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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Hai è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 153Analitici , di cui in selezione 6 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]« Cosi », disse Salomone Croux, « compi gli anni. Beh, auguri ».
«Auguri vivissimi », disse l'altro, il ragazzo Attilio Glarey, e sorrise.
« Ho venduto il prato », disse César Borgne. « A un industriale. Ci costruisce una villa. Una villa in cemento armato, con riscaldamento centrale, garage e tutto il resto. E un signore. E il più grosso industriale di Biella ».
« Bel colpo », disse il ragazzo Attilio Glarey.
Così », disse Salomone Croux, « hai venduto un prato s.
« Già », disse César Borgne.
«Che prato? ».
« Che prato? Il mio. Il prato sotto il canale ».
« Proprio un bel colpo », disse il ragazzo Attilio. Sorrideva.
« Peccato », disse Salomone Croux.
«
Peccato? », disse César Borgne aggrottando la fronte. « Perché
peccato? ».
« Perché era un buon prato ».
74 GIOVANNI PIRELLI
« Se l'ho venduto è perché era un affare ».
Salomone Croux alzò le spalle. « Era della zia Jacqueline buonanima », disse, « vedova di Evaristo Grange, fratello di mia madre buonanima ».
« E zia di mia madre », precisò César Borgne.
« Fosse stato m[...]

[...]no per un milione ».
«Lo vendevi si », disse César Borgne. « No, non lo vendevi per paura di farti fregare ».
Il ragazzo Attilio rise forte. Teneva apertamente per César. Puntò l'indice sulla bottiglia di grappa e disse: « Beh, non si beve? ».
La risata di Attilio irritò Salomone Croux. « A questo mondo c'è chi è capace di ragionare e chi non lo è », disse, volgendo, poiché era strabico, un occhio a César Borgne e uno al ragazzo Attilio. « Se hai un prato, sai cos'è. E un prato. È li. Non si muove. Non diventa più grande ma nemmeno diventa più piccolo. Quest'anno ci hai fatto tre fieni. L'anno venturo ci fai tre fieni. Tutti gli anni ci fai tre fieni. Più buoni, meno buoni, sono sempre tre fieni. Venisse anche il diluvio universale, quando l'acqua scola via cosa trovi? Il tuo prato. Questo, nella mia testa ignorante, è un prato ». Parlava lentamente, teneva la mano destra aperta con il palmo all'insù e le dita allargate come vi reggesse il prato, la fissava compiaciuto come se le fienagioni vi si susseguissero l'una via l'altra. Quindi chiuse la mano destra a pugno per significare che il prato non c'era più e dischiuse la sinistra sollevandola a scatti come [...]

[...]oco fa era piena sino al collo e adesso non ce n'è nemmeno una goccia per inumidire le labbra. Così, signori, è il danaro. Esattamente così ». Con una smorfia di sprezzo depose la bottiglia sul tavolo, riportò soddisfatto il busto all'indietro chiudendo a pugno anche la mano sinistra.
« Al diavolo », imprecò César Borgne. « Prendo fuori una bottiglia di grappa, la prendo per festeggiare e tu, sacrenom, me l'adoperi per i tuoi stupidi esempi. Mi hai fatto passare la voglia ». Allontanò da sé la bottiglia. « Me la sento sullo stomaco anche solo a guardarla ».
«Meglio così », disse Salomone Croux. «Per me la grappa è veleno. Mi dá bruciore di stomaco ».
« E invece no, la beviamo », disse César Borgne. « E sai alla faccia di chi? Alla faccia degli invidiosi ». Mise tra i denti la fettina di tappo che emergeva dal collo della bottiglia, strinse, fece ruotare il vetro. Con un rumore di rutto il tappo si staccò dal vetro. César fece scarrere due bicchieri da vino lungo il piano del tavolo, uno verso Salomone che gli stava di fronte, uno vers[...]

[...]i settantacinque. Vuol dire bruciarsi le budella. Troppi. Ne bevo un sorso proprio perché ti sei ficcato in testa di voler festeggiare. Lo bevo perché un amico non lo si abbandona nei momenti difficili. Questo bicchiere e basta. No, non è bene abbandonare un amico nei momenti difficili. E così, eccomi qui che mi brucio le budella perché tu ti devi consolare di aver venduta il tuo prato ».
« Al diavolo », disse César Borgne senza più allegria. « Hai deciso di rovinarmi la festa ».
Per qualche tempo nessuno parlò. César, scrupolosamente imitato dal ragazzo Attilio, beveva a generose, ben intervallate sorsate; Salomone a sorsatine fitte accompagnate da smorfie di disgusto. Stavano come se ciascuno fosse solo con il proprio bicchiere. Nella stalla, fiocamente illuminata da una lampadina nuda e sporca appesa ad un chiodo, stagnava il tiepido umidore del fiato della mucca. Impregnava tutto, la mangiatoia, il tavolo di noce, la lunga panca ad angolo dietro il tavolo, gli sgabelli, la credenza rosa dai tarli, le tavole del soffitto, l'intonaco[...]

[...]vrebbe detto (parlava sempre seriamente) se non avesse avuto il sospetto di non poterlo più fare. César gli stava riempiendo il bicchiere,. Salomone decise di non sollevare questioni. Bastava lasciarlo pieno.
« Ma va », disse César.
Il ragazzo Attilio meditava, cupo, come vendicarsi di César che si era fatto beffe di lui, l'aveva trattato da bambino; peggio, da donna. Era gonfio di stizza ma totalmente vuoto d'idee.
« Non voglio sapere quanto hai preso del prato. Non mi interessa », disse Salomone.
« Bene. Allora non parliamone più ».
« Non mi interessa », ripeté Salomone. Meditava. Meditando portò il bicchiere alle labbra. Si ricordò che non voleva bere. Ripose il bicchiere sul tavolo. L'aveva appena posato che, meditando, tornò a portarlo alle labbra. Una buona grappa, distillata nella cantina di casa,. una grappa di pura vinaccia, brucia alle prime sorsate. Bevine un altro poco. Non brucia più. Bevine ancora. Più ne bevi, più ti sembra di bere acqua fresca. « Puoi aver preso molto, puoi aver preso poco; la cosa non cambia ».
« C[...]

[...]iù ti sembra di bere acqua fresca. « Puoi aver preso molto, puoi aver preso poco; la cosa non cambia ».
« Cambia si », disse César.
« Non cambia », disse Salomone. « Uno che vive in una grande.
QUESTIONE DI PRATI 83
città, o ha il conto in banca o è un disgraziato. Uno di noi, o è padrone sulla sua terra o è un disgraziato ».
« Certo », scattò sù il ragazzo Attilio. « Certo. È un disgraziato ». « Tu sta zitto », disse César.
« Mettiamo che hai preso mezzo milione », disse Salomone. Fece una pausa e scrutò in viso César. César non reagì. Ce l'aveva con Attilio. Quel moccioso si permetteva di dare del disgraziato a uno che poteva essere suo padre. « Mezzo milione », ripeté Salomone dopo aver preso un'altra sorsata di grappa. « È poco? È molto? Nessuno potrebbe rispondere. Cos'è mezzo milione? È un numero ».
« Sono soldoni », disse César battendosi una mano sul petto.
Salomone si accorse che in quel punto la giacca di César era gonfia. « Facciamo un esempio », disse. « Questo bicchiere è mio. Tu lo vuoi comperare. Io te lo vendo. Ti[...]

[...]o molte per comperare un bicchiere uguale ».
« Cosa c'entra un bicchiere con un prato? », disse César. Faceva lo spavaldo ma era nervoso. Si arricciava in dentro la punta di un baffo. « Giusto. Un prato è un'altra cosa », disse Salomone.
« Oh già », disse il ragazzo Attilio. « Peccato che César non abbia venduto, invece del prato, un bicchiere ». Rise forzatamente.
« Un bicchiere », disse Salomone, « vai al mercato e ti provi, con i soldi che hai preso, a comperarne uno uguale. Con il prato la prova non serve. Perché? Perché non troverai mai un prato uguale a quello che hai venduto ».
« Era un buon prato », disse il ragazzo Attilio.
« Stai facendo il furbo », disse César a Salomone. « Fai l'esempio del bicchiere e tu stesso dici che un prato è un'altra cosa ».
«Torniamo pure al bicchiere », disse Salomone. Portò il bicchiere vicino agli occhi strabici, lo rigirò sulla punta delle dita, sorseggiò un altro po' di grappa. « Mettiamo che non esista un bicchiere uguale a questo. Per sapere se ho fatto un affare buono o cattivo non ho che un mezzo : provo a ricomperare il bicchiere che ti ho venduto ».
« Vorresti dire... ». César adesso sudava. Beveva, sudava e si[...]

[...]bicchiere », disse Salomone. Portò il bicchiere vicino agli occhi strabici, lo rigirò sulla punta delle dita, sorseggiò un altro po' di grappa. « Mettiamo che non esista un bicchiere uguale a questo. Per sapere se ho fatto un affare buono o cattivo non ho che un mezzo : provo a ricomperare il bicchiere che ti ho venduto ».
« Vorresti dire... ». César adesso sudava. Beveva, sudava e si tirava in dentro la punta del baffo.
« Sei in gamba, César. Hai già capito. Per sapere se hai fatto un affare buono o cattivo non hai che un mezzo : provare a ricomperare
84 GIOVANNI PIRELLI
il tuo prato ». Il ragionamento chiudeva in modo così impeccabile che Salomone si sentì intelligente più di quanto già sapeva di esserlo. Si accorse che il suo bicchiere era quasi vuoto. Non ne fu contrariato. Se bere lo rendeva più intelligente, valeva la pena, una volta tanto, di bere. Scolò il resto della grappa e ruttò con soddisfazione.
« Ricomperare il mio prato? », disse César. « E impossibile ».
« Se le cose stanno così, vuol dire che ha fatto non un cattivo, ma un pessimo affare ».
« Non è questo che voglio dire. E che il [...]

[...]suo bicchiere e il proprio.
« E a me? », disse il ragazzo Attilio.
Salomone riempì anche il bicchiere del ragazzo Attilio. « In concreto », disse. « Vai a Biella da quel tuo Marconi, o Maltoni che sia, gli metti il mezzo milione sul tavolo e dici: `Vi dò indietro il vostro mezzo milione, voi mi date indietro il mio prato'. Quello è un industriale e i conti li sa fare. Se accetta, vuol dire che aveva fatto un affare cattivo. Tu, in questo caso, hai la soddisfazione di sapere che avevi fatto un buon affare ».
« Ma se l'affare era buono perché devo ridargli i quattrini? ».
« Oh Dio », si spazientì Salomone, « pretendi troppo. Se non hai la prova come puoi sapere se l'affare era buono o cattivo? ».
« E se invece... », disse César. La voce gli tremava.
Salomone allargò le braccia. « Se invece è il Marconi che ha fatto un buon affare, lui si tiene il prato e tu il tuo cattivo affare. Amico mio, gli affari sono affari ».
César stette alcuni istanti zitto. Sudava e si asciugava la fronte con il dorso della mano. « Non ci vado. Non mi va d'andarci », disse impetuosamente, puntando l'indice contro Salomone. « Perché ho capito che, se ci vado, in un caso o nell'altro il fregato sono io. Non ci vado », ripeté mentre le vene del co[...]

