Si chiude e ci rechiamo all'angolo di piazza Castello in via G. B. Trotti vi é un'osteria bassa un fumo che non si può nemmeno respirare si beve un litro di vino e si sparte il nostro ricavato e a certo punto io dico ma non vedete che fumo vi è qua dentro andiamo li in via Paderna a levare un pò il gomito qui si soffoca andiamo a prendere da fumare e poi entriamo nell'osteria si beve un litro e si fa un pò di chiacchere e si racconta un pò di barzelette e comandiamo un'altro litro sempre noi tre là ve ne sono degI'al[...]

[...]lo in via G. B. Trotti vi é un'osteria bassa un fumo che non si può nemmeno respirare si beve un litro di vino e si sparte il nostro ricavato e a certo punto io dico ma non vedete che fumo vi è qua dentro andiamo li in via Paderna a levare un pò il gomito qui si soffoca andiamo a prendere da fumare e poi entriamo nell'osteria si beve un litro e si fa un pò di chiacchere e si racconta un pò di barzelette e comandiamo un'altro litro sempre noi tre ve ne sono degI'altri ma a noi non interessano anzi sono io che con la coda degl'occhi guardo uno ad un tavolo che scrive sempre ogni termine delle nostre barzelette e noi si ride perché sono parole scerzevoli e dette al vento tanto per ingannare il tempo e fra queste chiacchere il mio amico fabro mi dice: te che ai fatto la guerra mondiale perché non vai in Spagna a cornbatere ti pagano bene sai — e ride a queste parole cambio i colori della faccia e gli dico : lo so che tu scherzi non potresti andarci te che ai la camicia nera in dosso? E poi a me i spagnoli non mi anno fatto niente anzi lottano per una causa giusta ai letto tu qualche cosa della Spagna? — io no — e allora perché parli così non vedi quello Ià che continua a scrivere
e a me mi da ai nervi perché io lo conosco e lui finge da non conoscermi
e continua a scrivere é meglio piantarla con queste parole beviamo un altro litro e andiamo via di qui prima che succeda qualche baruffa ed infatti tronchiamo le chiacchere e guardiamo quel cliente — si chiamo l'oste si paga e le domando: viene sempre quell'uomo a bere? — Io non lb mai visto — grazie, avete visto che io non mi sbaglio andiamo in fondo alla via vi è un'altra osteria forse staremo in pace — e se ne andiamo e mentre s'incammina gli racconto di quella persona io lo conosco perché una volta faceva il barbiere al Maris e la vi é un'osteria dove io ó lavorato diverso tempo dove feci diversi paesaggi e la ero come di casa perché il padrone, dell'osteria era un vero socialista e consigliere dell'Ospizio Soldi alla sera si parlava sempre di politica e metteva sul tavolo un secchio di vino
e si beveva col mestolo e più di una volta a bevuto anche quell'individuo che ora non mi conosce ecco perché mi da ai nervi si entra nell'osteria vi è delle donne del marciapiede qualcuna mi saluta e mi chiede una siga
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retta questo vuol dire voler bere insieme nel gergo della malavita e si comanda un litro. Tl vino incomincia ad impadronirsi di me e siamo in allegria si incomincia a cantare eccoti di nuovo questo brutto essere che non mi garba terminato il canto mi alzo e vado vicino a questo e le dico perché non mi saluti non mi conosci più io sono sempre il pittore e te ai cambiato mestiere una volta facevi il barbiere ora cosa fai la spia? continui a scrivere e non sei da queste parti dai dei sospetti d'essere tale noi siamo dei lavoratori e non vogliamo essere pedinati da spie e la baruffa incomincia si mettono fra mezzo anche le donne l'oste i miei compagni e vola qualche schiaffo senza recar danni alla moda di S. Bassano e così termina la nostra giornata. Al giorno dopo siamo sul lavoro e se ne parla ancora fra di noi della baruffa della sera prima io gli dico ai miei compagni sono le solite baruffe qui a S. Bassano è alordine del giorno io poi ci trovo gusto quando mi capitano ma sempre se ò ragione perché io non vado a cercarle le baruffe quello imparerà a comportarsi meglio — di questo che é capitato non si dice niente a Bernabè perché altrimenti viene a sapere che abbiamo fatto il lunedì vi pare compagni? — Ai ragione — e passa il martedì il mercoledì e non se ne parla più ma al venerdì sera vado al solito posto a mangiare la minestra e un mio compagno mi dice: é venuto un signore oggi a cercarti è ben vestito avrà forse del lavoro da farti fare — ascolto e dico: ò sarà qualche sbirro — e questo mi dice: no non é una guardia anzi a parlato con la Elsa — allora parlo con lei, chi è venuto a chiedere di me oggi?' — Un giovanotto e a detto d'andare li in via Ruggero Manna al gruppo avranno del lavoro — io non ? mai avuto a che fare con il gruppo e come uno stupido dopo aver mangiato mi reco la domando permesso entro vi è uno seduto appena mi vede sorride e dice: siete venuto avete fatto bene ditemi un po vostro padre è insieme a voi o vive solo — ora vive solo è nel bosco a pescare e io vado a lavorare mangio all'osteria — va bene accomodatevi — e mi segna un'altra porta io prendo la maniglia si apre entro in un'altra stanza ve ne sono diversi tutti in silenzio solo una voce squilla ecco una vecchia conoscenza — gl'altri mi guardano ma non parlano io saluto questo che parla perché da giovane si giocava al fotbal e comprendo che lui é il capo di questi manigoldi ed dico : ma mi ai mandato a chiamare te? Cosa vuoi di me? Io non ó niente da fare con voialtri — dovresti fare solo una firma cosa mi vuoi mandare militare? Io lb già fatto dillo a questo che era con me — e segno Cometti che era il suo Segretario e lui sorride perché mi conosce di vecchia data e di quello che feci a Pesaro. Allora estrae un foglio e si mette a leggere e filo per filo é descritto il famoso discorso della Spagna della camicia nera dell'insulto e della baruffa e poi mi fa: è vero tutto que[...]

[...]l capo di questi manigoldi ed dico : ma mi ai mandato a chiamare te? Cosa vuoi di me? Io non ó niente da fare con voialtri — dovresti fare solo una firma cosa mi vuoi mandare militare? Io lb già fatto dillo a questo che era con me — e segno Cometti che era il suo Segretario e lui sorride perché mi conosce di vecchia data e di quello che feci a Pesaro. Allora estrae un foglio e si mette a leggere e filo per filo é descritto il famoso discorso della Spagna della camicia nera dell'insulto e della baruffa e poi mi fa: è vero tutto questo? — Sarà ma io non mi ricordo e poi si tratta di una bevuta e parole per iscerzo — non conosci nessuno di questi? — Te ti conosco Cometti — guardili bene tutti quello nell'angolo é quello di lunedì "— ascoltami Lombardi quello lo conosco per un barbiere ma che
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fosse aI tuo servizio non sapevo — all'ora si avanza quella brutta faccia e mi sferra un pugno che io lo paro allora all'altro fianco ve ne è un altro anche questo cerca da colpirmi nel viso ma io avendo un pò di scuola della Boos mi salvo la faccia e loro picchiano sulla testa a un certo punto il Cometti fa cessare la grandine dei pugni. Questa volta è ancora il signor Lombardi che prende la parola: ora firmerai il verbale — mi oppongo e dico : nemmeno se mi uccidete voi non siete della giustizia — allora mi danno un bichiere d'oglio che io lo bevo senza nessun schifo perché mi piace e loro rimangono stupefatti mi fanno uscire e il Signor Lombardi uno col braccio corto e un'altro mi fanno salire sopra una auto e mi portano in questura vi è un solo agente chiamato lo sfregiato mi guarda e poi dice io quel signore non lo voglio sono solo non mi fido a tenerlo portatelo a S. Lucia. Si esce di nuovo sulla macchina e via a S. Lucia vi è un tenente dei Carabinieri presentano un biglietto dicendo questo è politico deve essere trattenuto e passato alla comissione per sovversivo e mi lasciano a S. Lucia mi portano in una cameretta col solito tavolaccio per letto usanza italiana e dopo mezzanotte sento ad aprire l'uscio entra un carabiniere con un piatto colmo di pasta asciutta e mi dice mangia sono i tuoi compagni che te la mandano — la mangio se mi fate un favore a prendermi un pó d'acqua e aceto per farmi cessare il male che ó nella testa — e uno dei carabinieri va a prendere quello che ó chiesto portandomi della bambagia e un catino d'acqua e aceto e m'anno fatto loro i primi bagni alla testa mi sentivo a stare molto meglio allora mi misi a mangiare e la mangiai tutta consegnai il piatto la forchetta e mi lasciarono un pacchetto di sigarette nazionali e scomparvero e io continuai tutta la notte a fare i bagni alla testa.
Dopo 4 giorni di detenzione a S. Lucia vengo trasportato in via Stefano Iacini per essere giudicato dalla comissione e verso la fine d'agosto del 1937 sono presente alla comissione dove mi sottopongono ad un confine politico per la durata di 3 anni. In questo periodo di tempo che aspetto la partenza il medico dello stabilimento mi fa verniciare i locali dell'infermeria con la superba paga di una lira al giorno e ritarda molto la mia partenza perché íl medico del locale giudiziario scrive a Roma che io mi trovo ammalato così ó modo di ultimare il lavoro avendo eseguito per bene il lavoro mi regala un fiasco di vino e al 15 settembre devo far partenza ma due giorni prima della partenza viene a trovarmi un appuntato della benemerita a chiedere di me vengo portato in sua presenza e mi dice: Tu saresti quello diretto in siciglia ovvero a l'isola di Ustica, bada che il viaggio è lungo e per il vitto è una cosa da pensare per tre o quattro giorni minestra non ne vedi e prendere i cestini di viaggio vengono a costare molto accetti a mangiare in nostra compagnia tanto siamo sempre in compagnia lostesso perché sono io ed un'altro che abbiamo l'ordine di accompagnarti — io rispondo per me è uguale e non sono un ricco fate voialtri basta che non manchi il vino la minestra la mangerò quando sarò giunto a destinazione
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— senti noi faremo così si prende 10 scatole di carne conservata metà di bue e l'altra meta di suino un chilo di formaggio da pasteggiare il pane a te lo danno alle città dove si fermiamo e durante il viaggio il vino si prenderà bada che noi abbiamo un bottiglione che tiene 2 litri e un quinto così se ne beve di più e poi fai il viaggio con noi che siamo dei paesani il mio amico é di Olmeneta e io sono di Casalmaggiore e ti tratteremo bene vedrai basta che non tenti da fuggire — per questo potete stare tranquilli perché vado a stare meglio di qui così m'anno detto quelli che vi sono gi[...]

[...] il viaggio il vino si prenderà bada che noi abbiamo un bottiglione che tiene 2 litri e un quinto così se ne beve di più e poi fai il viaggio con noi che siamo dei paesani il mio amico é di Olmeneta e io sono di Casalmaggiore e ti tratteremo bene vedrai basta che non tenti da fuggire — per questo potete stare tranquilli perché vado a stare meglio di qui così m'anno detto quelli che vi sono già stati ecco perché parto tranquillo mi anno detto che sono libero tutto il giorno perciò non si deve andare a star male sarà un pò il viaggio ma arrivato è un'altra vita — senti è arrivato il fonogramma e la tua partenza é lunedì mattina e si parte col Fidenza. In questo periodo di tempo che sono a Cremona ò potuto accumolare qualche soldo che mi occorono per il lungo viaggio passo la voce fra i detenuti che rimangono e vi sono diversi che mi danno delle incombense e diversi saluti da contracambiare perché dove vado è il posto dei Cremonesi confinati comuni. Io a quel tempo portavo un pizzetto nero al mento avevo veramente la stoffa d'un politico e alla mattina del lunedì eccoti i fratelli branca vestiti bene ma portano con loro i famosi braccialetti io per ischerzo domando al capo scorta : non avreste potuto fare a meno di portare con noi questi adornamenti non si fa bella figura sul treno con questi gingilli — ma noi si viaggia sempre in seconda e posto riservato così non ti vedono nessuno — meno male — e fuori del portone vi è la carrozza che ci aspetta credo di veder nessuno perché è mattina presto invece sei o sette curiosi sono fermi a guardarmi e sono gente di porta Pb e fra di essi ne vedo uno che fa bocca da ridere io lo so che non devo parlare ma il momento è adatto e poi so che i carabinieri sono Cremonesi e buoni ragazzi me ne approfitto ed esclamo: di sei contento è ma per te vi sarà un'altro castigo — e monto sulla carrozzella siamo in due e andiamo alla stazione e durante la strada il capo scorta mi dice: lo conosci quello che rideva? — Abita vicino a me lo conosco bene la carnicia che porta anche nel sangue perché se fosse educato non si sarebbe messo a ridere vedendo due persone ammanettate per scopi politici non siamo dei delinquenti noi cosa ciè da ridere vi pare voi fate il vostro mestiere e noi il nostro io non sono mai andato a vedere simili spettacoli anzi quando vedevo questa carrozzella traforata mi dava sempre un pò di compassione perché ve ne possono essere anche degl'innocenti e non sta bene a ridere — si arriva alla stazione ve ne sono ancora di piu di questi curiosi e dico al mio compagno se non si fosse a Cremona poco me ne importa del loro sguardo ma qui mi conoscono tutti ò un pò vergogna i carabinieri che ascoltano fanno un segno col capo come affermazione infine non siamo vestiti da galeotti vi sono solo questi braccialetti che ci distinguono dalle altre persone e mentre ci conducono al treno si passa in mezzo a questi ve ne è uno più curioso dell'altro mi guarda con uno sguardo fisso allora gli
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dico sulla faccia: mi a detto tuo fratello che vai a trovarlo — in questo moment[...]

[...] mio compagno se non si fosse a Cremona poco me ne importa del loro sguardo ma qui mi conoscono tutti ò un pò vergogna i carabinieri che ascoltano fanno un segno col capo come affermazione infine non siamo vestiti da galeotti vi sono solo questi braccialetti che ci distinguono dalle altre persone e mentre ci conducono al treno si passa in mezzo a questi ve ne è uno più curioso dell'altro mi guarda con uno sguardo fisso allora gli
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dico sulla faccia: mi a detto tuo fratello che vai a trovarlo — in questo momento tutti gl'altri rivolgono lo sguardo verso di hit e noi si morta sul treno abbiamo il nostro compartimento riservato e più nessuno ci disturba ora i carabinieri mi dicono: glie lai fatta bella a quello — e si ride — così imparerà per un'altra volta essere meno curioso dite rapo questi ferri sono un pò troppo stretti non si può slacciarli un pò li devo tenere fino a Bologna e prima di smontare li stringerete un'altra volta e così faremo il viaggio un pò più comodo vi pare? — Si ordina al carabiniere di lentare un pò i ferri. Fatta questa operazione si incomincia a parlare e si arriva a Fidenza si smonta per aspettare il diretto Milano Bologna dopo una mezzora arriva e noi di nuovo si prende il nostro scompartimento e via si diverte a vedere i paesi che si passa si arriva a Parma e l'appetito incomincia a farsi sentire noi abbiamo il pane aprono una scatoletta di carne ci levano i braccialetti e si mangia il vino l'abbiamo e si consuma una spece di colazione si arriva a Modena e infine siamo a Bologna vi è un baccano indiavolato ci mettono in camera di transito che non è troppo igenica le nostre pareti sono di sbarre di ferro e ve ne sono degl'altri tutti diretti ai confini per sovversismo qui è lo smistamento perché ci dividono per poi proseguire ognuno al suo destino e fra di noi si fa le conoscenze si domanda tu dove sei diretto diversi sono diretti a Ventottenne parte a Ponza parte invece, vanno a Terra ferma sarebbe la Calabria a secondo le pene inflitte. incomincio a sentire l'odore dei rivoluzzionari benché messi in questi luoghi che mi da l'impressione d'essere diventati tutti leoni perché solo le sbarre di ferro ci adornano il camminare in su e giù con delle discussioni più o meno vivaci che si spegnano ogni qual volta vengono a prenderne 10 o 12, per metterli sulla traduzione li chiamano nome e cognome e nell'altra stanza di fronte mettono ferri e catene e questi ci salutano si sente la voce d'un Maresciallo dei Carabinieri gridare come un diavolo state attenti chi cerca da fuggire sparate carabinieri, al 7° binario questa colonna, e via di seguito afinché viene il mio turno ma io non vado colla colonna perché b la mia scorta che mi devono consegnare al luogo destinato e verso le ore 4 del pomeriggio eccoti i miei sbirri saluto chi rimane e si fa corraggio uno con l'altro il mio compagno rimane perché lui è destinato a Ponza io invece devo andare oltre la Sicilia a sentire il sole d'Africa siamo pronti andiamo a dormire a Firenze mi dice il capo scorta e la solita storia dei braccialetti una mano all'altra sono sempre un affiliato della Società Vittorio Emanuele. Il capo scorta ride — cosa vuoi fare — mi dice e così si va sul treno e sempre il nostro compartimento è pronto appena siamo seduti domando b sete e mi danno un bicchiere di vino dopo circa una mezz'ora s'affaccia al nostro compartimento un frate entra e il capo scorta le fa noto che è riservato lui invece si siede e offre una sigaretta ai Carabinieri e ne porge una anche a me che io lo ringrazio ma non l'accetto al'ora il frate dice: si vede che ,questo signore è politica e cerca ogni modo per farmi parlare, io vedendo la
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sua insistenza scoppio con[...]

