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Il segmento testuale Gramsci è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 981Analitici , di cui in selezione 65 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Cesare Luporini, La metodologia del marxismo nel pensiero di Antonio Gramsci in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: LA METODOLOGIA DEL MARXISMO
NEL PENSIERO DI ANTONIO GRAMSCI
Questo titolo — « la metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci » — potrebbe dar luogo ad un equivoco che è bene eliminare subito. Si potrebbe, cioè, essere indotti ad attribuirci l'intento di ricostruire ciò che è essenziale, filosoficamente, nel pensiero di Gramsci, quale uno sforzo di intendere e interpretare il marxismo alla stregua di una pura o mera metodologia (salvo, naturalmente, a vedere di che cosa esso sarebbe la metodologia).
Tentativi di questo genere, nei riguardi del marxismo, furono fatti, com'è noto, nel passato ed hanno tutta una storia che non sarebbe punto lecito giudicare e tanto meno liquidare in blocco e in astratto, cioè indipendentemente dal contesto di problemi e di indirizzi ideali, e dalle concrete situazioni culturali, in cui sorgevano. Si tratta, apparentemente, di una questione vecchia, ed a qualcuno verrà fatto di ricorda[...]

[...] economia marxistica, Bari, 19275 (Cfr. particolarmente le pp. XI, .9, 13, 15, 79, 86, 111).
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tro il Labriola con cui Croce era in discussione) che esso fosse una « filosofia », ossia una autonoma concezione delle realtà (2).
Nel clima filosofico odierno la parola « metodologia » si presenta carica di nuove suggestioni e riferimenti determinati a dottrine e tendenze filosofiche che erano ancora poco sviluppate negli anni di Gramsci e comunque, allora, inoperanti in Italia. Si tratta di interessi sorti su un terreno diverso da quello della ricerca storica e delle scienze umane (politica, economia, sociologia, psicologia ecc.), anche se oggi essi tendono in qualche modo ad investirle: e precisamente delle indagini di carattere logico e «linguistico» intorno alle strutture intime e ai procedimenti delle scienze matematiche e fisiche. Tali indagini sembrano comportare un atteggiamento mentale diametralmente opposto a quello ora indicato nel Croce della maturità, per cui tutta la filosofia si risolve in un'unica metodologia [...]

[...]ni sembrano comportare un atteggiamento mentale diametralmente opposto a quello ora indicato nel Croce della maturità, per cui tutta la filosofia si risolve in un'unica metodologia (la metodologia, almeno in assunto, della conoscenza del concreto, ossia della « storia »). Se queste tendenze filosofiche rimasero, in quelli che erano allora i loro inizi (e più esattamente dovremmo dire: in quella che fu la loro prima fase di svolgimento), ignote a Gramsci, sarebbe errato, credo, affermarle estranee in modo radicale alla sua mentalità. Effettivamente i
quaderni del carcere » si presentano assai ricchi di osservazioni, spunti, suggerimenti critici particolari, di carattere « metodologi co » relativi a settori o campi determinati dall'indagine scientifica (ancorché non riguardanti direttamente le scienze matematiche e fisiche, di cui Gramsci non aveva esperienza), ed é di lui l'affermazione che « ogni ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza » (3). Farli oggetto di studio e di svolgimento non vi é dubbio che sarebbe cosa da incoraggiarsi e, voglio aggiungere, quel clima filosofico odierno in cui respirano, anche nel nostro paese, buona parte delle giovani generazioni degli specialisti di filosofia, dovrebbe essere a ciò particolarmente favo
(2) Op. cit., p. 90.
(3) A. GRAMSCI, II materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, p. 136. II passo è, caratteristicamente, citato da Ludov[...]

[...] é di lui l'affermazione che « ogni ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza » (3). Farli oggetto di studio e di svolgimento non vi é dubbio che sarebbe cosa da incoraggiarsi e, voglio aggiungere, quel clima filosofico odierno in cui respirano, anche nel nostro paese, buona parte delle giovani generazioni degli specialisti di filosofia, dovrebbe essere a ciò particolarmente favo
(2) Op. cit., p. 90.
(3) A. GRAMSCI, II materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, p. 136. II passo è, caratteristicamente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio Caratteri e problemi della nuova metodologia (in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374).
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revole. Indubbiamente quegli spunti sono indicativi di alcuni fra gli interessi più originali di Gramsci (4). Essi tuttavia non sono isolabili, se li si vuole intendere e non fraintendere, se non si vuole commettere cioè una sopraffazione intellettuale, dalla metodologia del marxismo come vive ed opera in Gramsci: cioè del procedimento effettivo con cui egli elabora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita o implicita, metodologia, é il primo compito; ed é ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.
Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l'equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » (5). Il momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente, nel pensiero di Gramsci, e non sono separabili senza grave deformazione. Non si tratta solo della prova che di ciò si può ricavare da innumerevoli passi citabili, ma del nesso profondo, organico, del suo pensiero.
Vorrei richiamare qui, per un momento l'attenzione su un punto che, almeno per i filosofi « specialisti », ma forse non solo per loro, credo non indifferente. Questa posizione di Gramsci comporta l'idea che la filosofia sia sempre, anche, in qualche modo, « concezione del mondo ». Ciò non era per Gramsci oggetto di discussione. Che si possa proporre l'idea di una filosofia quale
strenge Wissenschaft », scienza rigorosa, proprio in quanta contrapposta alla Weltanschauung, e in certo modo svuotata di essa, era tesi che ancora non aveva avuto, praticamente, risonanza in Italia, negli anni in cui scriveva Gramsci (e del resto, se non erro, neppure in Francia). Essa era stata affacciata dallo Husserl nel
(4) Penso, in modo particolare, alle riflessioni e osservazioni di Gramsci intorno ai problemi del linguaggio e dei linguaggi (tecnici, specialistici ecc.).
(5) Cfr. A. LABRIOLA, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Bari, 19444, p. 10 e passim.
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1911, in uno scritto che credo di grande interesse per la storia. filosoficoculturale europea di questo secolo (6) (di quell'ideale lo Husserl veniva da tempo elaborando e applicando il metodo). Ricordo ciò perché quella tesi ci appare storicamente annunciatrice di tanti successivi indirizzi e procedimenti concettuali (penso non solo alla fenomenologia husserliana, ma alle correnti, di assai divers[...]

[...] perché quella tesi ci appare storicamente annunciatrice di tanti successivi indirizzi e procedimenti concettuali (penso non solo alla fenomenologia husserliana, ma alle correnti, di assai diversa origine, che appunto amano chiamarsi «metodologiche») (7) che si sono immensamente dilatati, che oggi campeggiano largamente nel mondo filosofico e coi quali il marxismo non può non trovarsi in discussione.
Ora è interessante notare, mi sembra, che in Gramsci si trova, e tutt'altro che accidentalmente, una concezione del filosofo la quale contiene una risposta a quell'atteggiamento. Si tratta proprio del « filosofo », non in un senso generico, ma nel senso professionale. Gramsci, che è stato critico così severo ed acuto della storia della filosofia elaborata, come avviene tradizionalmente, sulla linea dei «filosofi individuali » e della successione dei loro sistemi, non manifesta per il filosofo professionale il disprezzo pregiudiziale di cui si compiacque Benedetto Croce. Al filosofo professionale, o « tecnico », egli assegna una parte precisa; esso « ha nel campo del pensiero — dice Gramsci — la stessa funzione che nei diversi campi scientifici hanno gli specialisti » (8). Conoscenza dello stato dei problemi, del loro sviluppo fino a lui, del punto in cui vanno ripresi, come accade, o dovrebbe accadere, per ogni specialista. Ma il suo compito più specifico appare la riduzione dei procedimenti del pensiero a « omogeneità », « coerenza gicità ». Sotto tale riguardo, osserva Gramsci, «non sarà esatto
(6) Philosophie als strenge Wissenschaft, in «Logos» I (191011). E interessante notare che lo Husserl svolge la sua posizione attraverso una discussione con lo Historismus, cioè con un certo tipo di storicismo. Di ciò che compone la Weltanschauung egli accentua l'elemento « saggezza » (Weisheit, Weltweisheit),
(7) Cfr. I. M. BOCHENSKt, Europäische Philosophie der Gegenwart, Bern 1951, p. 32. « Sowohl die mathematische Logik als auch die Phänomenologie sind vor allem Methoden, nicht inhalhiche Lehren. Beide sind aus einer Besinnung auf die Grundlagen der Wissenschaften herv[...]

[...]n der Wissenschaften hervorgegangen und versuchen, diese durch eine rationale Methode neu zu begründen ».
(8) Il materialismo storico ecc., cit., p. 24.
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chiamare filosofia ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni concezione del mondo e della vita ». Siamo sul terreno, potremmo dire, almeno come atteggiamento di
fondo, delle odierne filosofie metodologiche. « Tuttavia aggiun
ge Gramsci — c'è una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L'aver fatto del filosofo specialista una figura simile, nella scienza, agli altri specialisti, é appunto ciò che ha determinato la caricatura del filosofo. Infatti si può immaginare un entomologo specialista, senza che tutti gli altri uomini siano "entomologhi" empirici, uno specialista della trigonometria, senza che la maggior parte degli uomini si occupino di trigonometria ecc. (si possono trovare scienze raffi[...]

[...]tomologo specialista, senza che tutti gli altri uomini siano "entomologhi" empirici, uno specialista della trigonometria, senza che la maggior parte degli uomini si occupino di trigonometria ecc. (si possono trovare scienze raffinatissime, specializzatissime, necessarie, ma non perciò "comuni"), ma non si può pensare nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché pensare é proprio dell'uomo come tale ».
Questo richiamo di Gramsci non ha nulla a che fare con una certa, nota, tesi idealistica. O, se vogliamo, é la traduzione di essa dal cielo speculativo ai suoi termini reali, che saranno sempre, per Gramsci, termini « storicistici ». « Non il pensiero, ma ciò che realmente si pensa unisce o differenzia gli uomini » (9), egli dice altrove.
Ora, « ciò che realmente si pensa » non é per Gramsci semplicemente ciò che si crede di pensare, ma quanto si manifesta nella pratica, nel pratico operare: tuttavia l'uno aspetto e l'altro, ciò che si crede di pensare e ciò che effettivamente si pensa operando, costituiscono, tutt'insieme, quella « concezione del mondo » per cui tutti gli uomini sono « filosofi ». La quale può essere dunque quanto mai disgregata, contraddittoria (in quanto non é ancora affrontata criticamente) e costituisce il contenuto di quel che si chiama «senso comune ». Ma in tale immanente e sempre presente « concezione del mondo » — che appare in tal modo legata per un
([...]

[...]el mondo » — che appare in tal modo legata per un
(9) Op. cit., p. 31.
Amomme
verso alle idee, comunque ricevute, e per un altro al pratico operare — non siamo mai punto isolati, ma apparteniamo sempre a un raggrumento (e perfino sotto l'aspetto ideologico, a una molteplicità di raggruppamenti), siamo sempre «uominimassa », « uomini collettivi » (10).
Mi sia qui consentito di interrompere il filo di questa iniziale ricostruzione del pensiero gramsciano, per introdurre una diversa considerazione. Questi concetti di Gramsci, ora illustrati, li troviamo nei « quaderni del carcere » sotto il titolo di « Avviamento allo studio della filosofia e del materialismo storico » quali «punti preliminari di riferimento ». Gramsci certo non pensava di scrivere in quel momento un « avviamento alla filosofia » per le scuole del Regno (come proprio in quegli anni ne entrarono in uso...), tuttavia vi è nel modo di quelle sue riflessioni non solo un nesso logico autonomamente valido, ma un evidente e assai esplicito intento pedagogico. « Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso — così si inizia quella serie di appunti — che la filosofia sia alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l'attività propria di una determinata categoria di scienziati specialisti e di filosofi professionisti e sistematici... ». Sem[...]

[...]so logico autonomamente valido, ma un evidente e assai esplicito intento pedagogico. « Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso — così si inizia quella serie di appunti — che la filosofia sia alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l'attività propria di una determinata categoria di scienziati specialisti e di filosofi professionisti e sistematici... ». Sembra di sentire, in queste righe, l'eco delle personali conversazioni di Gramsci con gli operai di Torino, di cui sappiamo, o con i compagni di persecuzione, di confino e di carcere (fino a quando gli fu possibile), che egli veniva istruendo idealmente e politicamente, di cui veniva formando la personalità di quadri rivoluzionari del partito della classe operaia. Non è una notazione marginale che si intende qui fare, ma tale, mi sembra, che ci avvicina a comprendere il modo in cui Gramsci concretamente concepiva l'efficacia del marxismo, e che ha significato universale. «Formare la personalità » significa, ci dice Gramsci, dar « coscienza dei rapporti in cui si entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si tratta di modificarli. « L'uomo attivo di massa — egli scrive (e va sottolineato il termine «attivo») — opera praticamente, ma
(10) Op. cit., p. 4.
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non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma ». Ed aggiunge: « La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto co[...]

[...]sse che già esiste », avevano detto di « esprimere » i fondatori del marxismo nel Manifesto) per la modificazione della « concezione del mondo » (della «coscienza teorica »), onde portarla a coerenza con le esigenze e i presupposti di quell'operare, innalzandola a un livello superiore, quello appunto della coerenza e consapevolezza critica, prodotte dall'analisi dei rapporti storici e sociali in cui si opera. E' molto interessante il modo in cui Gramsci collega questi concetti con l'intento educativo che aveva presente. Quei rapporti « importa conoscerli geneticamente, nel loro modo di formazione, perché ogni individuo non solo é la sintesi dei rapporti esistenti ma anche della storia di questi rapporti, cioè il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare é ben poco, in rapporto alle sue forze. Ciò é vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e se questo cambiamento é razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte [...]

[...]esso cambiamento e se questo cambiamento é razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile » (12).
Mi sono fermato su queste parole, così semplici, perché in esse é come l'a b c dell'educazione rivoluzionaria della classe operaia, nel suo aspetto teorico, ma esse coincidono rigorosamente con un'introduzione alla filosofia. Così Gramsci avrebbe potuto iniziare un suo « saggio popolare ». E, si noti, il punto di partenza é proprio l'uomo singolo, concreto, vivo, a cui ci si rivolge; membro, in questo caso, di un gruppo sociale subalterno; e innanzi tutto é posta la questione della sua personalità, della conquista e formazione di essa, Ora, appunto, in quel medesimo contesto,
(11) Op. cit., p. 12.
(12) Op. cit., p. 29.
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leggiamo: « si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso dei rapporti di cui egli è centro di annodamento. In questo s[...]

[...]o senso il filosofo reale non può essere altri che il politico, l'uomo attivo che modifica l'ambiente, inteso per ambiente l'insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte ». In queste parole troviamo presentata nella sua forma, se vogliamo, più brusca ed elementare (ma che ce ne fa comprendere, proprio perciò, con grande immediatezza, tutta la portata realistica) quella identificazione di filosofia e politica che in altri passi è da Gramsci ben altrimenti elaborata e arricchita di anelli e processi di mediazione; e in cui si trae la più conseguente conclusione della XI tesi su Feuerbach: « I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo ».
Gramsci poneva in relazione questa tesi col detto famoso del « proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca », detto che, naturalmente, ha assunto un significato estensivo, generale, per il proletariato rivoluzionario. Gramsci si guarda bene dal prendere questo motto quasi un emblema, un blasone, come spesso superficialmente e retoricamente è stato fatto, ma cerca di comprenderne ed elaborarne il significato. Ed uno dei significati f ondamentali è questo: che il marxismo, proprio in quanto è filosofia, ossia « concezione del mondo », quella concezione del mondo che tende ad unificare coerentemente innanzi tutto la coscienza della classe rivoluzionaria nella sua azione collettiva, è, per questa sua intrinseca natura, filosofia di massa (« concezione di massa », « concezione unitaria di massa »). Non in un senso, nat[...]