[...] dorso della mano. « Non ci vado. Non mi va d'andarci », disse impetuosamente, puntando l'indice contro Salomone. « Perché ho capito che, se ci vado, in un caso o nell'altro il fregato sono io. Non ci vado », ripeté mentre le vene del collo gli si facevano gonfie, « perché se me lo vedo davanti, l'industriale, il gran signore, finisce che gli spacco il muso. Pochi o molti, mi tengo i quattrini ».
« Ho capito », disse Salomone. « È come pensavo. Hai fatto un pessimo affare ».
« E invece no. Ho preso tanti soldi come tu nemmeno te li sogni ».
QUESTIONE DI PRATI 85
«Ah si? ».
« Si ».
« Quanti? »,
« Tantissimi ».
« Ecco », disse Salomone con tono calmo e distaccato. « E vuota ».
« Che cosa? », disse César trasalendo.
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'è piú.
Non ce n'è nemmeno da inumidire le labbra ».
V
César si rovesciò in gola ciò che avanzava del suo bicchiere. « Sono tanti quattrini, tanti, tanti », disse ostinatamente, con voce già roca, « come tu nemmeno te li sogni. Sono tantissimi ». Si morse il l[...]

[...]e prati identici ».
« Certo che non ci sono. Di proprio identici non ce ne sono mai. Forse che ci sono due bicchieri proprio identici? Forse che questi due bicchieri sono identici? Se guardi bene, uno ha sempre qualcosa
88 GIOVANNI PIRELLI
di diverso dall'altro. Però è un bel caso che ci siano due prati quasi
identici come due bicchieri ».
« E tu glielo daresti? », disse il ragazzo Attilio.
« Farei così. Gli direi: non voglio sapere quanto hai preso del tuo
prato. Non mi interessa. Tanto hai preso, tanto mi dai ».
« Oh », disse il ragazzo Attilio. « Gli daresti il prato senza sapere
se ha preso poco o molto? ».
« Certo. Ma non quel prato di cui parlavo. Un altro. Il prato di
cui parlavo non lo darei nemmeno per un milione ».
« Quale prato gli daresti? ».
« Un buon prato. Un tantino più piccolo, più in pendenza. Invece
di essere sotto il canale, è sopra. Sarebbe un prato più che bastante per
chi ha una mucca sola. Mucca », disse Salomone levando il bicchiere alla
mucca di César, « bevo alla tua salute ».
« Alla salute di Claretta », disse il ragazzo Attilio levando il bi[...]

[...]leva divertirsi ma gli era venuto il dubbio che l'uccisione della mucca, fatta malamente, non gli sarebbe piaciuta. Il ragazzo Attilio aveva affondato il viso nelle mani.
« È corto », ammise a malincuore César. « La buco senza arrivare al cuore ».
« Meglio se la dai al macellaio », disse Salomone.
«Non gliela dò, al macellaio non la dò. Non la dò a nessuno ».
« Fai bene. I macellai sono tutti macellai. Povera Claretta, lei non ha colpa se tu hai venduto il tuo unico prato. Meglio sarebbe tirarle una schioppettata in fronte. Morirà senza accorgersene ».
« No, Cesar, non con il fucile! », implorò il ragazzo Attilio, togliendosi le mani dagli occhi per portarle alle orecchie.
« E invece proprio con il fucile », disse César. Mandò il coltello a conficcarsi nella mangiatoia, si spostò al cassone dove teneva il Mauser, ne sollevò il coperchio. Seguiva il suggerimento di Salomone, ne provava rabbia, ma che farci?, mica poteva, per contraddire Salomone, ammazzare la mucca dando fuoco alla stalla.
Stava immergendo la mano nel cassone quand[...]

[...]i occhi per portarle alle orecchie.
« E invece proprio con il fucile », disse César. Mandò il coltello a conficcarsi nella mangiatoia, si spostò al cassone dove teneva il Mauser, ne sollevò il coperchio. Seguiva il suggerimento di Salomone, ne provava rabbia, ma che farci?, mica poteva, per contraddire Salomone, ammazzare la mucca dando fuoco alla stalla.
Stava immergendo la mano nel cassone quando la voce di Salomone lo fermò. « Se quelle che hai li sono cartucce a pallini, ti faccio presente che Claretta non è una lepre. È una mucca ». Lasciò ricadere pesantemente il coperchio del cassone. Maledetto uomo. Mille volte maledetto. Aveva sempre un cavillo da tirar fuori al momento opportuno. Lo guidava come un burattino. Lo spingeva in un senso, lo tirava, a suo piacimento, nel senso opposto.
« Sai cosa? », disse Salomone. « Impiccala. Se l'impicchi non c'è né rumore né spargimento di sangue ».
César impallidì. Quando era bambino di cinque o sei anni, sua nonna, la madre di sua madre, era stata trovata appesa a una corda in solaio. Una[...]

[...]i, parecchie. Qualcuno s'impicca, altri si buttano nel fiume; ai più anziani basta il lavatoio. Volse gli occhi al soffitto. Travi non ne mancavano. Erano travi grosse, capaci di reggere non una, dieci mucche. Non c'era che da sollevare una tavola (sopra vi era un fienile vuoto) e far passare la corda intorno al trave. Facile, facilissimo. Tuttavia esitava. Sperava ancora di scoprire un ostacolo per non farne niente.
92 GIOVANNI PIRELLI
«
Cos'hai? », disse Salomone. « Non ti senti bene? ».
Boja fauss. Quel maledetto gli leggeva dentro come in un libro. « Cosa credi? Che César Borgne ci pensi due volte prima di impiccare una mucca? ». Dalla cassapanca si riportò alla dispensa, appoggiandovi contro una sedia. Sall sulla sedia, estrasse da sopra la dispensa una corda da montagna coperta di muffa, scese, spostò la sedia sotto un trave in corrispondenza della mangiatoia, vi risali, sollevò una tavola del soffitto, fece passare la corda intorno al trave, preparò il cappio. « Ecco », disse.
Salomone disse: « Bravo. Hai fatto un buon lavoro[...]

[...]e César Borgne ci pensi due volte prima di impiccare una mucca? ». Dalla cassapanca si riportò alla dispensa, appoggiandovi contro una sedia. Sall sulla sedia, estrasse da sopra la dispensa una corda da montagna coperta di muffa, scese, spostò la sedia sotto un trave in corrispondenza della mangiatoia, vi risali, sollevò una tavola del soffitto, fece passare la corda intorno al trave, preparò il cappio. « Ecco », disse.
Salomone disse: « Bravo. Hai fatto un buon lavoro, ordinato e preciso. C'é un solo inconveniente. La tua stalla é bassa. Troppo bassa per impiccare mucche. Va giusto bene per un uomo non tanto grande, grande pressapoco come te. Io direi che tu lasciassi perdere la mucca e provvedessi a te stesso. Io, nei tuoi panni, lo farei ».
« Tu credi?, credi che io non trovo il modo di impiccare una stupida mucca? ». Era disperato. Fu proprio la disperazione che in quel punto gli suggere un'idea. Non la vagliò; gli bastò immaginare, in un lampo, la scena. Si, era un'idea geniale, degna di César Borgne. Il suo viso si trasfigurò. Da[...]

[...]Al diavolo », disse César scoraggiato. « Non ho mai conosciuto gente più fagiana di voi due ». Ma non si diede per vinto. « Allora, Attilio, monta tu sulla mucca. Sei leggerino. Sei un cavaliere ideale. E tu, Salomone, sei la banda. Vieni, Attilio, vieni ».
94 GIOVANNI PIRELLI
Il ragazzo Attilio era ancora n, le mani dolenti e intirizzite chiuse a pugno sulla bocca. « Non mi va », disse, muovendo all'indietro. « Non mi va di fare il cavaliere. Hai detto che io sono la banda ».
« Ho cambiato idea », disse César.
Attilio fece una giravolta sui tacchi ma scivolò sul ghiaccio finendo gattoni. César gli fu sopra, lo strinse nelle braccia, lo sollevò di peso, lo issò in groppa alla mucca.
« Cado, cado », gemette Attilio.
a Attaccati alle corna. Nessuno é ancora morto per aver cavalcato una mucca. Beh, Salomone, cosas aspetti? ».
Salomone, felice di aver scambiato ruolo con Attilio, raccolse le padelle. Essere la banda si confaceva con il suo stato d'animo. Sin dalla prima, energica battuta, la mucca fece uno scarto. Mentre puntava le ga[...]

[...]ano gli giungeva all'orecchio. Era la voce di un altro. Chi poteva essere quest'altro? E César, dove si era cacciato costui?
« Ho freddo », disse il ragazzo Attilio. « Io me ne vado. Vado a letto ».
La voce si fece ancora sentire. Era la voce di César per il solo motivo che non poteva essere d'altri. « Sacrenom, non capite che sto crepando? ».
Addirittura? A chi credeva di darla da bere? No, Salomone non
QUESTIONE DI PRATI 101
ci cascava. « Hai ssentito? », disse ad Attilio. « E César. Ddice che ccrepa ».
« Che crepi », disse il ragazzo Attilio. « Crepo anch'io. Crepo di freddo. Digli che faccia presto ».
« Presto! », fece eco la voce di César. « Tirate indietro la mucca! ».
Il tono era tale che Salomone si convinse di dover fare qualcosa. Per), siccome diffidava ancora e non voleva passare per fesso, disse ad Attilio con tono distaccato: « Nnon ssenti? Ddice di tiidi tirar indietro la mmucca ». Prese la coda dell'animale e ne agitò il ciuffo sul viso di Attilio.
« Non mi va di tirare », disse il ragazzo Attilio schernendosi con[...]

[...]graziato. Non poteva capitare a Salomone di salire davanti alla mucca? Certo. Bastava dirglielo. Invece a Salomone capitavano tutte le fortune. A che scopo? Per morire ottantenne nel suo letto, solo come un cane, con un patrimonio di prati e di mucche che non sapeva a chi lasciare? Non si diceva, in paese, che Salomone era iettatore? Lo era, lo era. Diceva: `Vedete questa bottiglia piena di grappa? Ebbene, è vuota'. E la bottiglia era vuota. `Ne hai un'altra?', diceva `Se ne hai un'altra sei a posto'. Nemmeno il tempo di dirlo che l'altra bottiglia finiva a terra in frantumi. Quel Maltoni, industriale di Biella, non poteva mettere gli occhi sul prato di Salomone, proprio accanto e quasi identico al suo? Nossignori, ignorava il prato di Salomone Croux e insisteva, insisteva, aumentava la cifra, la raddoppiava, la triplicava finché César Borgne mollava, vendeva il suo prato. Torna dall'aver firmato il compromesso: con chi si scontra proprio davanti
106 GIOVANNI PIRELLI
all'uscio di casa? Con Salomone Croux. Non lo aveva nemmeno riconosciuto perché annottava e Salomon[...]

[...]« Muovetevi, mandate per il medico! ».
« Se lo lasciamo qui muore di freddo », si oppose il padre Chenoz. « Ha ben altro di che morire », disse gravemente Luigino Brunod. « Il prete! Il prete! », gridò Lino Guichardaz dietro al figlio Chénoz che partiva correndo a chiamare il medico.
« Ahi, ahi », presero a piangere le donne. Il pianto delle donne si comunicò ai bambini.
« Grappa », implorò Cesar.
«César, come stai? Cosa ti senti? ».
« Dove hai male? Alla schiena? Alla testa? ».
« César, parla, rispondi. Sono io, sono tuo cognato Lino. Non mi conosci piú? Perché non rispondi? César! ».
César sollevò faticosamente una mano e se la passò sulla bocca. « Grappa », disse. « Grappa. Grappa ».
« Vergine Santa », strillò una donna. « Sputa sangue! ».
Dalla casa dei Chénoz fu portata una bottiglia di grappa. La bottiglia fu appoggiata alle labbra di César il tempo necessario perché ne prendesse un piccolo sorso.
« Ancora », disse.
«Ma si, che beva, poveraccio », disse il padre Chénoz.
« Così finite di ammazzarlo », disse Luigino Bruno[...]

