Brano: [...]o degli stracci », nelle forme di disgregazione che son proprie di Palermo e provincia: quasi un quinto delle popolazione in Palermo città. È un monde, umano ben caratterizzato, che ha per squallido scenario della sua. vita i cortili Cuscino, la Kalsa, Ballarti, Piazza Donnissini, Castello S. Pietro; Spine Sante, Partinico etc. Ë un mondo che non conosce mestieri, ma, come si è detto, modi di arrangiarsi, e, arrangiandosi, di campare la vita: arrifiatori, panerari, venditori di milza, di mussu, di budelle arrostite, minestrari, caramellai, cioccolatari; bancarellari, spicciafaccende, ruffiani, prostitute ufficiali e private, cantastorie, cenciaioli, e infine ladri o peggio. Così intenzionalmente circoscritta ai ceti sociali disgregati di Palermo e provincia l'inchiesta del Dolci si sottrae alla solita obiezione che Palermo e provincia ((non sono soltanto questo »: che è poi la obiezione di coloro che in fondo, per vari motivi, non sono disposti a riconoscere che Palermo e provincia sono ((anche» questo. D'altra parte nei documenti racco[...]
[...]ffinché se ne giovino nella loro opera e agli storici di domani affinché sia piú concreto e individuato il loro giudizio. Abbiamo abbastanza fiducia nella intelligenza dei lettori per non temere che taluno possa scandalizzarsi di alcuni pochi particolari molto crudi della biografia di Gino O.: la rivista si svolge a un ristretto pubblico di studiosi e pertanto non é legittimo lo scrupolo che quei particolari, indebitamente fraintesi nel loro significato, possano turbare le candide anime di fanciulli e di fanciulle.
ERNESTO DE MART P%10
CORTILE CASCINO
È chiamata « Cortile Cascino » la zona — a 200 metri dalla Cattedrale — da via D'Ossuna a Cortile Grotta; e, in senso lato, anche l'altra, a nord, separata dalla prima dalla linea ferrata.
I nudi e sudici bambini che giocano sulla ferrovia e nel fango, è quanto più impressiona a prima vista. Cinque costruzioni scalcinate di due o tre piani, e baracche a sud; tre fabbricati a due otre piani a nord: tutti con umide mura brulicanti di cimici, scorpioni e scarafaggi.
Diverse donne nella s[...]
[...]Cinque costruzioni scalcinate di due o tre piani, e baracche a sud; tre fabbricati a due otre piani a nord: tutti con umide mura brulicanti di cimici, scorpioni e scarafaggi.
Diverse donne nella strada, intente, spidocchiano la testa di un parente o di un vicino. Due o tre fontane. Qualche a maarla » sulla porta.
Gli scoli, nel cortile Cascino propriamente detto, si raccolgono in uno spiazzo fetido. Se d'estate grande è sempre il pericolo del tifo, d'inverno nelle case più basse c'é da morire annegati. Una decina di locali, i più sottoposti, hanno porte, e talvolta finestre, protette da ripari in muratura alti circa settanta, ottanta centimetri, perché la fogna, quando piove, non inondi le case.
138 DANILO DOLCI
Tutte le costruzioni sono assolutamente inabitabili; in alcune, dai muri sfatti, é troppo pericoloso starci. Alcune stanze sono più pulite, ordinate (queste, nelle tabelle seguenti sono state segnate con « m » : le migliori); ma il tutto deve essere rifatto di sana pianta o rinnovato.
In una stanza c'é un vecchio nudo, sedu[...]
[...]ali, i più sottoposti, hanno porte, e talvolta finestre, protette da ripari in muratura alti circa settanta, ottanta centimetri, perché la fogna, quando piove, non inondi le case.
138 DANILO DOLCI
Tutte le costruzioni sono assolutamente inabitabili; in alcune, dai muri sfatti, é troppo pericoloso starci. Alcune stanze sono più pulite, ordinate (queste, nelle tabelle seguenti sono state segnate con « m » : le migliori); ma il tutto deve essere rifatto di sana pianta o rinnovato.
In una stanza c'é un vecchio nudo, seduto su un letto senza lenzuola (c'è solo una coperta di tipo militare): non si capisce se sia paralitico da un lato, come dice lui, o immobilizzato per l'estrema magrezza e debolezza, come dicono i vicini. In un'altra stanza si arriva per un ballatoio pericolante. E in tutte le case, (panda passa il treno, uno deside rerebbe essere fuori, e coi piedi a terra. Un «mura» si sposta oscillando per centimetri alla semplice pressione del pugno.
A un giovane, lo scorbuto ha fatto cadere tutti i denti. In una stanza vive con i gi[...]
[...]ssano dormirci in otto.
Di sera soprattutto, « bugliunu gli scarafaggi ».
Nel primo dei «Cortili Cascino» le stanze sono 130 circa per 160 famiglie; nel secondo sono 80 per un centinaio di famiglie.
Essendo costanti le caratteristiche, si sono considerate 100 stanze consecutive, di cui riportiamo alcuni dati (v. lo specchio intercalato).
La maggior parte delle famiglie, spiegando noi il perché del lavoro, é stata ospitale; alcune opponevano difficoltà perché « non volevano andare sul giornale: tanto le cose vanno sempre avanti così. Vengono specialmente per le votazioni, talianu (guardano), si schifianu o promettono case popolari: ma se ne vanno tutti ».
Le 100 abitazioni, con 118 stanze complessive e 5 ripostigli, ospitano 498 persone: circa 130 famiglie: 14 di queste con libretto di povertà.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 139
Essendoci un gabinetto in una sola famiglia (« gli uomini puliti vanno sulla ferrovia »), in ogni stanza preparano da mangiare, mangiano, e fanno tanto « i bisogni corporali » che i figli; di media, persone 4,23.