[...]ndi masse umane e la criticità filosofica (che naturalmente ha molteplici gradi ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ció trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello che Gramsci chiama « il filosofo democratico », cioè al « filosofo convinto — com'egli dice — che la sua personalità non sia limitata al proprio individuo fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell'ambiente culturale » (13). Sono da porsi in relazione a questo concetto le indagini di Gramsci intorno agli intellettuali, alla loro funzione nella società, e alla loro storia, e, più in particolare, la domanda che egli si pone sulla funzione che ancora possa spettare al « grande intellettuale » nel mondo moderno. La risposta di Gramsci mi sembra importante e tale da far riflettere. Quella funzione, egli dice, « permane intatta, trova per() un ambiente molto più difficile per affermarsi e svilupparsi: il grande intellettuale deve anch'egli tuffarsi nella vita pratica, diventare un'organizzatore degli aspetti pratici della cultura; se vuole continuare a dirigere, deve democratizzarsi, essere più attuale: l'uomo del Rinascimento non è più possibile » (14).
Quante crisi ripetutamente denunziate, o annunziate o autoannunziate, del filosofare (o della cultura) in quest'ultimo secolo,
dopo Hegel, a parte i contenuti dottrinali, [...]

[...]diventare un'organizzatore degli aspetti pratici della cultura; se vuole continuare a dirigere, deve democratizzarsi, essere più attuale: l'uomo del Rinascimento non è più possibile » (14).
Quante crisi ripetutamente denunziate, o annunziate o autoannunziate, del filosofare (o della cultura) in quest'ultimo secolo,
dopo Hegel, a parte i contenuti dottrinali, hanno la loro radice reale e trovano una loro spiegazione nella situazione indicata da Gramsci in queste parole,
Questo fatto nuovo e rivoluzionario del presentarsi nella storia umana di una filosofia critica e scientifica come filosofia di massa, come « concezione unitaria di massa », è ci() onde Gramsci caratterizza il marxismo, in quanto movimento reale e inteso nella
sua potenzialità di svolgimento, quale « riforma popolare dei tempi moderni»: nel senso di « riforma intellettuale e morale ». Nel
(13) Op. cit., p. 27.
(14) Passato e presente, p. 30.
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qual termine « riforma », evidentemente, non vi é nulla di contrapposto a « rivoluzione 2.; non vi é neppure la più lontana sfumatura di riformismo. È una riforma che ha come propria origine e contenuto appunto quel fatto nuovo e rivoluzionario, il quale prima di indirizzarsi a dirigere il movimento reale delle masse [...]

[...]ne e contenuto appunto quel fatto nuovo e rivoluzionario, il quale prima di indirizzarsi a dirigere il movimento reale delle masse lo riflette ed esprime: esprime una « lotta di classe che già esiste ». Essa si allarga progressivamente, con varietà di ritmi e vicissitudini storiche, nella lotta di classe, ma ha come punto di riferimento essenziale, e discriminante dei suoi caratteri, la questione dello Stato e del potere, che é sempre presente a Gramsci. Infatti egli torna di continuo a distinguere, con proficue analisi e differenziazioni di indirizzi di ricerca, gli aspetti diversi che essa assume prima e dopo la conquista stabile del potere da parte della. classe rivoluzionaria. Il significato specifico e globale di tale « riforma » é per Gramsci, indubbiamente, quello di una radicale rivoluzione culturale. E tuttavia, a mio avviso, egli ha utilmente adottato questo termine di « riforma », non solo e non tanto perché si tratta di un momento diverso da quello della rivoluzione politica e nei rapporti di produzione (i classici del marxismo si sono sempre preoccupati, in generale, di mettere in luce la differenza di ritmo fra il movimento strutturale e i movimenti delle sopra strutture e, in questi ultimi, fra quanto accade sul piano degli eventi politici e le più lente trasformazioni delle coscienze, del costume ecc.), ma perché in esso[...]

[...]tta politica e alla rivoluzione e trasformazione dei rapporti sociali. La « riforma » nelle idee e nelle coscienze é qualcosa che non é pensabile che possa seguire passivamente alla rivoluzione politica e sociale,. ma essa deve venire operata e perseguita attivamente e consapevolmente da chi dirige (e comprende tanto la fase prerivoluzionaria e prestatale, quanto quella postrivoluzionaria e statale, con le grandi differenze fra l'una e l'altra). Gramsci ha sentito molto acutamente la complessità dei problemi che si propongono ad una classe subalterna quando essa si trasforma in classe autonoma e
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dirigente: « dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone — egli dice — nasce concretamente l'esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale» (15). Nel quadro di tali questioni, strettamente saldato al l'interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comunismo c[...]

[...] dei problemi che si propongono ad una classe subalterna quando essa si trasforma in classe autonoma e
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dirigente: « dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone — egli dice — nasce concretamente l'esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale» (15). Nel quadro di tali questioni, strettamente saldato al l'interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comunismo come movimento reale: il nesso fra dirigenti e diretti, governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.
Ma quella nozione gramsciana del marxismo come a riforma intellettuale e morale » di massa ha anche un altro campo di validità. Essa collega idealmente il comunismo, inteso appunto come movimento reale, ad altri fenomeni storici di un certo tipo, consentendo di cogliere gli elementi di analogia e di segnare nello stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla 'prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde [...]

[...]stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla 'prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde radici sociali e furono accompagnate, seguite e anche precedute, da particolari e varie elaborazioni concettuali, filosofiche, metafisiche. Gramsci ha sempre presente il cristianesimo e soprattutto, in un contesto storico più vicino a noi, la riforma protestante e l'illuminismo (nei caratteri e ripercussioni di massa di quest'ultimo; e Gramsci ne sottolinea, come aveva fatto Engels, la novità del carattere laico) (16).
Ma nessuno di quei fenomeni ha investito, di fatto, la totalità del genere umano, come avviene col comunismo. Non si tratta solo di una differenza quantitativa. Il problema della situazione di coscienza delle grandi masse, in seno alla lotta economica e politica, il problema della loro unificazione culturale, coinvolge, in un orizzonte più ampio, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. E l'orizzonte, virtualmente universale, di svi
(15) II materialismo storico ecc., cit., p. 80.
(16) Cfr. op. cit.[...]

[...]egrale umanità dell'uomo che non è intesa nel marxismo (a differenza dei precedenti umanesimi, religiosi o no) come un dato metafisico od originario da ripristinarsi, ma come una esigenza posta in forma determinata dallo svolgimento storico, come un fine e un punto di arrivo (neppur esso, naturalmente, da intendersi in senso assoluto o metafisico). «L'umano è un punto di partenza o un punto di arriva, come concetto e fatto unitario? », si chiese Gramsci. « In quanto posto come punto di partenza » la ricerca stessa di esso non è, egli risponde, che « un residuo ' teologico ' e ' metafisico ' » (17). Proprio per questo la concezione marxista «che ' la natura umana' sia il ' complesso dei rapporti sociali' è la risposta piú soddisfacente — dice Gramsci — perché include l'idea del divenire: l'uomo di viene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega l'uomo in generale: infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale ». E ancora precisa: « Si può anche dire che la natura dell'uomo è la 'storia' se appunto si dà a storia il significato di ' divenire', in una ' concordia discors' che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile ».
(17) Op. cit., p. 31.
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Perde allora senso, dal punt[...]

[...]i una unità possibile ».
(17) Op. cit., p. 31.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 193
Perde allora senso, dal punto di vista marxista, — attraverso questa negazione dell'uomo in generale — la domanda « che cosa è l'uomo » ? All'opposto, possiamo dire: essa acquista un significato concreto che è un significato di movimento, o svolgimento consapevole, e come tale essa, potremmo aggiungere, è indirizzante, pratica, regolativa. « Se ci pensiamo — scrive Gramsci — vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l'uomo, vogliamo dire: che cosa l'uomo può diventare, se cioè l'uomo può dominare il proprio destino, può ' farsi', può crearsi un vita ». Quella domanda « è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo ' fabbri di noi stessi ', della nostra vita, del nostro destino (18). E ciò vogliamo ' oggi' nelle condizioni date oggi, della vita ' odierna ' e non di qualsiasi vita e di qualsiasi [...]

[...]da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo ' fabbri di noi stessi ', della nostra vita, del nostro destino (18). E ciò vogliamo ' oggi' nelle condizioni date oggi, della vita ' odierna ' e non di qualsiasi vita e di qualsiasi uomo » (19).
Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell'uomo in storia (« l'uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti »), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un'interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci. Una volta egli, trovandosi ad adoperare l'espressione « genere umano » (« storia del genere umano ») si ferma a chiosarla, osservando: « fatto che si adoperi la parola ' genere', di carattere naturalistico, ha il suo significato » (20). Che cosa intendeva qui dire Gramsci ? Egli ha respinto risolutamente, nel medesimo contesto, l'idea che « l'unità del genere umano » possa esser « data
(18) Ma nello stesso tempo Gramsci ne esamina subito anche le radici storiche (e il significato storico di massa). « La domanda è nata, riceve il suo contenuto, da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l'uomo. Il più importante di questi modi è la "religione" ed una determinata religione, il cattolicismo ».
(19) Op. cit., p. 27. Queste ultime parole di Gramsci potrebbero richiamare alla mente il « wir fragen jetzt, hier, für uns » dello Heidegger. Anche eisgenze presentate in forma speculativa e unilaterale nell'esistenzialismo possono trovare il loro luogo concreto nell'umanismo marxista.
(20) Op. cit., p. 31.
194 CESARE LUPORINI
dalla natura ' biologica ' dell'uomo ». Gramsci osserva che « le dif ferenze dell'uomo che contano nella storia non sono quelle biologiche » e che «neppure ' l'unità biologica' ha mai contato gran che nella storia » (21). E tuttavia, ripetiamo, il « carattere naturalistico » dell'espressione genere umano ha per lui «il suo significato ». II fatto é che Gramsci non pensa neppur lontanamente a negare l'esistenza di quella unità (o comunità) biologica dell'uomo, comunque prodottasi, bensì la sua incidenza rilevante nella storia umana. La naturalità dell'uomo, in senso puramente biologico, è per Gramsci, come per tutto il marxismo, soltanto un presupposto della storia umana. Non può esser cercata li quell'unità dell'umano che sta dinanzi a noi come un obiettivo, posto dallo svolgimento storico. Ma, d'altronde, quel « presupposto » della storia (umana) non è, sotto un altro riguardo, inoperante in essa. Potremmo dire: non più in quanto oggetto della biologia (che appunto astrae, considerando l'uomo, dallo svolgimento della sua storica socialità), ma in quanto oggetto della economia politica, ossia di una scienza storicoumana, che il marxismo, in quanto ne ha fatto la « critica », ha integralm[...]

[...] sua vita, e quindi anche dei rapporti del suo vivere sociale e delle rappresentazioni spirituali che ne scaturiscono » (22). Questa posizione ci riporta, per il suo contenuto, alla rivoluzione filosoficometodologica compiuta da Marx e da Engels negli anni fra il 1843 e il 1846, e che li condusse alla conquista del « materialismo storico ». Tale posizione, in quel medesimo passo
(21) a Neanche "la facoltà di ragionare" o lo "spirito" — aggiunge Gramsci — ha creato unità e può esser riconosciuto come fatto "unitario", perché concetto solo formale, categorico D.
(22) K. MARx, 11 capitale, Vol. I, Sez. IV, n. 89.
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del Capitale, Marx la contrappose allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché le correlative « rappresentazioni astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si arrischiano al di là della loro specialità »). Questa é anche la posizione di Gramsci: «L'umanità che si rif[...]

[...]MARx, 11 capitale, Vol. I, Sez. IV, n. 89.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 195
del Capitale, Marx la contrappose allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché le correlative « rappresentazioni astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si arrischiano al di là della loro specialità »). Questa é anche la posizione di Gramsci: «L'umanità che si riflette in ogni individualità é composta di diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e 3° elemento non sono così semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l'uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » (23).
A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo riscon[...]

[...]ì semplici come potrebbe apparire. L'individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Così l'uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » (23).
A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo riscontrato in Marx e in Gramsci) comporta la centralità del materialismo storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell'uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell'unico punto di partenza concreto che possediamo per ogni altra considerazione sul reale. E' il punto di partenza teorizzato riassuntivamente, ma incisivamente, da Marx nelle undici tesi su Feuerbach (testo capitale per Gramsci) e il cui principio gnoseologico fu espresso da Lenin come « criterio della prassi ». Ma qui conviene [...]

[...]o storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell'uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell'unico punto di partenza concreto che possediamo per ogni altra considerazione sul reale. E' il punto di partenza teorizzato riassuntivamente, ma incisivamente, da Marx nelle undici tesi su Feuerbach (testo capitale per Gramsci) e il cui principio gnoseologico fu espresso da Lenin come « criterio della prassi ». Ma qui conviene essere molto chiari, perché quanto stiamo dicendo contiene un preciso elemento polemico. Non sembrano conciliabili con questa posizione a cui Gramsci é fedele (e la riteniamo l'unica rigorosamente critica, oltreché corrispondente alla stessa genesi storica della dottrina) quelle forme di esposizione del marxismo, ancorché compiute a scopi didascalici, nelle quali il « materialismo storico » appare, secondo una implicita logica classificatoria e non dialettica, come caso particolare di applicazione (alla società) di un più generale « materialismo dialettico », la descrizione del cui contenuto sembri poter prescindere dalla presen
(23) 11 materialismo storico ecc., cit., p. 28.
196 CESARE LUPORINI
za dell'uomo nel mondo. (Questa osservazi[...]

[...]ismo dialettico » in forma tale che questo rimanga sempre aperto ai nuovi resultati e ai metodi in trasformazione delle scienze della natura, verificandoli e discutendoli in un'adeguata concezione filosofica. Esigenza, se non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo Engels, il quale si occupò più da vicino di tali questioni. E ciò contro ogni contrazione scolasticodogmatica del marxismo stesso.
La metodologia marxista di Gramsci, che si affinò, sotto questo riguardo, nella discussione critica ciel manuale del Bukharin (24), ed ha come filo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui é necessario aggiungere che, se é vero che il marxismo come rivoluzione filosofica é coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l'uno nell'altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragi[...]

[...]lo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui é necessario aggiungere che, se é vero che il marxismo come rivoluzione filosofica é coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l'uno nell'altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nel marxismo), una certa attenuazione dell'istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo senso. Chi scrive lo ritiene. A Gramsci interessò soprattutto il lato
(24) Op. cit., pp. 117168.
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umano (e quindi anche ideologico, superstrutturale, storico) della questione dell'oggettività, attorno a cui le sue riflessioni sono di grande importanza e originalità. Ma per quanto concerne il grave problema del nesso fra questa oggettività e la naturalità si é ormai come al margine estremo dei suo interesse e della sua meditazione. E non é detto che qui non si verifichi qualche oscillazione o incertezza. Gramsci é sempre lontanissimo dal contentarsi di ripetere formulazioni precostituite, per quanto[...]