[...] sul treno e sempre il nostro compartimento è pronto appena siamo seduti domando b sete e mi danno un bicchiere di vino dopo circa una mezz'ora s'affaccia al nostro compartimento un frate entra e il capo scorta le fa noto che è riservato lui invece si siede e offre una sigaretta ai Carabinieri e ne porge una anche a me che io lo ringrazio ma non l'accetto al'ora il frate dice: si vede che ,questo signore è politica e cerca ogni modo per farmi parlare, io vedendo la
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sua insistenza scoppio con due parole e le dico: padre da bambino in cinema ó visto la rivoluzione spagnola di adulto ò letto l'inquisizione di Spagna scritta da Pietro Arbues credo che un uomo come lei m'abbia compreso — invece il frate insiste da prendere da fumare e io ribatto : vi piace vedermi alle torture voi a fumare liberamente colle vostre mani e giestico lando e me con questi gingilli vi pare che sia una bella cosa infine io non ò ammazzato nessuno e nemmeno rubato — a queste parole dice al capo scorta perché non gli levate i ferri durante il viaggio quando dovrete scendere a 10 chilometri prima della vostra fermata glie li mettete di nuovo, dove è diretto questo signore? — A Palermo col treno e la responsabilità — suggiunge il capo ed il frate gli fa vedere una spece di medaglia e subito in presenza sua mi tolgono i ferri io lo ringrazio e se ne va allora i Carabinieri mi dicono : vedi che ti a portato fortuna quel frate ora viaggi libero sei contento di lui — ora si che si viaggia bene e poi non avete disturbo nemmeno voialtri si può sapere chi è quel frate per piacere lo scriverò nelle mie memorie — a queste parole si guardano uno con l'altro e poi mi dicono : è una autorità che noi dobbiamo ciecamente obbedire e va fino a Palermo — così mi dicono i reali ma dopo la visita di quel fr[...]

[...] lo ringrazio e se ne va allora i Carabinieri mi dicono : vedi che ti a portato fortuna quel frate ora viaggi libero sei contento di lui — ora si che si viaggia bene e poi non avete disturbo nemmeno voialtri si può sapere chi è quel frate per piacere lo scriverò nelle mie memorie — a queste parole si guardano uno con l'altro e poi mi dicono : è una autorità che noi dobbiamo ciecamente obbedire e va fino a Palermo — così mi dicono i reali ma dopo la visita di quel frate che portava una tonaca bianca venne a guardarmi una 108 d'altri ma quelli non sono venuti nello scompartimento e poi erano molto più giovani del primo ora dico ai reali ma non si termina più questa visita cosa m'amo preso per una bestia feroce questi scalzi sarebbe meglio che andassero a lavorare invece di studiare a ingannare il popolo perché questa gente secondo me non sono utili al progresso questi studiano per tenerci ignoranti noi e voialtri ne siete i suoi servi non vi pare avete visto il primo vi a fatto vedere una medaglia e voi dovete obbedire sarebbe meglio mangiare ora si finirà questa commedia e pensiamo al nostro viaggio che é molto lungo e si apre una scatoletta di carne di suino si fa un po ciascuno e si mangia si innaffia il pasto con un paio di bicchieri di vino e si tira avanti ogni tanto si guarda dal finestrino e il discorso cade alla vista di cose presenti c[...]

[...]per tenerci ignoranti noi e voialtri ne siete i suoi servi non vi pare avete visto il primo vi a fatto vedere una medaglia e voi dovete obbedire sarebbe meglio mangiare ora si finirà questa commedia e pensiamo al nostro viaggio che é molto lungo e si apre una scatoletta di carne di suino si fa un po ciascuno e si mangia si innaffia il pasto con un paio di bicchieri di vino e si tira avanti ogni tanto si guarda dal finestrino e il discorso cade alla vista di cose presenti come una bella villa un campo di fiori molte ragazze che cogliono fiori le stazioncine che si passa afinché viene la sera. Io domando quando arriveremo a Firenze il capo risponde verso le nove abbiamo ancora qualche ora e poi ci siamo allora é meglio vuotare il bottiglione perché se si avanza può andare a male si ride e piano piano il bottiglione si vuota. Si incomincia a vedere da lontano molti chiari un gran bagliore e domando cosa sono tutti quei lumi dev'essere la città di Firenze all'ora bisogna mettere i bracialetti e di nuovo infilo le mani alla Vittorio Emanuele e gli danno 4 o 5 giri di vite il suo rispettivo luchetto e sono già a posto dopo questa operazione eccoti arrivare nella stazione di Firenze si smonta e mi conducono nella sala d'aspetto alla vista dei curiosi ma è di sera e tanti non mi guardano e vedo passare i fraticelli molto silenziosi nessuno mi rivolge la parola ed il Frate più vecchio parla col mio capo scorta per due minuti e i frati se ne vanno e piano
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piano anche la gente va per i fatti suoi mi portano in fondo alla Stazione e la vi é la carozella si monta e via alle Murate che sarebbe il mio aloggio per la notte entro in questo stabilimento tutto é silenzio solo i tiracatenacci sono in servizio con le ciabatte di gomma per non disturbare gl'altri il capo mi consegna a loro dicendogli: questo domani mattina prosegue per Roma è politico — me ne accorgo che dopo aver detto quella parola politico il tiracatenacci cambia linguaggio si accomodi attendo circa un quarto d'ora e poi viene lo scopino con lenzuola e due coperte e cuscino eccovi signore e mi segna il numero della mia camera é il 13P una celletta piccola che serve come isolamento solo sono stanco mi faccio la branda e mi metto a dormire. Alla mattina sento ad aprire e io sono ancora a letto e una voce mi dice vestitevi adagio non fate rumore perché la sveglia non é ancora suonata ma voi dovete partire — grazie e gib dalla branda mi vesto in dieci minuti sono pronto mi accompagna in matricola metto la mia firma su quel libro dei passeggieri notturni e questo mi consegna una pagnotta e mezza perché io non mangio la minestra essendo di viaggio eccoti squilla il campanello andiamo sono i vostri reali entrano e sempre la solita storia dei braccialetti si monta in carrozza e via alla stazione e mentre andiamo dico al capo scorta mi sento da bere un bicchierino di grappa non si potrebbe la al bufet si, guarda se vi é l'aria libera si beve e in fatti vi è pochissima gente graduati non ve ne sono e si beve la grappa io naturalmente sempre con i gingilli. Poi andiamo sul treno e i ferri non me li leva mi accende la sigaretta e io le dico — e questi ora siamo sul treno non potete levarli? — ancora no — risponde — perché il treno è fermo appena si mette in moto si levano — o capito questi sono gl'ordini di quel frate ora si cambia discorso e si parla come abbiamo passata la notte io lb passata benissimo e voialtri — noi siamo andati in caserma ma ve ne sono sempre chi monta e chi smonta di servizio non abbiamo potuto dormire ora alla prima stazione che si arriva mando a prendere da bere in queste parti vi é il vino buono è chianti sentirai che vino — meno male mi pare già d'assagiarlo e infatti alla prima stazione ;tende e va a prendere il vino così siamo a posto il pane l'abbiamo la pietanza lostesso speriamo che oggi ci lasciano in pace cosí ci goderemo il viaggio di piacere vedendo di passaggio l'agro romano e per quel giorno non abbiamo avuto nessuna visita siamo stati in pace e fra una chiaccherata a l'altra abbiamo passata la giornata si arriva puntuali alla Stazione di Roma prima dél cadere della sera il capo scorta è pratico e con disinvoltura compie il suo servizio così lesto che quasi non abbiamo dato nell'occhio ai viaggiatori che erano sul treno con noi e andiamo verso l'uscita ma per noi ve ne è un'altra è quella di servizio. La troviamo la solita carrozella si monta e via al mio destino. I due carabinieri mi consegnano ai signori tiracatenacci colla solita frase domani mattina questo è diretto per Napoli e mi soggiungono arrivederci noi ora andiamo a dare un'occhiata alla città eterna — auguri io invece la guardarti da qui
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— e se ne vanno. Io tengo solo una piccola valiggetta dove ogni qual volta arrivo in questi alberghi la vogliono guardare cosa contiene e poi si deposita e alla mattina ti viene restituita fatta questa operazione mi consegnano ad altri suoi compagni Tiracatenacci aprono un cancello poi un'altro ed arrivo alla rotonda la vi è come un chiosco con telefono e una tastiera di numeri che da stare in quel chiosco sbriga tutto il servizio perché da quel posto si vedono tutte le celle con le sue guardie di servizio e a me segnano una cella a pian terreno col numero 25 e una targhetta con la scritta camera transito un via vai di coelli vestiti da tigre con giornali e una voce calma si sente: giornali — ne passa un'altro ad ogni cella dice straordinario io comando una pasta asciutta e un quarto di vino che dopo un'ora mi viene portata. Qui non mi pare d'essere in carcere ma bensì in albergo la vi è una grande pulizia con pavimenti lucidi infine manca solo le donne e la liberta poi non manca più niente ci vuol soldi e coi soldi si sta bene d'appertutto e i soldi è la base principale del reato così passa la notte fra numerosi sogni. Alla mattina suona la sveglia sono ancora la e penso fra di me che oggi non si parta non sono mai venuti a prendermi così tardi e dopo un paio d'ore eccoti sento ad aprire — fuori dovete partire — e mi portano di nuovo in matricola metto la mia firma e m'accompagnano a l'ultimo cancello la vi sono i miei soliti è sempre la solita storia d'una mano a l'altra si esce e via alla stazione. Dobbiamo recarci al 5° binario e la si aspetta l'arriva del treno che è diretto per Napoli in questo fratempo che si aspetta si guarda il movimento che vi è nella stazione è un continuo d'arrivi e partenze poi arriva il nostro si sale sopra prendiamo una scompartimento anzi si stenta a trovarlo perché il treno è tutto occupato all'ora ne fanno vuotare uno e ci installiamo noi — meno male — esclamo — credevo da dovere star in piedi fino a Napoli ma il capo scorta sorride e dice — b dovuto parlare col capo treno altrimenti era difficile potersi accomodare questo treno è sempre zeppo di viaggiatori è una linea troppo frequentata è una fortuna potersi accomodare e poi chissa quando arriveremo a Napoli — per l'ostia non ci sarà il caso da dormire in treno per me è lostesso facciamo senza fare la solita passeggiata al carcere ve ne pare — e di nuovo ci si racconta come abbiamo passata la notte io dico che b trovato tutto diverso degl'altri carceri più pulizia e manca poco ad essere un'albergo perché b potuto avere anche da mangiare ieri sera e poi anche da fumare sempre pagando ma lb trovata un carcere tutto diverso degl'altri anche come guardie sono più eduèate forse perché è Roma e il capo scorta risponde: ti puoi immaginare è la scuola dei custodi di tutti carceri d'Italia prima d'essere destinati in varie città d'Italia devono fare 6 mesi a Roma e la marciano col vero regolamento invece noi ieri sera siamo andati a trovare una delle nostre donne dove da tempo ci aspettano e abbiamo fatto un giro per la citta e verso mezzanotte siamo andati a coricarsi si sapeva che oggi si partiva tardi abbiamo approfittato dell'occasione e abbiamo anche preso il vino è dei ca
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stelli romani sentirai come é buono. E il viaggio é sempre la solita si accontenta solo gl'occhi del guardare perché proprio merita vi sono delle vedute meravigliose e il vino é molto buono e il caldo si fa sentire verso mezzogiorno si mangia poi un po' di dormisveglia mentre si viaggia la solita sigaretta e verso le ore 4 pomeridiane il bottiglione é vuoto. Alla prima stazione vi è un po' di fermata allora scende per dargli la piena poi si continua il nostro viaggio e si entra in Napoli verso le undici di notte con meraviglia vedo passare la prima stazione sotteranea e se ne conta ben 5. All'ultima ci fermiamo si smonta del treno e per l'uscita vi è una scalinata da salire per andare fuori quando siamo giunti al'esterno si da un'occhiata in giro ma non si vede la solita carozzella che mi deve portare al mio destino allora di nuovo andiamo nella camera di transito governativa che sarebbe una come quella di Bologna con le sbarre di ferro e i sedili di marmo e si attende il vetturino. Passa un'ora passa due e nessuno si vede a comparire io sono un po' stanco e mi sdraio sopra una di queste panche levo le scarpe la mia valigetta la metto sotto la testa e poi rivolgo la parola ai miei accompagnatori cari miei ragazzi credo che questa notte la dobbiamo passare sul duro letto fate anche voi come me vi sdraiate e quando verranno a chiamarci andremo tanto non si può prendere il sonno queste molle sono troppo dure e casi fanno anche loro si coricano senza levarsi le scarpe perché loro sono in servizio e dopo circa due ore che siamo sdraiati eccoti venire un uomo dell'apparenza un pò brillo vero tipa napoletano con la sua parlata chiama ad alta voce « non ci sta polli per me? carabinieri! » — il capo scorta gli dice — ma noi siamo arrivati prima di mezzanotte e voi
venite ora — risponde — ma quel pollaio é sempre aperto andiamo e alla moda di Napoli canta una sua preferita « a Napoli cie né chi dorme e chi veglia e chi fa infamità Napoli é sempre Napoli » — da qui si comprende che é brillo e mentre si trotta colla carozzella dico ai due reali — qui si conosce che è un'altra Italia — e si ride. Arriviamo al mio albergo Stringi é la solita mi consegnano a quei signori: questo parte per la Sicilia domani mattina alle ore 8 è la partenza — e la risposta ai reali: potete andare a fare un sonno intanto se volete accomodarvi anche voialtri ciè posto anche per voi fate a meno d'andare a S. Lucia invece loro devono fare firmare il loro registro e anche per la trasferta recarsi in caserma anche per il controllo e se ne vanno e per me la solita celletta pulita e alla sveglia mi aprono e sono di nuovo con loro vi è il solito vitturino e andiamo alla stazione Sud. vi sono tanti soldati io mi stupisco di tutti quei militari e dico al capo scorta : cosa fanno un'altra guerra li vedo equippaggiati con zaino` affardelati mi risponde che aspettano per imbarcarsi quelli sono diretti per la Spagna in aiuto al Generale Franco perché cié la guerra ma noi invece andiamo giù col treno e loro si arrangeranno io non ne voglio sapere di guerra preferisco questi braccialetti e si monta sul treno e dico ai reali questo viaggio lo faccio quasi per colpa sua se io non avessi detto
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che fanno bene a ribellarsi gli Spagnoli forsi questo viaggio non l'avrei fatto ecco perché voi mi accompagnate fino a Ustica questo è il motivo della mia condanna ora lo sapete il perché perciò non abbiate paura che scappa e alla seconda stazione cioè a Salerno uno va a prendere il vino e poi si incomincia a fare uno spuntino per ingannare il tempo. In questo momento il treno costeggia sempre il mare da l'impressione di viaggiare sul mare io non sono mai stato sul mare a fare dei viaggi ma ora mi pare di esserci sopra e si viaggia tutto il giorno e verso le 6 si arriva a Villa S. Giovanni si aspetta iI Ferrabot che è una nave con il binario caricano il treno e siamo in mare cioè nello stretto di Messina. Ora è come essere sulla nave si sente l'altalena delle acque andando in alto e basso e molti stanno male a me invece non mi fa nessun efetto forsi perché fino da bambino andavo in barca e questa passaggio è di circa mezzora poi siamo in Sicilia la Conca d'oro chiamata in Italia e si va a Messina bisogna aspettare che formano il treno per viaggiare la Siciglia. Ora mi portano alla caserma dei carabinieri per mettermi in transito ma con mio gran stupore vedo il locale pieno di porcheria un odore nauseante io sono vestito mediocre a questa vista mi rifiuto di entrare in quel loridume e chiedo del maresciallo guardando in faccia i miei carabinieri come per dire per chi mi avete preso per un maiale da mettermi li dentro? Viene il maresciallo cosa ciè di nuovo — vi è qui un locale che fa schifo il mio decoro non è tale d'abbassarmi a tale se non vi è altro locale preferisco tenermi i ferri e aspettare il treno piuttosto che andare ad insudiciarmi in quel luogo i miei carabi[...]