Nessuna casa con acqua corrente. I pavimenti: 4 di terra, 7 di terra e piastrelle rotte, 37 di cemento rotto e di piastrelle rotte, 51 di piastrel[...]
[...]relle rotte, 4 di cemento, 15 di piastrelle.
Una quindicina di famiglie sono senza luce. Delle rimanenti, più della meta l'hanno dai vicini.
Una stanza (di 2,50 X 6,00; h = 3,20) con 11 persone; una stanza (di 4,00 X 4,30; h = 4,00) per 10 persone; 3 stanze, ciascuna per 9 persone; 6, ciascuna per 8 persone; 14, per 7 persone; 8, per 6 persone; 11, per 5 persone; 19, per 4 persone; e 54 per meno di 4 persone. Diciannove sono stati ammalati di tifo: 2 ne sono morti.
Il lavoro degli uomini: 39 «trafficanti », «accatta e vinni »; 18 cenciaiuoli; 4 manovali; 2 « portantini di fatica »; 2 netturbini; 2 ciabattini; 1 militare di leva; 1 ortolano; 1 aiuto fabbro; 1 usciere; 1 cromatore; 1 marmista; 1 aiuto fornaio; 1 tubista; 1 falegname; 1 « petrusinaro » (venditore di prezzemolo).
Delle donne, 11 lavandaie, 11 cameriere, 2 comprano capelli a 40 lire ogni 200 grammi e fanno parrucche, qualcuna «lava scale »; le altre in casa.
Settantaquattro sono i bambini fino a 3 anni. Spesso denutriti, malati spesso di «infezioni, intossicazioni, inte[...]
[...] :8
R
71 C.M. 1 4,0 6,5 4,0 no
72 G.M. 1 6,0 3,0 3,5 no
73 F.C. 1 6,0 3,0 3,5 no
74 M.P. 2 3,0 2,5 3,0 no
2,0 3,5 3,0 no
75 G.F. 1 5,0 3,0 3,5 no
76 X.Y. 1 5,0 3,7 3,5 no
77 RV. 1 4,0 4,3 4,0 no
78 T.F. 1 5,5 3,5 4,0 no
79 S.D. 1 5,0 3,5 4,0 no
80 S.G. 1 3,8 4,0 2,5 no
81 F.A. 1 3,0 3,2 2,9 no
82 C.G. 1 3,5 3,5 3,2 no
83 M.T. 1 3,5 3,5 3,2 no
84 M.G. 1 4,5 3,5 3,2 no
85 O.S. 1 5,0 3,5 3,0 no
86 I.F. 1 3,5 3,5 3,5 no
87 X.Y. 1 2,5 3,0 2,2 no
88 N.G. 1 3,1 4,0 2,2 no
89 L.P. sì 1 3,0 3,7 2,7 no
90 L.R. 1 2,5 2,5 2,4 no
91 A.B. sì 1 3,5 4,0 3,0 no
92 X.Y. si 1 4,0 5,0 3,5 no
93 O.A. 2 2,5 3,0 2,1 no
2,5 2,8 2,0 no
94 B.A. 1 2,5 4,5 2,3 no
95 S.G. 1 3,8 2,8 2,1 no
96 N.M. 1 5,0 2,8 2,3 no
97 F.G. 1 3,2 3,8 3,5 no
98 F.S. 1 4,5 3,0 2,6 no
99 C.G. 1 2,7 4,0 2,7 no
100 C.A. 1 4,5 2,2 2,6 no
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2 no
W.C.
no no no no no no no no no no no no no no
no no no no no no no
no no no no
no
Acqua
no no no no
no no no no no no no no no no no no no no no no no no no
no no no no nò no no
PAGINE DI,UNA INCHIESTA A PALERMO 145
Professione ' Numero dei figli Tot. anni scuola Carcere volte tot. Scuola Casi tifo
nonni
pat.
Padre Madre da O a 3 da 3 a 6 asilo no da 6 a 13 scuola no oltre i 13 Padre
Madre
casal. — — — _
calz. cucit. 1 1 1 D — 2
crom. casal. 1 2 1 1 — 1 a 1 — —
usciere , casal. 5 5a — 15 — —
traff. casal. 1 2 — — 3 — — 1
traff. casal. 2 1 1 1 1 — 25 8 — —
traff. casal. 3 1 3 3a — 11 — —
traff. casal. 2 2 25 4a 12 — —
traff. casal. 1 3a 3a 6 — —
traff. casal. 2 1 — — —
traff. camer. 2 3a — 3 3 11m — —
traff. casal. 2 1 2 — — 7— —
tra[...]
[...]ggina fitta fitta della terricciola. Un blocco di qualcosa, in testa.
« Dormiamo con la porta aperta per respirare meglio; d'inverno la chiudiamo. Pure me soru cun so maritu, s'accurcano cu nuatri. Ma i masculi si curcano vestuti, sono tanto educati. Cu li picciriddi...
Di giorno stiamo tutti fora. Cuciniamo ca fora, sotto la scala, che quandu piove semu riparati chiù assai.
È dodici anni che mi infilai dintra sta grotta che prima serviva di rifugio. Poi c'é venuta me soru. Dodici anni. Vogliono la buona uscita. Ventimila lire, venticinquemila lire. Uno povereddu d'unne l'have?
Venivano a vedere comunista, signorine. Una volta mia nipote curcata docu la fotografaru e stu ritrattu sul giornale giunse a Roma e Napoli. Appizzato in pubblico. Poi ci furono le votazioni e l'appizzaru ancora. Ma ca semu, ca semu arrestate.