[...] Fece un'orribile smorfia. « Da bere ». Bevve e scosse la testa. « L'altro no, non è un buon prato, no. Per il prato accanto al mio, quattrocentomila in contanti. Non sarai come l'industriale di Biella, vero ? Non sarai così crudele... ». Aveva alzato la voce. Tossi. Tossendo fece ancora quell'orribile smorfia.
« Impossibile. Impossibile », disse Salomone. « Quel prato, a dire poco, ne vale seicentomila ».
« Seicentomila », si lamentò César. « Hai sentito, Attilio? Prende per il collo un moribondo. Vuole seicentomila ».
«Seicentomila », piagnucolò il ragazzo Attilio. Si volse alla cerchia di coloro che assistevano in silenzio e disse, come chiedendo aiuto : « Vuole seicentomila. Prende per il collo un moribondo ». Un mormorio ostile fece eco all'implorazione di Attilio.
« Facciamo cinquecento e ottanta », disse indispettito Salomone.
« Ahi, ahi », si lamentò César con voce straziante. « Salomone? Sei li? Ahi la mia schiena. Ahi. Facciamo settecentomila dei due prati. Settecentomila in contanti. È un affare, Salomone. Sei fortunato. [...]

[...]ar », disse Salomone. Si sentiva maledettamente solo e infelice. Avrebbe avuto bisogno di tutta la freddezza e l'astuzia di cui solitamente disponeva, ma il supplemento di grappa che era stato costretto a bere gli stagnava nella testa come fango. « Ragiona, César. Non posso dare via due prati. Non darei via nessun prato. Se tratto, é perché sei. tu, perché tu, poveretto... ».
« Ottocentomila », disse César.
« Novecento. Per novecento te li do. Hai vinto, vedi? Per novecento ti dò due prati. Sei contento adesso? ».
Sta bene novecento », disse César. ' « Per novecentomila in contanti, i due prati più una mucca e una manza dalla tua stalla. Su, Attilio, contagli sul naso novecentomila lire. Ahi. Ahi la mia schiena. Fa presto, Attilio...».
« No!, no! », disse Salomone. « Non posso. E un ricatto. Non posso ».
QUESTIONE DI PRATI 1=1
César Borgne ebbe un colpo di tosse. « Muoio », disse. « Mia moglie. Dov'è mia moglie? Povera donna, sola con quattro creature e una in seno ». La commozione gli sali alla gola. Poiché detestava i sentimenti,[...]



da Franco Lucentini, La porta in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: LA PORTA
I.
Quando ebbe finito con me, mia madre se la prese con Adriana.
« E digli a tua sorella » disse, « che finché resterà a casa mia, l'America se la può pure scordare, e la notte deve dormire qui. Qui, hai capito? E i due o tre giorni fuori con l'amica, il viaggetto di dieci giorni a Napoli, il viaggetto a Genova, é finito, basta! Già che non é più figlia mia da un pezzo, ma se vuole stare qui, qui ha da stare e qui deve dormire, e deve aiutare a casa. Va bene? E degli americani, qui, non si deve sentire la puzza. Va bene? I viaggetti, eh? Brutta maledetta impunita! ».
Quello che a mia madre gli scocciava di piú, di tutta la faccenda di Adriana, erano i viaggetti, specialmente per il fatto che quando la figlia stava fuori lei si doveva sfogare da sola. Inoltre sospettava, con fondamento, che d[...]

[...]o i calcoli di mia madre, contando tre o quattro mila lire a notte, l'ultimo viaggetto di Adriana doveva avere fruttato sopra centomila lire. Invece non aveva fruttato niente, perché questa volta lei era finita subito a San Gallicano. Ma mia madre non lo sapeva.
«Allora andiamo? » disse mia sorella entrando in cucina con le valigie.
Mia madre, quando vide le valigie, quasi soffocava.
« Ah! Ahé! » disse.
« Troia! Mignottona! » urlò. « Ma che? Hai sentito quello che gli ho detto adesso a tuo fratello? E rivai via, adesso, che nemmeno sei tornata? E ti credi di ritornare un'altra volta, che io ti faccio tornare? Uh, sporcacciona, vattene, vattene, vattene che t'ammazzo ».
LA PORTA 81
« Io l'ammazzo, a questa. L'ammazzo! » urlava.
«Ma non gliel'hai detto che andavo via? », disse mia sorella.
« Non m'ha fatto parlare » dissi. «Non m'ha dato il tempo ».
« Vado via» disse mia sorella. «Forse torno, tra... tra qualche anno;
forse non torno. Qui ci stanno un po' di soldi. La roba mia che ho
lasciato qui te la puoi vendere ».
Uscimmo prima che riprendesse fiato. Dalle scale la sentimmo che
strillava:
«Non ti crederai di avermi fatto l'elemosina, eh? Non ti credere
che ci ho bisogno dei soldi tuoi! Se me lo dicevi prima, che te ne an
davi, io avevo già trovato da affittare lo stanzino, avevo trovato! Ci
posso fare quattromila lire co[...]

[...]gante. Ordinai due cappuccini.
« Senti » disse mia sorella, « non ti potrei aiutare? Soldi non ce n'ho, lo sai, ma tutta quella roba che ho messo da parte ne ' potrei vendere un po'. Vuol dire che invece di durare tre anni durerà due, oppure me la faccio bastare lo stesso per tre, insomma si pub vedere. Di? ».
« No » dissi, « te l'ho detto. Io, questo progetto tuo dei tre anni là dentro, non so se sia buono e nemmeno l'ho capito bene; ma se ci hai penato tanto per metterlo su è meglio che lo fai come hai deciso, oppure( cambialo e stacci dieci anni, stacci un anno solo, non ci stare per niente, ma io non ti voglio levare niente. Io poi mi posso sempre arrangiare magnificamente, una che mi mantiene la trovo sempre, senza che devo venirti a levare la roba a te ».
Non avevo pensato che lei avrebbe tirato fuori quell'altro argomento, ma mi accorsi subito, dalla faccia, che stava per farlo.
« Ha spiovuto » dissi in fretta, « vogliamo andare? ».
« Aspetta » disse. « Senti ».
« Sento » dissi scocciato.
Senti » disse. «Quando devi fare il mantenuto di una di quelle vecchie... Dico, quando ti dev[...]

[...]rresti crepare qua dentro, vuoi che io ti lascio crepare qua dentro? ».
Stette ad aggiustarsi le giarrettiere, guardando in terra.
« Senti » disse, « se crepo qui a te non ti deve importare; sarò crepata bene. Fuori della... Fuori... Insomma fuori. Se crepi tu... Questo è un affare mio, tu non c'entri, non te lo dico per fare una scena... Ma se crepi tu, voglio crepare pure io. Va bene? Almeno questo lo posso fare, senza che ti dò fastidio? Ci hai qualche cosa da dire? ».
Io non ci avevo niente da dire, ma tutta la faccenda mi cominciava a scocciare forte. Dietro a tutti quei discorsi ci cominciavo a sentire una cosa falsa, per niente pulita. Ci avevo esperienza di donne isteriche, no?
« Credo che mi stai cominciando a scocciare » dissi. « Se tutta questa gran cosa la fai per me, senti bene, ti potevi risparmiare la montatura. Questa storia che vuoi stare fuori dal mondo, solo per stare fuori dal mondo, più sta e meno mi convince. Perché proprio tre anni? Che aspetti che succeda, in. tre anni? Se lo fai per me, non ti credere che suc[...]

[...] te, sei un pochetto presuntuoso, e allora qualche volta capisci tutto, ma non capisci il resto ».
« Che vuoi dire? » dissi smontato. Lei rideva, era molto bella, e si vedeva chiaro che in quel momenta se ne fregava di me, ci aveva qualche altra cosa che l'interessava. Non era la prima volta che ci facevo una figura così con una donna.
« Come sei caro! » disse tenendomi abbracciato. « Come , ti voglio bene! ».
« Adesso ti spiego » disse. « Tu hai capito bene, hai capita che non bastava. Non ti sbagli mai, tu! È vero che ci ho la grande passione, la grande speranza. Ma non sei tu. Pianterei ancora tutto, per te, ma quello che aspetto qui dentro non sei tu. Io pure, la commedia me la faccio da sola, non credere che sono tanto cretina. Anzi me la volevo fare tanto da sola che non volevo nemmeno starti a spiegare, perché tu non credessi che ti ci volevo tirare dentro ».
«Vedi come ti sei sbagliato? E perché non mi vuoi bene! » disse baciandomi di nuovo. « È vero pure che non lo sapevi, tu, che qui c'è un'altra porta ».
Avevo i capelli di lei sulla facci[...]

[...]ro la terra, non ci sono uscite. Non so quanto è grande, perché non ci sono mai scesa. Non so altro. Adesso mi dovresti schiodare queste tavole ».
Stetti un momento a pensare che altro ci poteva essere sotto quella storia: ero ancora sospettoso, anzi più sospettoso di prima, dopo che lei era riuscita a smontarmi. Poi ci rinunciai. Accostai alla porta una cassa di latte in scatola e ci montai sopra, cominciai a schiodare la tavola in alto.
« Ci hai un pezzo di ferro, qualche cosa per fare leva? » dissi. « Non viene ».
Andò al tavolo e si mise a cercare nel cassetto. La vedevo cercare con la testa chinata, i capelli biondi sul viso, nel cerchio bianco del lume. Portava un abito grigio, morbido, con una camicetta bianca. Per la prima valta pensai a quando sarebbe rimasta sola, seduta davanti al tavolo, aspettando.
Tornò con un coltello da cucina a un apriscatole.
«Puoi fare con uno di questi? » disse.
Presi il coltello ma non era forte abbastanza, si piegava.
« Dammi quell'altro » dissi.
Lei mi tese l'apriscatole, alzandosi sulla pu[...]

[...]a. Una scala di legno, senza
ringhiera, portava in basso; si vedevano i primi gradini.
« Questo legno dev'essere fradicio» dissi. « Non possiamo mica scen
dere. Qui si rompe, caschiamo di sotto ».
« Ma mica dobbiamo scendere » disse mia sorella.
Rimasi fermo, con l'apriscatole in mano, a guardarla.
« Ma che vuoi fare? » dissi. « Ci vuoi scendere dopo, da sola? Che... Ma che ti credi di trovare? Che credi... Di un po', perché, prima, non m'hai fatto portare il lume? Non ridere, stupida! Che c'é, là sotto? ».
« Non lo so » disse. « Non ci voglio scendere e non lo voglio sapere. Non ci voglio nemmeno guardare col lume e non voglio che ci guardi tu ».
Mi cominciai a impaurire. Non credevo che fosse proprio matta, ma pensavo per forza che ci avesse qualche brutta intenzione. Guardai il coltello che teneva in mano.
Lei si mise a ridere.
« Quanto sei stupido! Che, hai paura che ti voglio ammazzare? » rise.
Non pareva isterica, ma non mi sentivo per niente sicuro. «Perché m'hai fatto levare le tavole? » dissi.
Seguitò a ridere, però non era più un riso allegro.
«Perché m'hai fatto levare le tavole?» dissi ancora.
« Vieni qui » disse, « mettiamoci a sedere ».
Tornammo verso il tavolo. Lei ripose coltello e apriscatole, poi si mise a sedere sul letto. Io la guardavo continuamente. Sapevo che se ne sarebbe accorta, ma le tenni lo stesso gli occhi sulle mani, attento a tutto quello che faceva.
« Puoi guardare sotto il cuscino » disse sconsolata. « Non c'é nessuna rivoltella ».
« Tu lo sai la vita che faccio » dissi. « Lo sai di che cos 'é che ho sempre paura. Mi dovresti capire ».
YU' FRANCO LUCENTINI
« Ti capisco » disse.
Restammo zitti per un pezzo, pensand[...]