[...]e il treno piuttosto che andare ad insudiciarmi in quel luogo i miei carabinieri anno l'ordine da portarmi fino al mio destino e l'ordine viene dato da Roma perciò bisogna rispettarlo se vi fosse un locale pulito meno male ma dato che non ciè faccia lei Signor Maresciallo — allora chiama il capo scorta nel suo studio e dopo un quarto d'ora l'incidente si è concluso. Io rimango coi reali andiamo a mangiare in una Trattoria, dei ferri non se ne parla più e verso le undici si rechiamo alla stazione il treno parte a mezzanotte si beve il caffè e attendiamo in sala d'aspetto che formano il treno incomincio a sentire l'aria della conca d'oro ed essere libero mi pare già un'altra vita ed esclamo ai reali è bella la Sicilia si vede il mare vi sono le sue piccole montagne è un paese dei sogni qui vi starebbe bene un pittore a fare dei paesaggi copiando il vero. Tanto che si fa queste chiacchere passa il tempo ecco il fischio del treno il segnale di potere salire sopra ora si vede tutti i viaggiatori.salire ed accomodarsi e noi si fa uguale però per noi vi è sempre uno scompartimento per non avere contatto con le altre persone e poi vedendo i reali della benemerita le altre persone non s'accostano perché non sono troppo desiderati e anno ragione dico fra di me. Ecco la parteza si viaggia tutta la notte [...]



da La barbarie prussiana nel giudizio di Marx ed Engels in KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 2 - luglio

Brano: 1!
to LA RINASCITA
La barbarie prussiana nel
giudizio di Marx ed Engels
Perchè la reazione è sempre stata così forte in Germania e il popolo tedesco così spesso impotente nella lotta contro di essa ? Perchè, nelle ore decisive della storia tedesca, il popolo è caduto sotto l' influenza e sotto il potere della reazione'? Perchè i problemi nazionali decisivi per la Germania sono stati così spesso decisi dalla reazione contro gli interessi del popolo tedesco, e non dagli elementi progressivi della società e a favore del popolo stesso? La risposta a questa domanda assume un interesse particolare nel momento presente, in cui l' hiderismo ha risuscitato quanto di più odioso ed infame vi è stato nella storia della Germania, ha fatto propri e spinto all'estremo i tratti più reazionari del prussianesimo e dato libero corso agli istinti più feroci della cricca militare tedesca. Ed è per noi particolarmente interessante trovare questa risposta negli scritti di Marx e di Engels, i quali non soltanto hanno sempre flagellato spietatamente tutte le manifestazioni del prussianismo reazionario, ma ne hanno messo a nudo le origini, indicando la via originale e contraddittoria della evoluzione storica della Germania.
Particolaritá dello sviluppo
storico della Germania
Sin dall' inizio della sua attività politica, Marx mette in luce la particolarità che rende complessa e imbrogliata tutta la storia tedesca : c Noi tedeschi, — egli scrive, — abbiamo conosciuto le restaurazioni dei popoli moderni ; ma senza aver avuto le loro rivoluzioni ... Sempre, coi nostri pastori alla testa, ci siamo trovati in compagnia della libertá in un solo momento : il giorno dei suoi fa, nera/i s =
Già allora, Marx comprendeva l'origine delle disgrazie nazionali del popolo tedesco: in tutti i momenti decisivi della sua storia, quando gli si presentavano problemi vitali, dopo un breve slancio rivoluzionario esso ricadeva sotto l'influenza della reazione, che portava alla restaurazione dei vecchi ordinamenti conservatori. Durante la Riforma e la guerra dei contadini, nel periodo della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche, nel 1848, nel corso della unificazione nazionale, le classi reazionarie finirono sempre per avere il sopravvento. E per quali motivi ? Mentre gli altri paesi dell'Europa oce'i dentale si erano impegnati da tempo sulla via dello sviluppò capitalistico e della formazione di Stati borghesi moderni, la Germania rimaneva un paese nazionalmente diviso ed economicamente arretrato. Nelle sue note sulla storia della Germania tra il
L II presente studio è stato fatto servendosi di scritti di Marx ed Engels per la maggior parte inediti, custoditi negli archivi dell'Istituto MarxEngelsLenin di Mosca. II confronto 'tra la ricchezza e profondità dell'analisi storica dei due grandi fondatori del marxismo scientifico e la banalità grandiloquente delle considerazioni che dedicano allo stesso tema i pontefici della scuola idealistico nostrana non mancherà di essere istruttivo. N. d. R.
K. MARX e F. ENGELs, Opere complete, Sezione 1 vol. 1°, parte 1 , pag. 608609.
1500 e il 17.89 Engels scriveva : c La Germania si viene sempre più spezzettando e il suo centro si indebolisce sempre di più. E questo mentre alla fine del secolo XV la Francia e l' Inghilterra erano già più
o meno centralizzate e vi si costituiva la nazione s i. Le classi che ebbero una funzione progressiva nella storia d' Inghilterra e di Francia non potevano, in una Germania decentrata ed economicamente arretrata, nè svilupparsi nè esercitare una seria influenza sulla marcia di tutta la vita sociale. Posta sotto la dipendenza economica della nobiltà feudale, la borghesia tedesca era politicamente debole. Essa non era in grado di opporre una qualsiasi resistenza seria al dominio dei grandi proprietari fondiari feudali:
Mentre in Inghilterra e in Francia, — diceva Engels, — il feudalismo o veniva completamente distrutto, o per lo meno ridotto, come nel primo di questi due paesi, ad alcune forme insignificanti da una borghesia potente e ricca, concentrata in grandi città
e specialmente nella capitale, la nobiltà feudale in Germania aveva conservato una grande parte dei suoi vecchi privilegi. Il sistema terriero feudale dominava quasi dappertutto s z
A questo spezzettamento degli interessi economici, all'assenza di grandi centri economici e alla debolezza politica della borghesia corrispose lo sbriciolamento dello Stato, l'esistenza di numerosi piccoli Stati e principati, che formavano un solo c impero solo in apparenza. E d'altra parte c da che parte avrebbe potuto venire., — domanda Marx, — la concentrazione politica in un paese in cui tutte le condizioni economiche di questa concentrazione facevano difetto ? s 8. Ma questo spezzettamento economico e politico del paese impedì lo sviluppo' dei movimenti di massa, dei movimenti sociali delle classi progressive.
Il carattere reazionario degli Stati tedeschi venne ancora accentuato dalla forma originale che rivestì in Germania l'assolutismo. Mentre in Inghilterra
e in Francia la monarchia assoluta aveva una funzione centralizzatrice, e contribuiva alla formazione di uno Stato nazionale unitario e al progresso borghese, l'assolutismo degenerava in Germania in puro despotismo. I principi tedeschi, governanti di Stati piccoli o nani, fecero una politica che rifletteva gli interessi di classi reazionarie. Estraneo ad ogni compito progressivo di interesse nazionale, l'assolutismo diventò una tirannide che soffocò ogni manifestazione di iniziativa e di attività delle masse, una tutela meschina e ringhiosa che incatenò le forze vive del popolo. Esso creò una burocrazia estesissima di funzionari, il cui potere sulla vita della nazione venne sempre più aumentando. Sorse così lo spirito burocratico specificamente tedesco, prono alla lettera della legge e ai voleri dei governanti reazionari.
Marx ha dato una definizione caratteristica di questo regime : c ... Con questa pidocchiosa sovra nità dei principati si è creata una speciale a sog' gezione p tedesca, che faceva tanto dei contadini quanto dei cittadini i c servi s del sovrano...; nei rapporti con 1' estero la Germania faceva intanto ben trista figura... s
Nato in queste condizioni, il primo movimento
F. ENGELS, Note diverse sulla Germania.
s F. ENGELS, Rivoluzione e controrivoluzione in Germania. 9 K. MARX e F. ENGELS, Opere complete, Vol. V, p. 176. K. Manx, Note cronologiche, terzo quaderno.
LA RINASCITA 11
nazionale del popolo tedesco, — la Riforma, — non dette gli stessi risultati che in Inghilterra, per esempio, o in Olanda. La parte principale appartenne in questo movimento ai cavalieri degli strati inferiori, malcontenti del potere della Chiesa e dei principi,
e ai contadini schiacciati dai carichi feudali. I contadini si sollevarono energicamente contro la feudalità, combattendo per la causa nazionale del popolo tedesco, per la creazione di una Germania unita
e libera. L' insurrezione contadina fu il c punto culminante di tutto questo movimento rivoluzionario (Engels). Ma mentre in Inghilterra la borghesia si era messa alla testa del movimento, in Germania la c borghesia non era nè abbastanza forte, nè abbastanza sviluppata per poter raccogliere sotto le sue bandiere gli altri ceti in rivolta: i plebei delle città, la piccola' nobiltà e i contadini nelle campagne > . Non appoggiando la lotta dei contadini, i borghesi tradiscono la causa nazionale. Essi c tervengono direttamente contro i contadini. In pari tempo la rivoluzione religiosa borghese viene castrata al punto da fare il giuoco dei principi, ai quali essa
conferisce la funzione dirigente Approfittando
dell'appoggio della borghesia, i principi schiacciarono l' insurrezione contadina con barbara crudeltà, sterminando i contadini in massa, devastando regioni intiere, gettando il paese nella più grande miseria e le masse popolari in una disperazione profonda. Così la prima grande battaglia rivoluzionaria del popolo tedesco, terminò con la disfatta di quest'ultimo. I principi ne trassero profitto per impadronirsi dei beni e delle terre più ricche del clero e i contadini furono assoggettati a un doppio giogo. La potenza delle classi reazionarie si accrebbe, mentre le forze rivoluzionarie popolari per un lungo periodo di tempo furono esauste.
La guerra dei trent' anni tra il potere centrale dell' Impero tedesco e i piccoli. principati ebbe per effetto di devastare ancor più il paese, di ridurre in cenere città e villaggi, saccheggiati dalle truppe mercenarie di cui erano composti gli eserciti dei belligeranti. c Si era formata, — scrive Engels, — una classe di persone che vivéva della guerra e per la guerra... L'Europa centrale venne inondata da ogni sorta di condottieri che si servivano dei conflitti religiosi e politici come di pretesto per saccheggiare e devastare tutto il paese 8.
Il brigantaggio, il saccheggio e la violenza furono per i lanzichenecchi tedeschi metodi ordinari di guerra, del tutto legali, costituenti una specie di retribuzione supplementare dei loro servizi, e i signori tedeschi li incoraggiavano a questi misfatti, vedendo in essi un mezzo di migliorare la loro situazione finanziaria. Il sistema finì per penetrare di sè il militarismo tedesco, il quale si è fatto nei secoli una triste faina per i mostruosi atti di barbarie di cui è stato l autore. L' odierno vandalismo degli eserciti hitleriani ha fatto rivivere i lineamenti più odiosi e repugnanti dei lanzi dell'età media, esagerandone ancora la crudeltà e le infamie.
La disfatta del popolo tedesco nella guerra dei contadini e la devastazione del paese nella guerra dei trent' anni tolsero per secoli ogni energia ri
K. MARX e F. ENGEis, Etudes philosophiques, p. 65. Paris 1935.
s F. ENGEIS. Note varie sulla Germania.
3 La nuova enciclopedia americana, Vol. IX, 1860 a Fan
teria >, pag. 5.18. voluzionaria al popolo tedesco. La guerra dei trent' anni c finì per cancellare per duecento anni la Germania dal novero delle nazioni politicamente attive d' Europa > . La borghesia tedesca, perduta la fiducia nelle sue forze, s impregnò di spirito filisteo. c In Germania, — scriveva Engels, — il filisteo è il frutto di una rivoluzione abortita, e di una evoluzione interrotta e rientrata. La guerra dei trent'anni e il periodo che le è seguito gli hanno dato il carattere che gli è proprio e particolarmente pronunziato di poltroneria, strettezza, impotenza, inettitudine a far prova del minimo spirito di iniziativa. anche in quei campi dove tutti gli altri popoli hanno conosciuto un rapido sviluppo. Egli ha conservato questo carattere anche più tardi, quando la Germania è di nuovo stata presa nella corrente dello sviluppo storico
Questo sopravvento della reazione in conseguenza della disfatta del popolo nel primo suo tentativo di assolvere una funzione nazionale determinò in gran parte il carattere dello sviluppo ulteriore della Germania. La Prussia, uno degli Stati tedeschi più reazionari, diventò uno dei principali appoggi di tutta la reazione tedesca, l'inesrnazione di essa, ed è nella sua itoria che devono essere cercati i motivi della preponderanza delle classi reazionarie in tutta la successiva storia tedesca.
La Prussia : Stato reazionario
La guerra dei trent'anni aveva reso ancora più deboli i legami che univano i numerosi piccoli principati tedeschi. < Ognuno di questi mille principi era un monarca assoluto; da questi farabutti grossolani e ignoranti non ci si poteva attendere nessuna azione comune, ma solo dei capricci a sazietà... Il più infame dei loro delitti, però, era il fatto stesso della loro esistenza s °. Questo stato di sfacelo e di caos fu oltre ogni dire favorevole alla elevazione del reame prussiano brandeburghese. I principi prussiani, — gli Hohenzollern, — invece di portare un elemento di unità e di ordine nel caos tedesco, lo sfruttarono e sfruttarono nel loro interesse l'impotenza degli altri Stati tedeschi. c Ormai,—scriveva Marx,—questo Stato che non fa parte della Germania, (perchè tale è la Prussia nelle mani degli Hohenzollern), serve agli Hohenzollern come punto di appoggio per le loro usurpazioni nella Germania stessa s `. La Prussia, originariamente regione non tedesca, era infatti stata il campo d'azione dei Cavalieri dell' Ordine teutonico, chè vi avevano condotto delle guerre di sterminio contro la popolazione indigena, tanto che c alla fine del secolo XIII questo paese fiorente non era più che un deserto; al posto dei villaggi e dei campi non vi erano più che foreste e paludi ; e quanto agli abitanti, in parte erano stati sterminati, in parti rapiti con la forza, in parte costretti a emigrare in Lituania... dove gli abitanti non erano stati sterminati, < erano stati resi schiavi, e. Col saccheggio e con la violenza la Prussia venne trasformata in una colonia militare tedesca, e i Cavalieri teutonici tenta
t K. MARX e F. ENGEIS, Etudes E. S. I., Paris, 1935.
= Lettera di F. Engels a Paul 7 F. ENoeia, Note varie sulfa < K. Maas, Polonia, Prussia e 6 K. MARX, Note cronologiche,
philosophiques, .peg. 113.
Ernst, 5 giugno 1890.
Germania.
Russia.
Quaderno primo.
12 LA RINASCITA
rono di estendere la loro espansione verso la Russia, fino a che, nel 1242, per opera di S. Alessandro Nievskii c questi mascalzoni vennero respinti al di della frontiera russa ) (Marx), e in seguito, nel secolo XV, . schiacciati dai popoli slavi e dai lituani a Grünwald.
In seguito a queste sconfitte storiche dell'Ordine teutonico la Prussia' diventò Stato vassallo della Polonia ; i principi del Brandeburgo prestarono giuramento di fedeltà ai re polacchi, preparando però in pari tempo il distacco della Prussia per annetterla ai domini degli Hohenzollern. c E, unicamente corrompendo dei polacchi traditori della loro patria, sfruttando i favori di re polacchi e in qualità di rassalli della repubblica polacca a cui avevano prestato giuramento di vassallaggio che i principi del Brandeburgo hanno potuto impadronirsi del ducato di Prussia. In questo modo è nato il feudo BrandeburgoPrussia ! ,.In uno scritto inedito intitolato : < 1 prussiani (le canafilie) , Marx smaschera e bolla il sistema di intrighi, di astuzie e di perfidie col quale gli Hohenzollern arrivarono ai loro fini. Nel 1648 il principe di Brandeburgo Federico Guglielmo sostenne Gian Casimiro per l' elezione al trono polacco ; in cambio la Prussia venne liberata da Gian Casimiro del legame di vassallaggio alla Polonia e passata al principe di Brandeburgo. Ciò non impedì a Federico Guglielmo di intendersi con la Svezia per la spartizione della Polonia. e Si sa, — scriveva Marx, — come il
grande elettore , (come se un ( elettore) potesse esser c grande a) ha tradito una prima volta la Polonia : alleato dapprima con la Polonia contro la Svezia, passa improvvisamente dalla parte della Sve
zia per meglio saccheggiare la Polonia... , Con
gli stessi metodi l'erede dell'elettore, Federico III, comprò il titolo di re di Prussia col sangue dei suoi soldati, che vendette all'Imperatore d'Austria per le sue guerre dinastiche. c La storia mondiale—scriveva Marx,—non ha mai prodotto nulla di così miserabile come la storia della Prussia. La lunga storia della Francia, circa il modo come i re di nome divennero re di fatto, abbonda pure di piccole battaglie, tradimenti e intrighi. Ma si trattava in questo caso della storia dell'origine di una nazione... In Prussia, niente di simile ) s.
La storia della Prussia non fu la storia della formazione di una nazione, perche questo paese, sorto come colonia militare, conservò questo carattere per tutto il corso del suo sviluppo. La nobiltà prus
siana, casta militare di c alta nascita obbligava i
suoi contadini a servir nell'esercito pur continuando a sfruttarli col sistema feudale, e non di altro si preoccupava che di far ricadere sui contadini stessi i fardelli fiscali e le spese della macchina militare. Lo Stato dava a questa casta un potere illimitato sui contadini, mentre l' accrescimento dell'esercito contribuiva a renderli sempre più forti. Fu questa casta che, per avere un esercito di soldati docili, senz'anima, ciechi esecutori di qualsiasi ordine, introdusse nell'esercito. reclutato tra le masse di straccioni prodotte dalle stesse guerre devastatrici, il sistema del bastone. Appoggiandosi su questo esercito e su questi ufficiali, e su uno Stato specifica
K. M.+Rx, Polonia, Prussia e Russia..
X Neue Rheinische Zeitung, n. 294. 10 maggio 1849.
3 K. MARX e F. ENGt:I[...]