Ci ho un quadro di Santa Rosalia, ci accendiamo ogni giorno i lu
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 147
vini. La pregamu e per una casa ci promettemu due viaggi. Se mi fa levare da sto fango, due viaggi a Monte Pelleg[...]
[...]l Cortile Cascino (via D'Ossuna, cortile Grotta), non abbiamo mai lavorato nessuno nei cantieri perché non abbiamo avuto mai lavoro. Siamo tutti cenciaioli in generale, i maschi; le donne, lavandaie. Qualche giovane qualche volta ha trovato lavoro per qualche tempo, qualche cantiere: ma quando, dopo poco, lo lasciavano a spasso, tornava a fare il cenciaiolo che almeno era quasi continuo.
Circa sett'anni fa, circa cinque persone morirono qui di tifo: come infatti siamo stati esiliati nel cortile dai carabinieri, che il cortile era infettivo: nessuno doveva uscire. C'era la sporchezza, fango, rifiuto di pozzi neri; ci sono le donne che al mattino i rifiuti corporali li buttano sulla ferrovia vicina, ma certe donne buttano li davanti nello spiazzo che fa il posto di concentramento dell'acqua morta. (A tempo d'inverno vengono i pompieri, tanto si alza l'acqua e il fango: ma i pompieri dicono che non c'é niente da fare: tirano solo fuori un po' d'acqua, la succhiano dal fondo delle case e vanno via). Questo tifo pidocchiale che é venuto, é venuto più di una volta: un'altra volta sono morte due persone, di tifo, e ammalate diverse decine di bambini. Soprattutto i bambini, morivano di tifo.
Quando ci hanno esiliati i carabinieri, che nessuno poteva uscire fuori, ci portavano da mangiare nelle caldaie. Quando venivano i carabinieri ad avvisarci che portavano da mangiare, sonavano la tromba. E ci venivano centinaia di persone con le latte, queste che ci mettono la conserva, pentole e così, e ci mettevamo in coda, in riga come i militari. Ci davano da mangiare perché non potevamo uscire a andare a lavorare. Per i bisogni corporali andavamo sempre, per forza, nel cortile o, se c'era qualche carabiniere buono, ci lasciava andare sulla ferrovia.
150 DANILO DOLCI
Nel mangiare, poi[...]
[...]da, in riga come i militari. Ci davano da mangiare perché non potevamo uscire a andare a lavorare. Per i bisogni corporali andavamo sempre, per forza, nel cortile o, se c'era qualche carabiniere buono, ci lasciava andare sulla ferrovia.
150 DANILO DOLCI
Nel mangiare, poi, c'era una specie di medicinale per disinfettarci i corpi: e doveva essere purgativo perché tutti i millecinquecento, maschi
e donne, avevamo il corpo sciolto (diarrea).
Il tifo, per forza doveva venire: perché le sporchezze erano trappe, le case sono strette, senza l'acqua, e ci stanno anche otto, dieci, e anche più persone per stanza: piccole celle. Qualcuna con pavimento di terra,
e certe sono grotte. In tante case per sedersi usano pietre o latte di conserva. Pidocchi a quintali. Quando sono morti quelli là, erano pieni di pidocchi che facevano paura. Sono venuti a portare delle polveri disinfettanti e le buttavano dentro le abitazioni, sulle strade, e anche andavano gli uomini e le donne così, vestiti, e ci aprivano la camicia e quelli ci buttavano la polvere [...]
[...]gono, la maggioranza, la Monarchia; hanno fatto i tesserini, lasciavano l'indirizzo che dovevano andare a prendere un chilo di pasta. La maggioranza c'è chi ha paura e vota per il partito che loro ci dicono. Paura che il partito sapesse che non han votato per lui. La maggioranza non va in Chiesa, non c'è domenica né giorni di festa. La domenica c'è il pensiero come svolgere per pater apparecchiare la tavola con qualcosa da mangiare.
E un rione difficile. Una volta sono venuti due persone per far fotografie e uno di qui, ubriaco alle dieci e mezzo di mattino, monarchico, ha sdraiato le mani d'improvviso e ci ha acchiappato la macchina fotografica, che non vogliono che facciano fotografie. E quelli là, meschini, si misera in paura che si spezzava la macchina fotografica di 80.000 lire.
Chi ci ha otto figli, chi sei, chi dieci: é l'unica delizia avere figli. E l'unica delizia della povertà.
Due tre volte ci son venuti i preti in questo quartiere, per insegnare la dottrina ai bambini : mancavano due mesi alle elezioni. Noi abbiamo pulito[...]
[...]lar) e altrove, ma è meglio non essere troppo precisi se no li vanno ad arrestare tutti: gli fanno più male, invece di aiutarli e dargli lavoro. Che non si ripeta come alla calata del Mori: era suc cesso che per sanare il male, mettevano in galera pure Dio. Se c'era qualcuno che s'accorgeva dell'operazione, in questo rione,' nessuno parlava, anche i proprietari dei negozi: si poteva star sicuri di poter scappare, quando «s'attuzzolava », che significa: era scoperto.
Ci sono anche ora « le squadre » addette per il borsaioli, ci sono gli agenti cosiddetti specializzati, ma non hanno nessuna specializzazione. Allora ce n'erano famose, capitanate dal terribile Sciabbica che ora è in pensione e che ora, per istinto, ancora privatamente va in cerca... — Un altro famoso capo squadra c'era — lu Signorino —, perché era tutto impomatato. Sciabbica correva come una lepre.