[...]168.
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umano (e quindi anche ideologico, superstrutturale, storico) della questione dell'oggettività, attorno a cui le sue riflessioni sono di grande importanza e originalità. Ma per quanto concerne il grave problema del nesso fra questa oggettività e la naturalità si é ormai come al margine estremo dei suo interesse e della sua meditazione. E non é detto che qui non si verifichi qualche oscillazione o incertezza. Gramsci é sempre lontanissimo dal contentarsi di ripetere formulazioni precostituite, per quanto esse possano apparire suggestive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e vederle in tutte le loro connessioni, e appunto per questo é un maestro di metodo. La questione che abbiamo dinanzi é quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nel soggetto umano, come prassi sensibilerazionale) fra naturalità e storicità, che é indubbiamente, credo, il punto teorico più delicato di tutta la filosofia marxista. Da quel margine estremo, che si é detto, Gramsci indicava, tuttavia, lo s[...]

[...]tive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e vederle in tutte le loro connessioni, e appunto per questo é un maestro di metodo. La questione che abbiamo dinanzi é quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nel soggetto umano, come prassi sensibilerazionale) fra naturalità e storicità, che é indubbiamente, credo, il punto teorico più delicato di tutta la filosofia marxista. Da quel margine estremo, che si é detto, Gramsci indicava, tuttavia, lo sviluppo ulteriore della ricerca nell'approfondimento della tesi di Engels che « l'unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e questa é dimostrata da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali ». Ove Gramsci commentava dicendo che questa formulazione « contiene il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva » (25). Notazione storicistica squisitamente gramsciana. Eppure solo chi avesse gli occhi bendati di dogmatismo e di scolasticismo potrebbe vedere in essa un qualche allontanamento dalla posizione dei classici (che non fu mai né empiristica, né positivistica, né materialisticovolgare). Proprio lo Engels, nel 1885, concludendo la sua prefazione alla seconda edizione dell'Antidühring sottolineava tale complessa storicità della filosofia e insieme delle scienze (delle une in rapporto all'altra) come unico punto di riferimento possibile per liberarsi da qualsiasi visione « metafisica » della natura e « filosofia della natura » (26).
(25) Op. cit.,[...]

[...]za teorica della natura il suo ristretto carattere meta
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Il giro del discorso sembra averci allontanato dal punto principale intorno a cui esso verteva, e cioè dall'interpretazione gram sciana del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma intellettuale e morale », « riforma popolare dei tempi moderni ». E tuttavia è un allontanamento solo apparente, perché il contenuto critico del marxismo non é concepito da Gramsci come indifferente o superiore e distaccato rispetto alla concretezza del movimento reale di cui esso é la teoria.
L'esigenza di far convergere storicamente l'aspetto di « filosofia di massa » del marxismo con la soluzione dei compiti teorici e scientifici più alti e complessi, cioè l'esigenza di una « cultura integrale », che sulla base della classe rivoluzionaria, possegga una espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò in Gramsci essenziale alla dinamica stessa del marxismo, e viene a caratterizzare la sua originalità. Anche l'identificazione dialettica operata da Gramsci fra filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia ecc. ) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato (come criterio di interpretazione storiografica) (27) o proiettata verso il futuro — non é comprensibile senza
fisico. Il riconoscimento che queste opposizioni e queste differenze in verità sono presenti nella natura, ma con una validità solo relativa, e che invece quella rigidità o quella assoluta validità con cui sono presentate viene introdotta nella natura solo dalla nostra riflessione; questo riconoscimento costituisce il punto centrale della c[...]

[...]perimentale. Appunto imparando a far propri i resultati dello sviluppo della filosofia durante venticinque secoli, essa si libererà da un lato da ogni filosofia della natura che stia a parte e al di fuori e al di sopra di essa, ma anche, d'altro lato, dal suo proprio metodo limitato di pensare, ereditato dall'empirismo inglese ». (F. ENGELS, Antidühring, trad. it., Roma, 1950, pp. 1819).
(27) Importante, ad esempio, a questo riguardo la nozione gramsciana di quella che è la filosofia di un'epoca: a Dal punto di vista che a noi interessa, lo studio della storia e della logica delle diverse filosofie dei filosofi non è sufficiente. Almeno come indirizzo metodico, occorre attirare l'attenzione sulle altre parti della storia della filosofia; cioè sulle concezioni del mondo delle grandi masse, su quelle dei più ristretti
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quella dimensione nuova del filosofare (non ha nulla a che vedere, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).
Anche la polemica contro l'idealismo, che si svolge in Gram[...]

[...]fie dei filosofi non è sufficiente. Almeno come indirizzo metodico, occorre attirare l'attenzione sulle altre parti della storia della filosofia; cioè sulle concezioni del mondo delle grandi masse, su quelle dei più ristretti
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 199
quella dimensione nuova del filosofare (non ha nulla a che vedere, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).
Anche la polemica contro l'idealismo, che si svolge in Gramsci attraverso una serie estremamente differenziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e special mente alla discussione cól crocianesimo), e conduce a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, é innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo » (28), valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti, legati al privilegio sociá[...]

[...]cuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, é innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo » (28), valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti, legati al privilegio sociále, ma dell'intiera umanità associata. Per converso, la polemica di Gramsci contro le penetrazioni nel marxismo di materialismo volgare o metafisico, benché si svolga su un piano strettamente teorico, comporta anche la relativa giustificazione storica di quelle penetrazioni, come caratteristiche di una fase ancora arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui il marxismo è espressione. (29).
All'una e all'altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia critica e originalità filosofica del marxismo, che, come si è detto, è il filo conduttore di tutto il pensiero di
gruppi dirigenti (o intellettuali) e infine sui legami tra questi vari c[...]

[...]essere « distinti » gli elementi filosofici propriamente detti, e in tutti i loro diversi gradi: come filosofia dei filosofi, come concezioni dei gruppi dirigenti (cultura filosofica) e come religioni delle grandi masse, e vedere come in ognuno di questi gradi si abbia a che fare con forme diverse di "combinazione" ideologica » (Il materialismo storico ecc., cit., p. 22. Cfr. anche pp. 151 e 232).
(28) Op. cit., p. 226.
(29) Su questo concetto Gramsci torna frequentemente, studiando i diversi aspetti della questione. Cfr., in particolar modo, Il materialismo storico ecc., pp. 81, 84, 87, 151, 1623, 223.
200 CESARE LUPORINI
Gramsci. Di fronte all'idealismo contemporaneo anche quelle traduzioni e recuperi, a cui si è accennato (30), sono connessi, in grande parte, a questo punto centrale, già nuclearmente presente in Antonio Labriola. « Gli intellettuali ' puri ' — scrive Gramsci — come elaboratori delle più estese ideologie delle classi dominanti, come leaders dei gruppi intellettuali dei loro paesi, non potevano non servirsi almeno di alcuni elementi della filosofia della prassi, per irrobustire le loro concezioni e moderare il soverchio filosofismo speculativo col realismo storicista della teoria nuova, per fornire di nuove armi l'arsenale del gruppo sociale cui erano legati. D'altra parte la tendenza ortodossa si trovava a lottare con l'ideologia più diffusa nelle masse popolari, il trascendentalismo religioso, e credeva di superarlo solo col più crudo e banale ma[...]

[...]ua affermazione (non sempre sicura, a dire il vero) che la filosofia della prassi è una filosofia indipendente e originale che ha in se stessa gli elementi di un ulteriore sviluppo per diventare da interpretazione della storia filosofia generale ».
In queste parole, a chi ben guardi, troviamo delineato, e nei suoi termini polemici e in quelli costruttivi, l'intiero ambito in cui si muove, sotto il riguardo teorico e metodologico, il pensiero di Gramsci. Vi è da fare anche un'altra osservazione, che credo assai caratterizzante: quella «indipendenza e originalità filosofica del marxismo » è vista da Gramsci non semplicemente come un data, come una cosa già fatta, ma come un elemento di svihippo e di conquista continua delle sue più profonde implicazioni. E ciò nel quadro di una lotta ideale in cui sono presenti non solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati
(30) Ció vale soprattutto nei confronti dell'idealismo, o « neohegelianesimo », italiano del Croce e del Gentile, che prese l'avvio, alla fine del secolo, dalla discusssione col marxismo ed a quella é' sempre rimasto, in qualche modo, legato.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 201
ai loro estremi in idealismo e in un certo tipo d[...]

[...]ro estremi in idealismo e in un certo tipo di materialismo),
ma concreti portatori di essi, da un lato gli « intellettuali ' puri elaboratori delle ideologie delle classi dominanti », dall'altro le masse popolari, in certo modo depositarie del « senso comune ». Quella lotta ideale in cui il marxismo esplica e sviluppa, di fatto, la sua autonomia filosofica, si presenta così immediatamente come momento necessario di una complessa lotta reale. In Gramsci questo nesso non va mai perduto, non è mai obliato.
Quel medesimo nesso determina, ci sembra, il suo modo di concepire lo svolgimento e l'esposizione del marxismo come filosofia. Soprattutto nell'epoca in cui lo sviluppo storico ha posto alla classe rivoluzionaria il problema dell'egemonia (direzione politica e culturale sull'insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col « senso comune ». La n[...]

[...]rico ha posto alla classe rivoluzionaria il problema dell'egemonia (direzione politica e culturale sull'insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col « senso comune ». La nozione di « senso comune » diventa perciò fondamentale.
Essa, nel contesto gramsciano, é ben più complessa del convenzionale riferimento che sotto tale denominazione serve molto spesso ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento staticamente contrapposto alla «criticità» della filosofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa conciliabile). Il « senso comune » non é per Gramsci univocamente rappresentabile e riducibile nei suoi contenuti, come se fosse l'espressione di un atteggiamento naturale. Esso é sempre, per lui, « prodotto storico » che contiene, stratifica e cristallizza contraddittoriamente le più varie eredità passive del passato: oltre, naturalmente, agli elementi attivi da liberare ed elaborare (31). Esso é il terreno su cui esercitano la loro azione e la loro
(31) Cfr., per la discussione del senso comune, Il materialismo storico ecc., cit., pp. 57, 9, 11, 2527, 4647, 119121, 123 e passim. Inoltre cfr., Gli intellettuali e l'organizzazione della cultur[...]

[...]co » che contiene, stratifica e cristallizza contraddittoriamente le più varie eredità passive del passato: oltre, naturalmente, agli elementi attivi da liberare ed elaborare (31). Esso é il terreno su cui esercitano la loro azione e la loro
(31) Cfr., per la discussione del senso comune, Il materialismo storico ecc., cit., pp. 57, 9, 11, 2527, 4647, 119121, 123 e passim. Inoltre cfr., Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, p. 148. Gramsci si rifà qualche volta alla distinzione di « senso comune » e « buon senso », e ricorda anche il noto passo del Manzoni (Passato e presente, p. 216). Alcune riflessioni di Gramsci potrebbero essere confrontate con il capitolo dedicato dal Cattaneo al « senso comune » nella sua Logica. (v. C. CATTANEO, Scritti filosofici letterari e vari, Firenze, 1957, p. 186 e seg).
202 CESARE LUPORINI
presa le ideologie dominanti di gruppi e di classi (in cui, per esempio, la loro « verità » s'impone alle classi subalterne come superstizione) (32). E' il terreno cioè in cui si producono e mantengono, in funzione della divisione della società in classi antagonistiche, le resistenze a ogni spinta unificante della coscienza umana. L'assunto implicito, reperibile in molte esposizioni d[...]

[...]in funzione della divisione della società in classi antagonistiche, le resistenze a ogni spinta unificante della coscienza umana. L'assunto implicito, reperibile in molte esposizioni dogmatiche del marxismo, di una propria conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nella sua effettiva realtà storicosociale) si presenta così come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare Io sviluppo della « filosofia della prassi » nella sua capacità riformatrice delle coscienze di grandi masse umane. (E giova qui ricordare che tale assunto non fu mai proprio dei classici del marxismo).
Questa presentazione della posizione di Gramsci potrebbe anche venir fraintesa unilateralmente. A Gramsci, che si era formato e aveva lottato in continuo contatto con le masse lavoratrici, non sfugge ciò su cui Lenin aveva richiamato l'attenzione, scrivendo: « Sarebbe il più grande errore e il peggiore che possa commettere un marxista, quello di credere che le masse popolari, costituite da milioni di esseri umani (e soprattutto dalla massa dei contadini e degli artigiani) condannati alle tenebre, all'ignoranza e ai pregiudizi da tutta la società moderna, possano uscire da queste tenebre solo seguendo la retta via di un'istruzione puramente marxista » (33). È, anzi, proprio un problema di tale nat[...]

[...]ontenuti ereditari del « senso comune » si appoggia, dialetticamente, su di esso e muove non alla sua distruzione, che sarebbe proposito insensato, ma alla sua riforma e sostituzione con una concezione più coerente, che divenga fede, ossia norma intrinseca dell'agire. Il che non avviene né in un giorno, né in astratto, ossia come educazione astratta, verbale e libresca, bensì in connessione con la lotta politica e di classe. Occorre perciò, dice Gramsci, che la « nuova concezione si presenti intimamente fusa con un programma politico e una concezione della storia che il popolo riconosca come espressione delle sue necessità vitali » (34). E aggiunge: « Non é possibile pensare alla vita e alla diffusione di una filosofia che non sia insieme politica attuale, strettamente legata all'attività preponderante nella vita delle classi popolari, il lavoro, e non si presenti pertanto, entro certi limiti, come connessa alla scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizialmente forme superstiziose e primitive come quelle della religione mitologica,[...]

[...]amente legata all'attività preponderante nella vita delle classi popolari, il lavoro, e non si presenti pertanto, entro certi limiti, come connessa alla scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizialmente forme superstiziose e primitive come quelle della religione mitologica, ma troverà in se stessa e nelle forze intellettuali che il popolo esprimerà dal suo seno gli elementi per superare questa fase primitiva ».
Queste ultime parole di Gramsci, così strettamente connesse all'idea del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma popolare », ci conducono al problema della sua fase moderna di svolgimento: rispetto, intendo dire, all'intiera epoca storica in cui viviamo. La questione é sempre considerata da Gramsci in rapporto a quella del potere e dello Stato e della loro conquista da parte della classe operaia. Non é possibile qui entrare
(34) Il materialismo storico ecc., cit., p. 226.
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nei particolari (ed il tema è oggetto di un'altra relazione), ma è essenziale ricordare che attraverso questo collegamento opera in Gramsci, in maniera decisiva, la nozione leniniana che egli indica costantemente sotto il termine di « egemonia »: e non solo la nozione, ma la sua realizzazione, ossia l'esperienza storica della rivoluzione di Ottobre. Si tratta dei problemi concreti che si sono imposti alla classe operaia nella « epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie », i problemi delle alleanze di classe, della direzione politica su altri gruppi sociali, della connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e della direzione culturale: pr[...]

[...]ruppi sociali, della connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e della direzione culturale: problemi nei quali si è straordinariamente allargata, a contatto con lo sviluppo reale, nel nostro secolo, la problematica marxista dello Stato, e di cui fu maestro Lenin. Ora, è importante notare che qui fanno nodo e si articolano tutti gli elementi teorici del pensiero di Gramsci: « L'egemonia realizzata — egli scrive (riferendosi alla rivoluzione di Ottobre) — significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica » (35).
La quale asserzione, a questo punto, non avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti. Ma essa guadagna la pienezza del suo significato se la proiettiamo in un contesto concettuale più largo. Scrive altrove Gramsci: « La proposizione contenuta nella Introduzione alla ' Critica dell'Economia politica' che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura sul terreno delle ideologie deve essere considerata come un'affermazione di valore gnoseologico, e non puramente psicologico e morale. Da ciò consegue che il principio teoricopratico dell'egemonia ha anch'esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporta massimo di Ili' [Lenin] alla filosofia della prassi » (36).
Un imponente gruppo di problemi teorici, metodologici, sto
(35) Op. cit., p. 75. Ove anche si legge: «[...]