[...]qualsiasi ordine, introdusse nell'esercito. reclutato tra le masse di straccioni prodotte dalle stesse guerre devastatrici, il sistema del bastone. Appoggiandosi su questo esercito e su questi ufficiali, e su uno Stato specifica
K. M.+Rx, Polonia, Prussia e Russia..
X Neue Rheinische Zeitung, n. 294. 10 maggio 1849.
3 K. MARX e F. ENGt:Is, Opere complete, parte 1. , vol. IV,
p. 487. mente militare, gli Hohenzollern furono in grado di attuare la loro politica di conquiste diretta principalmente contro la Germania stessa.
< Il piccolo margravio, — diceva Marx di Federico Guglielmo I,—che cercava di accrescere e consolidare il suo potere indipendentemente dalla Stato tedesco e contro di esso. non poteva agire come una dinastia alla testa di una nazione, allo stesso modo di un re di Francia o d'Inghilterra. Per arrivare ai suoi fini doveva aver ricorso a ogni sorta di astuzie, e anche quando gli interessi brandeburghesi coincidevano con gli interessi tedeschi, essi. erano sempre 'applicati da un punto di vista strettamente brandeburghese e 'non tedesco, con dei mezzi brandeburghesi e non tedeschi e, di conseguenza, in modo tale che, qualunque fossero i vantaggi locali, recava pregiudizio agli interessi veri, generali e permanenti della Germania x `. La stessa politica venne continuata da Federico II, per conquistare terr[...]

[...] d'Inghilterra. Per arrivare ai suoi fini doveva aver ricorso a ogni sorta di astuzie, e anche quando gli interessi brandeburghesi coincidevano con gli interessi tedeschi, essi. erano sempre 'applicati da un punto di vista strettamente brandeburghese e 'non tedesco, con dei mezzi brandeburghesi e non tedeschi e, di conseguenza, in modo tale che, qualunque fossero i vantaggi locali, recava pregiudizio agli interessi veri, generali e permanenti della Germania x `. La stessa politica venne continuata da Federico II, per conquistare territori tedeschi servendosi dell'appoggio di potenze straniere di cui si faceva lo strumento: c La lotta di Federico essendo diretta contro il potere tedesco e in pari tempo contro il capo titolare dell'Impero, egli fa appello a volta a volta con la stessa indifferenza prima ai francesi, poi ai russi, di cui si serve come di alleati > X.
La politica di perfidia verso i suoi alleati e ditradimento della Germania si manifestò particolarmente nella guerra di Federico II contro l'Austria e gli altri Stati tedeschi per la Slesia e nella guerra dei sette anni, in cui alla fine, battuto dai russi che arrivarono a occupare Berlino, egli fu salvato dal voltafaccia di Pietro III. c La storia mondiale,—dice Marx,—non conosce un altro re i cui scopi siano stati così meschini! Che cosa poteva essere di (grande > nei piani di un elettore di Brandeburgo, re per cortesia altrui, che agisce non a nome di una nazione, ma nell'interesse del suo patrimonio, che cerca .di arrotondare e ingrandire i suoi domini a carico dei territori della nazione... Trasformare il regno e mettersi alla sua testa era cosa molto al di sotto della sua ambizione 3. Tutta la politica interna di Federico 1I fu subordinata ai suoi scopi di conquista. Su. 16 milioni di talleri del suo bilancio, 13 erano spesi per l'esercito, i cui membri, secondo il giudizio di Scharnhorst, erano reclutati tra c i vagabondi, gli ubriaconi, i ladri, i fannulloni e, in generale, i criminali di tutta'la Germania i,, o tra contadini servi e cittadini poveri arrolati per forza, con delle vere cacce all' uomo. c Federico,—osservava Engels,—ha posto le basi di quel pedantismo e di quell'allenamento brutale che da allora ha sempre distinto i prussiani. Egli li ha così preparati alla vergogna senza pari di Jena e Auerstaedt 4.
La politica di perfidia, di violenza e di usurpazione propria di Federico II si manifestò particolarmente nei riguardi della Polonia. In alleanza con lo zarismo russo, Federico partecipò al saccheggio e alla spartizione di questi paesi. I junker prussiani si comportarono nei territori polacchi come solo lo potevano i precursori degli odierni banditi hitleriani. c Dopo aver occupato le province limi
K. MARX, I Prussiani (le canagliel.
r Ibid.
3 A id.
c La nuova enciclopedia americana, vol. IX, 1860 e Fan
tena , pag. 520.
trofé polacche pur mantenendo la pace con la repubblica,—scriveva Marx,—egli permise alla c sua gloriosa armata a dt applicare un sistema consistente nel fare la guerra con mezzi pacifici ,. Si abbandonò su larga scala al furto sistematico di cavalli, di denaro, di bestiame, di esseri umani, senza parlare degli eccessi dei mercenari prussiani
semiaffamati Dall'inizio del 1771, regioni in
tiere della Polonia prussiana vengono invase dai mercenari prussiani che si abbandonano ad atti incredibili di saccheggio, a crudeltà, azioni obbro briose e atroci di ogni genere. Queste canaglie affamate non si accontentano di saccheggiare di loro iniziativa o per ordine del governo. I villaggi sono in pari tempo tenuti a fornire secondo liste stabilite precedentemente, contingenti di donne, e queste vengono costrette a maritarsi con quegli odiosi soldati, con quelle vili canaglie di prussiani iz.
Nella prima spartizione della Polonia Federico II intervenne come alleato dello zarismo reazionario russo. c Nel tradimento commesso da Federico II contro la Germania e contro l'Europa in occasione della spartizione della Polonia, egli ha agito strettamente secondo la legge di sviluppo del suo dominio, .chiamato a far la parte di sciacallo trascinantesi dietro la Russia, ° Non soddisfatto della preda, Federico Guglielmo II, successore di Federico II, tramò un nuovo 'intrigo contro la Polonia, dando aiuto a Caterina II nella lotta contro questo paese
e ricevendone in cambio Thorn, Danzica e Posen. La germanizzazione di questi paesi si fece coi metodi tradizionali degli Hohenzollern. c La paterna benevolenza prussiana per i polacchi si manifestò prima di tutto con la confisca dei beni della corona e del clero... Avventurieri, favóriti delle amanti del re, creature di ministri, complici da tacitare vennero gratificati dei più ricchi e considerevoli domini del paese devastato. Così si impiantarono gli cinteressi tedeschi > e la c proprietà fondiaria tedesca predominante tra i polacchi . Infine, nel 1795, un nuovo pezzo di Polonia venne attribuito ai prussiani. c Così, scrive Marx, — lo Stato prussiano deve la sua esistenza alla decadenza della Polonia
e al tradimento di questo paese da parte degli Hohenzollern, che fino ad oggi nutrono contro di esso un odio inestinguibile di rinnegati » °..E nell'articolo c I prussiani (le canaglie) , aggiunge: (Le eccezionali bassezze della Prussia verso la Polonia derivano dal fatto che la Prussia è un servo' di ventato padrone, e non può cancellare il ricordo del sub vecchio, stato se non con la bassezza ,.
In pari tempo Marx sottolinea con forza che i veri interessi della Germania nei confronti della Polonia non possono in nessun modo essere identificati con gli interessi da predoni degli Hohenzollern. c La Germania non è la Prussia e la Prussia non è la Germania. Prussia è soltanto un appellativo diverso del dominio della casa di Hohenzol, lern sopra un amalgama di regioni tedesche e polacche, ed è facile comprendere che le condizioni sotto le quali la casa degli Hohenzollern mantiene soggetta una parte della Germania e della Polonia non sono per niente le condizioni di una Germania indipendente e potente , °.
1 Schizzo di articolo sulla Polonia (1863). ! K. MARI, I prussiani (le canaglie).
J Schizzo di articolo sulla Polonia (1863).
Neue Rheinische Zeitunt, n. 285, 29 aprile 1849. a Schizzo di articolo sulla Polonia (1863).
K. MARC, Polonia, Prussia e Russia.
Queste parole di Marx possono servire di epigrafe a tutta la storia della Prussia. L'avvento della Prussia non fu il processo di formazione di uno Stato nazionale, il processo di consolidamento di un popolo per risolvere i problemi della nazione; esso fu unicamente il processo di consolidamento della dinastia degli Hohenzollern ai danni del popolo tedesco e a prezzo di ogni sorta di meschinerie, bassezze e intrighi. c Piccole truffe, corruzione, subornazione diretta, corsa alle eredità,—scrive Marx,—è a queste cose abominevoli che si riduce la storia prussiana. Tutto ciò che vi è di inxeressante nella storia feudale,—conflitti tra sovrani e vassalli, mercanteggiamenti con le città, ecc ,—tutto ciò si presenta qui in forma grottesca e caricaturale, perchè le città sono delle più fastidiose, i feudali dei mi serabili mascalzoni, e il sovrano stesso una nullità... Oltre a ciò, nella lista dei governanti non si trovano che tre tipi caratteristici, i quali si succedono come la. notte al giorno, con delle irregolarità che riguardano 1' ordine di successione, ma non riguardano mai l'apparizione di un tipo nuovo: bigotto, caporale e buffone. Ciò che ha permesso allo Stato di mantenersi è stata la mediocrità, una contabilità molto esatta, nessun estremo, la puntualità..nell' applicazione dei regolamenti militari, una certa bassezza di carattere coltivata in casa e c gli statuti della chiesa >,. C'est dégoûtant .
Reazionario di sua natura, lo Stato prussiano.fu naturalmente una forza di_ repressione non solo in Germania, ma verso tutti i movimenti progressivi europei.
(Continua)
K MARX e F. ENGELS, Opere complete, parte 3", vol. II, p. 158.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Trevisani, Gramsci e il teatro italiano in Studi gramsciani

Brano: Giulio Trevisani
GRAMSCI E IL TEATRO ITALIANO.
L'attività del giovane Gramsci come critico teatrale comincia il 16 gennaio 1916 quando l'Avanti! inizia nell'edizione piemontese la pagina di cronaca di Torino, e finisce il 16 dicembre 1920, quindici giorni prima dell'apparizione dell'Ordine Nuovo quotidiano. Dal suo ventiseiesimo al suo trentesimo anno — l'intenso quinquennio della segreteria della sezione socialista, dell'Ordine Nuovo rivista e della latta per la fondazione del partito comunista — Gramsci riesce ad intercalare una costante attività giornalistica, alternando ai caustici commenti della rubrica « Sotto la mole » la critica teatrale. Gobetti, che si compiacque di posizioni paradossali contro la critica teatrale, scrisse: « Si può compiere con utilità anche l'esperienza di critico teatrale; ma se la si smette presto » : e Gramsci, infatti, sotto il peso, d'altronde, di ben piú gravi responsabilità, sembra aver dato ragione a Gobetti, lasciando la rubrica dell'Ordine Nuovo, ed affidandola a lui. Il contributo, comunque, che Gra[...]