Mi ricordo ancora che « scennevo », (mettiamo io ero « apparanzato » con te, e « scendevamo » vuol dire andavamo a « lavorare »), ed all'angolo della via Sant'Agostino con via [...]
[...]dei borseggiati sona dei contadini, venuti dalla provincia o per entrare in una clinica o in cerca di lavoro a per fare la provvigione, e portano i risparmi della loro fatica. E poi vanno ricercati « i fardaioli »: quelli che vengono dalle Americhe, dopo aver lavorato laggiù per molti anni: questi spesso hanno « u surciu abbuzzatu » : pieno di soldi. Poi ci sono gli specialisti per gli autobus, ché non sono tutti capaci di fare una cosa. Qui la difficoltà sta nell'alzare, soprattutto d'inverno, quando c'è il cappotto, per sfilare dalle tasche dei calzoni.
Fino a dodici anni, sempre la stessa cosa. Tante volte per far « lavorare » bene i piccioteddi, gli promettevano che li avrebbero portati ai casini. I ragazzini si facevano le seghe in comune, ognuno per conto
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 157
suo, una specie di gara a chi godeva prima. « Calava u' duce »: che a quell'età non c'era ancora sperma. Una specie di estasi.
Una volta ci hanno portato in quattro in camera da una donna che dedicava le sue opere particolarmente a questi[...]
[...]i, quando la polizia ci ha arrestato, che la polizia sapeva tutto quanto io avevo raccontato alla donna. Li s'era a farci da « nona » un brigadiere dei carabinieri, palermitano come noi, che conoscevamo. Perché abbiama pensato che la donna era una spia? La polizia insisteva nel voler sapere da me se il brigadiere, che poi hanno fatto maresciallo, era dei nostri, come io nel... m'ero lasciato scappare.
A quindici anni sono stato proposto per il riformatorio di Santa. Maria Capo a Vetere, provincia di Napoli. Uno di quelli con i quali lavoravo, dispiaciuto che dovessi essere rinchiuso, mi accompagnò sulla nave (ma incognito, la guardia non sapeva niente), quasi fino a destinazione. E sul treno mi porse un medicinale da strofinarmi negli occhi, perché fossi riformato alla visita al Riformatorio. Cosa che feci, perché anch'io volevo starmene libero e ormai mi piaceva girare l'Italia. Difatti dopo Otto giorni fui riformato: ma ancora oggi agli occhi mi é rimasta un po' di congiuntivite cronica, per quello. Tornato a casa, ripresi a gironzolare per l'Italia. In questo periodo riportai due condanne di venti giorni e trenta, segnate ma non scontate perché minorenne. Un giorno fui arrestato a Roma, e da quella questura ebbi fatte le pratiche per essere rinchiuso, questa volta nell'Istituto Vittorio Emanuele III,. in provinzia di . Mantova. E qui fu la mia prima esperienza « rivoluzionaria ». Ci davano botte, il Direttore faceva cose che é meglio non. dire; bastava che noi giocassimo a tamburello quando lui do[...]
[...]i denunciarlo: scrissimo una lettera al Podestà del comune, nella quale denunciavamo i sopprusi ricevuti, sottoscritta dai piú grandicelli, e a sorte toccò proprio a me consegnarla.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 159
nelle mani del Podestà. È andata a finire che il Direttore, quando son tornato, mi ha puntato la rivoltella addosso, ma lui poi é stato costretto ad andarsene.
Tre anni sono stato 11: vita di recluso, si pub immaginare. Si sacrificava certe volte una parte del pane per cambiarlo, coi contadini che venivano 11, in sigarette fatte a mano. Strada lunghissima fino alla scuola e tutta la gente che diceva: — Povarin, povarin, daghe un pezo de pan, una gota de vino —. Che cosa ci avevano di educatori quelli là non si sa: se il primo lasciava tutto alla legge dell'anarchia, quell'altro voleva fare andare dritto tutto e invece andava tutto storto. Non si sa se andava peggio prima o peggio dopo.
Li ho incominciato dalla terza, per finire alla sesta elementare: mi han portato li perché sapevo un po' leggere per conto mio, avevo[...]
[...]nne un pa' di agricoltura li: a me cittadino 'mi insegnavano cose di terra. Andavo a piantare citrioli a piazza San Pietro?
Poi son stato tre anni a Roma. E li imparai a fare il barbiere. Non mi ero dimenticato le vecchie amicizie, ma già incominciavo _a cercare una via nuova. La questura voleva che io stessi a Palermo, io invece volevo stare a Roma, dove il Tribunale mi aveva dato una madre adottiva. E la questura di Palermo, per risolvere ia difficoltà dell'avanti e indietro, mi infilò per due anni all'isola, al confino a Pantelleria. Anche di questa esperienza meglio non dire: era una corruzione continua. Come si salva un cristianu docu? Come si salva? Basti dire che certi bambini del paese venivano a dire: — Ti fazzu nescere u latte se mi dai una lira —. Mi vergogno a dirle certe cose. Siccome il ca
160 DANILO DOLCI
sino era fuori limite del confino, c'era uno che era arrivato ad essere geloso della propria cagna. Ma non ci si crede se non ci si va. Questa era secondo loro l'opera di redenzione. Ventidue anni avevo quando sono us[...]
[...]cera, il battitore: vendevo statuine, stoffa, orologi «d'oro» eccetera. Finanche lo spicciafaccende, e ho imparato malamente il parrucchiere. Malgrado tutti questi mestieri non sono riuscito mai a accucchiare i piccioli pel matrimonio. La mia fidanzata, che
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 161
vedeva nel matrimonio la soluzione oltre che amorosa anche economica, mi voleva lasciare. In questa sua decisione io vedevo la fine di tutti i miei sacrifici e proposi di fuircene. Ce ne fuggimmo a Roma. Mi trovai così senza una casa propria e senza lavoro. Intanto alcuni a
Palermo dicevano: Meschina, sta picciotta si consumò. Si pigghiò
unu ca nun have travagghiu —.