[...]ando che si svegliasse; poi mi alzai un'altra volta e andai a guardare dietro la tenda, girai un po' per la cantina, guardando i pacchi e le casse. Una cassa era aperta e mezza piena di riviste americane e romanzi; presi una rivista e tornai a sedermi accanto al letto. In quel momento Adriana aprì gli occhi, mi guardò, fece un grande urlo. Saltai sul letto, prendendola per le braccia.
« Adriana » strillai, « amore mio, che c'é, che é stato? Che hai? Tesoro, che hai? Sono io! Di che hai avuto paura? Che hai visto? Non avere paura. Ci sto qui io ».
Lei stette un momento a guardarmi, esterrefatta, con gli occhi spalancati e la bocca aperta. Poi chiuse gli occhi, li riaprì.
« Oddio » disse, « m'ero sognata... ».
Mi misi seduto sul letto e la sollevai per le spalle, cercando un altro cuscino da metterle dietro la testa.
« Aspetta » dissi, « ti prendo un altro cuscino, ti porto qualche cosa da bere ».
«No» disse, «stai qui. Stai qui ».
« Sto qui » dissi. « Non avere paura ».
La tenevo stretta contro il petto e la sentivo che tremava.
« Appòggiati così » dissi, sistemandola con la testa e le [...]

[...]a dalle spalle, la ricoprii. .Le carezzavo le braccia, i capelli, il viso. Masse una mano sulla coperta, cercando la mia. Prendendole la mano pensai a tutta la vita che aveva fatto, alla vita che avevo fatto io. Alla vita che facevamo tutti. Le tenni la mano stretta, senza parlare, mentre lei tremava sempre più piano.
Alla fine si calmò, girò la testa e mi guardò, sorrise.
« Povera me » disse, .« quanto sono stupida. Che sorella stupida che ci hai ».
LA PORTA 95
«Non sei stupida » dissi. « Sei un amore. A tutti gli può succedere
di credersi chi sa che, di volere fare chi sa che, e poi dopo si vede
che non si può fare, che non gli si fa, che é meglio fare come tutti.
Anche a te ti può succedere, hai visto? Queste non sono cose per te...
Tu sei piccola... carina... ».
Si mise a ridere.
« Non sono mica piccola. Sono alta » disse.
« Va bene » dissi, « sei alta. Ma adesso ce ne andiamo via, torniamo
a casa. Tutta questa roba la vendiamo e ti prendi una casetta in cam
pagna. Ti piacerebbe, no? E il sogno di tutte le... di tutte le ragazze
di farsi la casetta in campagna, e tu invece viene qui a farti questi
sognacci ».
Rise e mi carezzò la faccia.
« Che amore che sei! » disse.
« Ma che t'eri sognata? » dissi.
Ricominciò a tremare, ma si calmò subito.
« Ho sognato uno » disse. « C[...]

[...]ise e mi carezzò la faccia.
« Che amore che sei! » disse.
« Ma che t'eri sognata? » dissi.
Ricominciò a tremare, ma si calmò subito.
« Ho sognato uno » disse. « Che entrava uno ».
« Ma chi? » dissi.
« Uno...» disse. « Quello che... T'ho detto, prima, che aspettavo
qualcuno... Qualcuno che deve entrare...».
« Qualcuno che deve entrare da quella porta? » dissi.
(' Si » disse.
« Ma se là sotto è chiuso » dissi, « se è tutto chiuso. Non l'hai detto
tu che é chiuso? ».
« Si » disse.
« E allora, se é chiuso, chi deve venire! O forse credi che ci sia
già? È qualcuno che ci sta già, là sotto? ».
« Non so » disse. « Non credo che ci sia già ».
« Ma allora chi è? Come può venire? E un mostro? ».
« Si » disse. « Così. Più o meno. Sai, in tre anni, credo che mi
verrà una paura così grande... aspetterò così forte... che qualcuno dovrà
venire, anche se non c'è nessuno, adesso ».
« Uh » dissi baciandola, « scema! ».
« Cosi » dissi, « quando torno, ti trovo a letto con un orribile mo
stro, e magari madre di qualche mostricciattolo[...]

[...]iamo » disse, prendendomi per un braccio.
Al barista disse: «A questo, il caffè glie lo diamo noi! ».
In Questura mi fecero aspettare tutta la mattina, poi mi fecero
passare da un vicecommissario.
«Quanto tempo è che sei tornato?» disse.
«Perché? » dissi.
« Non mi fare perdere tempo » disse. « Ti abbiamo rimpatriato
due mesi fa, ti abbiamo diffidato a tornare. Allora? ».
« Ma io la famiglia ce l'ho qui » dissi.
«E la residenza pure ce l'hai qui? ».
« Ho fatto domanda » dissi.
« Beh » disse, « se non ci hai altro da dire, adesso ti prendi un
mese e poi ti rimpatriamo un'altra volta. Dopo, se ci vuoi provare a
tornare, sempre a disposizione ».
Si voltò al poliziotto che m'aveva accompagnato.
« Questo resta a disposizione per gli accertamenti » disse.
Gli accertamenti cominciarono il pomeriggio; li faceva un com
missariocapo.
« Tu lo sai che stanotte hanno ammazzato uno? » disse.
M'ero immaginato una cosa del genere; se no, non ci avrebbero
sprecato un commissariocapo.
« Tutte le notti ammazzano qualcuno » dissi.
« Stai attento a come rispondi » disse. « Dunque, di quello di sta
notte [...]

[...]azione ci levarono le catenelle, all'ufficio deposito
ci levarono il resto.
« Ma le sigarette non si possono tenere? » dissi. « Si sono sempre
potute tenere! ».
« Ah, se te le vuoi tenere...» disse.
Nella cella di perquisizione ci riprovarono, riuscii a salvarne la
metà. Un altro paio le volle quello che mi accompagnò al Braccio,
prima di lasciarmi al piede della scala.
« Viene uno! » disse.
« Manda sempre » disse quello di sopra.
«Che hai fatto? » disse quello di sopra quando arrivai.
«Ho rubato» dissi. Quello doveva stare seduto sopra una sedia
tutta la notte, e gli andava di discorrere, se gli capitava. Ma io ce
n'avevo abbastanza delle domande.
«Allora, perché t'hanno messo isolato? » disse.
Sulla porta c'era scritto "isolato", infatti.
« Non lo so » dissi. « Non mi va di discorrere. Ho sonno ».
« Ah, come ti pare...» disse. Richiuse la porta.
Dopo un po' riapri lo sportello, disse che non dovevo fumare.
Disse che con quelli come me ci volevano le nerbate.
La mattina appresso mi riportarono in Questura per gli acc[...]

[...]rà presto chiarita! ».
« Ah, lo credo bene » lo rassicurò quello, « lo credo bene! Come lei sa, Sua Maestà si interessa direttamente di noi! ».
Il giovanottello non aveva detto una parola. Venne da me e guardò la roba che avevo sistemato sopra la mensola accanto alla finestra.
« Tu sgombra la roba tua e mettila là » disse indicando la mensola vicino alla porta, dalla parte dei buglioli. « Sposta pure la branda, qui ci dobbiamo stare noi ».
« Hai sentito quello che ha detto? » disse il sottocapo. « Fai presto, che si devono sistemare le altre brande ».
Per tutto il tempo che stettero a sistemarsi, il giovanottello seguitò a cercare un modo per farmi mandare in cella di punizione subito,
102 FRANCO LUCENTINI
finché ci aveva ancora le guardie a portata di mano. Ma era troppo stupido anche per quello.
Il giorno dopo però trovarono un pretesto. Fu quello distinto, a trovarlo. Chiamò la guardia di nascosto e gli fece vedere che tenevo in mano uno dei pioli per attaccare i panni. Disse che l'avevo staccato dal muro per tirarglielo. Io l[...]

[...] la mozzarella, il vino, tutto quello che c'era da comprare. Poi si rimetteva a letto e dormiva fino alla sveglia. Io invece non mi potevo riaddormentare. Poi suonava la sveglia, gli scopini portavano l'acqua, vuotavano i buglioli. Dopo veniva il sottocapo con la guardia che batteva i ferri. Una volta, quando vennero, io stavo ancora a letto.
« Che é successo? » disse il sottocapo. « Stai male? ».
LA PORTA 103
«Sì» dissi.
«Allora perché non hai chiesto visita? ».
« Eh... eh... » dissi.
« Uh... » urlai. « Uhà... uhà... » urlavo.
Quelli mi guardavano incuriositi, perché io prima ero stato sempre calmo.
« Adesso calmati » dissero. « Noi ripassiamo dopo ».
Quando ripassarono m'ero calmato.
((Ti sei calmato? » dissero.
« Sì » dissi.
((Ti serve qualche cosa? ».
« No » dissi. « Grazie, non mi serve niente ».
Quello della truffa mi offri un bicchiere di vino.
« Grazie » dissi. « Non bevo ».
Tutto quel giorno e il giorno appresso pensai a Adriana. Alla paura di sopra e a quella di sotto. All'idea che ci aveva avuto lei di andarsi[...]

[...]ella conversazione, tanto da riaggiustarsi i coglioni un momento; qualcuno che sarebbe entrato contento di trovare un amico, ma che poi non avrebbe saputo che dire, nemmeno lui. Alla fine, poi, non sarebbe entrato più nessuno. Ma io non ci avrei avuto la soddisfazione di vederlo.
Dalla porta che guardava Adriana, già adesso nessuno ci entrava più.
« Cara Adriana » scrissi, « ti scrivo a casa nel caso che fossi tornata. Se sei tornata credo che hai fatto male, credo che ci avevi avuta una buona idea, anche senza la paura, anche senza la speranza di qualcuno che doveva venire e di tutta quella faccenda della crepa, della cosa che si poteva rompere. Non mi pare che ci sia un'altra rottura possibile, oltre a quella dei... Pere) non sono più tanto sicuro. Credo che ci avevi
104 FRANCO LUCENTINI
ragione quando dicevi del coraggio, che nessuno ce l'ha. Credo che tu ce l'hai avuto, e pure se sei tornata ce l'hai avuto lo stesso. Credo che se qualcuno si merita qualche cosa, sei tu. Adesso solo ho capito quello che volevi dire, col fatto del mostro. Ma se per te qualcuno verrà, non sarà perché avrai avuto paura. Sara. perché sei come io non t'ho saputo vedere in tempo, perché sei così calma e gentile, così leggera, così an gelo. Oramai, per volerti bene da vicino é tardi. Tu, oramai, per me non ci puoi avere che pieta. Io non so che farò, ma non m'importa. Di averti incontrata a te, un momento, mi deve bastare ».
Ci vollero altri tre mesi prima che trovassero quello che aveva sistemato il pederasta.[...]