da Tibor Mende, L'Asia Sud-Orientale tra due mondi in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: L'ASIA SUDORIENTALE TRA DUE MONDI
Per « SudEst asiatico » s'intendono generalmente la penisola indocinese e l'Indonesia; ma io vorrei estendere un poco la portata del termine e includervi anche la penisola indiana, in modo da comprendere sotto di esso : il Pakistan, l'India, Ceylon, la Birmania, il Siam, la Malesia, l'Indocina e l'Indonesia. Mi sembra che giustifichino questa estensione : da una parte la diminuzione delle distanze nel nostro mondo moderno; e dall'altra il ruolo importante che ha l'India in tutta quella zona. Quest'Asia del SudEst, dunque, comprende praticamente l'insieme dei paesi asiatici non comunisti, ad eccezione del Giappone, delle Filippine e del MedioOriente.
La storia stessa, del resto, giustifica questa definizione. Tutti questi paesi, che si estendono dal passo di Khaibar a Bali, hanno molti tratti in comune. Innanzi tutto, il fatto che la maggior parte di essi sono stati recentemente liberati dalla tutela straniera. La scomparsa degli imperi coloniali inglese, francese e olandese é avvenuta nel corso degli ultimi dieci anni, che hanno visto tornare alla libertà 600 milioni di uomini, cioè un quarto , della specie umana.
Ma questo cambiamento intervenuto recentemente e quasi simultaneamente nello stato politico dei suddetti 600 milioni di esseri umani, non costituisce il solo denominatore comune che possa esser loro applicato. Certe analogie hanno una storia antica di tre millenni : nel corso di queste decine di secoli, i diversi paesi del SudEst asiatico hanno avuto delle esperienze analoghe, dalle invasioni arie all'arrivo della civiltà tecnica dell'Occidente, passando per le influenze di Budda, di Laotze e di Confucio, per l'insegnamento di Maometto, per le conquiste di Alessandro Magno e l'impero dei Mongoli. Ciascuno di questi avvenimenti ha portato dei mutamenti e lasciato delle tracce più o meno profonde, modellando l'eredità
36 TIBOR MENDE
intellettuale e morale di tutta questa immensa regione. Le maggiori influenze furono esercitate dall'India e dalla Cina : sono l'ombra monumentale dell'India e la fantastica vitalità della Cina che hanno lasciato le tracce più profonde nell'evoluzione dei popoli del SudEst asiatico.
Fu il Buddismo, più di ogni altra cosa, a ravvicinare l'India
e la Cina. Dal tempo dei missionari di Açoka, gli scambi di pellegrini e di eruditi non hanno più cessato tra i due paesi. Durante il viaggio, questi pellegrini accostavano alle rive d'Indocina, di Sumatra e di Giavà : diffondendo da una parte il Buddismo, la cultura dell'India e la sua potenza; e dall'altra la scienza e il commercio della Cina.
Per secoli l'Asia del SudEst fu zona d'incrocio di idee e di dottrine religiose. Sorsero civiltà miste indocinesi. Nell'interno del continente — come per esempio in Birmania, nel Siam o nel Tonkino — l'influenza predominante fu quella cinese. Lungo le coste
e nelle isole, per contro, la supremazia spetto all'India. Ma le due civiltà impiegarono nella loro lotta amni affatto pacifiche, mettendo in concorrenza i loro sapienti, i loro mercanti, i loro missionari,
e tutta una gamma di " agenti diversi, che servivano a diffondere le loro idee.
Oggi, dopo alcuni secoli di supremazia occidentale, noi vediamo riaffermarsi le tendenze d'un tempo : India e Cina riprendono il loro posto come fonti delle idee e delle ideologie destinate a modellare la vita dei popoli del SudEst asiatico.
Ma questa rivalità che fu, per secoli, del tutto pacifica, comincia ora ad assumere delle forme assai differenti : si tratta, ora, d'una lotta politica tra potenze che si propongono lo stesso scopo : riempire il vuoto lasciato dal ritiro dell'autorità e dell'amministrazione occidentali.
Dinnanzi a questo nuovo stato di cose, came si presenta la situazione dei popoli della zona?
Esaminiamo in primo luogo l'aspetto materiale della questione. Quando Marco Polo arrivb in Asia, vi trovò un grado di civiltà e di prosperità che poteva paragonarsi solo con lo splendore
L'ASIA SUDORIENTALE TRA DUE MONDI 37
delle città italiane. Ma poco tempo dopo, con la rivoluzione industriale e lo stimolo costituito dagli scambi transatlantici, l'Occidente si mise a progredire con una rapidità vertiginosa. L'Asia, invece, restò stazionaria : non essa divenne più povera, ma l'Occidente divenne infinitamente più ricco.
Oggi, la situazione materiale di quei popoli è ancora molto al disotto della nostra. Il reddito per abitante, che è di 1500 dollari negli Stati Uniti e di 6001000 dollari nell'Europa occidentale, è da venti a trenta volte minore nell'Asia del SudEst, dove non supera i 50100 dollari. Ne risultano un'alimentazione deficiente, malattie, mancanza di attrezzatura industriale; per ogni due morti, uno è un bambino minore di dieci anni; nella sua immensa maggioranza, la popolazione resta analfabeta. Di conseguenza, la produttività é scarsa. È un circolo vizioso, fatto d'una povertà e d'uno stato di degradazione la cui tragicità non può esser compresa da chi non li ha visti con i propri occhi, sebbene gli elementi di questa miseria siano stati ben tradotti in cifre, analizzati e presentati in tavole statistiche.
Ma durante quello stesso periodo in cui la situazione dell'Asia, per tanti rispetti, subiva un ristagno forzato, le potenze coloniali riunivano sotto imperi immensi dei popoli e delle razze che non erano mai state sottoposte a un governo unico; e trasformavano la struttura economica dei paesi da esse governati in vista dei propri interessi industriali. In questi paesi esse hanno introdotto certe innovazioni comode, come strade, ferrovie, nuovi metodi d'agricoltura; ed hanno dato ai paesi stessi una struttura e un'amministrazione nuove, una nuova concezione della giustizia, e dei metodi occidentali d'organizzazione. Esse hanno inoltre creato una nuova classe sociale, poco numerosa, fatta di gente educata all'occidentale e che ha cercato, naturalmente, di applicare metodi occidentali alla soluzione dei problemi dei propri paesi
Come stanno le cose al giorno d'oggi?
In modo quasi generale, i complessi amministrativi creati dagli occidentali tendono a frazionarsi. L'India, unita per la prima volta dagli Inglesi, é già scissa in due parti; altre scissioni potran
1
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no prodursi nei prossimi anni. In Birmania, le minoranze annesse all'exregno birmano sotto l'impero britannico non hanno ancora accettato lo stesso genere d'associazione sotto l'egida d'un governo birmano. Certe isole indonesiane sembrano poco disposte a continuare a dar prova, nei confronti di Giava, di quel lealismo che gli Olandesi avevano loro imposto. Gli stessi sintomi si osservano in Indocina, come pure nel Siam e in Malesia.
D'altra parte, lentamente e penosamente, ci si comincia a render conto che la macchina economica installata dalle potenze occidentali, anche nei casi in cui aveva per scopo di servire gli interessi dei paesi colonizzati, non poteva funzionare in modo soddisfacente senza l'esistenza d'un personale qualificato, d'una amministrazione competente, e, soprattutto, dei necessari capitali di gestione.
Nei paesi che per liberarsi hanno dovuto ricorrere alla forza, la produzione non ha ancora raggiunto il livello di prima della guerra; ciò deriva dalle distruzioni, ma anche dalla disorganizzazione risultante dalla penuria di personale e di capitali. In Indonesia, dopo quattro anni di guerra contro l'Olanda, e dopo tre anni di indipendenza, il reddito medio é ancora di poco più del 60% di quello di prima della guerra. In Birmania, dove le distruzioni dovute alla guerra sia intestina che esterna furono assai maggiori, si é al di sotto del 70%. Ma negli stessi paesi che hanno raggiunto l'indipendenza mediante negoziati, la produzione non è affatto superiore a quella del 1939. stesso dove si potrebbe constatare un leggero miglioramento — come per esempio in India — questo miglioramento é stato integralmente neutralizzato dall'accre
scimento della popolazione. _
Nel campo ideologico, ci si scontra con delle difficoltà analoghe. S'è riconosciuto che una pura e semplice imitazione dei metodi occidentali non poteva dare risultati soddisfacenti. L'influenza delle minoranze educate all'occidentale é in relativo ribasso. Le condizioni materiali dell'esistenza nei paesi più ricchi stanno venendo conosciute sempre meglio, e ne risulta uno scontento che tende a favorire le soluzioni radicali per il miglioramento del livello di vita sociale. È qui l'origine del nazionalismo asiatico, che
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non ha niente a che vedere con le nostre forme di nazionalismo occidentali, e che è innanzitutto espressione dell'impazienza provocata in milioni di esseri umani dalla coscienza dell'inferiorità della propria condizione. Il nazionalismo, in questi paesi, diventa dunque il motivo[...]

[...]i dell'esistenza nei paesi più ricchi stanno venendo conosciute sempre meglio, e ne risulta uno scontento che tende a favorire le soluzioni radicali per il miglioramento del livello di vita sociale. È qui l'origine del nazionalismo asiatico, che
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non ha niente a che vedere con le nostre forme di nazionalismo occidentali, e che è innanzitutto espressione dell'impazienza provocata in milioni di esseri umani dalla coscienza dell'inferiorità della propria condizione. Il nazionalismo, in questi paesi, diventa dunque il motivo fondamentale delle rivendicazioni d'uguaglianza con il resto del mondo; é una passione dominante, che condiziona tutto il clima politico e ideologico del SudEst asiatico d'oggi. In altre parole, possiamo dire che nel SudEst asiatico domina oggi una atmosfera di disinganno : conseguenza abituale delle speranze eccessive. Ci si è resi conto che l'indipendenza politica, da sola, non mette fine alla servitù economica, e da questo riconoscimento é derivato appunto ciò che noi, in Occidente, generalmente chiamiamo « il r[...]

[...]ria condizione. Il nazionalismo, in questi paesi, diventa dunque il motivo fondamentale delle rivendicazioni d'uguaglianza con il resto del mondo; é una passione dominante, che condiziona tutto il clima politico e ideologico del SudEst asiatico d'oggi. In altre parole, possiamo dire che nel SudEst asiatico domina oggi una atmosfera di disinganno : conseguenza abituale delle speranze eccessive. Ci si è resi conto che l'indipendenza politica, da sola, non mette fine alla servitù economica, e da questo riconoscimento é derivato appunto ciò che noi, in Occidente, generalmente chiamiamo « il rapido insorgere del nazionalismo asiatico ».
Abbiamo così assistito al formarsi di movimenti politici i cui scopi non differivano molto da quelli delle rivoluzioni europee dei secoli XVIII e XIX: riforme agrarie, migliori possibilità di istruirsi, una giustizia e un'amministrazione migliori, e la liquidazione dei privilegi economici. Ma le forze appoggiate dall'Occidente si sono opposte a queste domande relativamente modeste, ed é per questo che gli asiatici son venuti convincendosi, in numero sempre maggiore, dell'impossibilità di realizzare i propri ideali « progressisti » per vie diverse da quelle del comunismo. Come la borghesia di tanta parte d'Europa s'aspettava che Napoleone, il conquistatore, l'avrebbe liberata dal feudalesimo, così, in Asia, decine di milioni di persone attendono dall'imperialismo sovietico la stessa liberazione : una liberazione da forme sociali e inadeguate.
Abbastanza significativamente, una gran parte di questa volontà di liberazione é diretta verso l'ideale dell'industrializzazione; ed é sotto questo particolare riguardo che i risultati conseguiti nell'URSS — e più recentemente in Cina — hanno esercitato una considerevole influenza.
S'ammette generalmente, in Occidente, che un certo grado di industrializzazione nell'Asia sudorientale è inevitabile; si comprende che questa zona, nel suo insieme, non ha abbastanza terra coltivabile per sostentare una popolazione in rapido aumento, e che
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la terra stessa occupa già una mano d'opera di gran lunga superiore a quella che sarebbe sufficiente per una produzione massima. Si concede, dunque, che una certa parte della popolazione debba essere assorbita dall'industria. Ma ci si immagina spesso che possa trattarsi d'una operazione limitata : che qualche fabbrica di tessili, qualche industria di beni di consumo, possano risolvere la situazione, e che la società dell'Asia sudorientale, nel suo insieme, possa conservare la sua fisionomia attuale, senza mutamenti radicali e senza una industrializzazione condotta realmente su larga scala.
Queste idee si fondano su due specie assai differenti di principi. Da una parte, esse sono sostenute da gente cui non piacerebbe affatto che 600 milioni di persone divenissero realmente indipendenti dalla tutela economica dell'Occidente; da gente che ammette la necessità d'un certo progresso industriale per rendere meno esplosivi gli accumulantisi problemi sociali, ma che non vedrebbe affatto di buon occhio un quarto dell'umanità entrare in possesso degli strumenti che potrebbero renderla eguale ai suoi expadroni. D'altra parte, le stesse idee sono sostenute da un certo numero di sinceri idealisti, i quali affermano non essere affatto certo che i popoli dell'Asia sudorientale desiderino imitare il nostro esempio; i quali temono che le fabbriche possano distruggere le tradizioni culturali dei popoli stessi; e che, deplorando gli errori commessi dalla società industrializzata, vorrebbero, per così dire, a risparmiare » agli asiatici del SudEst la penosa esperienza di diventare dei semplici ingranaggi d'una società tecnologica.
E tuttavia inevitabile che queste forme idilliache di società rurali asiatiche siano alla lunga condannate a sparire.
I tentacoli della civiltà occidentale sono già penetrati in profondità nei residui dei modi di vita tradizionali.
La maggior parte di quei popoli, costretti a rivolgere contro di noi i nostri stessi metodi per raggiungere la loro indipendenza, hanno in ciò stesso potuto avere un primo assaggio d'un desiderato futuro. Lo sviluppo delle comunicazioni, la progressiva abolizione delle distanze e la propaganda politica sono altrettanti passi coim
AEI
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piuti su questa strada. Inoltre, l'impresa commerciale dell'Occidente ha creato nuove abitudini di consumo, assai sproporzionate allo sviluppo economico delle odierne società asiatiche sudorientali.
Conseguenza di tutto questo è che i popoli di quella zona hanno appreso che in altre zone del mondo le popolazioni godono di un tenore di vita differente dal loro; hanno in tal modo sviluppato gusti nuovi e un concetto nuovo del valore della dignità umana; si sono creati nuove abitudini di consumo, assai prima di aver potuto raggiungere un proporzionale aumento del numero delle loro macchine e fabbriche.
Dagli intellettuali delle università al più semplice contadino, quei popoli sono così giunti a comprendere che per por fine alla loro servitù economica hanno bisogno di una migliore attrezzatura tecnologica. E questo desiderio di liquidare ogni traccia di tale servitù va rapidamente divenendo il tema centrale del loro risveglio politico e razziale.
Chiusi nei limiti della nostra terminologia, noi diamo a questo risveglio l'etichetta di « nazionalismo », perché é l'unica esperienza nostra che ad esso si possa paragonare. Ma il nazionalismo occidentale storicamente si associa con l'emergere di una classe sociale che ha bisogno di un quadro d'ampiezza nazionale per l'adempimento delle sue ambizioni economiche e culturali. Nei paesi dell'Asia sudorientale questa classe, la borghesia, o non esiste o è numericamente irrilevante. La funzione di portatrice dell'idea nazionalistica è qui esercitata dalla comunità nel suo insieme; e suo obbiettivo non è la mera espressione economica o culturale di una minoranza d'élite, ma la liberazione dalla servitù economica dopo il conseguimento dell'indipendenza politica. Il richiamo nazionalistico, nell'Asia sudorientale came in tutta l'Asia, non consiste essenzialmente, come in Occidente, nella preservazione del proprio paese da un controllo esterno. È l'espressione assai più composita del desiderio di ricostruire dalle fondamenta il proprio paese, di forgiare in modo affatto nuovo la propria società in modo da elevarla all'ugualianza con gli altri paesi del mondo.
Il nazionalismo asiatico dei nostri giorni si compone non sol
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tanto di amore per il proprio paese, ma anche di fiducia nelle sue potenzialità, di fede nella sua possibilità futura di raggiungere l'uguaglianza, e di determinazione a compiere i cambiamenti sociali necessari per raggiungere questi fini.
Radice comune a queste varietà asiatiche di « nazionalismo » contemporaneo, é il risentimento. Risentimento per l'incapacità economica; risentimento per il controllo straniero; risentiimento per la superiorità politica, culturale e razziale dell'Occidente. Queste componenti si combinano in proporzioni diverse a seconda delle circostanze locali. Dove esiste una classe media di una certa importanza — come in India, nel Siam, in Indocina o a Singapore — il risentimento acquista un carattere prevalentemente economico o culturale; ma laddove la classe media è pressoché inesistente, come in Birmania o in Indonesia, il risentimento appare nella sua forma più genuina e potente. In questi casi, non ancora incanalato in una direzione specifica, esso emerge sotto forma di un'ampia passione popolare, e : o sbocca nella rivoluzione, come in Birmania; o come in Indonesia, si dissolve in una inarticolata xenofobia.
Per noi occidentali, é difficile, fors'anche impossibile, analizzare a fondo i motivi di questo risentimento e comprenderne la funzione formativa di quel che chiamiamo nazionalismo asiatico. I nostri libri di storia ed anche i nostri atteggiamenti istintivi tendono a una scelta di fatti atta a dare una visione erronea, ma per noi lusinghiera, del periodo di dominio occidentale in Asia. Noi amiamo rappresentarci i generosi istituti che hanno aiutato le società coloniali; loro, ricordano gli incidenti marginali che umiliarono e esasperarono gli individui. È certo difficile per noi valutare giustamente l'importanza della passione anticolonialistica. Nessuno ci ha mai chiamati « indigeni » ; non è mai arrivato nessuno da[...]