Andammo ad abitare in casa della mamma adottiva, che fu l'unico mio conforto. Malgrado la sua povertà ci dava da mangiare. Ci sposammo con la semplicità da poveri. Poco dopo mia moglie s'ammalò, la ricoverammo all'ospedale, io continuavo a non lavorare, le difficoltà aumentavano di giorno in giorno, andavo spesso a letto senza mangiare perché non avevo soldi, andavo a trovare mi[...]
[...]Ce ne fuggimmo a Roma. Mi trovai così senza una casa propria e senza lavoro. Intanto alcuni a
Palermo dicevano: Meschina, sta picciotta si consumò. Si pigghiò
unu ca nun have travagghiu —.
Andammo ad abitare in casa della mamma adottiva, che fu l'unico mio conforto. Malgrado la sua povertà ci dava da mangiare. Ci sposammo con la semplicità da poveri. Poco dopo mia moglie s'ammalò, la ricoverammo all'ospedale, io continuavo a non lavorare, le difficoltà aumentavano di giorno in giorno, andavo spesso a letto senza mangiare perché non avevo soldi, andavo a trovare mia moglie all'ospedale a mani vuote. Era assai umiliante per me, non mi sentivo uomo, marito; un giorno che mi fu possibile portarle un'arancia, mi parve giorno di festa. Un'arancia. Che cosa é un'arancia? Eppure per me era tutto.
Mi sentivo isolato da tutti, andavo da un barbiere all'altro per avere lavoro: niente. Volevo andare a trovare qualche mia vecchia conoscenza per rifare quell'altro « lavoro »: la paura di lasciare mia moglie solo mi teneva. Incontrai un giorno un [...]
[...]pesso a letto senza mangiare perché non avevo soldi, andavo a trovare mia moglie all'ospedale a mani vuote. Era assai umiliante per me, non mi sentivo uomo, marito; un giorno che mi fu possibile portarle un'arancia, mi parve giorno di festa. Un'arancia. Che cosa é un'arancia? Eppure per me era tutto.
Mi sentivo isolato da tutti, andavo da un barbiere all'altro per avere lavoro: niente. Volevo andare a trovare qualche mia vecchia conoscenza per rifare quell'altro « lavoro »: la paura di lasciare mia moglie solo mi teneva. Incontrai un giorno un mio amico che borseggiava: mi regalò cinque lire che mi servirono per mangiare due giorni e portare qualche cosa a mia moglie. Mia madre, che comprendeva la mia intima lotta, una sera mentre a tavola mangiavo un piatto di minestra, mi disse: — A Gi', stai attento a quello che fai. Ricordate che adesso ci hai moje e nun poi fa' quello che te pare, speciarmente che quella na regazzina —. Quel consiglio mi rasserenò e, pare, mi portò fortuna. Pochi giorni dopo trovai lavoro in un barbiere napoletano[...]
[...]ne mi meravigliò, conoscendo io quali erano una gran parte degli spicciafaccende a Palermo: imbroglioni e truffatori legati agli uffici dei tribunali, nelle preture, dappertutto. Se tu vuoi un documento falso, attraverso questi si riesce ad averlo.
Ho dovuto poi uscire di casa da mio padre, perché sua moglie, la sera mentre eravamo coricati su due materassi per terra, ci tirava i sassolini. Per farci credere che nella casa c'erano gli spiriti. Difatti una volta mia moglie voleva uscire per il gabinetto, e mi disse tremando: — Gli spiriti ci sono in questa casa, Gino —: le avevano buttato sassolini. Una sera gli spiriti ce li feci io a sua moglie: nella stanza dove dormiva mio padre e moglie, c'era un altarino da dove ci veniva la luce
PAGINE DI UNA INCHIESTA. A PALERMO 163
di un lumino dentro la stanza nostra. Allora una sera che arrivavano sassolini, presi una scarpa, la tirai sull'altarino e si spense tutto e gri
dando io: Gli spirdi, gli spirdi! andai sul letto de la signora
madre, avvolto in un lenzuolo e cominciai a menarle pu[...]
[...] alcuni discorsi sulla religione e sul fascismo, e si meravigliava che non fossi cattolico e fascista. Lei era laureata in lettere. Io alla sua meraviglia risposi che, se avessi avuto la tutela che aveva avuto lei, probabilmente avrei avuto la fortuna di diventare fascista, cattolico e laureato come lei.
Questo affetto di sorella io non lo sentivo. Borghesemente si dice che ci sia la voce del sangue. Io non la sentivo sta voce. E me ne andai indifferentemente, rimanendo d'accordo che ci saremmo rivisti.
Difatti ci siamo rincontrati: e una volta, mentre andava a rinnovarsi. la tessera del partita e volle essere da me accompagnata a piazza Bologni, alla sede del fascio. Mentre camminavamo mi avvertî che se avessimo incontrato un uomo bassetto, io mi sarei dovuto allontanare, essendo questo il fidanzato e avrebbe potuto sospettare (e anche non voleva che si sapesse che eravamo fratello e sorella).
E non ci siamo visti piú. Ci siamo rivisti finita la guerra, quando mori mio padre. E frequentavo casa sua. Io era già comunista, ora. Mi invitò poi, una volta, in occasione della festa di Natale, a cena[...]