[...]non ci puoi avere che pieta. Io non so che farò, ma non m'importa. Di averti incontrata a te, un momento, mi deve bastare ».
Ci vollero altri tre mesi prima che trovassero quello che aveva sistemato il pederasta. Anzi, pare che non era nemmeno sicuro che era quello, ma a me in ogni modo pensarono di darmi il cambio, visto che c'ero stato quasi un anno. Mi dettero il foglio di via e mi misero sul treno. « Stai attento a non tornare » dissero. « Hai visto che succede a tornare. E puoi essere contento che t'é andata bene ».
Scesi alla prima stazione e tornai a casa.
« Stai zitta » dissi a mia madre. « Non ti fare sentire. Non si deve sapere che sto qui ».
« Che hai fatto? » disse.
«Sai niente di Adriana? » dissi.
« No » disse. « Non s'è fatta più vedere. Tu che hai fatto? ». «Non é arrivata una lettera mia per Adriana? » dissi.
« No » disse. « Ma perché ti cercano, che hai fatto? ».
« Niente » dissi, « é per quella faccenda della residenza. Per adesso resto qui, ma bisogna stare attenti al portiere ».
Restai a letto una settimana, per vedere di farmi passare la febbre. Ogni volta che suonavano il campanello saltavo. Non avevo paura che fossero i poliziotti, pensavo che poteva essere Adriana. Perché poi la cosa, adesso, non era più così spirituale come s'era messa al principio. Adesso me la sognavo, la notte, che ci stavo a letto. Il giorno ci ripensavo. Tutto il giorno e la notte, alla fine, ci stavo a pensare. Ma c'erano di mezzo quelle due porte chiuse. Poi[...]

[...] era più come... Era finito.
Guardava sempre il muro, aggiustando la carta bagnata del pacchetto, che si rompeva.
« Si » disse. « È finito ».
« Ho freddo » disse. « Ero uscita un momento, così in grembiule... ». « Così» dissi, « adesso esci? Non stai più sempre lá sotto? ».
« Ero andata a comprare qualche ovo » disse. « Quelle fresche sono meglio di quelle in polvere che ci ho giù ».
« Io ero venuto l'altro ieri » dissi. « Ho bussato ma non hai sentito ». « Ma andiamo giù » dissi. « Non prendere freddo ».
« È che giù... » disse.
LA PORTA 107
Girava nelle mani il pacchetto delle uova, pareva imbarazzata.
« È che giù ci ho gente » disse. « Non so... Se vuoi venire... ».
Mi appoggiai al muro.
« Chi ci hai? Uno? » dissi.
« No » disse. « Sai, qualcuno, delle conoscenze. È venuto un ame
ricano... No, non per quello che pensi tu... Non lo faccio più, adesso.
Ma poi ci ho una donna che fa la pulizia, mi lava un po' di roba, e c'è
qualche altra persona, si sta un po' a parlare... ».
« Per me » dissi, « anche se ci hai un americano... posso venire giù
un momenta... Stiamo un po' a sedere... ».
Si avviò per la scala della cantina, dove adesso ci avevano messo un
lume. Io scesi dietro a lei.
« Così la porta... » dissi. « Quello che doveva entrare...? ».
« Ah..., ah, niente » disse. « Niente ».
L'americano era un sergente inglese, la stava aspettando in fondo
alla scala.
« Allò » disse.
« Giò » disse mia sorella, « questo si chiama Franco, é un amico ».
«Amico» disse l'americano.
Altri quattro o cinque stavano seduti al tavolo in fondo. Una donna
stava lavorando al fornello, ci venne incontro e pre[...]

[...]are via, mi accompagni? ».
«Non prenda freddo, signorina » disse il dottor Micheli. « Si metta almeno qualcosa sulle spalle ».
«No, lo accompagno solo fino alla porta ».
Vidi l'americano che ci veniva appresso; voleva trovare Adriana da sola, per la scala, quando sarebbe riscesa. Al principio della seconda rampa mi fermai, la presi per le braccia e la misi contro il muro, 'scrollandola.
«Adriana» dissi. «Che é successo? Che t'è successo? Che hai fatto? Come l'hai potuto fare? ».
« Ahi » disse. «Non mi fare male ».
Guardandola adesso vidi come era dimagrita, come era ridotta, con gli occhi annebbiati e la pelle della faccia senza colore. I capelli pare
LA PORTA 109
vano grigi, la voce non si riconosceva più. La paura doveva essere cresciuta, lá sotto, mentre lei non se ne accorgeva. Doveva essere salita su da quel pozzo mentre lei credeva ancora di resisterci, di potersi difendere. Poi doveva averla presa all'improvviso e sbattuta, sfasciata del tutto. M'ero immaginato una cosa così fino dal principio. Ma non m'ero immaginato che lei al momento del[...]

[...]rebbe chiamato il prete... Il prete e quegli altri... Adesso ci stava in mezzo. Lei, che per quanto avesse fatto e girato, in una merda simile non c'era stata mai.
« Adriana », dissi carezzandola. « È stata la paura, no? E per la paura che stai crisi? Che ti sei ridotta a stare con quelli? ».
« Perché? » disse. « Che ci hanno, quelli? ».
« Non sono come gli altri? » disse.
« Come gli altri? » dissi. « Come gli altri? Si. Si, ma...».
« Tu ci hai di meglio? » disse. « Conosci qualcuno meglio, da mandarmelo qua? ».
Volevo ancora rispondere, mi pareva che ci dovesse essere qualche cosa da rispondere, ma non c'era. C'era una cosa sola, forse ci avrei avuto ancora la faccia di dirla, ma lei lo disse prima.
« Che, tu ti credi... » disse. « Tu ti credi di essere meglio, tu? ». Cominciai a risalire per andarmene. Poi mi fermai, dissi:
« Non mi volere male » dissi. « Ti voglio bene. Adesso non ci ho la forza di dirti le altre case che ti volevo dire. Ci ho la febbre, mi sento male. Tornerò quando stare, meglio. Adesso ti volevo dire che io[...]

[...]a non c'era. C'era una cosa sola, forse ci avrei avuto ancora la faccia di dirla, ma lei lo disse prima.
« Che, tu ti credi... » disse. « Tu ti credi di essere meglio, tu? ». Cominciai a risalire per andarmene. Poi mi fermai, dissi:
« Non mi volere male » dissi. « Ti voglio bene. Adesso non ci ho la forza di dirti le altre case che ti volevo dire. Ci ho la febbre, mi sento male. Tornerò quando stare, meglio. Adesso ti volevo dire che io... si, hai ragione, non sono meglio, forse non sono meglio. Ma se ti ricordi come eri tu quando ti ho lasciata qui, quando aspettavi qualcuno da quella porta... Tu, allora, eri meglio. Aspettare che qualcuno entrasse di là sotto era da pazzi, forse era pure stupido, ma era sempre meglio di adesso, di come sei ridotta adesso... tu ».
Ricominciai a salire e la lasciai in basso che rideva. Mano mano che saliva era una risata sempre più forte, quando fui in cima era un urlo che riempiva tutta la scala. Poi fini e sentii la porta che si richiuse.
Per la strada faceva freddo, tutti i negozi erano chiusi. Ca[...]



da Quinto Martini, Memorie in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]n mi era stato possibile vedere la capanna. Arrivai nell'aia che il sole doveva ancora tramontare dietro il Monte Albano. Le poche nuvole erano sparite .e il cielo era tornato tutto pulito. Davanti alla porta di casa la mamma ed altre donne stavano chi facendo la treccia, chi cucendo cappelli di pa
MEMORIE 131
glia. Mia madre vedendomi arrivare si alzò e passò in cucina, io la seguii; entrato che fui chiuse la porta e disse:
« Com'è andata? L'hai trovato? ».
« Sì, l'ho incontrato nel bosco mentre salivo per la strada tra i castagni ».
« Cosa ti ha detto? Ti ha chiesto cos'era successo stamani ? ».
« Si, si, gli ho raccontato tutto. Tutto quello che ho vista ed ho sentito. Mi ha detto che siete stata veramente ammirevole. Non vede l'ora di riabbracciarvi per quello che ;vete fatto ».
« Resterà ancora molto lassù? ».
« Non mi ha detto nulla ».
« Nulla? ».
« Mi ha detto solo che non conviene restare molto tempo sempre nello stesso posto; può esser pericoloso ».
« È vero, questo. Qualcuno potrebbe vedere e poi fare la spia ».
« H[...]

[...]li occhi verso l'immagine del Sacro Cuore che stava inchiodata sulla porta. Era una stampa tutta annerita dal fumo della cucina, e così nera dava l'impressione di un cristo molto duro. La mamma si avvicinò alla madia, aprì il cassetto, prese il coltello grosso, poi un pane intero, partì un bel cantuccio, ci mise sopra dell'olio, sale e pepe, allungò il braccio dicendo:
« Tieni, prendilo, è ben condito, avrai fame dopo tutta questa camminata che hai fatto ».
« Davvero, ora che mi fai vedere il pane con l'olio mi sento fame e anche sete ».
« Prendi il fiasco, li sopra all'acquaio », si voltò indicandomelo con la mano tutta aperta.
Dopo aver bevuto un bicchiere di vino annacquato mi misi a sedere fra la madia e la tavola a mangiare. La mamma tornò dalle altre donne. Io dopo mangiato andai nei campi a cercare i miei fratelli e il babbo.
Nel mezzo della notte eravamo tutti a letto e fummo svegliati da
132 QUINTO MARTINI
piú colpi battuti con furia e violenza sulla porta e gridare: «Aprite.
Presto, aprite! È la forza pubblica ».
Andre[...]

[...] il camino e poi uno scroscio di pioggia che batteva sul tetto con violenza. La mamma che si era addormentata da poco si svegliò. Io scesi il letto piano piano, andai dal babbo. Anche lui s'era svegliato. Quando mi sentì avvicinare al suo capezzale, accese la luce e mi disse:
« Cosa fai? Che c'è? ».
« Nulla, nulla babbo ».
« Ma... come nulla? ».
Si alzò seduto sul letto e allungando un braccio mi prese per il collo tirandomi a sé e disse:
« Hai paura della pioggia? ».
« No. Non ho paura. Ma... ».
« Ma cosa? ».
« Vorrei sapere `se nella capanna ove c'é Aldo ci pioverà ».
Stai tranquillo, é coperta con tegole ed embrici, i muri son fatti di sassi e calcina come una casa. Non é una capanna come quella di Cecchino, fatta con paglia e pali ».
« È vero quello che mi dici? ».
« Certo che é vero ».
134 QUINTO MARTINI
«Non dici così perché io stia tranquillo? ».
« No, no, è vero quello che ti dico, vai a dormire e stai tranquillo ».
Tornai a letto, la pioggia seguitava a cadere a catinelle, il vento anche soffiava sempre forte. Il [...]

[...] non posso vederli quelli che ammazzano le bestie ».
«E di tuo marito che va sempre a caccia che ne pensi? ». « Mio marito non ammazza i gatti.. ».
«Quando ha ammazzato senza ragione il cane di Palle non ti sei commossa? ». Un vecchietto dall'aria ironica disse: «Che cuore di miele ha la Giulia! Chi l'avrebbe mai pensato che si commovesse dei poveri gatti!... ». Poi rivolgendosi alla donna grassa, grido: «Tu difendi il podere e i quattrini che hai alla banca. Quando sarai nella cassa da morto anche il podere sari messo dentro e sepolto insieme a te. Allora sarai contenta, nessuno te lo prenderà ».
Un giovanotto che s'era fermato da poco a sentire restando con un piede a terra e seduto sopra il sellino della bicicletta da corsa, le spiattellò sul muso:
« Sei un budello di vacca pregna » e scappò via pedalando rizzandosi sui pedali. E lei di rimando:
«Figlio di troia, hanno bastonato tuo fratello e han fatto bene. Lo lasciassero marcire in prigione... ».
Ebbi la forza di stare a sentire senza dire qualche parolaccia. Quando tornai a [...]