[...]on voleva indicare Mari l'ufficio storico della sua filosofia divenuta teoria di una classe che sarebbe diventata Stato? Per Ilie' questo è realmente avvenuto in un territorio determinato ». Cfr. op. cit., p. 32 e passim.
(36) Op. cit., p. 39.
LA METODOLOGIA DEL MARXISMO 205 I
riografici, che si è costretti a tralasciare, si collega a questa affermazione. Sono i problemi relativi alla realtà e storicità delle soprastrutture (la discussione di Gramsci con lo storicismo idealistico è in gran parte legata a questo tema), alla eredità storicoculturale, al nesso fra ideologia, scienza, filosofia, e, ancora una volta, fra filosofia e politica; sono i problemi, soprattutto, relativi alla questione della oggettività (e correlativamente della soggettività, non solo individuale ma di gruppo), intorno ai quali Gramsci, come si , è accennato, presenta suggestioni e impostazioni cariche della possibilità di ulteriori svolgimenti. « L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall'origine pratica della loro sostanza. C'é quindi una [...]

[...]iamano ' spirito' non é un punto di partenza ma d'arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc. La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione... » (37).
È un modo di considerare le cose che pone immediatamente il problema del marxismo come soprastruttura. Ma vi è, dice Gramsci, « una differenza fondamentale tra la filosofia della prassi e le altre filosofie: le altre ideologie sono creazioni inorganiche perché dirette a conciliare interessi opposti e contraddittori; la loro ' storicità' sarà breve perché la contraddizione affiora dopo ogni avvenimento di cui sono state strumento. La filosofia della prassi invece non tende a risolvere pacificamente le contraddizioni esistenti
(37) Op. cit., p. 142.
206 CESARE LUPORINI
nella storia e nella società, anzi è la stessa teoria di tali contraddizioni... » (38). La filosofia della prassi non tende cioè a mettere le « bra[...]

[...] pretesa) (39), a presentarsi come sintesi ideale illusoriamente risolutiva dei contrasti reali, All'opposto, essa è « la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi di azione » (40).'
Qui è il nocciolo del modo in cui Gramsci intende la dialettica, secondo che egli aveva appreso, congiuntamente, dalla sua strenua esperienza di lotta e dalla lezione dei classici (si pensi, in particolare, al metodo con cui Marx svolse la polemica contro Proudhon nella Miseria della filosofia, considerata da Gramsci un momento essenziale della formazione della « filosofia della prassi ») (41). Così, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l'irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità »), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un'asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta: « Errore fondamentale: nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettu[...]

[...]ento essenziale della formazione della « filosofia della prassi ») (41). Così, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l'irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità »), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un'asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta: « Errore fondamentale: nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettualmente un'età storica, che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all'avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata » (42).
CESARE LUPORINI
(38) Op. cit., p. 237.
(39) L'espressione a .mener le brache al mondo » ripresa da Gramsci contro Croce per indicare il moderatismo della sua filosofia, era stata dal Croce stesso adoperata nella introduzione al primo fascicolo de La Critica.
(40) Op. cit., pp. 9394.
(41) Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, p. 31 (in nota).
(42) 1l materialismo storico ecc., p. 75.



da [Le relazioni] C. Luporini, La metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Cesare Luporini

LA METODOLOGIA DEL MARXISMO NEL PENSIERO DI GRAMSCI

Questo titolo — « la metodologia del marxismo nel pensiero di Gramsci» — potrebbe dar luogo ad un equivoco che è bene eliminare subito. Si potrebbe, cioè, essere indotti ad attribuirci l'intento dì ricostruire ciò che è essenziale, filosoficamente, nel pensiero di Gramsci, quale uno sforzo di intendere e interpretare il marxismo alla stregua di una pura o mera metodologia (salvo, naturalmente, a vedere di che cosa esso sarebbe la metodologia).

Tentativi di questo genere, nei riguardi del marxismo, furono fatti, com’è noto, nel passato ed hanno tutta una storia che non sarebbe punto lecito giudicare e tanto meno liquidare in blocco e in astratto, cioè indipendentemente dal contesto di problemi e di indirizzi ideali, e dalle concrete situazioni culturali, in cui sorgevano. Si tratta, apparentemente, di una questione vecchia, ed a qualcuno verrà fatto di ricor[...]

[...]lla storia ». QucH'abbassamento del marxismo da « metodo » a « canone » conteneva, a fortiori, anche la negazione (contro il Labriola con cui Croce era in discussione) che esso fosse una «filosofia», ossia una autonoma concezione delle realtà1.

Nel clima filosofico odierno la parola « metodologia » si presenta carica di nuove suggestioni e riferimenti determinati a dottrine e tendenze filosofiche che erano ancora poco sviluppate negli anni di Gramsci e comunque, allora, inoperanti in Italia. Si tratta di interessi sorti su un terreno diverso da quello della ricerca storica e delle scienze umane (politica, economia, sociologia, psicologia ecc.), anche se oggi essi tendono in qualche modo ad investirle: e precisamente delle indagini di carattere logico e « linguistico » intorno alle strutture intime e ai procedimenti delle scienze matematiche e fisiche. Tali indagini sembrano comportare un atteggiamento mentale diametralmente opposto a quello ora indicato nel Croce della maturità, per cui tutta la filosofia si risolve in un’unica metodologi[...]

[...]i sembrano comportare un atteggiamento mentale diametralmente opposto a quello ora indicato nel Croce della maturità, per cui tutta la filosofia si risolve in un’unica metodologia (la metodologia, almeno in assunto, della conoscenza del concreto, ossia della « storia » ). Se queste tendenze filosofiche rimasero» in quelli che erano allora i loro inizi (e più esattamente dovremmo dire: in quella che fu la loro prima fase di svolgimento), ignote a Gramsci, sarebbe errato, credo, affermarle estranee in modo radicale alla sua mentalità. Effettivamente i Quaderni del carcere si presentano assai ricchi di osservazioni, spunti, suggerimenti critici particolari, di carattere « metodologico» relativi a settori o campi determinati dall’indagine scientifica (ancorché non riguardanti direttamente le scienze matematiche e fisiche, di cui Gramsci non aveva esperienza), ed è di lui l’affermazione che « ogni ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza » 2. Farli oggetto di studio e di svolgimento non vi è dubbio che sarebbe cosa da incoraggiarsi e, voglio aggiungere, quel clima filo
1 Op. cit., p. 90.

2 M. S., p. 136. Il passo è, caratteristicamente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio « Caratteri e problemi della nuova metodologia » in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374.Cesare Luporini

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sofico odierno in cui respirano, anche nel nostro paese, buona parte delle g[...]

[...]amente, citato da Ludovico Geymonat nel saggio « Caratteri e problemi della nuova metodologia » in Saggi di filosofia neorazionalista, Torino, 1953, pp. 7374.Cesare Luporini

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sofico odierno in cui respirano, anche nel nostro paese, buona parte delle giovani generazioni degli specialisti di filosofia, dovrebbe essere a ciò particolarmente favorevole. Indubbiamente quegli spunti sono indicativi di alcuni fra gli interessi più odginali di Gramsci1. Essi tuttavia non sono isolabili, se li si vuole intendere e non fraintendere, se non si vuole commettere cioè una sopraffazione intellettuale, dalla metodologia del marxismo come vive ed opera in Gramsci: cioè del procedimento effettivo con cui egli elabora i concreti problemi di cui si occupa. Rilevare questa effettiva, esplicita, o implicita, metodologia, è il primo compito; ed è ciò a cui qui si cerca di recare un contributo.

Ora, proprio a questo punto potrebbe sorgere l’equivoco a cui mi riferivo in principio. Conviene perciò dichiarare subito che il marxismo non è per Gramsci soltanto un « metodo » ma è una filosofia, in quanto integrale e « generale » concezione della realtà, o, come egli suole dire,, sulle orme del Labriola, « concezione del mondo » 2. >11 momento metodico (riferito sia al conoscere, sia al pratico agire) e il momento « concezione del mondo » si condizionano e provano reciprocamente, nel pensiero di Gramsci, e non sono separabili senza grave deformazione. Non si tratta solo della prova che di ciò si può ricavare d'a innumerevoli passi citabili^ ma del nesso profondo, organico, del suo pensiero.

Vorrei richiamare qui, per un momento, l’attenzione su un punto che, almeno per i filosofi « specialisti », ma forse non solo per loro, credo non indifferente. Questa posizione di Gramsci comporta l’idea che la filosofia sia sempre, anche, in qualche modo, « concezione del mondo ». Ciò non era per Gramsci oggetto di discussione. Che si possa proporre l’idea di una filosofia quale « strenge Wissenschaft », scienza rigorosa, proprio in quanto contrapposta alla W eltanschauung, e in certo modo svuotata di essa, era tesi che ancora non aveva avuto, praticamente, risonanza in Italia, negli anni in cui scriveva Gramsci (e del resto, se non erro, neppure in Francia). Essa era stata affacciata dallo Husserl nel 1911, in uno scritto thè credo di grande interesse per la storia filosofico
1 Penso, in modo particolare, alle riflessioni e osservazioni di Gramsci intorno ai problemi del linguaggio e dei linguaggi (tecnici, specialistici ecc.).

2 Cfr. A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, Bari, 19444?

p. 10 e passim.448

Le relazioni

culturale europea di questo secolo1 (di queirideale lo Husserl veniva da tempo elaborando e applicando il metodo). Ricordo ciò perché quella tesi ci appare storicamente annunciatrice di tanti successivi indirizzi e procedimenti concettuali (penso non solo alla fenomenologia husserliana, ma alle correnti, di assai diversa origine, che appunto amano chiamarsi « metodologiche » )2 che si sono imme[...]

[...]erché quella tesi ci appare storicamente annunciatrice di tanti successivi indirizzi e procedimenti concettuali (penso non solo alla fenomenologia husserliana, ma alle correnti, di assai diversa origine, che appunto amano chiamarsi « metodologiche » )2 che si sono immensamente dilatati, che oggi campeggiano largamente nel mondo filosofico e coi quali il marxismo non può non trovarsi in discussione.

Ora è interessante notare, mi sembra, che in Gramsci si trova, e tutt’altro che accidentalmente, una concezione del filosofo la quale contiene una risposta a queiratteggiamento. Si tratta proprio del « filosofo », non in un senso generico, ma nel senso professionale. Gramsci, che è stato critico cosi severo ed acuto della storia della filosofia elaborata, come avviene tradizionalmente, sulla linea dei « filosofi individuali » e della successione dei loro sistemi, non manifesta per il filosofo professionale il disprezzo pregiudiziale di cui si compiacque Benedetto Croce. Al filosofo professionale, o « tecnico », egli assegna una parte precisa; esso « ha nel campo del pensiero — dice Gramsci — la stessa funzione che nei diversi campi scientifici hanno gli specialisti » 3. Conoscenza dello stato dei problemi, del loro sviluppo fino a lui, del punto in cui vanno ripresi, come accade, o dovrebbe accadere, per ogni specialista. Ma il suo combito più specifico appare la riduzione dei procedimenti del pensiero a « omogeneità », « coerenza », « logicità ». Sotto tale riguardo, osserva Gramsci, « non sarà esatto chiamare “ filosofia ” ogni tendenza di pensiero, ogni orientamento generale ecc. e neppure ogni “concezione del mondo e della vita ” ». Siamo sul terreno, potremmo dire, almeno come atteggiamento di fondo, delle odierne filosofie metodologiche.

1 Philosophie als strenge Wissenschaft, in Logos, I (191011). È interessante notare che lo Husserl svolge la sua posizione atraverso una discussione con lo Historismus, cioè con un certo tipo di storicismo. Di ciò che compone la Weltansehauung egli accentua l’elemento « saggezza » ( Weisheit, Weltweisheit).

2 Cfr. I. M. BOCHEN[...]

[...]a » ( Weisheit, Weltweisheit).

2 Cfr. I. M. BOCHENSKI, Europdische Philosophie der Gegenwart, Bern, 1951, p. 32. « Sowohl die mathematische Logik als auch die Phànomenologie sind vor allem Methoden, nicht inhaltliche Lehren. Beide sind aus einer Besinnung auf die Grundlagen der Wissenschaften hervorgegangen und versuchen, diese durch eine rationale Methode neu zu begriinden ».

3 M. S., p. 24.Cesare Luporini

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« Tuttavia — aggiunge Gramsci — ce una differenza tra il filosofo specialista e gli altri specialisti: che il filosofo specialista si avvicina più agli altri uomini di ciò che avvenga per gli altri specialisti. L’avere fatto del filosofo specialista una figura simile, nella scienza, agli altri specialisti, è appunto ciò che ha determinato la caricatura del filosofo. Infatti si può immaginare un entomologo specialista, senza che tutti gli altri uomini siano “ entomologhi ” empirici, uno specialista della trigonometria, senza che la maggior parte degli altri uomini si occupino di trigonometria ecc. (si possono trovare scien[...]

[...]sta, senza che tutti gli altri uomini siano “ entomologhi ” empirici, uno specialista della trigonometria, senza che la maggior parte degli altri uomini si occupino di trigonometria ecc. (si possono trovare scienze raffinatissime, specializzatissime, necessarie, ma non perciò “ comuni ”), ma non si può pensare nessun uomo che non sia anche filosofo, che non pensi, appunto perché il

pensare è proprio dell'uomo come tale».

Questo richiamo di Gramsci non ha nulla a che fare con una certa, nota, tesi idealistica. O, se voghiamo, è la traduzione di essa dal cielo speculativo ai suoi termini reali, che saranno sempre, per Gramsci, termini « storicistici ». «Non il “pensiero”, ma ciò che realmente si pensa unisce o differenzia gli uomini » 1, egli dice altrove.

Ora, « ciò che realmente si pensa » non è per Gramsci semplice
mente ciò che si crede di pensare, ma quanto si manifesta nella pratica,

nel pratico operare: tuttavia luno aspetto e l’altro, ciò che si crede di pensare e ciò che effettivamente si pensa operando, costituiscono, tutt’insieme, quella « concezione del mondo» per cui tutti gli uomini sono « filosofi ». La quale può essere dunque quanto mai disgregata, contraddittoria (in quanto non è ancora affrontata criticamente) e costituisce il contenuto di quel che si chiama « senso comune ». Ma in tale immanente e sempre presente « concezione del mondo » — che appare in tal modo legata per u[...]

[...]mpre presente « concezione del mondo » — che appare in tal modo legata per un verso alle idee, comunque ricevute, e per un altro al pratico operare — non siamo mai punto isolati, ma apparteniamo sempre a un raggruppamento (e perfino sotto l’aspetto ideologico, a una molteplicità di raggruppamenti), siamo sempre « uominimassa », « uomini collettivi » 2.

Mi sia qui consentito di interrompere il filo di questa iniziale ricostruzione del pensiero gramsciano, per introdurre una diversa considera
1 M. S., p. 31.