[...]co il contatto fisico come è stato. Io avevo il salone, si viveva d'intrallazzo, io vendevo le sigarette di contrabband che mi venivano fornite direttamente da una guardia di finanza. Io la cosa la facevo senza scrupoli perché si può dire che la facevano tutti i saloni. Mangiavo bene così, mentre intorno c'era fame. Un giorno volevo organizzare una dimostrazione contra l'affamamento: l'ho organizzata. Mi appartai nel retrobottega, scrissi MI manifesto nel quale finivo: — Viva Stalin, viva Roosvelt, viva il Comunismo siciliano.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 165
Raccolsi soldi per stamparlo, comprai la colla, e fécimo per conto nostro il partito Antifascista d'Azione: e nella nostra intenzione era quello di dare bastonate ai fascisti. Con l'aiuto di alcuni altri miei conoscenti, li andammo ad incollare nelle vie e distribuirli ai passanti, nei centri della città.
Un giorno, mentre ero intento a far la barba, si fermò davanti al salone una lussuosa macchina americana. Io credevo si trattasse di un cliente di riguardo e dissi a mía moglie di prendermi un asciugamano pulito. E invece erano ufficiali americani, venuti per arrestarmi sotto l'accusa di aver trasgredito al manifesto di Alexander. Mi hanno dato: — Lei non conosce il manifesto di [...]
[...]isti. Con l'aiuto di alcuni altri miei conoscenti, li andammo ad incollare nelle vie e distribuirli ai passanti, nei centri della città.
Un giorno, mentre ero intento a far la barba, si fermò davanti al salone una lussuosa macchina americana. Io credevo si trattasse di un cliente di riguardo e dissi a mía moglie di prendermi un asciugamano pulito. E invece erano ufficiali americani, venuti per arrestarmi sotto l'accusa di aver trasgredito al manifesto di Alexander. Mi hanno dato: — Lei non conosce il manifesto di Alexander? — Io non conosco niente, la gente muore di fame —. E mi hanno inviato al tribunale militare, il quale mi ha dato un anno con la condizionale.
Dopo alcuni giorni é venuto al salone un maestro di scuola, il quale mi ha invitato, per quello che avevo fatto, ad andarlo a trovare dove avevano sede le riunioni dei socialisti. Perché ancora non avevano il permesso di organizzarsi pubblicamente. Ho frequentato alcune riunioni. Un giorno si doveva votare un ordine del giorno che non condividevo e sono stato rimproverato per il mio modo di esprimermi. Avevo presentato la domanda d'is[...]
[...] socialisti. Perché ancora non avevano il permesso di organizzarsi pubblicamente. Ho frequentato alcune riunioni. Un giorno si doveva votare un ordine del giorno che non condividevo e sono stato rimproverato per il mio modo di esprimermi. Avevo presentato la domanda d'iscrizione, ma siccome mi ero stufato, perché si facevano sempre discussioni e io volevo agire, non sono andato più alle riunioni. Poi ci fu l'autorizzazione e aprirono la sede. E rifrequentai. Organizzai una dimostrazione dei barbieri e in questa occasione conobbi un comunista il quale mi disse che il mio posto era nel partito comunista. Io non trovai nessuna difficoltà e mi iscrissi al partito: 1943. Ho cominciato subito ad essere responsabile di una cellula di strada. Poi di una sezione. Leggevo con piacere, perché oltre ad apprendere la dottrina del partito, soddisfacevo una mia esigenza di studio che avevo avuto sempre. Organizzavo delle letture in collettivo, con degli operai: abbiamo incominciato col « Materialismo storico e dialettico » di Marx. Ci sforzavamo a capire, mesi e mesi. La storia del partito bolscevico, « La città del socialismo » di Gramsci. Da questo libro ho tratto un insegnamento che mi ha servito: la società é come un treno di [...]
[...]cominciato col « Materialismo storico e dialettico » di Marx. Ci sforzavamo a capire, mesi e mesi. La storia del partito bolscevico, « La città del socialismo » di Gramsci. Da questo libro ho tratto un insegnamento che mi ha servito: la società é come un treno di tanti vagoni, alla testa del quale c'è una locomotiva di tipo moderno, mentre gli altri vagoni rappresentano le fasi della società passata, con tutte le sue strutture, con tutti i suoi difetti. Il viaggio viene
DANILO DOLCI
difficile perché questi vagoni sono scarcassati; ogni tanto cade una vite, cade uno sportello. Per cui é necessario, per aggiustarli, la collabora zione di tutti quelli che sono sul treno. E quando tutto é messo a punto, si viaggia speditamente verso la città del socialismo. M'ero fatto una cultura marxista, e continuavo a lavorare da barbiere. Siccome questo mestiere, specie a Palermo, non é tanto redditizio e io ormai ero padre di quattro bambini, cercavo di evadere, far qualche altra cosa. Un giorno parlai ad un compagno qualificato il quale mi propose di andare a fare il fattorino alla Federb[...]
[...]sportello. Per cui é necessario, per aggiustarli, la collabora zione di tutti quelli che sono sul treno. E quando tutto é messo a punto, si viaggia speditamente verso la città del socialismo. M'ero fatto una cultura marxista, e continuavo a lavorare da barbiere. Siccome questo mestiere, specie a Palermo, non é tanto redditizio e io ormai ero padre di quattro bambini, cercavo di evadere, far qualche altra cosa. Un giorno parlai ad un compagno qualificato il quale mi propose di andare a fare il fattorino alla Federbraccianti. Ed io accettai. In questo periodo la direzione del partito aveva indetto un corso politico per corrispondenza, al quale io partecipai. So io quale sforzo facevo e quale impegno mettevo nello studio, perché avevo coscienza che più mi sarei educato politicamente, piú avrei dato al partito. E ` in questo studio, ricordavo ancora una volta un detto di Gramsci il quale in un suo libro dice: Istruitevi, perché la rivoluzione é rivoluzione di uomini. La società ha bisogno di uomini nuovi, consapevoli —. Studiavo alla luce [...]