[...]a storia di Ulisse é bella, anche la Gerusalemme Liberata, anche la Divina Commedia » é bella, Paolo e Francesca, il canto del Conte Ugolino... Ma il più bello é l'Orlando Furioso ». E battendomi la mano sulla spalla, come se fossi stato un suo coetaneo: «Anche tu devi imparare a memoria tutto l'Orlando Furioso. Questo é il libro più bello del mondo. L'Ariosto é stato il più grande poeta di tutti i tempi e mai più nascerà un poeta come lui ».
« Hai, ragione, zio, l'Ariosto é il più grande poeta ».
Lui, preso dall'entusiasmo mi abbracciò, si scostò qualche passo e cominciò a cantare:
« Or se mi mostra la mia carta il vero, Non é lontano a discoprirsi il porto Odo di squille...»
Seguitando a cantare, con una mano mi prese per i capelli e mi portò sotto un albero dove ci mettemmo a sedere. Io guardavo la pianura mentre lo ascoltavo. Il sole stava per tramontare, quando alzandosi e con un largo gesto verso il sole, cantò gli ultimi versi:
«Bestemmiando fuggi l'alma sdegnosa Che fu si altera al mondo e si orgogliosa».
« Andiamo Libero, [...]

[...]sono purgato, e con l'acqua mi son sempre lavato mani, piedi e coglioni. Se mi si proibisse di cantare, fumare e bere vino sarei un uomo finito. Morirei in tre giorni: io sono nato per cantare ».
Era fiero della sua salute e quando vedeva qualcuno pallido e con poca vita negli occhi gli diceva:
« Ragazzo mio, tu semini i frasconi. Se seguiti così presto ti porteranno al camposanto ».
Questi rispondevano sorridendo:
« Tu sei sempre allegro, e hai sempre voglia di scherzare... ».
« Non bisogna mai farsi cattivo sangue, chi se la piglia more prima di vent'anni, studia l'Ariosto se vuoi sentirti tranquillo ».
Tutti gli volevano bene e stavano volentieri in sua compagnia a parlare di quello che si diceva nel mondo. Un giorno dal modo come guardò una donna giovane che venne a bottega ebbi la sensazione che gli piacessero le avventure. Questa mia impressione mi fu confermata un pomeriggio nell'ora che la zia si buttava sul letto per dormire. Passeggiavo lungo il viottolo che sale dalla strada su nel bosco. Faceva caldo, le cicale cantavan[...]

[...]ndo una mano, quando le fui più vicino, mi disse:
« Com'é che mi sei venuto incontro? ».
« Stavo seduto in fondo al bosco, vicino alla chiesa, quando mi son visto arrivare Drago, allora ho pensato che ci fosse qualcuno di voi ». Porgendomi al mio cenno il fagotto, mi disse:
«Non mi é stato possibile farlo tornare indietro; quando lo sgridavo si buttava ai miei piedi come per implorare che lo lasciassi venire. E cosi mi ha fatto compagnia».
« Hai fatto bene a portarlo ».
« Ho pensato anch'io lungo il cammino che ti avrebbe fatto piacere rivederlo ».
« Sono contento che ci sia anche Drago ». Mi chinai e lo strinsi fra le mie braccia.
« Andiamo, Libero, fa molto caldo e io sono stanca ».
Drago si mise in mezzo a .noi camminando lento lento per seguire il nostro passo.
« La zia e lo zio come stanno? » mi chiese.
Si asciugò il sudore dalla fronte, mi guardò e disse ancora:
« Tu mi sembri un po' ingrassato. Ti ha fatto bene cambiare aria ».
1
154 QUINTO MARTINI
«Aldo come sta? ».
«Sta bene. Anche lui é ingrassato ».
« Quando ri[...]

[...]o
tempo sarebbe rimasta, rispose:
Non molto, tre o quattro giorni al massimo ».
«Libero lo lasci ancora da noi? ».
«Non é possibile ».
« Anch'io — dissi partirò quando partirà la mamma ».
Lo zio soprattutto era dispiacente per questa mia decisione e ri
spose :
«Resta ancora, così potrai imparare a memoria qualche canto del
l'Orlando Furioso. Ti dirò io quali sono i piú belli e come si fa a can
tare di poesia », e poi riprese:
« Ormai hai finito la scuola e in città non andrai a studiare. Ci
MEMORIE 155
vogliono troppi quattrini. I figli dei ricchi vanno in città a studiare. Com'è ingiusto questo mondo. Resta da me... Canteremo insieme. Quest'inverno, vicino al fuoco, t'insegnerò a cantare, resta da me, Libero ».
Mia madre lo guardò e disse:
«Non invitare la lepre a correre ».
Anche la zia pregò la mamma di farmi restare.
«Sai, Marta, comincio a considerarlo un mio figliolo, e tu ora me lo porti via».
« Grazie, Giulia, ma non può rimanere. Deve lavorare nei campi e Andrea dovrà cercarsi un lavoro in città ».
«Cosa vuoi[...]

[...]IE 159
trovammo sotto la tavola a rosicchiare degli ossi. Tutti mi fecero grande festa; erano contenti di rivedermi e io mi sentivo felice di essere di nuovo fra loro. A tavola mi furon fatte molte domande alle quali quasi sempre rispondeva la mamma.
Ero stanco e non vedevo l'ora di andarmene a dormire. Babbo se ne acccorse e disse:
« Vai a letto, Libero, sei stracco, si vede dalla tua faccia », e prosegui: «Domani, domani ci racconterai come hai passato il tuo tempo dallo zio ».
Mi alzai, diedi la buonanotte a tutti, salii le scale a fatica e entrai in camera. Mi infilai sotto le lenzuola, mi coprii la testa, chiusi gli occhi e subito mi trovai davanti allo zio che cantava e con questa visione mi addormentai.
QUINTO MARTINI



da Liliana Magrini, Il silenzio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]o l'interruttore. Stette a guardarlo come se calcolasse quanti movimenti gli sarebbero occorsi per raggiungerlo. Poi vi si diresse piano. « Insomma! » insisté Teresa irritata. Marco portò la mano alla chiavetta. Ora, si disse, lo avrebbero guardato e si sarebbero accorti. Lo dirò, si disse. Sia quello che si vuole ma lo dirò. Con risolutezza, girò la chiavetta.
« Lo vedi! » gridò Teresa voltandosi verso la padella. « Con quella tua pigrizia, mi hai fatto bruciare le ultime sardine! ».
Antonio alzava il pezzo di legno per guardarlo alla luce.
Nella strada, Marco vide passare Giacomo Cataldo, oscillante sulla sua gamba di legno. S'avviava a vedere se Michele tornasse? Camminava a testa china, senza guardare avanti. Non pareva attendere nessuno. Forse veramente, in qualche modo inspiegabile, Michele era in casa? Se era tornato, anche Nino doveva saperlo, ormai, e facevano apposta a lasciarlo in quell'ansia. L'ira lo stava prendendo di nuovo, come sul greto: ma non solamente contro Nino, adesso, anche contro Michele. Era colpa sua se avev[...]

[...]col cuore che gli martellava, e
162 LILIANA MAGRINI
nella bocca quel gusto tepido di sfinimento, più forte della frescura dell'acqua e del morso del sale. Non ne aveva colpa. « Non ne ho colpa » si ripeté, preso da un'accorata pietà di sé.
Provò ora un oscuro bisogno di provocare gli sguardi degli altri. Lasciò_ l'angolo dov'era tornato, si fece vicino al tavolo, sotto la lampada, e stette a guardare fisso sua madre che condiva l'insalata.
« Hai brutta cera! » disse Teresa fermandosi. Nel visetto smunto e abbronzato, le palpebre pallide, venate d'azzurro, sembravano larghe e fragili.
Marco senti lo sguardo della madre scorrere su di lui, come se essa cercasse i segni di un nuovo torto che le venisse fatto. La sua mano gli tastava il collo, le ascelle, la fronte, per sentire se avesse la febbre; una mano che interrogava in modo ben più incalzante dello sguardo.
« No, sei fresco », concluse Teresa con aria rassicurata. « E guarda in che stato ti sei ridotto i pantaloni! », aggiunse dopo un momento. Ne scosse la polvere con la mano, M[...]

[...]o stava venendo lentamente verso casa. Quando fu vicino, Filippo si voltò verso di lui con un largo sorriso, come preparandosi a fermarlo.
Giacomo camminava con aria assente. Scorse Filippo all'ultimo momento: gli fece appena un cenno di saluto, e distolse subito lo sguardo, con quella sospettosa e schiva umiltà che gli era apparsa sul volto dopo la disgrazia, e s'accentuava ogni volta che l'ubbriachezza lo aveva spinto a qualche violenza.
«Lo hai visto l'altro ieri? » sussurrò Filippo a Marco, assottigliando la fessura degli occhietti curiosi. Marco fece cenno di no. « Me l'ha raccontato Nino », riprese Filippo. « Voleva bastonare Costanza... ».
Se aveva visto! Con gli occhi come ciechi, Giacomo alzava la mano sulla moglie. All'improvviso, Michele aveva preso un fiasco e l'aveva levato contro il padre: pallido, pronto a colpire. Giacomo s'era accasciato sul letto. Più tardi, sul colle, lui aveva visto Michele singhiozzare, il viso premuto a terra. Ma udendo Marco avvicinarsi — le erbe scricchiolavano sotto il piede come sterpi : « Va[...]

[...]ininterrotto. Un grido d'appello che non lasciava modo a risposta alcuna.
Seguì un rumore lontano di porte chiuse, un mormorio di voci. Giuseppe Spinola doveva aver chiamato la vicina per l'iniezione. Il grido continuava acuto, ancora più acuto, come svincolandosi da un rantolo. Marco l'ascoltava come se lo riconoscesse.
Terminò e si ruppe su un nitido: No!
Tornò per primo Luigi, che venne a lavarsi all'acquaio. Vide che Marco era sveglio.
« Hai sentito di Michele? »
Fece cenno di sì.
« Anche questo dovranno pagare, i signori padroni! » disse con violenza Luigi. Nella collera, il viso ossuto, ma aperto, prendeva una espressione caparbia che lo faceva somigliare molto a Teresa. « Anche di questo hanno colpa! ». Se le cose fossero andate altrimenti, diceva, le donne avrebbero potuto badare ai ragazzi, invece di andare a fare la borsa nera a Sottoripa.
Continuava a parlare col rubinetto aperto, la sua voce arrivava a Marco interrotta da scrosci d'acqua che si gettava sulle spalle, sul viso, nella bocca. Gli pareva che parlasse d'altr[...]

[...]? » proruppe all'improvviso Costanza, con voce diversa, spezzata e violenta. « Perché tacete, tutti e due? Non avete detto una parola. Che cosa pensate? »
Nessuno rispose.
« Che cosa pensate? Dio, che nessuno parli? »
« Anch'io ho tanto gridato », disse una voce fredda e spenta. Marco comprese che era quella della vecchia, sebbene gli sembrasse di non averla mai udita parlare.
« Sta zitta. Parli come se fossi già sicura! Ma tu, Giacomo, tu l'hai visto prima che uscisse! Non ti ha detto proprio niente? Non ti ha detto dove pensava d'andare... quando sarebbe tornato? ».
Ruppe in singhiozzi; diversi da quelli della sera prima, ammorbiditi di lagrime: erano striduli, ora, esasperati.
« Perché mi guardi in quel modo? Tu sai qualche cosa ».
« Te l'ho detto, non so niente », rispose stancamente Giacomo. « Perché io? Perché io e non tu? Perché non eri là, a chiedergli dove era che andava? Ne avevi abbastanza ,di vedermi, non è vero? Forse, se tu fossi stata qui... Avevi il diritto di stare in giro, no? Perché sei giovane, è questo che pen[...]