[...]nalismo asiatico. I nostri libri di storia ed anche i nostri atteggiamenti istintivi tendono a una scelta di fatti atta a dare una visione erronea, ma per noi lusinghiera, del periodo di dominio occidentale in Asia. Noi amiamo rappresentarci i generosi istituti che hanno aiutato le società coloniali; loro, ricordano gli incidenti marginali che umiliarono e esasperarono gli individui. È certo difficile per noi valutare giustamente l'importanza della passione anticolonialistica. Nessuno ci ha mai chiamati « indigeni » ; non è mai arrivato nessuno dai confini estremi dell'Asia a metter cartelli all'ingresso dei nostri parchi con scritto « Vietato l'ingresso ai cani e agli europei »; nessuna razza straniera ha mai calpestato in nostri corpi moribondi di inedia, per raggiungere allegri locali di divertimento, né siamo stati mai costretti a vivere per secoli nell'umiliante consapevolezza che il nostro luogo di nascita ci condannava al ruolo di uomini di seconda classe.
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Ovviamente, anche colla maggiore bu[...]

[...] ; non è mai arrivato nessuno dai confini estremi dell'Asia a metter cartelli all'ingresso dei nostri parchi con scritto « Vietato l'ingresso ai cani e agli europei »; nessuna razza straniera ha mai calpestato in nostri corpi moribondi di inedia, per raggiungere allegri locali di divertimento, né siamo stati mai costretti a vivere per secoli nell'umiliante consapevolezza che il nostro luogo di nascita ci condannava al ruolo di uomini di seconda classe.
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Ovviamente, anche colla maggiore buona volontà, le nostre esperienze possono darci ben piccolo fondamento per una comprensione dei sentimenti che hanno l'influenza così decisiva sul pensiero e le azioni dei popoli dell'Asia sudorientale contemporanea.
Eppure, anche se non potremo sperar mai di comprendere appieno il potere dinamico di queste passioni, possiamo comprenderne l'importanza alla luce dei cambiamenti che esse hanno provocato nel mondo durante l'ultimo quarto di secolo. Potremo così convincerci della futilità di parlare di uguaglianza e di amicizia tra Oriente e Occidente, quando il primo si trova in una così vistosa condizione di ineguaglianza e ne risente le conseguenze in ogni aspetto della sua vita quotidiana. Potremo pure cdmpredere come sia per noi impossibile convincere quei popoli della sincerità del nostro aiuto, quando al tempo stesso, in realtà, non facciamo nulla per por termine alla loro arretratezza industriale e alla scarsissima remunerazione della loro forza di lavoro, su cui in passato si sosteneva il dominio coloniale dell'Occidente. E con un poco di logica possiamo infine renderci conto che fino a quando queste lezioni non saranno state apprese, e fino a quando non si sarà agito in conseguenza, il «nazionalismo» asiatico, questo appassionato risentimento per il dominio europeo, non farà che espandersi ed aumentare di intensità e di violenza.
Per quanto sinceri possano essere i nostri realisti, che vogliono risparmiare ai popoli asiatici economicamente retrogradi l'orrore della nostra civiltà tecnologica, la loro sollecitudine rimarrà senz'effetto. [...]

[...] con un poco di logica possiamo infine renderci conto che fino a quando queste lezioni non saranno state apprese, e fino a quando non si sarà agito in conseguenza, il «nazionalismo» asiatico, questo appassionato risentimento per il dominio europeo, non farà che espandersi ed aumentare di intensità e di violenza.
Per quanto sinceri possano essere i nostri realisti, che vogliono risparmiare ai popoli asiatici economicamente retrogradi l'orrore della nostra civiltà tecnologica, la loro sollecitudine rimarrà senz'effetto. Il significato della rivoluzione asiatica contemporanea é che centinaia di milioni di persone che sono state umiliate con la forza fisica, ma ben di rado si sono convinte della superiorità occidentale in altri campi che in quello materiale, ora vogliono essere nostre eguali. Esse vogliono por termine alla loro dipendenza ed è del tutto inverosimile che siano disposte a privarsi delle armi più efficaci di cui dispongono per raggiungere tale scopo. Hanno tempo a sufficienza per capire che il raggiungimento dell'ugualianza con l'Occidente non sarà mai il frutto dei nostri timidi e non sempre altruistici a programmi d'aiuto ».
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Ovviamente, quest'atmosfera di risentimento e di ostilità appena mascherata è una base pericolosa quando si tratta di prendere decisioni importanti. Due ideologie rivali si affrontano nel SudEst asiatico con uno zelo ed un'insistenza maggiore che in alcun'al[...]

[...]icienza per capire che il raggiungimento dell'ugualianza con l'Occidente non sarà mai il frutto dei nostri timidi e non sempre altruistici a programmi d'aiuto ».
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Ovviamente, quest'atmosfera di risentimento e di ostilità appena mascherata è una base pericolosa quando si tratta di prendere decisioni importanti. Due ideologie rivali si affrontano nel SudEst asiatico con uno zelo ed un'insistenza maggiore che in alcun'altra epoca della storia, e le conseguenze della propaganda fatta dai loro missionari non presentano più, per i popoli degli altri continenti, un'importanza puramente accademica come mille o duemila anni or sono. Fatta eccezione per quei siti cosí ben protetti dalla natura che né il carro amato né la carovana possono penetrarvi, la storia non tollera il vuoto. Quando una autorità centrale forte sparisce, v'è luogo per un nuovo potere. Il ritiro delle potenze occidentali ha posto a circa seicento milioni d'uomini questo problema dell'autorità e dell'esperienza di governo. Vedemmo il medesimo problema porsi quando l'impero spagnolo, l'impero degli Asburgo o l'impero ottomano cedettero il loro posto : il vuoto da essi lasciato fu immediatamente colmato da un nuovo stato indigeno o da un'altra potenza straniera. Del pari, nell'Asia sudorientale d'oggi, l'autorità scomparsa con gli occidentali sarà sostituita o dagli indigeni stessi, o da qualche potenza straniera.
Ma è difficile immaginare che l'occidente possa riprendere il suo antico ruolo in questa zona : l'Asia sudorientale si trova dunque praticamente di fronte a un dilemma preciso : o i suoi seicento milioni d'abitante giungeranno rapidamente ad assimilarsi le tecniche d'un governo forte, efficace e giusto, o non vi giungeranno, e in questo caso il malc[...]

[...]ato indigeno o da un'altra potenza straniera. Del pari, nell'Asia sudorientale d'oggi, l'autorità scomparsa con gli occidentali sarà sostituita o dagli indigeni stessi, o da qualche potenza straniera.
Ma è difficile immaginare che l'occidente possa riprendere il suo antico ruolo in questa zona : l'Asia sudorientale si trova dunque praticamente di fronte a un dilemma preciso : o i suoi seicento milioni d'abitante giungeranno rapidamente ad assimilarsi le tecniche d'un governo forte, efficace e giusto, o non vi giungeranno, e in questo caso il malcontento e i dissensi che ne risulteranno faciliteranno la presa del potere da parte di nuove forze che, questa volta, non saranno occidentali.
Sta qui, in sostanza, il problema dell'Asia sudorientale. Per parlare più semplicemente e rientrare nel quadro politico di questa nostra epoca a metà del secolo, diremo che si tratta di sapere se le forze opponentisi a ciò che noi chiamiamo l'occidente riusciranno o non riusciranno ad annettersi un quarto della popolazione del globo. L'importanza di questo problema é abbastanza evidente perché sia necessario alcun commento. Non sono dieci anni che i paesi del SudEst asiatico hanno riconquistato la loro
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indipendenza, ed é tuttavia già lunga la storia dei tentativi fatti dalle potenze occidentali per influenzare i paesi stessi nella scelta che ad essi si impone.
Nel clima psicologico che ha seguito l'epoca coloniale, ogni sforzo dell'Occidente per riannettersi indirettamente, sul piano politico o su quello militare, i paesi appena liberati, era destinato in partenza a riuscire improduttivo. Così l'attività dell'Occidente s'è quasi esclusivamente limitata al campo economico. Ma è proprio in questo che i popoli in questione hanno subito, fin dal principio, i disinganni +maggiori : l'Occidente ha dunque cercato, per la sola strada che gli era aperta, di agire su tutti i fattori capaci di rafforzare la resistenza dei nuovi [...]

[...]psicologico che ha seguito l'epoca coloniale, ogni sforzo dell'Occidente per riannettersi indirettamente, sul piano politico o su quello militare, i paesi appena liberati, era destinato in partenza a riuscire improduttivo. Così l'attività dell'Occidente s'è quasi esclusivamente limitata al campo economico. Ma è proprio in questo che i popoli in questione hanno subito, fin dal principio, i disinganni +maggiori : l'Occidente ha dunque cercato, per la sola strada che gli era aperta, di agire su tutti i fattori capaci di rafforzare la resistenza dei nuovi stati della zona, ricorrendo successivamente a diverse misure di assistenza ispirate ora agli interessi particolari delle antiche nazioni colonizzatrici, ora ad una visione d'insieme degli interessi della comunità occidentale. Al principio, c'erano quei legami economici e finanziari normali che legavano i popoli a coloro che li avevano governati. Poi vennero progetti più ambiziosi, interessanti la zona nel suo insieme : il Punto Quarto, il Piano di Colombo, i vari programmi di Assistenza Tecnica. All'origine di questi vari progetti — come in ogni impresa politica — pub ritrovarsi tutta una serie di fattori contraddittorii : motivi puramente egoistici, ma anche considerazioni dettate dall'interesse generale, e persino vedute umanitarie.
Dopo alcuni ann; d'esperienza su questa strada, é già possibile trarre certe conclusioni : 1) dal punto di vista quantitativo i risultati deludono; 2) l'assistenza offerta non ha molto contribuito ad aumentare i sentimenti prooccidentali dei beneficiari[...]

[...] pub ritrovarsi tutta una serie di fattori contraddittorii : motivi puramente egoistici, ma anche considerazioni dettate dall'interesse generale, e persino vedute umanitarie.
Dopo alcuni ann; d'esperienza su questa strada, é già possibile trarre certe conclusioni : 1) dal punto di vista quantitativo i risultati deludono; 2) l'assistenza offerta non ha molto contribuito ad aumentare i sentimenti prooccidentali dei beneficiari; 3) non e certo che la strada seguita non abbia provocato più irritazione che risultati positivi capaci di sigillare un'amicizia tra Oriente ed Occidente.
Se si paragona l'importanza delle somme consacrate a ,questi programmi di assistenza con i risultati mediocri, se non negativi, che sono stati ottenuti, viene da domandarsi come possa accadere che a tanta buona volontà corrisponda un così magro successo.
Spero che mi si perdonerà se, per porre il problema, non ho
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ricorso che a generalizzazioni. Non ho potuto evitare di schematizzare in modo eccessivo. Ma ora che il problema è posto, bisognerà esaminarlo più in dettaglio, tanto più che — non esito a ripeterlo — si tratta d'un quarto de[...]

[...]zzazioni. Non ho potuto evitare di schematizzare in modo eccessivo. Ma ora che il problema è posto, bisognerà esaminarlo più in dettaglio, tanto più che — non esito a ripeterlo — si tratta d'un quarto dell'umanità, e di sapere con chi questa enorme massa impegnerà il suo avvenire. Si tratta di comprendere che se, abbordando il problema nel nostro modo occidentale, ci siamo avviati su un binario morto, il rischio che corriatno è di ritrovarci isolati.
Troppo spesso, nelle esperienze tentate finora in questo campo, s'é voluto credere che il capitale e le sue capacità di riproduzione siano trasportabili e trapiantabi'li, come un grammofono portatile con i suoi dischi. Con un ottimismo degno del XIX secolo, abbiamo stabilito a priori che un dato capitale investito in un qualsiasi paese aumenterà la capacità di produzione del paese stesso. Questa concezione d'un rapporto automatico di causa a effetto permette di asserire che iniettando, in danaro o in natura, una dose d'assistenza straniera in certi punti nevralgici, dei risultati meravigliosi non si faranno attendere. Ma la realtà è che la fabbrica di prodotti tessili, la strada asfaltata, la scuola ecc., sono imprese reciprocamente solidali, e può benissimo accadere che l'assenza di una di esse riduca il potenziale positivo di ciascuna delle altre. È cosí che l'assistenza straniera, quando si applica a paesi in cui questa rete delicata di fattori interdipendenti non é ancora tessuta, può portare ad amare disillusioni. Inoltre, quand'anche il potenziale di produzione fosse in aumento, non ne risulterebbe necessariamente un parallelo miglioramento del tenore di vita. Lo sviluppo economico esige in partenza certe condizioni sociali e politiche. La creazione di un nuovo gruppo di fabbriche [...]

[...] il potenziale positivo di ciascuna delle altre. È cosí che l'assistenza straniera, quando si applica a paesi in cui questa rete delicata di fattori interdipendenti non é ancora tessuta, può portare ad amare disillusioni. Inoltre, quand'anche il potenziale di produzione fosse in aumento, non ne risulterebbe necessariamente un parallelo miglioramento del tenore di vita. Lo sviluppo economico esige in partenza certe condizioni sociali e politiche. La creazione di un nuovo gruppo di fabbriche non comporta necessariamente una più giusta ripartizione del reddito nazionale. Sarebbe troppo facile illustrare questa affermazione con degli esempi, perché il medesimo fenomeno s'é verificato nella maggioranza dei paesi economicamente arretrati in cui l'assistenza straniera ha tentato di agire. Portiamo, tuttavia, almeno un esempio. Milioni di dollari sono stati investiti nel Brasile. Grattacieli, fabbriche, città immense sono state edificate. Ma il Brasile resta
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forse il solo paese del mondo in cui il consumo di candele sia in aumento, ciò che prova incontestabilmente lo stato di ristagno economico delle campagne. Dietro i grattacieli scintillanti di Rio o di San Paolo si estendono regioni immense abitate da una popolazione miserabile e arretrata, che non ha il potere d'acquisto necessario per procurarsi i prodotti fabbricati nelle grandi città.
Un altro esempio, per dimostrare la necessità di certe condizioni politiche e sociali alla base dello sviluppo economico : esaminiamo un paese come la Birmania. In cento anni di amministrazione britannica, il reddito nazionale si è moltiplicato per dodici o per quattordici. Ma le statistiche provano che il reddito annuale medio della popolazione non è aumentato che in modo insignificante; ed anzi, nel corso della grande crisi economica successiva al 1930, esso subì perfino un brusco ribasso. Come si spiega questo fenomeno? 'Mi si permetta di ricorrere a una metafora. Nel corso di viaggi compiuti intorno al mondo, ho notato che gli uomini amano circondarsi di ricordi dell'epoca più felice della loro vita. Lo stesso accade per le nazioni. In Inghilterra, per esempio, stupisce constatare quanta gente ami vivere in case, con mobili, in un'atmosfera, che le ricorda l'epoca vittoriana : fu lo zenit della potenza britannica, e costoro amano ricordarne la gloria.
In Francia gode dello stesso prestigio, e per ragioni analoghe, l'arredamento Impero o della monarchia al suo apogeo. A Berlino, le più belle case ricordavano l'interno d'una di quelle corazzate che fecero credere al Kaiser di poter conquistare il mondo. In India, i nuovi ricchi costruiscono le loro ville nello stile dei Mogol. Penso che queste osservazioni possano applicarsi a civiltà intere.
Se a noi occidentali è riuscito di tanto progredire rispettó al resto del mondo, ciò è dovuto ad un concorso di circostanze unico in un dato momento della nostra storia. I fattori principali sono stati tre : il nostro entusiasmo di puritani per il risparmio e per l'investimento produttivo di q[...]