[...]giusta; e questo mi rispose — Scusami compagno Gino: se io lavoro il terreno col mulo, e quello lo lavora solo, all'ora del prodotto io n'ho a pigliare più assai.
La sera prima, quando si decise di occupare la terra (noi cerchiamo di non dare la sensazione di essere noi che organizziamo, ma di andare sul posto per sentire quali sono le esigenze vive, e aiutarle a riuscire), i contadini ci dissero che dovevano essere tutti all'alba in un punto. Difatti ci trovammo li, noi per i primi i dirigenti, e via via venivano tutti gli altri contadini, con i muli, con le zappe, bambini, giovani.
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Quando arrivammo noi era quasi scuro, poi andava allalbando e man mano venivano i contadini. Camminando parlavano, chi pensava già al futuro raccolto, un'allegria continua, una contentezza come se si fosse già sul posto a lavorare. Era emozionante vedere come alcuni contadini, i quali erano reduci dalla guerra di liberazione, si facevano avanti per prendere loro la direzione dell'operazione. E mi si facevano attorno. Qualcuno guardava se[...]
[...]Intanto che discutevamo, il capo della sezione locale se ne é andato solo, dentro il feudo. E così noi anche preoccupati per lui, solo, andammo tutti.
E qui quello che ti dicevo prima: uno mette la cinta, l'altro le pietre, l'altro un pezzo di canna. Ognuno prendeva per conto proprio. Il terreno i proprietari, credendo di fare i furbi, l'avevano fatto arare pochi giorni prima per dire che non era incolto. E intanto i contadini cominciarono a « rifundere »: spaccare i blocchi di terra.
La giornata passe) così, a lavorare. A un certo momento ci sedemmo a gruppi, a mangiare pane e formaggio e qualche contadino aveva portato un po' di vino.
Ma la mattina avevamo visto sbucare da lontano un uomo, vestito da mafioso, con gli stivaloni, la giacca e la coppola di velluto
(«coppole di seta, coppole di velluto,
m'hai dato appuntamento e 'un sei venuto...»)
e i calzoni alla cavallerizza. Schioppo sulla spalla. Dice: — Che facete? Cu vi ci purtau ca? — Io ci andai incontro e ci dissi che in virtù della legge SegniGullo, occupavamo le terre. C[...]
[...]ine erano perlustrati dai gruppi di carabinieri, tra questi anche quelli della C.F.R.B. (Comando Forze Repressione Banditismo). Seppi che si voleva a qualunque costo evitare l'occupazione del feudo. Partii per Terrasini, visitai Partinico e da qui a Montelepre. Ovunque mi portavo, ovunque leggevo chiaramente nel volto dei contadini la loro contentezza per l'approssimarsi della realizzazione di un loro sogno secolare: « un pizzuddu di terra ». È difficile descrivere il mio stato d'animo di quei momenti. Montelepre era a quel tempo al centro dell'attenzione internazionale ed &a mi trovavo a Montelepre, centro del banditismo.
Alcune volte pensavo che trentasei capi contadini, in Sicilia, erano già caduti sotto il piombo dei sicari. Chissà... Eppure avevo commesso delle imprudenze: da Montelepre ero andato a Carini, assieme a un contadino, a piedi, prendendo in mezzo le trazzere. Una volta da Partinico a Montelepre. Tu capisci? Neanche durante la guerra di liberazione avevo pensato a questo, forse perché li il nemico lo avevo di fronte; qu[...]
[...]e reclutato), ritornai alla Federbraccianti, alla mia attività normale.
Quando é venuto Eisenhower in Italia per ispezionare le truppe, la popolazione aveva inscenato una dimostrazione contro la guerra. Io mi trovavo in piazza Massimo, perché volevo partecipare anch'io. Ad un dato momento non so cosa é avvenuto, una confusione, ho visto spingere una donna su una camionetta e l'Onorevole Colajanni che,
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qualificandosi come deputato regionale, cercava di dissuadere la polizia ad arrestare quella donna. Si è gridato: — Viva la Sicilia. Viva il Parlamento Siciliano — credendo che stessero arrestando Colajanni. E successo un parapiglia. Cominciò la solita girandola della celere e mi sono sentito afferrare per il collo da un scelbino. Pur mostrando il mio distintivo (lo porto «abusivamente », la galera c'è, perché è un mio diritto: lo Stato mi passa la pensione di guerra ma l'Associazione mutilati non mi vuole iscrivere perché ero pregiudicato: e adesso, a dir questo, voglio vedere se sono anche capaci [...]
[...]si il valore che aveva « l'Unità » che, malgrado la galera, mi teneva in contatto col partito. Anzi, un giorno, aprendo la pagina, vedo che c'era un articolo sotto forma di lettera aperta, sottoscritta da tutti gli organismi di massa e da alcuni deputati, nel quale si diceva: — Chi è Gino O.? —E li la mia biografia e il maturarsi della mia lunga redenzione alla testa delle lotte per la libertà e per la pace. Se non ci fossero stati i compagni a difendermi, sarei andato sicuramente per cinque anni al confino.