2 M. S., p. 4.m

450 Le relazioni

zione. Questi concetti di Gramsci, ora illustrati, li troviamo nei Quaderni del carcere sotto il titolo di « Avviamento allo studio della filosofia e del materialismo storico » quali « punti preliminari di riferimento ». Gramsci certo non pensava di scrivere in quel momento un « avviamento alla filosofia » per le scuole del Regno (come proprio in quegli anni ne entrarono in uso...), tuttavia vi è nel modo di quelle sue riflessioni non solo un nesso logico autonomamente valido, ma un evidente e assai esplicito intento pedagogico. « Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso — cosi si inizia quella serie di appunti — che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e siste[...]

[...]omamente valido, ma un evidente e assai esplicito intento pedagogico. « Occorre distruggere il pregiudizio molto diffuso — cosi si inizia quella serie di appunti — che la filosofia sia un alcunché di molto difficile per il fatto che essa è l’attività intellettuale propria di una determinata categoria di scienziati specialisti o di filosofi professionali e sistematici... ». Sembra di sentire, in queste righe, leco delle personali conversazioni di Gramsci con gli operai di Torino, di cui sappiamo, o con i compagni di persecuzione, di confino e di carcere (fino a quando gli fu possbile), che egli veniva istruendo idealmente e politicamente, di cui veniva formando la personalità di quadri rivoluzionari del partito della classe operaia. Non è una notazione marginale che si intende qui fare, ma tale, mi sembra, che ci avvicina a comprendere il modo in cui Gramsci concretamente concepiva l’efficacia del marxismo, e che ha significato universale \ « Farsi una personalità » significa, ci dice Gramsci, acquistare «coscienza... dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte » (rapporti storicosociali), nel loro aspetto « necessario », ossia condizionante, e anche nel loro aspetto « volontario » : poiché si tratta di modificarli. « L’uomo attivo di massa — egli scrive (e va sottolineato il termine « attivo » ) — opera praticamente, ma non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma». Ed aggiunge: «La sua coscienza teorica anzi può essere storicamente in contrasto col suo operare» \

L’operare praticamente, che già racchi[...]

[...]mere » i fondatori del marxismo nel Manifesto) per la modificazione della « concezione del mondo » (della « coscienza teorica » ), onde portarla a coerenza con le esigenze e i presupposti di quell’operare, innalzandola a un livello superiore, quello appunto della

1 M. S., p. 11.Cesare Luporini

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coerenza e consapevolezza critica, prodotte dall’analisi dei rapporti storici e sociali in cui si opera. È molto interessante il modo in cui Gramsci collega questi concetti con l’intento educativo che aveva presente. Quei rapporti « importa conoscerli geneticamente, nel loro modo di formazione, poiché ogni individuo non solo è la sintesi dei rapporti esistenti ma anche della storia di questi rapporti, cioè è il riassunto di tutto il passato. Si dirà che ciò che ogni singolo può cambiare è ben poco, in rapporto alle sue forze. Ciò che è vero fino a un certo punto. Poiché il singolo può associarsi con tutti quelli che vogliono lo stesso cambiamento e se questo cambiamento è razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di [...]

[...] stesso cambiamento e se questo cambiamento è razionale, il singolo può moltiplicarsi per un numero imponente di volte e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile » \

Mi sono fermato su queste parole, cosi semplici, perché in esse è come l’a b c deireducazione rivoluzionaria della classe operaia, nel suo aspetto teorico, ma esse coincidono rigorosamente con un’introduzione alla filosofia. Cosi Gramsci avrebbe potuto iniziare un suo « saggio popolare ». E, si noti, il punto di partenza è proprio l’uomo singolo, concreto, vivo, a cui ci si rivolge; membro, in questo caso, di un gruppo sociale subalterno; e innanzi tutto è posta la questione della soia personalità, della conquista e formazione di essa. Ora, appunto, in quel medesimo contesto, leggiamo: « si può dire che ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso dei rapporti di cui egli è centro di annodamento. In questo senso il filosofo reale è e non può non essere altri che il politico, c[...]

[...]losofo reale è e non può non essere altri che il politico, cioè l’uomo attivo che modifica l’ambiente, inteso per ambiente l’insieme dei rapporti di cui ogni singolo entra a far parte ». In queste parole troviamo presentata nella sua forma, se vogliamo, più brusca ed elementare (ma che ce ne fa comprendere, proprio perciò, con grande immediatezza, tutta la portata realistica) quella identificazione di filosofia e politica che in altri passi è da Gramsci ben altrimenti elaborata e arricchita di anelli e processi di mediazione; e in cui si trae la più conseguente conclusione della XI tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo ».

Gramsci poneva in relazione questa tesi col detto famoso del « prole
1 M. S., p. 29.452

Le relazioni

tariate tedesco erede della filosofia classica tedesca », detto che, natijfalmente, ha assunto un significato estensivo, generale, per il proletariato rivoluzionario. Gramsci si guarda bene dal prendere questo motto quasi un emblema, un blasone, come spesso superficialmente e retoricamente è stato fatto, ma cerca di comprenderne ed elaborarne il significato. Ed uno dei significati fondamentali è questo: che il marxismo, proprio in quanto è filosofia, ossia « concezione del mondo », quella concezione del mondo che tende ad unificare coerentemente innanzi tutto la coscienza della classe rivoluzionaria nella sua azione collettiva, è, per questa sua intrinseca natura, filosofia di massa ( « concezione di massa », « concezione unitaria di massa » ). Non in un senso, na[...]

[...] masse umane e la criticità filosofica (che naturalmente ha molte* plici gradi ed elementi di mediazione) è un fatto assolutamente nuovo' e rivoluzionario nella storia, il quale modifica le dimensioni stesse del filosofare (introducendo in esso quello che potremmo dire un nuovo parametro, un coefficiente ulteriore che muta i precedenti rapporti) e con ciò trasforma anche la figura tradizionale del filosofo individuale, per dar luogo a quello che Gramsci chiama « il filosofo democratico », cioè al « filosofo convinto — com’egli dice — che la sua personalità non si limita al proprio individuo fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente culturale » 1. Sono da porsi in relazione a questo concetto le indagini di Gramsci intorno agli intellettuali, alla loro funzione nella società, e alila loro storia, più in particolare, la domanda che egli si pone sulla funzione che ancora possa spettare al « grande intellettuale » nel mondo moderno. La risposta di Gramsci mi sembra importante e tale da far riflettere. Quella funzione, egli dice, « permane intatta, trova però un ambiente molto più difficile per affermarsi e svilup*

1 M. Sp. 27.Cesare Luporini

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parsi: il grande intellettuale deve anch’egli tuffarsi nella vita pratica, diventare un’organizzatore degli aspetti pratici della cultura, se vuole continuare a dirigere; deve democratizzarsi, essere più attuale: l’uomo del Rinascimento non è più possibile » \

Quante crisi ripetutamente denunziate, o annunziate o autoannunziatey del filosofare (o della cultura) in quest’ultimo secolo, dopo[...]

[...]a, diventare un’organizzatore degli aspetti pratici della cultura, se vuole continuare a dirigere; deve democratizzarsi, essere più attuale: l’uomo del Rinascimento non è più possibile » \

Quante crisi ripetutamente denunziate, o annunziate o autoannunziatey del filosofare (o della cultura) in quest’ultimo secolo, dopo Hegel, a parte i contenuti dottrinali, hanno la loro radice reale e trovano una loro spiegazione nella situazione indicata da Gramsci in queste parole.

Questo fatto nuovo e rivoluzionario del presentarsi nella storia umana di una filosofia critica e scientifica come filosofia di massa, come « concezione unitaria di massa », è ciò onde Gramsci caratterizza il marxismo, in quanto movimento reale, e inteso nella sua potenzialità di svolgimento, quale « riforma popolare dei tempi moderni » : nel senso di « riforma intellettuale e morale ». Nel qual termine « riforma », evidentemente, non vi è nulla di contrapposto a « rivoluzione » ; non vi è neppure la più lontana sfumatura di riformismo. È una riforma che ha come propria origine e contenuto appunto quel fatto nuovo e rivoluzionario, il quale prima di indirizzarsi a dirigere il movimento reale delle masse lo riflette ed esprime: esprime una « lotta di classe che già esiste ». Essa si[...]

[...]e e contenuto appunto quel fatto nuovo e rivoluzionario, il quale prima di indirizzarsi a dirigere il movimento reale delle masse lo riflette ed esprime: esprime una « lotta di classe che già esiste ». Essa si allarga progressivamente, con varietà di ritmi e vicissitudini storiche, nella lotta di classe, ma ha come punto di riferimento essenziale,, e discriminante dei suoi caratteri, la questione dello Stato e del potere, che è sempre presente a Gramsci. Infatti egli torna di continuo a distinguere, con proficue analisi e differenziazioni di indirizzi di ricerca, gli aspetti diversi che essa assume prima e dopo la conquista stabile del potere da parte della classe rivoluzionaria. Iil significato specifico e globale di tale « riforma » è per Gramsci, indubbiamente, quello di una radicale rivoluzione culturale. E tuttavia, a mio avviso, egli ha utilmente adottato’ questo termine di « riforma », non solo e non tanto perché si tratta di un momento diverso da quello della rivoluzione politica e nei rapporti di produzione (i classici del marxismo si sono sempre preoccupati, in generale, di mettere in luce la differenza di ritmo fra il movimento strutturale e i movimenti delle soprastrutture e, in questi ultimi, fra quanto accade sul piano degli eventi politici e le più lente trasformazioni delle

1 P, p. 30.454 Le relazioni

r

coscien[...]

[...]lotta politica e alla rivoluzione e trasformazione dei rapporti sociali. La « riforma » nelle idee e nelle coscienze è qualcosa che non è pensabile che possa seguire passivamente alla rivoluzione politica e sociale, ma essa deve venire operata e perseguita attivamente e consapevolmente da chi dirige (e comprende tanto la fase prerivoluzionaria e prestatale, quanto quella postrivoluzionaria e statale, con le grandi differenze fra luna e l’altra). Gramsci ha sentito molto acutamente la complessità dei problemi che si propongono ad una classe subalterna quando essa si trasforma in classe autonoma e dirigente : « dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone... — egli dice — nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale » \ Nel quadro di tali questioni strettamente saldato all’interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comuniSmo come movimento reale: il nesso fra d[...]

[...]ito molto acutamente la complessità dei problemi che si propongono ad una classe subalterna quando essa si trasforma in classe autonoma e dirigente : « dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone... — egli dice — nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale » \ Nel quadro di tali questioni strettamente saldato all’interesse politico, emerge il costante interesse educativo di Gramsci, non più rivolto ora ai singoli, ma tale che investe tutto il contenuto democratico del comuniSmo come movimento reale: il nesso fra dirigenti e diretti, governanti e governati, educatori ed educati, su cui egli ripetutamente ritorna.

Quella nozione gramsciana del marxismo come « riforma intellettuale e morale » di massa ha anche un altro campo di validità. Essa, collega idealmente il comuniSmo, inteso appunto come movimento reale, ad altri fenomeni storici di un certo tipo, consentendo di cogliere gli elementi di analogia e di segnare nello stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde [...]

[...] stesso tempo le radicali differenze (essa serve perciò tanto alla metodologia storiografica quanto alla prospettiva o previsione del futuro, nella cui elaborazione entriamo come parte attiva e volontaria). Vi sono state infatti nella storia altre riforme intellettuali e morali di massa, che avevano profonde radici sociali e furono accompagnate, seguite e anche precedute, da particolari e varie elaborazioni concettuali, filosofiche, metafisiche. Gramsci ha sempre presente il cristianesimo e soprattutto, in un contesto storico più vicino a noi, la riforma protestante e l’illuminismo (nei caratteri e ripercussioni di massa

1 Af. Sp. 80.Cesare Luporini

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di quest'ultimo; e Gramsci ne sottolinea, come aveva fatto Engels, la novità del carattere laico) \

Ma nessuno di quei fenomeni ha investito, di fatto, la totalità del genere umano, come avviene col comuniSmo. Non si tratta solo di una differenza quantitativa. Il problema della situazione di coscienza delle grandi masse, in seno alla lotta economica e politica, il problema della loro unificazione culturale, coinvolge, in un orizzonte più ampio, quello della unificazione culturale di tutti gli uomini. È l’orizzonte, virtualmente universale, di sviluppo e di dilatazione della società socialista e comunista, onde Lenin[...]

[...] umanità d'ell’uomo che non è intesa nel marxismo (a differenza dei precedenti umanesimi, religiosi o no) come un dato metafìsico od originario da ripristinarsi, ma come una esigenza posta in forma determinata dallo svolgimento storico, come un fine e un punto di arrivo (neppur esso, naturalmente, da intendersi in senso assoluto o metafisico). « L’44 umano ” è un punto di partenza o un punto di arrivo, come conceto e fatto unitario? », si chiede Gramsci. « In quanto posto come punto di partenza » la ricerca stessa di esso non è, egli risponde, che « un residuo 44 teologico ” e 46 metafisico ” » 2. Proprio per questo la concezione marxista « che 46 la natura umana ” sia il 44 complesso dei rapporti sociali” è la risposta più soddisfacente — prosegue Gramsci — perché include l’idea del divenire: l’uomo diviene, si muta

1 M. S., p. 86.

2 M. S.f p. 31.

30.456 Le relazioni

c

continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e peirché nega l’« uomo in generale » : infatti i rapporti sociali sono espressi da diversi gruppi di uomini che si presuppongono, la cui unità è dialettica, non formale ». E ancora precisa : « Si può anche dire che la natura dell'uomo è la 64 storia ”... se appunto si dà a storia il significato di “ divenire ”, in una “ concordia discors ” che non parte dall’unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile ». P[...]

[...]iscors ” che non parte dall’unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile ». Perde allora senso, dal punto di vista marxista, — attraverso questa negazione dell’uomo in generale — la domanda « che cosa è l’uomo»? All’opposto, possiamo dire: essa acquista un significato concreto che è un significato di movimento, o svolgimento consapevole, e come tale essa, potremmo aggiungere, è indirizzante, pratica, regolativa. « Se ci pensiamo — scrive Gramsci — vediamo che ponendoci la domanda che cosa è l’uomo, vogliamo dire: che cosa l’uomo può diventare,, se cioè l’uomo può dominare il proprio destino, può “ farsi ”, può crearsi una vita ». Quella domanda « è nata da ciò che abbiamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo “ fabbri di noi stessi ”, della nostra vita, del nostro destino1. E ciò vogliamo saperlo “ oggi ”, nelle condizioni date oggi, della vita 66 odierna ” e non di una qualsiasi vita e[...]

[...]biamo riflettuto su noi stessi e sugli altri e vogliamo sapere, in rapporto a ciò che abbiamo riflettuto e visto, cosa siamo e cosa possiamo diventare, se realmente ed entro quali limiti, siamo “ fabbri di noi stessi ”, della nostra vita, del nostro destino1. E ciò vogliamo saperlo “ oggi ”, nelle condizioni date oggi, della vita 66 odierna ” e non di una qualsiasi vita e di un qualsiasi uomo » 2.

Si potrebbe pensare che in questa risoluzione gramsciana dell’uomo' in storia (« l’uomo è un processo e precisamente il processo dei suoi atti » ), sia pure intesa la storia, come si è visto, in un senso « non formale », vada perduta la componente naturalistica del marxismo. E tuttavia questa sarebbe un’interpretazione assai unilaterale, perché incompleta (e diverrebbe tendenziosa), del pensiero di Gramsci.Una volta egli, trovandosi ad adoperare l’espressione « genere umano » (« storia del genere umano » ), si ferma a chiosarla, osservando : « il fatto che si adoperi

1 Ma nello stesso tempo Gramsci ne esamina subito anche le radici storiche (e il significato storico di massa). « La domanda è nata, riceve il suo contenuto* da speciali, cioè determinati modi di considerare la vita e l’uomo: il più importante di quei modi è la “ religione ” ed una determinata religione, il cattolicismo ».