[...]ia al suo apogeo. A Berlino, le più belle case ricordavano l'interno d'una di quelle corazzate che fecero credere al Kaiser di poter conquistare il mondo. In India, i nuovi ricchi costruiscono le loro ville nello stile dei Mogol. Penso che queste osservazioni possano applicarsi a civiltà intere.
Se a noi occidentali è riuscito di tanto progredire rispettó al resto del mondo, ciò è dovuto ad un concorso di circostanze unico in un dato momento della nostra storia. I fattori principali sono stati tre : il nostro entusiasmo di puritani per il risparmio e per l'investimento produttivo di questo risparmio; la dura volontà di guadagno e lo spirito d'iniziativa dei nostri uomini d'affari; la mobilità e l'adattabilità della nostra mano d'opera. Questo concorso di fattori — ciò che chiamiamo iniziativa privata o economia
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liberale — ci ha dato la possibilità, in un dato momento della nostra storia, di moltiplicare i nostri beni di produzione, di sfruttare continenti nuovi e di estendere la nostra impresa su parti immense d'umanità che non avevano beneficato di questo concorso unico di circostanze. Questo periodo di fioritura dell'economia liberale e della libera impresa è stato il più brillante della nostra civiltà, e noi cerchiamo ancora di ammobiliare con i suoi ricordi il mondo che ci circonda, proprio come facciamo coi candelieri dell'epoca vittoriana o le pendole Luigi XV. Da noi, in Occidente, stiamo progressivamente sostituendo la nostra antica economia liberale con metodi nuovi e assai differenti; ma continuiamo a pretendere che nelle regioni economicamente arretrate la libera impresa, quale la concepivamo in altri tempi, debba produrre risultati altrettanto spettacolosi di quelli prodotti presso di noi in un'epoca ormai tramontata della nostra storia.
In che cosa la situazione attuale del SudEst asiatico é così totalmente diversa? Se riusciremo a rispondere a questa domanda, ci avvicineremo forse alla formula che permetterà di trovare metodi meglio adeguati ai bisogni. Una volta trovati questi metodi, avremo migliori probabilità di successo nella lotta per l'amicizia e per la solidarietà con le masse del SudEst asiatico. Dobbiamo rispondere a tre interrogativi :principali :
1) La funzione unica svolta in Occidente dalla classe dei capi d'impresa potrebbe essere sostenuta nel SudEst asiatico da una classe analoga?
2) Gli immensi capitali necessari a un ampio sviluppo economico sono disponibili?
3) V'è una possibilità di formare rapidamente la manodopera competente e adattabile che si richiede per una rapida espansione del potenziale di produzione?
Cominciamo dalla classe degli imprenditori.
In una zona in cui il reddito individuale va dai 50 ai 100 dol lari annui, le possibilità di risparmio sono estremamente ridotte. Nella maggior parte dei paesi del SudEst asiatico, dal 70 all'85 degli abitanti vivono dell'agricoltura. Essi non dispongono, come
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proprietari o come fittavoli, che d'un pezzo di terreno minuscolo; il credito in generale manca, e la produzione ne risente. La maggior parte é gravemente indebitata. Infatti, in tutte queste regioni, quello che detiene la massa di risparmio esistente è un gruppo assai esiguo. Vi sono, certo, delle eccezioni; certuni hanno fatto prova, con successo, di spirito d'iniziativa; ma, nell'insieme, quell'esiguo gruppo che detiene tutto il risparmio del paese si contenta di trarre dei modesti benefici dalla terra e dal commercio; é ben raro che esso rischi i suoi capitali in campi nuovi. Esaminiamo la zona che va dal Pakistan all'Indonesia; un piccolo gruppo di proprietari investe i suoi capitali nella proprietà fondiaria e immobiliare, il commercio di esportazione e importazione, le sale di spettacolo, o ancor più semplicemente l'oro e i preziosi. L'investimento industriale è un caso del tutto eccezionale. Il tenore di vita in India è tra i più bassi del mondo; purtuttavia l'India importa ancora grandi quantità d'oro per rispondere al tradizionale istinto di tesaurizzazione. Se esistessero statistiche in materia, si potrebbe probabilmente provare che nell'insieme della penisola indiana le somme spese dalla popolazione, ricca o povera, per l'acquisto di gioielli d'oro e d'argento, superano [...]

[...]mobiliare, il commercio di esportazione e importazione, le sale di spettacolo, o ancor più semplicemente l'oro e i preziosi. L'investimento industriale è un caso del tutto eccezionale. Il tenore di vita in India è tra i più bassi del mondo; purtuttavia l'India importa ancora grandi quantità d'oro per rispondere al tradizionale istinto di tesaurizzazione. Se esistessero statistiche in materia, si potrebbe probabilmente provare che nell'insieme della penisola indiana le somme spese dalla popolazione, ricca o povera, per l'acquisto di gioielli d'oro e d'argento, superano quelle destinate ai beni di produzione. Si tratta di tradizioni profondamente radicate; ma non è perciò meno vero che l'attività dei proprietari, di coloro che detengono il risparmio, non contribuisce che pochissimo all'accrescimento del potenziale di produzione. In Occidente il « capitalista » dell'epoca della rivoluzione industriale rischiava i suoi capitali; egli credeva all'impresa e, quali che fossero i suoi moventi, creava nuovi mezzi di produzione. Nel SudEst asiatico moderno, come d'altronde in tutti i paesi economicamente arretrati, il « capitalista. » possiede immobili e terra dati in fitto, dà danaro in prestito o fa collezione di palazzi o di perle. Solo in casi del tutto eccezionali lo vediamo vendere le sue terre, liquidare il suo istituto di prestiti o separarsi dalle sue terre per acquistare macchine, come facevano i capitalisti occidentali. Questa piccola minoranza, detiene spesso capitali considerevoli, ma le manca lo spirito d'iniziativa. Gli averi riuniti delle vecchie famiglie dirigenti indiane, molto probabil
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mente, potrebbero finanziare un piano quinquennale molto più vasto di quello in corso. Ma queste famiglie non arrischiano i loro capitali. Non esiste attualmente alcuna autorità che possa obbligarli a farlo, e l'instabilità politica (che non sembra destinata a diminuire per il momento, ma al contrario ad aumentare) ha il solo effetto di rafforzare la loro naturale tendenza. Cerchiamo ora di rispondere alla seconda do[...]

[...]iativa. Gli averi riuniti delle vecchie famiglie dirigenti indiane, molto probabil
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mente, potrebbero finanziare un piano quinquennale molto più vasto di quello in corso. Ma queste famiglie non arrischiano i loro capitali. Non esiste attualmente alcuna autorità che possa obbligarli a farlo, e l'instabilità politica (che non sembra destinata a diminuire per il momento, ma al contrario ad aumentare) ha il solo effetto di rafforzare la loro naturale tendenza. Cerchiamo ora di rispondere alla seconda domanda : È o non é disponibile il capitale necessario per una vasta espansione economica?
La popolazione dell'Asia sudorientale ammonta a circa 600 milioni di unità. Una parte è proficuamente impiegata. Un'altra parte é in qualche modo parassitaria, nel senso che contribuisce all'adempimento d'un compito che sarebbe eseguito altrettanto bene da un minor numero di lavoratori. L'obbiettivo da raggiungere é dunque duplice : da una parte, elevare il rendimento di coloro che sono già impiegati con profitto; d'altra parte, trovare un impiego produttivo per coloro che attualmente lavorano a vuoto. Come abbiamo visto, una produttività insufficiente non lascia praticamente alcun margine per il risparmio e per la formazione del capitale. Quando in via eccezionale si costituisce un capitale, esso non viene utilizzato per fini produttivi. Le conseguenze finanziarie del problema sono state esaminate da un comitato di specialisti delle Nazioni Unite, che ha pubblicato le sue conclusioni col titolo « Misure da adottare per lo sviluppo economico dei paesi insufficientemente sviluppati ». Questi esperti sono giunti alle seguenti conclusioni : per accrescere del 2,5% annuo il loro reddito, i paesi dell'Asia sudorientale dovrebbero investire nell'industria e nell'agricoltura il 20% circa del loro attuale reddi[...]

[...]delle Nazioni Unite, che ha pubblicato le sue conclusioni col titolo « Misure da adottare per lo sviluppo economico dei paesi insufficientemente sviluppati ». Questi esperti sono giunti alle seguenti conclusioni : per accrescere del 2,5% annuo il loro reddito, i paesi dell'Asia sudorientale dovrebbero investire nell'industria e nell'agricoltura il 20% circa del loro attuale reddito nazionale. Ponendo che il reddito individuale medio sia di 70 dollari l'anno, giungiamo a un totale di 42 miliardi di dollari. Occorrerebbe dunque destinare 8,5 miliardi annui all'investimento; laddove il risparmio netto di questi paesi non eccede il 4% del reddito nazionale, cioè approssimativamente un miliardo e mezzo di dollari. Anche, dunque, se tutto il risparmio venisse investito in modo produttivo (ciò che non é), mancherebbero ancora oltre 7 miliardi di dollari annui. Inoltre — e arriviamo qui all'aspetto più tragico
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del problema — la popolazione asiatica aumenta annualmente dell'1,52%. Dunque, anche se per miracolo potessero trovarsi le somme necessarie, il miglioramento del tenore di vita non sarebbe del 2,5%, ma supererebbe appena l'1%.
Torna opportuno ricordare che di fronte a questi bisogni — sette miliardi di dollari all'anno — gli investimenti privati, i prestiti governativi e i diversi programmi d'assistenza non superano complessivamente i 250 milioni di dollari. Mi sembra evidente che non è possibile prevedere nel mondo d'oggi un cambiamento tale da far salire improvvisamente questi 250 milioni a 7 miliardi mediante l'afflusso di capitali stranieri verso l'Asia sudorientale. Appare dunque che nel ricercare una soluzione del problema non possiamo far conto né sull'iniziativa privata nel quadro nazionale (all'attuale livello del risparmio nazionale), né sugli investimenti privati stranieri. Tuttavia una soluzione bisognerà trovarla; ed essa potrà derivare soltanto da un'azione energica e radicale sul piano nazionale e internazionale.
Ma passiamo al[...]

[...]on è possibile prevedere nel mondo d'oggi un cambiamento tale da far salire improvvisamente questi 250 milioni a 7 miliardi mediante l'afflusso di capitali stranieri verso l'Asia sudorientale. Appare dunque che nel ricercare una soluzione del problema non possiamo far conto né sull'iniziativa privata nel quadro nazionale (all'attuale livello del risparmio nazionale), né sugli investimenti privati stranieri. Tuttavia una soluzione bisognerà trovarla; ed essa potrà derivare soltanto da un'azione energica e radicale sul piano nazionale e internazionale.
Ma passiamo alla nostra terza domanda : quale possibilità ci sia di formare rapidamente la manodopera competente e adattabile necessaria all'espansione rapida del potenziale di produzione, una volta trovati, per qualche imprevedibile miracolo, i capitali.
Basandoci sull'esperienza della nostra rivoluzione industriale, tendiamo a credere che la formazione d'una manodopera sufficiente dipenda da un'adeguata remunerazione materiale, da un adeguato « incentivo ». Ma l'esperienza ha dimostrato che l'attrattiva del salario non ha in certe società asiatiche la parte importante che ha avuto da noi. Delle cifre isolate non proverebbero molto, e statistiche non ne abbiamo; ma chiunque abbia conosciuto di persona l'Asia sudorientale sa bene come stiano le cose sotto questo riguardo. L'operaio asiatico non ha l'istinto di guadagno del suo confratello occidentale, soprattutto nelle regioni tropicali e semitropicali. Ho parlato con decine di dirigenti di fabbrica nei diversi paesi della zona; tutti hanno concordemente affermato che l'attrattiva del salario non agisce cola come in Occidente. Capita spesso che l'operaio birmano, indiano o indonesiano scompaia dopo la'
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paga per non ritornare dal suo villaggio che a danaro speso. La speranza di guadagnare di più non lo stimola necessariamente ad accettare un lavoro più produttivo. È praticamente impossibile imporre una disciplina di lavoro, e l'assenteismo é diffusissimo, anche quandò le condizioni materiali accordate al lavoratore giustificherebbero uno sforzo più sostenuto. Non so se l'abitudine alla disciplina industriale o allo sforzo sostenuto richieda un lungo periodo di preparazione, o se sia addirittura incompatibile con un ambiente sociale, climatico e religioso così diverso da quello occidentale. La questione non è stata ancora studiata a sufficienza. Ma da quanto io stesso ho visto ed inteso e da quanto hanno osservato persone più qualificate di me, sembra chiaro che per compiere la trasformazione economica della regione bisognerà offrire all'operaio del SudEst asiatico e alla società che lo circonda un altro incentivo oltre la semplice ricompensa materiale. Saranno necessari ancora lunghi studi per trovare il modo di creare in questi paesi la volontà di uno sforzo sostenuto e di un rendimento maggiore. Questi studi dovranno risalire alle fondamenta stesse del sistema familiare, delle influenze religiose, delle caste e delle tradizioni, e trovare incentivi sentimentali ed emotivi che armonizzino il desiderio di un miglior rendimento con i desideri e con le passioni tradizionali dell'operaio asiatico.
Vediamo dunque che non abbiamo potuto trovare che risposte negative alle nostre tre domande fondamentali.
Non esiste una classe d'uomini d'affari che possa paragonarsi per numero e per spirito d'iniziativa a quella occidentale.
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[...]n rendimento maggiore. Questi studi dovranno risalire alle fondamenta stesse del sistema familiare, delle influenze religiose, delle caste e delle tradizioni, e trovare incentivi sentimentali ed emotivi che armonizzino il desiderio di un miglior rendimento con i desideri e con le passioni tradizionali dell'operaio asiatico.
Vediamo dunque che non abbiamo potuto trovare che risposte negative alle nostre tre domande fondamentali.
Non esiste una classe d'uomini d'affari che possa paragonarsi per numero e per spirito d'iniziativa a quella occidentale.
I capitali necessari per realizzare un progresso, per quanto modesto, non potranno essere forniti dal risparmio nazionale quale attualmente esiste, e sembra poco probabile che essi possano affluire dall'estero.
Infine, siamo ancora ben lontani dal sapere come formare una manodopera numerosa e competente, e quali soddisfazioni materiali o spirituali convenga offrire all'operaio orientale perché egli divenga di suo pieno grado un ingranaggio produttivo dell'appa
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rato economico, come furono gli operai nostri all'epoca dell'espansione industri[...]