Nella commissione per l'ammonizione, c'era il Prefetto il quale voleva sapere cosa stessi facendo in mezzo la folla. Anzi, mi disse apposta :
Nella folla mancano i portafogli. — Io mi sentivo come male, umiliato. Intorno a me, in un ambiente di gran lusso, sentivo i profumi di alcuni paltò posati sui divani di velluto e delle sigarette di lusso. Insiste, indicando il mio paltò che avevo comprato sulla bancarella della roba « americana)): — Come, lei porta questo cappotto di lusso?
Fui ammonito per due anni (non potevo far più att[...]
[...]che notizia... A me solo direttamente... Senza parlare con nuddu...
A Palermo dicono: — A tia pensu! piuttosto mi sarei ammazzato, piuttosto che fare il cioccolattaro.
A Palermo, per dire a uno « spia », ci si dice «cioccolattaro ».
I cioccolattari sono una specie di associazione, delle ganghe, costituite abitualmente da pregiudicati, quattro o cinque. Prendono un centinaio di cioccolatti, dentro ci mettono dei bigliettini con scritte delle cifre che vanno da 10 a 500, a 3000, a 4000, 5000. Questi cioccolattini numerati si aggiungono ad altri trecento circa normali.
I cioccolattini con dentro un bigliettino da 500 o 5000, hanno sulla carta fuori, segnati dei puntini impercettibili che solo i zaraffo (il compare) sa. I cioccolattari vendono i numeri come gli arriffatori. Prima, per attirare la gente, fannu u trippiu: i buffoni, come certi arriffatori in coppia: si danno schiaffi, fanno Bragalone, fanno nascere l'uovo dal cappello. Chi vince ha il diritto di pescare, a sorte. Quando la vendita fredda, interviene il compare; finisce sempre che la gente prende i cioccolattini o vuoti o con le cifre basse: 100 lire, 200. Le cifre alte le prendono i compari. Se per caso dovesse capitare che uno del pubblico prende il cioccolattino con il biglietto delle 5000 lire, il cioccolattaro fa uscire il numero dal doppio fondo.
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A Palermo saranno circa duecento cioccolattari. Siccome questo é un gioco d'azzardo, é una truffa « alla americana », non potrebbero farlo, pubblicamente come lo fanno, se non fossero confidenti della polizia. Fanno anche i giochi con le carte (« chistu perde e chistu vince »); e i ditali con la pallina.
Quasi ogni rione ha suoi cioccolattari. C'é qualche ex mala[...]
[...] é al servizio della Questura. Le autorità invece di aiutare questi uomini nel lavoro e nell'elevazione loro, approfittano del loro stato di soggezione, di quello — come lo chiami tu — complesso di colpa di quello che son stati nel passato, e buttano piú sotto. Almeno quando sono così detti « uomini d'onore », hanno un certo prestigio, sia pure nella malavita; dopo, divenuti pure dei traditori, perdono anche il legame con le vecchie amicizie, schifati da tutti.
Il rapporto fra le autorità e tutta la gente che campa e non campa, é l'elemosina, il paternalismo : quando c'é. Chi ci ha bisogno, per esempio i venditori di mussu o milza, di avere per forza la merce da uno, perché ce n'é poca, lo considerano come un loro piccolo Dio: che basta che questo gli levi la partita, per morire dalla fame. Questi poveracci poi votano dove dice questo piccolo ras; votano per la partita, che a loro glie ne frega della politica, in genere. Qui ci si infilano i mafiosi per portare voti dove dicono i ras. Ma la mafia é un'altra cosa: quando a una bottega c[...]
[...]; oggi invece quando l'incontro mi fanno pieta : sono ancora allo stesso punto, non hanno fatto nessun passo in avanti: hanno la stessa mentalita).
Confusione immensa, la gente è accalcata talmente da dare l'impressione d'essere l'uno sopra l'altro. — Zitti, per favore! — L'agente chiama: — Mazzola, Ganci, Di Maggio. — Presente! — Non c'è. —
Tenga, la passi giù in fondo. — Scusi, é il mio? No. — Intanto in
mezzo la folla si brontola: — Che schifo, ma che razza d'ordine c'è? — Ci vorrebbe una bomba. — Stia zitto altrimenti lo arrestano come quello dell'altro giorno. — Le donne sono in mezzo agli uomini. Un giovane, nella confusione, pomicia: con la mano in tasca accarezza la vicina. Piove, ci si vorrebbe riparare dentro l'ufficio. Si spinge. Dal di dentro si respinge e la guardia grida: — Indietro! — Si insiste per entrare. Un invalido si fa largo coni gomiti. — Documenti? Scusi lei dove va? —
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Minasola! Minasola! — Il portone si chiude, si riapre. — Scusi ha chiamato Geraci? — Per favore il mio [...]
[...]nge. Dal di dentro si respinge e la guardia grida: — Indietro! — Si insiste per entrare. Un invalido si fa largo coni gomiti. — Documenti? Scusi lei dove va? —
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Minasola! Minasola! — Il portone si chiude, si riapre. — Scusi ha chiamato Geraci? — Per favore il mio tesserino. — Venga domani. — Ma io sono ammalato. — Che cosa posso farci io?
È una torre di Babele, non un ufficio di collocamento.
Certe volte rifletto che son trascorsi quarantadue anni di vita senza aver approdato a niente. Però penso che parte dei miei anni li sto spendendo per agevolare gli altri, perché altri non siano costretti a fare le mie esperienze. Poi, ritengo di vivere per un obbligo verso la mia famiglia, verso i miei figli, verso il partito, che ritengo sono state le lotte, le esperienze del partito che mi hanno reso uomo nuovo. Spesso la mattina, quando mi alzo prima di andare a lavorare, vado al lettino dove dor mono due dei miei bambini e, baciando il più piccolo, penso che almeno lui ha le carezze e i baci che io non [...]