2 M. Sp. 27. Queste ultime parole di Gramsci potrebbero richiamare alla mente il « wir fragen jetzt, hier, fùr uns » dello Heidegger. Anche esigenze presentate in forma speculativa e unilaterale nell’esistenzialismo possono trovare il loro luogo concreto nell’umanismo marxista.Cesare Luporini

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la parola 66 genere ”, di carattere naturalistico, ha il suo significato » 1. Che cosa intendeva qui dire Gramsci? Egli ha respinto risolutamente, nel medesimo contesto, l’idea che « l’unità del genere umano » possa esser « data dalla natura “ biologica ” dell’uomo ». Gramsci osserva che « le differenze dell’uomo che contano nella storia non sono quelle biologiche » e che « neppure 1’“ unità biologica ” ha mai contato gran che nella storia » 2. E tuttavia, ripetiamo, il « carattere naturalistico » dell’espressione genere umano ha per lui « il suo significato ». Il fatto è che Gramsci non pensa neppur lontanamente a negare l’esistenza di quella unità (o comunità) biologica dell’uomo, comunque prodottasi, bensì la sua incidenza rilevante nella storia umana. La naturalità dell’uomo, in senso puramente biologico, è per Gramsci, come per tutto il marxismo, soltanto un presupposto della storia umana. Non può esser cercata li quellunità delXumcmo che sta dinanzi a noi come un obiettivo, posto dallo svolgimento storico. Ma, d’altronde, quel « presupposto » della storia (umana) non è, sotto un altro riguardo, inoperante in essa. Potremmo dire: non più in quanto oggetto della biologia (che appunto astrae, considerando l’uomo, dallo svolgimento della sua storica socialità), ma in quanto oggetto della economia politica, ossia di una scienza storicoumana, che il marxismo, in quanto ne ha fatto la « critica », ha integralmen[...]

[...]ll’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione della sua vita, e quindi anche dei rapporti del suo vivere sociale e delle rappresentazioni spirituali che ne scaturiscono » 3. Questa posizione ci riporta, per il suo contenuto, alla rivoluzione fìlosoficometodologica compiuta da Marx e da Engels negli anni fra il 1843 e il 1846, e che li condusse alla

1 M. Sp. 31.

2 « Neanche “ la facoltà di ragione ” o lo “ spirito ” — aggiunge Gramsci — ha creato unità e può essere riconosciuto come fatto “ unitario ”, perché concetto solo formale, categorico ».

3 K. Marx, Il capitale, Libro I, Sez. IV n. 89, nella trad. it., Roma, 1952, p. 72.1

458 Le relazioni

conquista del « materialismo storico ». Tale posizione, in\uel medesimo passo del Capitale, Marx la contrappone allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché le correlative « rappresentazioni astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si a[...]

[...]nquista del « materialismo storico ». Tale posizione, in\uel medesimo passo del Capitale, Marx la contrappone allo « astratto materialismo » di tipo « scientificonaturalistico » (egli ha in mente gli scienziati del suo tempo, « portavoce » di siffatto materialismo, nonché le correlative « rappresentazioni astratte e ideologiche » che essi mettono fuori « non appena si arrischiano al di là della loro specialità » ). Questa è anche la posizione di Gramsci : « L’umanità che si riflette in ogni individualità è composta di diversi elementi: 1) l’individ'uo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Ma il 2° e 3° elemento non sono cosi semplici come potrebbe apparire. L’individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Cosi l’uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » 1.

A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo risc[...]

[...]si semplici come potrebbe apparire. L’individuo non entra in rapporti con gli altri uomini per giustapposizione, ma organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi. Cosi l’uomo non entra in rapporti con la natura semplicemente per il fatto di essere egli stesso natura, ma attivamente, per mezzo del lavoro e della tecnica » 1.

A chi ben guardi questa posizione (che abbiamo riscontrato in Marx e in Gramsci) comporta la centralità del materialismo storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell’uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell’unico punto di partenza concreto che possediamo per ogni altra considerazione sul reale. È il punto di partenza teorizzato riassuntivamente, ma incisivamente, da Marx nelle undici Tesi su Feuerbach (testo capitale per Gramsci) e il cui principio gnoseologico fu espresso da Lenin come « criterio della prassi». Ma qui conviene es[...]

[...]mo storico nella filosofia marxista. Ossia, la centralità della considerazione dell’uomo nel suo nesso permanente e attivo con la natura (dal cui svolgersi e complicarsi storico si sviluppa tutta la storia sociale umana), come dell’unico punto di partenza concreto che possediamo per ogni altra considerazione sul reale. È il punto di partenza teorizzato riassuntivamente, ma incisivamente, da Marx nelle undici Tesi su Feuerbach (testo capitale per Gramsci) e il cui principio gnoseologico fu espresso da Lenin come « criterio della prassi». Ma qui conviene essere molto chiari, perché quanto stiamo dicendo contiene un preciso elemento polemico. Non sembrano conciliabili con questa posizione a cui Gramsci è fedele (e la riteniamo Tunica rigorosamente critica, oltreché corrispondente alla stessa genesi storica della dottrina) quelle forme di esposizione del marxismo, ancorché compiute a scopi didascalici, nelle quali il « materialismo storico » appare, secondo una implicita logica classificatoria e non dialettica, come caso particolare di applicazione (alla società) di un più generale « materialismo dialettico », la descrizione del cui contenuto sembri poter prescindere dalla presenza déll’uomo nel mondo. (Questa osservazione di per sé non implica la pretesa che sia la presenza dell’essere uman[...]

[...]mo dialettico » in forma tale che questo rimanga sempre aperto ai nuovi resultati e ai metodi in trasformazione delle scienze della natura, verificandoli e discutendoli in un’adeguata concezione filosofica. Esigenza, se non erriamo, che fu proprio posta dai classici, in particolare dallo Engels, il quale si occupò più da vicino di tali questioni. E ciò contro ogni contrazione scolasticodogmatica del marxismo stesso.

La metodologia marxista di Gramsci, che si affinò, sotto questo riguardo, nella discussione critica del manuale del Bukharin1, ed ha come filo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui è necessario aggiungere che, se è vero che il marxismo come rivoluzione filosofica è coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l’uno nell’altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragioni d[...]

[...]lo conduttore la persuasione profonda della integrale autonomia filosofica del marxismo (senza perciò tagliare i fili che storicamente lo congiungono alla precedente tradizione di pensiero), ci tiene ben lontani dal rischio suddetto. Qui è necessario aggiungere che, se è vero che il marxismo come rivoluzione filosofica è coincidenza di naturalismo e umanismo (i quali nella loro compiutezza si convertono l’uno nell’altro), può darsi che vi sia in Gramsci, di fatto, soprattutto per ragioni di interna polemica (contro le penetrazioni di materialismo metafisico nel marxismo), una certa attenuazione dell’istanza o componente naturalistica rispetto a quella umanistica, uno squilibrio in questo senso. Chi scrive lo ritiene. A Gramsci interessò soprattutto il lato umano (e quindi anche ideologico, super strutturale, storico) della questione dell 'oggettività, attorno a cui le sue riflessioni sono di grande importanza e originalità Ma per quanto concerne il grave problema del nesso fra questa oggettività e la naturalità si è ormai come al margine estremo del suo interesse; e della sua meditazione. E non è detto che qui non si verifichi qualche

1 M. S., pp. 117168.460

Le relazioni

oscillazione o incertezza. Gramsci è sempre lontanissimo dal contentarsi di ripetere formulazioni precostituite, per quanto esse possano[...]

[...]uindi anche ideologico, super strutturale, storico) della questione dell 'oggettività, attorno a cui le sue riflessioni sono di grande importanza e originalità Ma per quanto concerne il grave problema del nesso fra questa oggettività e la naturalità si è ormai come al margine estremo del suo interesse; e della sua meditazione. E non è detto che qui non si verifichi qualche

1 M. S., pp. 117168.460

Le relazioni

oscillazione o incertezza. Gramsci è sempre lontanissimo dal contentarsi di ripetere formulazioni precostituite, per quanto esse possano apparire suggestive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e vederle in tutte le loro connessioni, e appunto per questo è un maestro di metodo. La questione che abbiamo dinanzi è quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nel soggetto umano, come prassi sensibilerazionale) fra naturalità e storicità, che è indubbiamente, credo, il punto teorico più delicato di tutta la filosofia marxista. Da quel margine estremo, che si è detto, Gramsci indicava, tuttavia, lo s[...]

[...]tive e pregnanti. Egli si sforza sempre di pensarle e vederle in tutte le loro connessioni, e appunto per questo è un maestro di metodo. La questione che abbiamo dinanzi è quella della difficile saldatura obiettiva (ossia non più soltanto nel soggetto umano, come prassi sensibilerazionale) fra naturalità e storicità, che è indubbiamente, credo, il punto teorico più delicato di tutta la filosofia marxista. Da quel margine estremo, che si è detto, Gramsci indicava, tuttavia, lo sviluppo ulteriore della ricerca neirapprofondimento della tesi di Engels che « l’unità reale del mondo consiste nella sua materialità, e questa è dimostrata da uno sviluppo lungo e laborioso della filosofia e delle scienze naturali ». Ove Gramsci commentava dicendo che questa formulazione « contiene il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all’uomo per dimostrare la realtà oggettiva » \ Notazione storicistica squisitamente gramsciana. Eppure solo chi avesse gli occhi bendati di dogmatismo e di scolasticismo potrebbe vedere in essa un qualche allontanamento dalla posizione dei classici (che non fu mai né empiristica, né positivistica, né materialisticovolgare). Proprio lo Engels, nel 1885, concludendo la sua prefazione alla seconda edizione dell’Antiduhring, sottolineava tale complessa storicità della filosofia e insieme delle scienze (delle une in rapporto all’altra) come unico punto di riferimento possibile per liberarsi da qualsiasi visione « metafisica » della natura e « filosofia della natura » 2.

1 M. S., p. 14[...]

[...]a essa si renderà più agevole questo processo, se non dimenticherà che i risultati, in cui sono sintetizzate le sue esperienze, sono concetti; ma che l’arte di operare con dei concetti non è innata e neppure è acquisita con la coscienza comune di tutti i giorni, ma richiede invece un pensiero realeCesare Luporini

461

Il giro del discorso sembra averci allontanato dal punto principale intorno a cui esso verteva, e cioè dall’interpretazione gramsciana del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma intellettuale e morale », « riforma popolare dei tempi moderni ». E tuttavia è un allontanamento solo apparente, perché il contenuto critico del marxismo non è concepito da Gramsci come indifferente o superiore e distaccato rispetto alla concretezza del movimento reale di cui esso è la teoria.

L esigenza di far convergere storicamente l’aspetto di « filosofia di massa » del marxismo con la soluzione dei compiti teorici e scientifici più alti e complessi, cioè l’esigenza di una « cultura integrale », che sulla base della classe rivoluzionaria, possegga una espansività illimitata fra gli uomini, appare perciò in Gramsci essenziale alla dinamica stessa del marxismo e viene a caratterizzare la sua originalità. Anche l’identificazione dialettica operata da Gramsci fra filosofia e politica (attraverso i momenti storia, cultura, ideologia ecc.) — che ha aspetti qualitativamente diversi se rivolta al passato (come criterio di interpretazione storiografica) 1 o proiettata verso il futuro — non è comprensibile senza

e questo pensiero ha una lunga storia sperimentale; né più e né meno dell’indagine naturalistica sperimentale. Appunto imparando a far propri i resultati dello sviluppo della filosofia durante venticinque secoli, essa si libererà da un lato da ogni filosofia della natura che stia a parte e al di fuori e al di sopra di essa, ma anche, d’altro [...]

[...]erimentale. Appunto imparando a far propri i resultati dello sviluppo della filosofia durante venticinque secoli, essa si libererà da un lato da ogni filosofia della natura che stia a parte e al di fuori e al di sopra di essa, ma anche, d’altro lato, dal suo proprio metodo limitato di pensare, ereditato dall’empirismo inglese » (F. Engels, Antiduhring, trad. it., Roma, 1950,

pp. 1819).

1 Importante, ad esempio, a questo riguardo la nozione gramsciana di quella che è la filosofia di un’epoca : « Dal punto di vista che a noi interessa, lo studio della storia e della logica delle diverse filosofie dei filosofi non è sufficiente. Almeno come indirizzo metodico, occorre attirare l’attenzione sulle altre parti della storia della filosofia; cioè sulle concezioni del mondo delle grandi masse, su quelle dei più ristretti gruppi dirigenti (o intellettuali) e infine sui legami tra questi vari complessi culturali e la filosofia dei filosofi. La filosofia di un’epoca non è la filosofia di uno o altro filosofo, di uno o altro gruppo di intellettuali[...]

[...] dei gruppi dirigenti (cultura filosofica) e come religioni delle grandi masse, e vedere come in ognuno di questi gradi si abbia a che fare con forme diverse di “ combinazione ideologica 99 » : AL S., p. 22. Cfr. anche pp. 151 e 232).462

Le relazioni

quella dimensione nuova del filosofare (non ha nulla a che vedere, ad esempio, con una identificazione verbale di tipo attualistico).

Anche la polemica contro l’idealismo, che si svolge in Gramsci attraverso una serie estremamente differenziata di motivi (legati in gran parte a circostanze della cultura italiana, e specialmente alla discussione col crocianesimo), e conduce altresì a una serie di « traduzioni » e di recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, è innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo» *, valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti,, legati al privilegio s[...]

[...] recuperi dal « linguaggio speculativo » della filosofia idealistica a quello concretamente storicistico del marxismo, è innanzi tutto argomentata e fondata sulla « impotenza della filosofia idealistica a diventare una integrale concezione del mondo» *, valida per tutti gli uomini, nella realtà di oggi; cioè fede e senso comune non di gruppi ristretti,, legati al privilegio sociale, ma dell’intiera umanità associata. Per converso, la polemica di Gramsci contro le penetrazioni nel marxismo di materialismo volgare o metafisico, benché si svolga su un piano strettamente teorico, comporta anche la relativa giustificazione storica di quelle penetrazioni, come caratteristiche di una fase ancora arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui il marxismo è espressione2.

Alluna e all’altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia critica e originalità filosofica del marxismo, che, come si è detto, è il filo conduttore di tutto il pensiero di Gramsci. Di fronte all’idealismo contemporaneo anche quelle traduzioni e recu[...]

[...], benché si svolga su un piano strettamente teorico, comporta anche la relativa giustificazione storica di quelle penetrazioni, come caratteristiche di una fase ancora arretrata del movimento reale (rivoluzionario) di cui il marxismo è espressione2.

Alluna e all’altra polemica è costantemente sottesa la persuasione della autonomia critica e originalità filosofica del marxismo, che, come si è detto, è il filo conduttore di tutto il pensiero di Gramsci. Di fronte all’idealismo contemporaneo anche quelle traduzioni e recuperi, a cui si è accennato 3, sono connessi, in grande parte, a questo punto centrale, già nuclearmente presente in Antonio Labriola. « Gli intellettuali “ puri99 —' scrive Gramsci — come elaboratori delle più estese ideologie delle classi dominanti, come leaders dei gruppi intellettuali dei loro paesi, non potevano non servirsi almeno di alcuni elementi della filosofia della prassi, per irrobustire le loro concezioni e moderare il soverchio filosofiamo speculativo col realismo storicista della teoria nuova, per fornire di nuove armi l’arsenale del gruppo sociale cui erano legati. D’altra parte la ten
1 M. S., p. 226.