[...] ingranaggio produttivo dell'appa
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rato economico, come furono gli operai nostri all'epoca dell'espansione industriale.
Se queste conclusioni sono esatte — ed io credo che migliaia di esempi potrebbero suffragarle — possiamo trarne conseguenze che ci portano assai lontano.
Prima conseguenza davanti all'immensità del compito da assolvere, lo sforzo individuale é impotente.
Seconda conseguenza, derivante dalla prima : occorre trovare formule nuove e dissociare il desiderio di progresso economico dalla sua attrattiva puramente finanziaria. La remunerazione del lavoro ha costituito uno stimolo sufficiente in Occidente; evidentemente non é così nell'Asia sudorientale. La funzione svolta nell'espansione economica occidentale dai capi d'impresa dev'essere assunta nel SudEst asiatico da organismi governativi. In una parola, in mancanza di quel concorso unico di circostanze che assicurò la prosperità materiale dell'Occidente, occorrerà, acciocché un'espansione analoga possa compiersi nel SudEst asiatico (come d'altronde, a mio avviso, in qualunque altro paese economicamente arretrato) che essa sia diretta dall'alto: che l'iniziativa venga dai governi, che l'amministrazione sia assicurata dallo Stato. Occorrerà, insomma, una pianificazione di stato.
La storia offre pochi esempi di paesi che abbiano imitato, in un ambiente sociale differente, l'espansione materiale dell'Occidente. Si pensa irresistibilmente al Giappone, alla Russia, e alla più recente esperienza della Cina. I tre esempi sembrano suffragare la nostra tesi.
Il Giappone, che parti con ritardo rispetto a noi, tentò di riprendere il tempo perduto organizzando dall'alto l'espansione delle sue risorse produttive. Non fu una pianificazione di stato, ma le direttive furono date in nome di una classe autoritaria — dirò anzi feudale — che contava sulle sue prerogative ereditarie per assicurarsi l'obbedienza, e si servì, per stimolare il lavoratore, non di un'esca puramente finanziaria, ma della mistica, già accettata, d'un lealismo religioso e nazionale. Tuttavia, fu certamente la Russia che spinse il più lontano la sperimentazione dei nuovi metodi. In
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ritardo sull'Occidente, la Russia dovette affrontare — nel campo economico — quella stessa marcia forzata che i paesi del SudEst asiatico si trovano a dover affrontare oggi. Per riuscirvi, essa sostituì, o per lo meno complete), l'esca del guadagno con una ideologia sociale e nazionale. Conosciamo bene i sintomi penosi di questa « rimessa in pari » fisica e morale che sostituì il nostro sistema fondato sulla libera iniziativa. Abbiamo visto come grazie a questa mistica, e con metodi che non avevano nulla a che vedere con quelli dell'Occidente, la Russia poté formare un gruppo d'uomini perfettamente disciplinati e completamente devoti alla causa. Anche se non approviamo questi metodi, non possiamo negare l'importanza di quelle realizzazioni materiali; ed oggi vediamo un fenomeno simile aver luogo in Cina, sotto il controllo diretto di una autorità nazionale.
Io mi rendo conto che molti mi accuseranno di ammettere troppo a priori la necessità di un'espansione economica rapida. Si affermerà, forse, non essere affatto certo che tutti i popoli del SudEst asiatico — che tutti i popoli delle regioni economicamente
arretrate desiderino di seguire il nostro esempio; che essi vogliano lasciare le loro campagne verdeggianti per il fumo delle fabbriche; che vogliano dimenticare le loro pittoresche cerimonie religiose per divenire degli stakhanovisti. Si osserverà, insomma, che la civiltà industriale non presenta uno spettacolo così attraente da incitare coloro che fin qui ne sono restati fuori a precipitarvisi per ottenerne i benefici... Sono d'accordo. Ho visto molti contadini, in Asia, trarre dall'esistenza molta più soddisfazione che un operaio di Lione, di Birmingham o di Detroit, il cui reddito annuo é tuttavia immensamente più elevato. Ma non si tratta che di parole, le quali non hanno, purtroppo, alcun rapporto con la realtà d'oggi.
Ho visto contadini, a Borneo, lavarsi i denti nel fiume fangoso con spazzolini da denti in nylon; ho visto in Birmania, presso la[...]

[...]iviltà industriale non presenta uno spettacolo così attraente da incitare coloro che fin qui ne sono restati fuori a precipitarvisi per ottenerne i benefici... Sono d'accordo. Ho visto molti contadini, in Asia, trarre dall'esistenza molta più soddisfazione che un operaio di Lione, di Birmingham o di Detroit, il cui reddito annuo é tuttavia immensamente più elevato. Ma non si tratta che di parole, le quali non hanno, purtroppo, alcun rapporto con la realtà d'oggi.
Ho visto contadini, a Borneo, lavarsi i denti nel fiume fangoso con spazzolini da denti in nylon; ho visto in Birmania, presso la frontiera cinese, orologi da polso messi in mostra al mercato accanto alle frutta e alle verdure del paese; ho visto al soffitto di certi templi indù, in villaggi sperduti, lampade al neon che span
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devano la loro luce bianca o rossa sulla testa di Shiva o di Lakshmi. Appena qualche mese fa, prendendo il tè con gli uomini di una tribù pathan del Passo di Khaibar, li ho visti pulire i fucili mentre ascoltavano un'emissione radio da un piccolo apparecchio americano. Tutta questa gente va al cinema e sfoglia i giornali illustrati; sa che nelle altre regioni del mondo i piaceri della vita sono tutt'altri; ed è assai più facile allargare il campo delle sue abitudini e dei suoi bisogni, che aumentare le sue risorse produttive. Ma questo non é che un aspetto del problema. Ve n'è un altro, e cioè che tutti questi milioni di uomini hanno ormai compreso che per metter fine alla loro servitù economica v'è bisogno di macchine. Il loro nazionalismo, sempre più profondo e appassionato, reclama l'uguaglianza con il resto del mondo; e per ottenere quest'uguaglianza bisogna passare per le fabbriche; la maggior parte di essi lo comprende, anche se l'idea gli dispiace. Dopo secoli di soggezione, non è un esercito di uomini come Albert Schweitzer o di funzionari del Punto Quarto, non è l'artigianato, non sono i portacenere dipinti o i telai a mano che daranno a questi uomini l'uguaglianza che desiderano; essi, o almeno le loro élites, lo sanno. Questa uguaglianza così ardentemente desiderata non potrà venire che da un'industria possente, da fabbriche capaci di produrre acciaio, aerei a reazione e, al bisogno, persino bombe atomiche. Tutto ciò, essi lo sanno. Ciò che tanti asiatici anche non comunisti ammirano nell'Unione Sovietica non sono le fabbriche, non è il monolitismo di una società disciplinata, non sono i campi di lavoro forzato (tutte cose che, al contrario, li spaventano); ciò che essi ammirano è il fatto che un paese[...]

[...]glianza che desiderano; essi, o almeno le loro élites, lo sanno. Questa uguaglianza così ardentemente desiderata non potrà venire che da un'industria possente, da fabbriche capaci di produrre acciaio, aerei a reazione e, al bisogno, persino bombe atomiche. Tutto ciò, essi lo sanno. Ciò che tanti asiatici anche non comunisti ammirano nell'Unione Sovietica non sono le fabbriche, non è il monolitismo di una società disciplinata, non sono i campi di lavoro forzato (tutte cose che, al contrario, li spaventano); ciò che essi ammirano è il fatto che un paese arretrato quanto il loro abbia potuto trovare il mezzo di mettersi su un piede d'uguaglianza col mondo privilegiato dell'Occidente, e di imporgli timore e rispetto.
Per rattristante che ciò possa sembrarci, non dobbiamo nascondercelo : sarebbe un errore gravissimo ignorare le passioni ispirate dal desiderio di una liberazione totale, e credere che gli uomini agitati da queste passioni trascureranno i mezzi più efficaci per conseguire il loro fine.
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Ma torniamo al nostro as[...]

[...] timore e rispetto.
Per rattristante che ciò possa sembrarci, non dobbiamo nascondercelo : sarebbe un errore gravissimo ignorare le passioni ispirate dal desiderio di una liberazione totale, e credere che gli uomini agitati da queste passioni trascureranno i mezzi più efficaci per conseguire il loro fine.
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Ma torniamo al nostro assunto. Abbiamo visto che oggi, nel SudEst asiatico, le circostanze che hanno permesso il successo della libera iniziativa nel mondo occidentale non esistono. Non è l'iniziativa privata che darà impulso all'espansione dei mezzi di produzione; saranno delle direttive 'concertate venute dal ceto dirigente e rafforzate da una campagna d'educazione ideologica capace di fornire gli incentivi necessari.
Abbiamo visto più sopra che un paio di migliaia d'anni fa l'Asia sudorientale fu il territorio d'incrocio di due scuole rivali, emananti l'una dalla Cina l'altra dall'India; due scuole da cui la zona in questione derivò la sua eredità culturale. Oggi la storia si ripete; India e Cina di nuovo spediscono dottori e missionari a portare le rispettive ideologie nell'insieme del SudEst asiatico. Di nuovo, é l'ombra di questi due paesi a pesare sul pensiero di quei popoli. E che cosa vediamo?
L'India sta realizzando un piano quinquennale sotto la direzione di un governo devoto a un ideale occidentale di libertà politica, malgrado le ineluttabili concessioni implicate da una certa forma di coordinamento. La Cina sta anch'essa realizzando un piano quinquennale, ma sotto la direzione di un governo che, a causa del suo desiderio d'espansione rapida, rifiuta le esigenze della libertà politica ed impiega, per suscitare l'entusiasmo e il lealismo della popolazione, metodi assai vicini a quelli sperimentati in Russia.
Il SudEst asiatico vive dunque sotte il segno d'una esperienza storica capitale. Seicento milioni d'uomini ne attendono i risultati. Questi seicento milioni d'uomini vivono tra due mondi : non, come certi credono, tra il comunismo alla russa e il liberalismo all'occidentale, non fra il comunismo e l'occidente, ma tra il sistema di pianificazione indiano e il sistema di pianificazione cinese; fra la pianificazione con la persuasione, e la pianificazione con la forza. Né v'è per essi altra scelta possibile.
Se tra cinque, dieci, quindici anni, i seicento milioni di abitanti del SudEst asiatico si renderanno conto, su prove tangibili, che il sistema cinese ha dato risultati migliori del sistema indiano,
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saranno tentati d'imitare l'esempio della Cina. In questo caso, un altro quarto dell'umanità passerà dal campo occidentale all'altro lato della barricata ideologica, e ciò avverrà, in gran parte, perché l'Occidente non sarà stato capace di rivedere concezioni divenute inapplicabili e di ammettere che liberalismo economico e libera iniziativa, non potevano risolvere i problemi sociali del SudEst asiatico.
Se non vogliamo assistere ad una evoluzione in questo senso, una sola strada ci é aperta : fare tutto il possibile perché l'esperienza indiana riesca meglio della pianificazione forzata dei cinesi, e perché i suoi risultati siano più attraenti. Non basterà, per questo, di depositare qualche centinaio di milioni di dollari nelle casse del signor Nehru, poiché ciò non riguarda che un aspetto della questione. Il vero problema é di rigettare utopie pericolose e di trovare metodi nuovi perché quel qualche centinaio di milioni di dollari divenga realmente produttivo; e per questo bisognerà probabilmente rivedere tutta una serie di concetti che ci sono ancora cari in Occidente.
Bisognerà ammettere la necessità di una certa costrizione, e far apparire il capitale nazionale necessario mediante un risparmio forzoso. Bisognerà probabilmente riconoscere che per ottenere risultati, anche modesti, una pianificazione delle più rigide dovrà sostituire l'iniziativa privata. Bisognerà forse accettare la necessità di eliminare gli ostacoli sociali che si oppongono al successo della pianificazione (che si tratti sia di proprietari che difendono un sistema arretrato di ripartizione delle terre, sia di usurai che sfruttano un contadinato già miserabile) e di eliminarli cosí radicalmente come si eliminano gli ostacoli che intralcino un'operazione militare.
Bisognerà parimenti accettare il fatto, abbastanza spiacevole, che queste inevitabili misure non sono forse del tutto compatibili con la nostra nozione di libertà politica e di democrazia parlamentare. Infine, bisognerà qualche volta riconoscere — ed é questa una verità ancor più difficile da ammettere — che per realizzare quest'opera con l'onestà e la determinazione necessarie, i meglio
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qualificati non saranno forse quegli uomini che, attualmente, meglio rispondono ai voti politici dell'Occidente.
Ma perché ciò sia possibile, bisognerà modificare radicalmente certe idee profondamente radicate nel mondo occidentale. Dirò di più. Tutti sanno che il popolo meglio qualificato per aiutare economicamente i popoli arretrati é anche quello che, per lo svolgimento stesso della sua storia, continua a coltivare con maggior attaccamento l'ideale del liberalismo economico. Finché l'americano medio crederà che il liberalismo economico e la libertà d'iniziativa siano all'origine della sua prosperità, difficilmente accetterà che una parte delle imposte che paga serva ad organizzare una struttura economica rigidamente pianificata e regolamentata nell'Asia sudoriéntale. Ma spiacevoli esperienze trasformeranno, forse, la stessa opinione pubblica americana.
In ogni caso, ci si persuada d'una cosa : l'India e la Cina, i due paesi più popolati del mondo, i due paesi che raggiungeranno probabilmente insieme, alla fine di questo secolo, i 1.300 milioni di abitanti, questi due giganti che per centinaia d'anni hanno pacificamente rivaleggiato, cominciano adesso a lottare con mezzi moderni e con tutta l'intensità del XX secolo.
I problemi che questi due paesi debbono risolvere sono sorprendentemente simili. Paragonando i risultati acquisiti, é chiaro che anche il grado di sviluppo da cui sono partiti, é lo stesso. Le loro realizzazioni potranno essere dunque raffrontate punto per punto.
Alla meta del XX secolo questi due paesi, di civiltà venerabile, hanno adottato per sopravvivere un sistema di pianifi[...]

[...]lioni di abitanti, questi due giganti che per centinaia d'anni hanno pacificamente rivaleggiato, cominciano adesso a lottare con mezzi moderni e con tutta l'intensità del XX secolo.
I problemi che questi due paesi debbono risolvere sono sorprendentemente simili. Paragonando i risultati acquisiti, é chiaro che anche il grado di sviluppo da cui sono partiti, é lo stesso. Le loro realizzazioni potranno essere dunque raffrontate punto per punto.
Alla meta del XX secolo questi due paesi, di civiltà venerabile, hanno adottato per sopravvivere un sistema di pianificazione. Il piano indiano insiste sullo sviluppo dell'agricoltura, quello cinese sull'edificazione dell'industria. L'India ha investito in questo esperimento dal 5 al 6% del suo reddito nazionale; i cinesi sono costretti a destinarvi circa il 20% del loro. L'India fa conto sulla
persuasione e sui discorsi incoraggianti; la Cina impiega lo stimolo di una ideologia intransigente, con tutte le conseguenze compor
tate da una rieducazione forzata del pensiero. Un economista eminente dichiarava recentemente che arrecando annualmente al piano
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indiano mezzo miliardo di dollari, l'Occidente salverebbe dal comunismo e riunirebbe al mondo occidentale 360 milioni di esseri umani. Egli non faceva cenno delle condizioni pregiudiziali che permetterebbero di usare con profitto questa somma. Ma, per il momento, l'Occidente non ha ancora offerto questo danaro. Ci si propone al contrario di accordare all'avversario principale dell'India, il Pakistan, un aiuto militare che ammonterebbes all'incirca alla stessa somma. Di fronte al loro vicino armato dall'America, gli indiani saranno probabilmente obbligati a limitare il loro piano economico per fare acquisto di aerei da bombardamento. I già modesti progetti di sviluppo saranno ulteriormente ridotti per dare avvio a un programma di armamento. Eppure, questa cifra di mezzo miliardo di dollari menzionata dall'eminente economista non rappresenta che uno 0,5 % di quel che il mondo occidentale ogni anno spende per i propri armamenti. È dunque in questo modo, a quanto sombra, che noi contribuiamo in Occidente agli sforzi compiuti dall'India per rivaleggiare con l'esperienza cinese, sforzi fondati su sistemi che almeno in parte preservano un ideale di valori a cui, giustamente, noi restiamo attaccati.
Intanto, gli abitanti dell'Asia sudorientale, e con loro, probabilmente, milioni d'uomini di altri continenti, seguono queste decisive esperienze con l'interesse dell'uomo affamato che [...]

[...]nti dell'Asia sudorientale, e con loro, probabilmente, milioni d'uomini di altri continenti, seguono queste decisive esperienze con l'interesse dell'uomo affamato che non può più attendere a lungo. I risultati permetteranno di porre a confronto l'efficacia e anche l'attrattiva dell'uno e dell'altro sistema. Di qui a dieci o quindici anni, quando i risultati comincieranno ad apparire, se l'India non sarà riuscita ad eguagliare le realizzazioni della Cina, le verrà forse rimproverato il fatto stesso d'aver aderito all'ideale occidentale e ai suoi metodi.
Se arriveremo a quel punto, l'Asia sudorientale non vivrà più tra due mondi, tra la pianificazione per mezzo della persuasione e la pianificazione per mezzo della forza. Irresistibilmente, il desiderio di emancipazione di quei popoli li spingerà sulla via dei risultati più rapidi e più spettacolari.
Seicento milioni d'uomini avranno fatto la loro scelta; e con questa scelta un altro quarto d'umanità avrà reciso i legami politici
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con l'Occidente. In confronto con questo avvenimento — che potrebbe benissimo verificarsi in un futuro molto prossimo — i problemi e le passioni che assorbono il nostro piccolo mondo occidentale non sembreranno più che meschini fatti di cronaca. E nella grande lotta di razze che s'afferma oggi come il tema centrale della seconda metà del secolo, l'Occidente, sempre più isolato, si troverà sotto una grave minaccia.
TIBOR MENDE


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine , nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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