[...]o colse lo sguardo della malata, fermo nella sua direzione. Marco sapeva che vedeva : ma nulla ormai, da tempo, né un gesto né una contrazione della pupilla, rivelava in lei la percezione di una nuova presenza.
S'avvicinò lentamente fino ai piedi' del letto.
Una mosca batteva contro i vetri chiusi. Lontanissimo, giungeva ogni tanto qualche suono di clackson. Spalancati, gli occhi di Caterina lo accoglievano sempre nel loro sguardo immobile.
« Hai fatto andare l'elicottero? » chiese infine.
Da quando era malata, ogni volta che l'andava a trovare Caterina gli rivolgeva sempre questa domanda. L'elicottero. Chiedeva sempre dell'elicottero di celluloide che lui faceva volare un giorno sotto le finestre degli Spinola. Caterina s'alzava ancora dal letto, allora. S'era affacciata al davanzale, ed era rimasta a guardare: l'elica rossa, ruotando, brillava al sole, si spegneva, tornava a brillare, librata.
« Si », rispose come sempre, esitando. Caterina aveva chiuso gli occhi. La cornea e la pupilla s'intravvedevano, ugualmente chiare, tra le [...]



da Alberto Moravia, La ciociara in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]di sistemarsi. Ad uno di Napoli, un agente di pubblica sicurezza che più degli altri faceva lo spasimante e cercava di prendermi con l'adulazione, coprendomi di complimenti e chiamandomi perfino, alla maniera napoletana, « donna Cesira », glielo dissi francamente: « Vediamo un po', se non avessi il negozio e l'appartamento, me le verresti a dire queste cose? ». Quello almeno fu sincero. Rispose ridendo : « Ma l'appartamento e il negozio, tu ce l'hai ». È vero, però, che fu sincero perché ormai gli avevo tolto ogni speranza.
LA CIOCIARA 47
Intanto la guerra continuava, ma io non me ne occupavo e quando alla radio, dopo le canzonette, leggevano il comunicato, dicevo a Rosetta : « Chiudi, chiudi quella radio... li mortacci loro, 'sti figli di mignotte, si scannino tra di loro finché vogliono ma io non voglio sentirli, che ce ne importa a noi delle loro guerre?... loro se le fanno tra di loro senza chiedere il parere della povera gente che deve andarci e allora noialtri che siamo la povera gente, siamo giustificati a non occuparcene ». Per[...]

[...]darono: « burina », proprio come mio marito e uno mi disse: « A Sgurgola, i giornali non li leggete? ». Risposi, invi perita: «Sono di Vallecorsa e non di Sgurgola... e poi a te non ti conosco e non ti parlo ». Ma quelli continuavano a ridere e anche il tedesco quasi quasi sorrideva. E intanto le uova le tiravano giù nelle cassette aperte, tutte bianche e belle, e le portavano dentro il magazzino. Io allora gridai: « Ah frocio, le uova vogliamo, hai capito... vogliamo le uova ». Dalla folla usci un vigile e mi ingiunse: « su, vattene che sarà meglio ». Io gli risposi: « Hai mangiato tu?... io no ». Lui allora mi diede uno schiaffo e con uno spintone mi ricacciò in mezzo alla folla. Io l'avrei ammazzato, parola, e mi dibattevo dicendogli tutto quello che pensavo; ma intorno mi spingevano affinché mi allontanassi e alla fine dovetti andarmene e nel parapiglia ci persi anche il fazzoletto.
Io andai a casa e dissi a Rosetta : « Qui se non ce ne andiamo in tempo, finiremo per morire di fame ». Allora lei scoppiò a piangere e disse: «Mamma, ho tanta paura ». Io ci rimasi male perché fin allora Rosetta non aveva mai detto nulla, non si era mai
52 ALBERTO MORAVIA
lam[...]

[...]rmene e nel parapiglia ci persi anche il fazzoletto.
Io andai a casa e dissi a Rosetta : « Qui se non ce ne andiamo in tempo, finiremo per morire di fame ». Allora lei scoppiò a piangere e disse: «Mamma, ho tanta paura ». Io ci rimasi male perché fin allora Rosetta non aveva mai detto nulla, non si era mai
52 ALBERTO MORAVIA
lamentata e anzi con il suo contegno tranquillo più di una volta mi aveva dato coraggio. Io le dissi: « Sciocca, perché hai paura? ». E lei rispose: « Dicono che verranno con gli aeroplani e ci ammazzeranno tutti... dicono che ci hanno un piano e prima distruggeranno tutte le strade ferrate e i treni e poi quando Roma sarà proprio isolata e non ci sarà più niente da mangiare e nessuno potrà più scappare in campagna, ci ammazzeranno tutti con i bombardamenti... oh mamma, ho tanta paura... e Gino non mi scrive più da un mese e non so più niente di lui D. Io cercai di consolarla dicendogli le solite cose che anch'io ormai sapevo che non erano vere : che a Roma c'era il Papa, che i tedeschi avrebbero vinto presto la g[...]

[...]to all'angolo della bocca. Soggiunse poi: « Intanto non si regge in piedi
e uno di questi giorni muore.., e poi a forza di andare con le mignotte, viene la volta che ti attacca qualche brutta malattia ». E io: «E chi lo vede e chi lo sente, mio marito? quando rincasa la sera, si caccia a letto e io mi volto dall'altra parte e buona notte ». Allora lui disse, o mi pare che disse: «Ma tu sei ancora giovane, che, vuoi fare la monaca? sei giovane e hai bisogno di un uomo che ti voglia bene ». Io gli domandai: « A te che te ne importa? Io non ho bisogno di uomini e anche se ne avessi bisogno, tu che c'entri? ». Lui a questo punto si alzò, così mi pare di ricordarmi, mi venne accosto e mi prese il mento nella mano dicendo: « Con voi donne bisogna sempre parlare papale papale... ci sono io, no?
54 ALBERTO MORAVIA
A me non ci hai mai pensato? ». A questo punto, tanti sono gli anni passati da quel giorno, i miei ricordi si imbrogliano. Sono quasi sicura, però che lui mi propose di far l'amore con lui; e sono anche quasi sicura che quando gli risposi: « non ti vergogni? Vincenzo é tuo amico »; lui rispose: « Macché amico. Non sono amico di nessuno, io ». E poi, potrei giurarlo, mi disse che se io lo portavo in camera da letto e gli aprivo le gambe, lui mi avrebbe dato del denaro. E aprì il portafogli e lì, sul tavolo di cucina, cominciò a posare l'uno dopo l'altro tanti biglietti, guardandomi fisso e ripetendo: « metto [...]

[...]rrise e rispose: « Io non so niente... che dici?,Manco ti capisco... sei venuta per questa faccenda della casa e el negozio, no? ». Di nuovo provai quel sentimento che ho già detto, di aver sognato e se non ci avessi avuto ancora le vesti scomposte e i segni del carbone un po' dappertutto,
56 ALBERTO MORAVIA
per essermi girata e rigirata su quei sacchi, davvero avrei potuto pensare che niente era successo. Balbettai, sconcertata: « Si capisce, hai ragione: sono venuta per la casa e per il negozio ». Lui allora prese un foglio ci scrisse una dichiarazione in cui io dicevo che gli affittavo casa e negozio per la durata di un anno e me la fece firmare. Mise il foglio in un cassetto, andò ad aprire la porta e disse:
« Siamo intesi... oggi vengo per la consegna e domani mattina verrò a prendervi tutte e due e vi accompagnerò alla stazione ». Stava presso la porta e io gli passai davanti per uscire e lui allora nel momento che passavo mi diede con la palma aperta una manata sul sedere, sorridendo, come per dire: « siamo intesi anche per que[...]

[...]omento, come per darmi una risposta, ecco suonare h sirena d'allarme, quel rumore maledetto che mi pareva che portasse iettatura e mi faceva ogni volta sprofondare il cuore. Allora mi venne non so che rabbia e aprii la finestra che dava sul cortile e alzai il pugno verso il cielo e gridai: « Che tu possa mori ammazzato e chi ti ci manda e chi ti ci ha fatto venire ». Rosetta che non si era mossa, disse: « Mamma perché ti arrabbi tanto? Tu stessa hai detto che tutto tornerà a posto ». Allora, per ambre di quell'angiolo mi calmai, sebbene con sforzo e risposi: « Si, ma intanto noi dobbiamo andarcene da casa nostra e chissà che cosa succederà ancora ».
Quel giorno soffrii le pene dell'inferno. Non mi pareva più di essere me stessa : ora ripensavo a quello che era successo con Giovanni e al pensiero di avergli ceduto proprio come una zoc cola di strada, tutta vestita, sulle balle di carbone, mi sarei morsa le mani dalla rabbia; ora mi guardavo intorno per la casa che era stata la mia casa per vent'anni e adesso dovevo lasciarla e mi sen
LA[...]

[...]a Giovanni, ai sacchi di carbone e alla manata che lui mi aveva dato sul sedere e alla casa e al negozio che stavo per lasciare. Finalmente suonarono alla porta e io mi sottrassi dolcemente al peso di Rosetta addormentata e andai alla porta. Era Giovanni, sorridente, il sigaro in bocca. Io non lo lasciai neppure rifiatare: « Senti », gli dissi con furore, « quello che é successo é successo e io non sono più quella che ero prima, lo ammetto, e tu hai ragione a trattarmi cdme una mignotta... ma tu dammi un'altra manata come stamattina, e io, quanto é vero Dio, t'ammazzo... poi vado in galera ma di questi tempi può anche darsi che in galera ci si stia bene e io ci vado volentieri ». Lui inarcò appena appena le sopracciglia per la sorpresa, ma non disse nulla. Passò nell'anticamera pronunziando a fior di labbra : « Allora, facciamo questa consegna ».
Andai in camera da letto e presi un foglio sul quale avevo fatto scrivere a Rosetta tutta la roba che ci avevo nella casa e nel. negozio. Avevo fatto scrivere anche i più piccoli oggetti non ta[...]

[...]nsimanti, trattenute per le braccia e quelli che ci tenevano chi aveva la faccia sgraffignata e chi i capelli scomposti. Rosetta, in un angolo, singhiozzava.
Quella notte, dopo questa scenata ce ne andammo a letto mol to presto, senza neanche finire la cena che restò sul tavolo e la mattina dopo c'era ancora. Nel letto, Rosetta si rannicchio contro di me, come faceva quando era piccola e come da molto tempo non faceva più. Le domandai: «Ma che, hai ancora paura? ». Lei ri
64 ALBERTO MORAVIA
spose : « No, non ho paura, ma è vero mamma che i paracadutisti fanno quelle cose alle donne? ». E io: «Non dargli retta a quello scemo... non sa quello che dice ». « Ma è vero? » insistette lei. E io : « No, non è vero... e poi noi partiamo domani e andiamo in campagna e li non succederà proprio niente, sta tranquilla ». Lei stette zitta ancora un momento e poi disse: « Ma affinché noi possiamo tornare a casa, chi é che deve vincere: i tedeschi o gli inglesi? ». Io a questa domanda ci rimasi male perché come ho detto i giornali non li leggevo e pe[...]