2 Su questo concetto Gramsci torna frequentemente, studiando i diversi aspetti della questione. Cfr., in particolar modo, M. S., pp. 81, 84, 87* 151, [...]

[...]elle più estese ideologie delle classi dominanti, come leaders dei gruppi intellettuali dei loro paesi, non potevano non servirsi almeno di alcuni elementi della filosofia della prassi, per irrobustire le loro concezioni e moderare il soverchio filosofiamo speculativo col realismo storicista della teoria nuova, per fornire di nuove armi l’arsenale del gruppo sociale cui erano legati. D’altra parte la ten
1 M. S., p. 226.

2 Su questo concetto Gramsci torna frequentemente, studiando i diversi aspetti della questione. Cfr., in particolar modo, M. S., pp. 81, 84, 87* 151, 1623, 223.

3 Ciò vale soprattutto nei confronti deH’idealismo, o « neohegelianesimo », italiano del Croce e del Gentile, che prese l’avvio, alla fine del secolo, dalla discussione col marxismo ed a quella è sempre rimasto, in qualche modo, legato.denza ortodossa si trovava a lottare con l’ideologia più diffusa nelle masse popolari, il trascendentalismo religioso, e credeva di superarlo solo col più crudo e banale materialismo che era anche esso una stratificazione non i[...]

[...]ffermazione (non sempre sicura, a dire il vero) che. la filosofia della prassi è una filosofia indipendente e originale che ha in se stessa gli elementi di un ulteriore sviluppo per diventare da interpretazione della storia filosofia generale ».

In queste parole, a chi ben guardi, troviamo delineato, e nei suoi termini polemici e in quelli costruttivi, l’intiero ambito in cui si muove,, sotto il riguardo teorico e metodologico, il pensiero di Gramsci. Vi è da fare anche un’altra osservazione, che credo assai caratterizzante : quella « indipendenza e originalità filosofica del marxismo » è vista da Gramsci non semplicemente come un dato, come una cosa già fatta, ma come un elemento di sviluppo e di conquista continua delle sue più profonde implicazioni. E ciò nel quadro di una lotta ideale in cui sono presenti non solo e non tanto astratti termini ideologici (schematizzati ai loro estremi in idealismo e in un certo tipo di materialismo), ma i concreti portatori di essi, da un lato gli « intellettuali “ puri ”, elaboratori delle ideologie delle classi dominanti », dall’altro le masse popolari, in certo modo depositarie del « senso comune ». Quella lotta ideale in cui il marxismo esplica e svilup[...]

[...]stremi in idealismo e in un certo tipo di materialismo), ma i concreti portatori di essi, da un lato gli « intellettuali “ puri ”, elaboratori delle ideologie delle classi dominanti », dall’altro le masse popolari, in certo modo depositarie del « senso comune ». Quella lotta ideale in cui il marxismo esplica e sviluppa, di fatto, la sua autonomia filosofica, si presenta cosi immediatamente come momento necessario di una complessa lotta reale. In Gramsci questo nesso non va mai perduto, non è mai obliato.

Quel medesimo nesso determina, ci sembra, il suo modo di concepire

10 svolgimento e l’esposizione del marxismo come filosofia. Soprattutto neirepoca in cui lo sviluppo storico ha posto alla classe rivoluzionaria

11 problema dell 'egemonia (direzione politica e culturale sull’insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col «senso comune»[...]

[...]sse rivoluzionaria

11 problema dell 'egemonia (direzione politica e culturale sull’insieme della società) particolarmente astratta e insufficiente gli appare ogni presentazione del marxismo che sia svolta solo in riferimento polemico alle sistemazioni filosofiche tradizionali e non coinvolga in modo essenziale la discussione col «senso comune». La nozione di «senso comune» diventa perciò fondamentale.464

Le relazioni

Essa, nel contesto gramsciano, è ben più complessa del convenzionale riferimento che sotto tale denominazione serve molto spesso ai filosofi per indicare un presunto atteggiamento staticamente contrapposto alla « criticità » della filosofia o della metodologia scientifica (salvo, eventualmente, a considerarlo, in ultima analisi, con essa conciliabile). Il « senso comune » non è per Gramsci univocamente rappresentabile e riducibile nei suoi contenuti, come se fosse l’espressione di un atteggiamento natmale. Esso è sempre, per lui, « prodotto storico » che contiene, stratifica e cristallizza contraddittoriamente le più varie eredità passive de) passato : oltre, naturalmente, agli elementi attivi da liberare ed elaborare 1. Esso è il terreno su cui esercitano la loro azione e la loro presa le ideologie dominanti di gruppi e di classi (in cui, per esempio, la loro « verità» s’impone alle classi subalterne come superstizione)2. È il terreno cioè in cui si producono e mantengono, in [...]

[...]in funzione della divisione della società in classi antagonistiche, le resistenze a ogni spinta unificante della coscienza umana. L’assunto implicito, reperibile in molte esposizioni dogmatiche del marxismo, di una propria conciliazione in certo modo aprioristica col « senso comune » (assunto che comporta la mancanza di approfondimento di questa nozione nella sua effettiva realtà storicosociale) si presenta cosi come inaccettabile al pensiero di Gramsci, tale da frenare lo sviluppo della « filosofia della prassi » nella sua capacità riformatrice delle coscienze di grandi masse umane. (E giova qui ricordare che tale assunto non fu mai proprio dei classici del marxismo.)

Questa presentazione della posizione di Gramsci potrebbe anche venir fraintesa unilateralmente. A Gramsci, che si era formato e aveva lottato in continuo contatto con le masse lavoratrici, non sfugge ciò su cui Lenin aveva richiamato l’attenzione, scrivendo : « Sarebbe il pia

1 Gfr., per la discussione del senso comune, M. S., pp. 57, 9, 11, 2527, 4647, 119121, 123 e passim. Inoltre cfr. p. 148. Gramsci si rifà qualche volta alla distinzione di « senso comune » e « buon senso » e ricorda anche il noto passo del Manzoni (Pp. 216). Alcune riflessioni di Gramsci potrebbero essere confrontate con il capitolo dedicato dal Cattaneo al « senso comune » nella sua Logica, (v. C. CATTANEO, Scritti filosofici letterari e vari, Firenze, 1957, p. 186 sgg.).

2 «...per le grandi masse della popolazione governata e diretta la filosofia o religione del gruppo dirigente e dei suoi intellettuali si presenta sempre come fanatismo e superstizione, come motivo ideologico proprio di una massa servile ».Cesare Luporini

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grande errore e il peggiore che possa commettere un marxista, quello di credere che le masse popolari, costituite da milioni di esseri umani[...]

[...]ontenuti ereditari del « senso comune » si appoggia, dialetticamente, su di esso e muove non alla sua distruzione, che sarebbe proposito insensato, ma alla sua riforma e sostituzione con una concezione più coerente, che divenga fede, ossia norma intrinseca dell’agire. Il che non avviene né in un giorno, né in astratto, ossia come educazione astratta, verbale e libresca, bensì in connessione con la lotta politica e di classe. Occorre perciò, dice Gramsci, che la « nuova concezione... si presenti intimamente fusa con un programma politico e una concezione della storia che il popolo riconosca come espressione delle sue necessità vitali » 2. E aggiunge : « Non è possibile pensare alla vita e alla diffusione di una filosofia che non sia insieme politica attuale, strettamente legata all’attività preponderante nella vita delle classi popolari, il lavoro, e non si*presenti pertanto, entro certi 'limiti, come connessa 'necessariamente alla scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizial
1 Lenin, Il significato del materialismo militante (trad[...]

[...] scienza. Essa concezione nuova magari assumerà inizial
1 Lenin, Il significato del materialismo militante (trad. it. in MarxEngelsmarxismo, Roma, 1952, p. 445).

2 M. S., p. 226.466

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mente forme superstiziose e primitive come quelle delk religione mitologica, ma troverà in se stessa e nelle forze intellettuali che il popolo esprimerà dal suo seno gli elementi per superare questa fase primitiva ».

Queste ultime parole di Gramsci, cosi strettamente connesse all’idea del marxismo come « concezione unitaria di massa » e « riforma popolare », ci conducono al problema della sua fase moderna di svolgimento : rispetto, intendo dire, all’intiera epoca storica in cui viviamo. La questione è sempre considerata da Gramsci in rapporto a quella del potere e dello Stato e della loro conquista da parte della classe operaia. Non è possibile qui entrare nei particolari (ed il tema è oggetto di un’altra relazione), ma è essenziale ricordare che attraverso questo collegamento opera in Gramsci, in maniera decisiva, la nozione leniniana che egli indica costantemente sotto il termine di « egemonia » : e non solo la nozione, ma la sua realizzazione, ossia l’esperienza storica della rivoluzione di Ottobre. Si tratta dei problemi concreti che si sono imposti alla classe operaia nell’« epoca deirimperialismo e delle rivoluzioni proletarie », i problemi delle alleanze di classe, delk direzione politica su altri gruppi sociali, delk connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e delk direzione culturale: proble[...]

[...]i gruppi sociali, delk connessa lotta ideale, e, dopo la conquista rivoluzionaria del potere, della organizzazione della società politica e civile, e delk direzione culturale: problemi nei quali si è straordinariamente allargata, a contatto con lo sviluppo reale, nel nostro secolo, la problematica marxista dello Stato, e di cui fu maestro Lenin. Ora, è importante notare che qui fanno nodo e si articokno tutti gli elementi teorici del pensiero di Gramsci: « L’egemonia realizzata — egli scrive (riferendosi alla rivoluzione di Ottobre) — significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica » \

La quale asserzione, a questo punto, non avrebbe bisogno di ulteriori chiarimenti. Ma essa guadagna la pienezza del suo significato se la proiettiamo in un contesto concettuale più largo. Scrive altrove Gram
1 M. S., p. 75. Ove anche si legge: «La fondazione di una classe dirigente (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una W eltanschauung. L’espressione che il proletariato tedesco è l’erede della filosofìa classica tedesca, co[...]

[...]gico e morale. Da ciò consegue che il principio teoricopratico dell’egemonia ha anch’esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo è da ricercare l’apporto massimo di Ilic [Lenin] alla filosofia della prassi » \ Un imponente gruppo di problemi teorici, metodologici, storiografici, che si è costretti a tralasciare, si collega a questa affermazione. Sono i problemi relativi alla realtà e storicità delle soprastrutture (la discussione di Gramsci con lo storicismo idealistico è in gran parte legata a questo tema), alla eredità storicoculturale, al nesso fra ideologia, scienza, filosofia, e, ancora una volta, fra filosofia e politica; sono i problemi, soprattutto, relativi alla questione della oggettività (e correlativamente della soggettività, non solo individuale ma di gruppo), intorno ai quali Gramsci, come si è accennato, presenta suggestioni e impostazioni cariche della possibilità di ulteriori svolgimenti. « L’uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie non universali concrete ma rese caduche immediatamente dall’origine pratica della loro sostanza. C’è quindi una lo[...]

[...]amano 44 spirito ” non è un punto di partenza ma d’arrivo, l’insieme delle soprastrutture in divenire verso l’unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario ecc. La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione... » 2.

È un modo di considerare le cose che pone immediatamente il problema del marxismo come soprastruttura. Ma vi è, dice Gramsci, « una

1 M. Sp. 39.

2 M. S., p. 142.468

Le relazioni

differenza fondamentale tra la filosofia della prassi e le altre filosofie: le altre ideologie sono creazioni inorganiche perché contraddittorie, perché dirette a conciliare interessi opposti e contraddittori; la loro “ storicità” sarà breve perché la contraddizione affiora dopo ogni avvenimento di cui sono state strumento. La filosofia della prassi invece non tende a risolvere pacificamente le contraddizioni esistenti nella storia e nella società, anzi è la stessa teoria di tali contraddizioni... » 1. La filosofia della prassi[...]

[...] la loro pretesa)2, a presentarsi come sintesi ideale illusoriamente risolutiva dei contrasti reali. All’opposto,, essa è «!la coscienza piena delle contraddizioni, in cui lo stesso filosofo, inteso individualmente o inteso come intiero gruppo sociale, non solo, comprende le contraddizioni ma pone se stesso come elemento della contraddizione, eleva questo elemento a principio di conoscenza e quindi azione» 3.

Qui è il nocciolo del modo in cui Gramsci intende la dialettica, secondo che egli aveva appreso, congiuntamente, dalia sua strenua esperienza di lotta e dalla lezione dei classici (si pensi, in particolare, al metodo con cui Marx svolse la polemica contro Proudhon nella Miseriadelia filosofia, considerata da Gramsci un momento essenziale della formazione della « filosofia della prassi » 4). Cosi, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l’irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità » ), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un’asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta : « Errore fondamentale : nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettu[...]

[...]omento essenziale della formazione della « filosofia della prassi » 4). Cosi, la stessa interpretazione del marxismo come soprastruttura ne accentua l’irriducibile autonomia filosofica e insieme la storicità (o « mondanità » o « terrestrità » ), risolutiva di ogni pretesa assolutezza posta al di là del processo dell'esperienza umana. Trovandosi ad annotare un’asserzione del Graziadei, che presentava Marx « come unità di una serie di scienziati » Gramsci commenta : « Errore fondamentale : nessuno degli altri ha prodotto una originale e integrale concezione del mondo. Marx inizia intellettualmente un’età storica, che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all’avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata » 5.

1 M. S.y p. 237.

2 L’espressione « metter le brache al mondo » ripresa da Gramsci contro Croce per indicare il moderatismo della sua filosofia, era stata dal Croce stessa adoperata nella introduzione al primo fascicolo de La Critica.

3 M. S., pp. 9394.

4 Mach., p. 31 (in nota).

5 M. S., p. 75.



da [Le relazioni] P. Togliatti, Gramsci e il leninismo in Studi gramsciani

Brano: Paimiro Togliatti

GRAMSCI E IL LENINISMO

Ritengo che l’ampiezza delle note che sono state distribuite, come trama di questa relazione, mi esima deH’appesantire ora il convegno con un’esposizione troppo estesa, e ciò faccio anche allo scopo di lasciare maggiore possibilità di intervento, nel dibattito, ad uomini che non siano, come me, cosi direttamente impegnati nella lotta politica.

Entrambi i relatori, all’inizio delle loro relazioni, hanno giustamente sottolineato le indicazioni che Gramsci stesso ha dato circa il metodo che si deve seguire nello studio del pensiero di chi non abbia sviluppato in modo sistema[...]

[...]engo che l’ampiezza delle note che sono state distribuite, come trama di questa relazione, mi esima deH’appesantire ora il convegno con un’esposizione troppo estesa, e ciò faccio anche allo scopo di lasciare maggiore possibilità di intervento, nel dibattito, ad uomini che non siano, come me, cosi direttamente impegnati nella lotta politica.

Entrambi i relatori, all’inizio delle loro relazioni, hanno giustamente sottolineato le indicazioni che Gramsci stesso ha dato circa il metodo che si deve seguire nello studio del pensiero di chi non abbia sviluppato in modo sistematico le proprie idee, allo scopo di attribuire un giusto significato e peso ad ogni affermazione, di essere in grado di criticarla nella misura in cui deve essere criticata, e Gramsci stesso avrebbe anche aggiunto — se ci si ricorda delle osservazioni preliminari a tutti i suoi scritti dal carcere — di respingerla, se necessario, in qualche caso. Egli stesso dice, infatti, in queste osservazioni, che alcune delle affermazioni da lui fatte sono forse persino da intendere in modo contrario a come egli le ha esposte. È difficile pensare un più esplicito invito all’esame critico.