[...]lia come due pezzi di carbonella sotto le ceneri. Capii che lui stava per acchiapparmi le zinne e gli dissi subito, tirandomi indietro: « No, Giovanni, no... per me tu non esisti più e devi dimenticare quello che è successo... se tu non fossi già sposato, ti sposerei... ma sei sposato e tra di noi non deve più esserci niente ». Lui non disse né si né no, ma si vedeva che si sforzava di controllarsi. Alla fine ci riuscì e disse con voce normale: «Hai ragione... ma speriamo che quella schifosa di mia moglie muoia durante questa guerra... così quando torni, io sono vedovo e ci sposiamo... muore tanta gente sotto le bombe, perché non dovrebbe morire lei ? ». E io una volta di più ci rimasi male e fui stupita di sentirgli dire queste cose e quasi non credevo alle mie orecchie come quando aveva detto che mio marito era una carogna e fin'allora gli era stato amico e per così dire erano inseparabili. Conoscevo, infatti, la moglie di Giovanni e avevo sempre pensato che lui le volesse bene o per lo meno le fosse affezionato, essendo stati sposati [...]

[...]ure entravano all'osteria che era sempre piena e pensando questo provai uno strappo al cuore e mi accorsi che quelle casucce e quel quadrivio mi erano cari, forse perché ci avevo passato tutta la vita e quando li avevo veduti per la prima volta ero ancora giovinetta e adesso ero una donna fatta, con una figliola già grande. Dissi a Rosina : « Non la guardi casa nostra, non lo guardi il negozio? » e lei rispose: « Mamma, sta tranquilla, tu stessa hai detto che torniamo tra un paio di settimane ». Io sospirai e non dissi nulla. La carrozza prese verso il Tevere e io mi voltai e non guardai più al quadrivio.
Tutte le strade erano vuote, con l'aria grigia in fondo alle strade che pareva il vapore del bucato quando i panni sono molto sporchi. In terra la guazza faceva luccicare i selci che parevano di ferro. Non passava un cane, anzi passavano soltanto i cani: ne vidi cinque o sei brutti affamati e sporchi che annusavano ai cantoni e poi pisciavano contro i muri dai quali pendevano lacerati i manifesti a colori che incitavano alla guerra. Pa[...]



da Mario La Cava, Il grande viaggio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...]posarla.
Dalla porta di mezzo che introduceva nella camera del letto, dove vi era pure quello della bambina maggiore, mentre la più piccola dormiva ancora coi genitori, entrava la moglie Rosaria : spesso i due coniugi stavano insieme: la loro vita era tranquilla, se non felice, poiché la felicita é difficile su questa terra, e ora parlavano di una cosa ora di un'altra, talvolta, ma per poco, bisticciandosi.
9U MARIO LA CAVA
Diceva Rosaria : « Hai visto che Maria del povero Carmine non può vestirsi di chiaro, dopo tanti anni che teneva il lutto, nemmeno ora che si era sposata? ».
«Perché? Cosa le é successo? ».
« È morta la cognata! E non era quindici giorni che si era sposata! Va nel paese del marito e deve di nuovo vestirsi a nero... ».
« Sempre con questo lutto Maria! Ma chi é che é morto? ».
«Non the l'ho detto? La cognata, la sorella del marito, una ragazza di vent'anni bella come un fiore, che tanti la volevano... ».
«Pazienza! Il Signore non vuole nessuno troppo contento... ».
Compariva un cliente, un manovale del luogo ch[...]

[...]e sugli usi del luogo. L'arabo, credendosi beffato, si scagliò infuriato contro Giuseppe e lo prese alla gola. I compagni li divisero; altrimenti Giuseppe, finita la sorpresa, avrebbe potuto pure bucargli le budella col trincetto.
Riferita la cosa ai cognati, costoro risposero : « Sono fetenti; bisogna guardarsi, perché non ragionano, specialmente se toccati nella loro religione.
« Ma io non volevo offendere nessuno! » rispose Giuseppe.
« Non hai dunque capito come sono e che s'infiammano per niente? » ribatté Antonio.
In seguito a ciò Giuseppe si decise di andare a lavorare alla diga, in qualità di aiutante muratore; già era incominciato il forte calore dell'estate, e le sofferenze di Giuseppe, non abituato, erano grandi. E dopo tanti anni di lavoro da calzolaio, una nuova attività si iniziava per lui, di cui le conseguenze il Signore solo poteva sapere quali sarebbero state.
I guadagni ora erano davvero elevati: con essi era possibile non solo vivere bene nella famiglia e permettersi tutte le comodità, ma mettere pure facilmente d[...]

[...]a tavola. Matilde e Vanda si davano da fare per consolarli.
«Era l'età avanzata; bisognava aspettarselo! Beata lei che ha avuto una vita lunga! » dicevano le donne.
«Ma se stava bene? All'improvviso é stato! » aggiungeva Giuseppe. S'avvicinava alla moglie che ormai taceva, accarezzava il capo delle bambine.
Chiuse le imposte della casa, lasciando trapelare solo un po' d'aria, e si mise a parlare sottovoce coi cognati. « Ma com'era quando tu l'hai lasciata? » chiedevano.
Senza chiasso e senza lamenti, al contrario di quello che sapevano si faceva al loro paese, tennero lutto; e solo qualche amico andava a vederli. Passarono tre giorni; e poi tornarono di nuovo, mestamente, al loro quotidiano lavoro.
Si cominciò a parlare nuovamente e più di proposito dei preparativi da fare per il ritorno; già era venuta la primavera, il caldo si faceva sentire e fra breve avrebbe imperversato come una tempesta di fuoco. Gli uccelli erano fuggiti e più non si vedevano dai giardini solcare il cielo verso le grondaie delle case. «Pure l'estate faremo? [...]

[...]tengono» diceva Giuseppe alla moglie per spiegare la cosa.
«No, nemmeno questo — ormai hanno fatto dell'Egitto un altro loro paese ».
E nessuno dei due sospettava che tanto Antonio che Filippo, che del resto sembrava tanto impulsivo ed entusiasta, calcolassero meglio di loro le possibilià di vita nell'Egitto e quelle del loro paese.
« Qui spendono molto. E anche noi, accanto a loro, abbiamo speso tanto » diceva Giuseppe.
« Pazienza! Ma tu lo hai voluto, accettando di fare in tutto vita in comune con loro... ».
« Volevi anche tu allora... ».
IL GRANDE VIAGGIO 117
« Non é vero. Io l'avevo capito, e tu non l'hai voluto. E siamo rimasti tanto tempo lontani da casa! » concludeva Rosaria.
«"In questi mesi in cui non si va in nessun posto, si può risparmiare parecchio... » diceva Giuseppe.
Rosaria allora non si frenava dal criticare : « Sanno che i mariti sono in lutto e vanno lo stesso a divertirsi. E non hanno messo le vesti nere di lutto... ».
« Sono altre abitudini, altri luoghi, altra vita! ».
« Lo so! Ma... » obbiettava Rosaria, senza aggiungere altro; poiché la sua critica era semplice e leggera, non avvelenata, ed ella sapeva bene quanto dovesse essere grata al trattamento che aveva ricevuto [...]

[...]re delle ore fino all'arrivo del marito alla sera.
Giuseppe la sorprendeva a quel modo e il dolore che nella giornata solo a tratti, rompendo il pensiero delle occupazioni continue, raggiungeva la profondità della coscienza, esplodeva ora con furia selvaggia.
« Rosaria mia! » esclamava, buttandosi tr`a le sue braccia; e dolcemente chino su di lei domandava : « Perché sei tanto smarrita, Rosaria? Sono stato assente per così lunghe ore, e tu non hai fatto niente nella casal... Sempre a pensare, a pensare... ».
« Si, si... » rispondeva Rosaria vagamente; e dal posto dove si tro
126 MARIO LA CAVA
vaya, non si moveva nemmeno per dare il cibo ad Ernestina che lo chiedeva.
« Vedi come faccio io che con tanto lavoro mi svago; poi penso, e dopo mi riposo, e poi penso di nuovo; e così passo la giornata, al contrario di te... ».
Io non posso, non posso... ».
Giuseppe la guardava, e quindi chiedeva : « Sono venute le sorelle? Ti hanno tenuto compagnia? ». Vedeva che Rosaria non gli rispondeva, e insisteva : « È venuto qualche altro? ».
All[...]

[...], febbrilmente parlava, e ora l'immagine della bambina morta col suo corpicino boccheggiante e il collo che pareva si volesse staccare, si presentava alla sua fantasia, ora si allontanava.
«Figliuola mia lontana dove ti trovi? In quale cielo sperduta? Chi ti ha rapita? Chi ti ha nascosta? E perché non ritorni più su questa terra, dove c'é la tua mamma, il tuo babbo e la sorellina? Oh brutta, crudele morte, che strappi i figli dai genitori e non hai vergogna di squarciare un povero cuore insanguinato! ».
Dopo essersi sfogata alquanto, scostava Ernestina che s'era messa a sedere sul marmo e piangeva alla vista della madre, e si dava a pulire la tomba della polvere che si era depositata e delle foglie che vi erano cadute. Accendeva la lampada, toglieva qualche moscerino annegato nell'olio, disponeva i fiori in un vaso che vi era accanto. Quindi, dopo aver meditato, si chinava sul marmo e lo baciava come fosse il volto freddo della figliuola uscita di vita, e mestamente si ritirava. Per più giorni ne rimaneva consolata; e poi di nuovo sent[...]


Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Hai, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
<---Come <---Diritto <---Così <---Però <---Certo <---Cosa <---Del resto <---Ecco <---La sera <---Macché <---Perché <---Più <---Sei <---Voglio <---siano <---Andiamo <---Davanti <---Dico <---Dio <---Fai <---Già <---Ma mi <---Povera <---Qui <---Sarà <---Storia <---Va bene <---Accendi <---Ahi <---Arrivò <---Bambino Gesù <---Basta <---Bisogna <---Cercò <---Chiuse <---Cosi <---Ditemi <---Eccola <---Entrò <---Farmacia <---Giunti <---Giù <---Gli <---Guarda <---Guardò <---In ogni modo <---La casa <---La notte <---Lasciò <---Niente <---Non lo so <---Non voglio <---Oltre <---Pochi <---Portò <---Ricominciò <---Riuscì <---Scese <---Senti <---Sulla <---Tornò <---Vado <---abbiano <---artigiani <---fascisti <---italiano <---lista <---mutismo <---A Filippo Bertolli <---A San Silvestro <---Abbandonò <---Abbatterla <---Abbiamo <---Accettò <---Agata a Rosaria <---Ah <---Ahé <---Aiutai <---Alle <---Allentò <---Allineàti <---Allontanò <---Allò <---Almeno <---Alpi <---Altro <---Alzò <---Amore mio <---Anche <---Anche Rosaria <---Anchiano <---Andiamo Libero <---Antonio Stura <---Aosta <---Appena <---Appòggiati <---Army Ration <---Army Ration C <---Arta <---Artù <---Asciugati <---Aspettate <---Aspettiamo <---Aspetto <---Attaccati <---Attenzione Marco <---Attilio Glarey <---Auguri vivissimi <---Avanzò <---Avaro <---Avete <---Avrei <---Avvicinatasi <---Babbo <---Baglietto <---Bambin Gesù <---Baranti <---Batté <---Bel <---Belfront <---Belfront Augusto <---Bertozzi <---Bice <---Biella <---Bisogna riuscire a non farsi fregare <---Bisognò <---Boja <---Bordeaux <---Borgne <---Borgo <---Borino <---Bradamante <---Bravo Libero <---Brulli <---Brunod <---Brutta <---Buffoni <---Buona <---Buonamico <---Buonasera <---Buoni <---Caffè Notturno <---Cairo <---Cambia <---Camminò <---Cantò <---Capito <---Capì <---Cara Adriana <---Carabino <---Carmela dei Crispini <---Casentino <---Caso <---Cecchino <---Celere <---Certamente <---Certe <---Certissimamente <---Certo Giuseppe <---Che César Borgne <---Che Egitto 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