Il professor Garin, però, giustamente ha sottolineato che il ritmo del pensiero in isviluppo è più importante delle singole formulazioni. Nel trattare, però, il tema che a me è stato assegnato, « G[...]

[...]in qualche caso. Egli stesso dice, infatti, in queste osservazioni, che alcune delle affermazioni da lui fatte sono forse persino da intendere in modo contrario a come egli le ha esposte. È difficile pensare un più esplicito invito all’esame critico.

Il professor Garin, però, giustamente ha sottolineato che il ritmo del pensiero in isviluppo è più importante delle singole formulazioni. Nel trattare, però, il tema che a me è stato assegnato, « Gramsci e il leninismo », non so se questa norma sia pienamente applicabile, perché la questione si presenta, in questo caso, in un modo del tutto particolare. Anche qui esiste ed è da ricercarsi, atraverso le singole formulazioni, un ritmo del pensiero, ma questo è direttamente accompagnato, misurato, dal ritmo dell’azione, e vi è una prova pratica, che viene dal fatto che l’azione è stata compiuta, ha dato dei risultati, ha lasciato delle tracce,420

Le relazioni

e su queste tracce, che sono molto profonde, una parte della società italiana continua a lavorare. Esse non hanno soltanto un valor[...]

[...]amente accompagnato, misurato, dal ritmo dell’azione, e vi è una prova pratica, che viene dal fatto che l’azione è stata compiuta, ha dato dei risultati, ha lasciato delle tracce,420

Le relazioni

e su queste tracce, che sono molto profonde, una parte della società italiana continua a lavorare. Esse non hanno soltanto un valore per chi pensa, ma per chi agisce e continua a lottare.

Non vi è dubbio che anche nello sviluppo dell’azione di Gramsci vi sono dei frammenti. Non direi, però, che questa azione possa essere,, come tale, considerata frammentaria. Vi sono stati momenti di incertezza, esitazioni, errori e correzioni di errori, e questo può indurre a considerare determinate posizioni come un frammento, da respingersi con un puro giudizio negativo. La indagine più attenta rivela che un puro giudizio negativo non può essere dato.

Vorrei servirmi, come esempio, dell’accettazione passiva, o relativamente passiva, che ad un certo punto venne fatta da Gramsci della direzione chiusa, settaria, come noi diciamo, del partito comunista [...]

[...]ere,, come tale, considerata frammentaria. Vi sono stati momenti di incertezza, esitazioni, errori e correzioni di errori, e questo può indurre a considerare determinate posizioni come un frammento, da respingersi con un puro giudizio negativo. La indagine più attenta rivela che un puro giudizio negativo non può essere dato.

Vorrei servirmi, come esempio, dell’accettazione passiva, o relativamente passiva, che ad un certo punto venne fatta da Gramsci della direzione chiusa, settaria, come noi diciamo, del partito comunista nel primo periodo della esistenza di questo. Non vi è dubbio che ci troviamo, qui,, di fronte ad un errore, che lo stesso Gramsci in seguito dovette riconoscere, che egli criticò, respinse e corresse.

Però, da che cosa proveniva queU’errore? Qui si pone il problema del ritmo del pensiero e dell’azione. Credo si possa affermare che l’errore discendeva, in sostanza, dall’adesione di Gramsci a una esigenza di negazione totale di precedenti indirizzi politici, e questa esigenza non partiva da una pura critica dell’intelletto, bensì da una critica che era sgorgata dai fatti ed era quindi diventata, per l’avanguardia della classe operaia,. i.n quel momento, quello che Gramsci chiamava « senso comune », verità diffusa, generalmente accettata, sentita in modo diretto, che si cerca di realizzare nella pratica perché da essa non si può prescindere.

L’errore conteneva, cioè, un impulso di ordine passionale, di ordine morale e di ordine politico, senza il quale è probabile che il partito comunista o non si sarebbe creato o non si sarebbe creato nel modo come si creò, ricevendo anche da quell’impulso qualche cosa che nel seguito degli sviluppi risultò essere largamente positiva. È vero, ci fu un errore. Gramsci sentiva, però, che a quell’impulso si doveva aderire, per[...]

[...]iretto, che si cerca di realizzare nella pratica perché da essa non si può prescindere.

L’errore conteneva, cioè, un impulso di ordine passionale, di ordine morale e di ordine politico, senza il quale è probabile che il partito comunista o non si sarebbe creato o non si sarebbe creato nel modo come si creò, ricevendo anche da quell’impulso qualche cosa che nel seguito degli sviluppi risultò essere largamente positiva. È vero, ci fu un errore. Gramsci sentiva, però, che a quell’impulso si doveva aderire, per riuscire a trasformarlo in un elemento che non fosse più puramente di negazione, ma positivo, costruttivo. L’errore stette nel modo della adesione e nella rapidità della correzione; ma anche in esso troviamo un elemento di coerenza ideale e di coerenza pratica profonda.

Anche altri errori vi furono nello sviluppo dell’azione politica di Gramsci. Certo è il punto di partenza, certo il punto di, arrivo; ma traPaimiro Togliatti

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il punto di partenza e il punto di arrivo il distacco è enorme. Il punto di partenza, mi pare abbia tentato di descriverlo Gramsci stesso in una pagina che voi trovate airinizio del volume Passato e presente, dove parla di processi vitali « ... che sono caratterizzati dal continuo tentativo di superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era

proprio dice — di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi

un modo di vivere e di pensare non più regionale e da “ villaggio ”, ma nazionale, e tanto più nazionale, (anzi nazionale appunto per ciò) in quanto cercava di inserirsi in modi di vivere e di pensare europei, o almeno il modo nazionale confrontava con i modi europei, le necessità cultur[...]

[...]o stati i fattori di questo sviluppo, per cui si passa dal « triplice e quadruplice provinciale » al Capo di un grande partito politico ed a un Capo di tale levatura, che gli avversari dovettero trattare in quel modo per toglierlo dalla scena ed essere tranquilli?

1 P., p. 3.422

Le relazioni

La ricerca è assai ampia, né vi è dubbio che da essa risulta che una grande parte deve essere fatta alla tradizione politica e culturale italiane. Gramsci è un politico italiano. Si collega alle più vitali correnti del pensiero politico e deH’azione politica del nostro paese. Però questo non basta! La sola tradizione italiana non avrebbe fatto di Gramsci ciò che egli è stato come politico, e come politico nel quale non vi è più traccia del provincialismo nostrano. Alla tradizione del pensiero italiano si accompagnarono lo studio del marxismo, il contatto con la classe operaia e con la realtà della vita internazionale e nazionale quale gli apparve dai primi anni della esistenza e poi, via via, gli episodi di una lotta che si faceva sempre più aspra. In questo quadro spetta un posto a parte come fattore, io credo, decisivo, di sviluppo ideale e pratico, a Lenin e al leninismo.

Riconoscono oggi anche coloro che non aderiscono al giudizio nost[...]

[...]oscienza critica della realtà che li circonda e anche delle grandi masse umane a cui le nuove scoperte del pensiero e dell’attività creatrice degli uomini arrivano nella forma della fede o dell’informazione lontana. Non escludo, cioè, coloro che non sono politici pratici e non escludo coloro i quali non sono in grado di arrivare a una consapevolezza critica del corso degli avvenimenti. Un rivolgimento, — e questa è una delle tesi fondamentali di Gramsci — che assume un valore metafisico, quale fu la grande Rivoluzione socialista portata alla vittoria da Lenin, crea anche un nuovo « senso comune », un nuovo elemento di coscienza quasi religiosa, nuove forme di giudizio generale, una nuova fede.

Dopo Lenin noi operiamo tutti diversamente, perché abbiamo compreso in modo nuovo la realtà che sta davanti a noi, ne abbiamo penetrato la sostanza cosi come prima ancora non si era riusciti.

Ora, che cosa vi è in Lenin di fondamentalmente nuovo? Scusate se a questo punto l’esposizione, per esser rapida, dovrà essere per forzaPalmiro Togliatti
[...]

[...], e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo questo suo carattere creativo, lo libera dalla pedanteria delle interpretazioni materialistiche, economicistiche, positivistiche delle dottrine di Carlo Marx, fa del marxismo, in questo modo, ciò che deve essere: la guida di un’azione rivoluzionaria.

Ritengo che l’apparizione e lo sviluppo del leninismo sulla scena mondiale sia stato il fattore decisivo di tutta la evoluzione di Gramsci come pensatore e come uomo politico di azione. È il fattore che determina il ritmo del movimento, dà un carattere lineare agli sviluppi ideali e pratici, consente di giustamente valutare anche gli errori, il loro valore e la critica di essi, e di inserirli in un complesso unitario.

Negli scritti giovanili di Gramsci — che è da dolere non abbiamo potuto essere pubblicati, come sarebbe stato desiderabile, prima di questa riunione 1 — è evidente una ricerca che ha un carattere ansioso e non esclude una certa confusione. L’influenza idealistica è evidente, basta prendere il numero unico La città futura, del 1917, scritto tutto da Gramsci per la parte originale, con ampie citazioni di quelli che erano allora i Maestri della filosofia idealistica. L’influenza idealistica qui non si può negare. In questo periodo dello sviluppo del pensiero di Gramsci e già — direi — precedentemente, negli anni universitari, la efficacia del pensiero idealistico si manifesta però essenzialmente in una direzione, nella spinta a ricercare e a far proprio un concetto della dialettica come sviluppo storico della realtà.

1 Negli Scritti giovanili (Torino, 1958), che uscirono pochi mesi dopo il Convegno, sono inclusi tutti gli scritti del periodo 1914’ 18 citati nel presente volume.424

Le relazioni

È vero che nelle soluzioni che vengono date anche a questo problema in questo periodo vi sono espressioni che oggi non accetteremmo. Il nesso tra la realtà [...]

[...]e soluzioni che vengono date anche a questo problema in questo periodo vi sono espressioni che oggi non accetteremmo. Il nesso tra la realtà e l’azione, che è la sostanza dello sviluppo storico, non è ancora cercato nella materialità del processo complessivo della storia. Ancora viene alla luce la tendenza a cercarlo soltanto nella sfera dei puri rapporti ideali, di pensiero. In pari tempo, però, a questa influenza dell’idealismo sul pensiero di Gramsci giovane si accompagna in lui uno sforzo continuo e insistente verso una indagine concreta dei rapporti economici e di classe, come trama costitutiva di tutta la società.

Non voglio ripetere cose che ho dette altre volte, rievocando le ricerche che negli anni universitari egli faceva e spingeva me stesso a fare, per esempio sulla struttura dei rapporti commerciali della Sardegna, isola, con il continente italiano, con la Francia, con altri paesi, e del rapporto che si poteva stabilire tra la modificazione di questi rapporti e fatti di ordine apparentemente assai lontano, come lo sviluppo de[...]

[...]ppo della delinquenza, per esempio, la frequenza degli episodi di brigantaggio, la diffusione della miseria e cosi via.

Già in questo momento non vi è dubbio che questi due elementi: la efficacia dell’idealismo che spinge ad appropriarsi del concetto della storia come sviluppo, e lo sforzo nella indagine dei rapporti economici e sociali, tendono a fondersi. Essi debbono fondersi, e si fonderanno in tutto il successivo sviluppo del pensiero di Gramsci. Ma quale è l’elemento che determina la fusione? Qui interviene la esperienza storica della Rivoluzione, interviene il leninismo, intervengono il pensiero e l’azione di Lenin.

Se cerchiamo, oggi, di rievocare quelle che erano la dottrina e la propaganda del movimento socialista italiano prima di Gramsci, ci accorgiamo subito che mancava in esse un concetto fondamentale, il concetto stesso di rivoluzione. Che cos’era la rivoluzione per un socialista italiano della fine dell’ ’800, del primo decennio del ’900? Non lo sapeva! Si svolgevano interminabili dibattiti sulla differenza che potesse passare tra la semplice rivolta, l’insurrezione e una « vera », « effettiva » rivoluzione, tra un sommovimento armato e un movimento non armato e gli eventuali rapporti tra di loro. Si discuteva se uno sciopero generale potesse metter capo a una rivoluzione e questa era già, del resto, una forma più concret[...]

[...]er capo a una rivoluzione e questa era già, del resto, una forma più concreta della ricerca. Oppure si confondeva, identificandoli, il concetto di rivoluzione « permanente » — come ha detto uno dei relatori — conPaimiro Togliatti

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il concetto di sviluppo storico, che è un’altra cosa. Una precisa visione di che cosa fosse l'arrovesciarnento rivoluzionario dei rapporti sociali non vi era.

Vorrei ricordare una osservazione scherzosa di Gramsci, che forse consente di precisare meglio questa deficienza. È una osservazione fatta in polemica con i riformisti. Egli porta l’esempio di certe lezioni di filosofia che aveva sentito airUniversità di Torino, e rievoca il vecchio professore dell’Università che da quaranta anni si proponeva di svolgere un corso di filosofia teoretica sull’« Essere evolutivo finale». «Ogni anno incominciava una 66 scorsa ” sui precursori del sistema, e parlava di Laotsè, il vecchio^fanciullo, l’uomo nato a ottantanni, della filosofia cinese. E ogni anno ricominciava a parlare di Laotsè, perché muovi studenti era[...]

[...]ica e aH’accrescimento delle forze produttive, sviluppo delle lotte parziali economiche e politiche dei lavoratori e a coronamento di quella evoluzione e di questo sviluppo una miracolosa catastrofe. Quella che mancava era la nozione stessa delle modificazioni e deH’arrovesciamento dei rapporti di potere nella società, della rottura del blocco storico dominante e della creazione rivoluzionaria di un blocco nuovo.

È questa nozione, invece, che Gramsci pose a fondamento di tutto il suo pensiero e di tutta la sua successiva azione. Questa fu la più grande conquista da lui realizzata.

Le difficoltà furono grandi, anche per un pensatore che aveva una inconsueta ampiezza di informazione, e una eccezionale acutezza di indagine critica. Quando si leggono le sue Note del carcere, stese da lui428

Le relazioni

senza avere a propria disposizione una biblioteca, ma soltanto la misera valigia di libri che di mese in mese la direzione carceraria gli permetteva, si ha l’impressione di una mente che si può paragonare a quella di Voltaire, univer[...]

[...]rifugge dalle superficiali qualifiche negative e giunge alla negazione solo attraverso l’attenta ricerca del positivo che in qualsiasi posizione avversaria può esistere. Proprio per questo, però, quando distrugge lo fa nei modo più radicale, e quando sbaglia o è ancora incerto, ci rivela sempre qualcosa nuova, o ci pone sopra il giusto cammino per scoprirla.

Sono cose che risultano particolarmente evidenti quando si leggono i primi scritti di Gramsci sulla Rivoluzione russa, in parte già pubblicati, in parte non ancora. Questi scritti contengono senza dubbio anche degli errori, affermazioni che non possiamo accettare e non sono accettabili. Mi riferisco particolarmente al famoso articolo intitolato « La rivoluzione contro il “ Capitale ” » 1 dove il « Capitale » è il libro di Carlo Marx, e la rivoluzione è quella dei bolscevichi russi neH’Ottobre 1917. L’impostazione, come si vede, è errata ed errati sono alcuni giudizi. Ma da questo scritto mi pare emerga quasi un grido di liberazione del giovane Gramsci che, vedendo ciò che è avvenuto i[...]

[...]o anche degli errori, affermazioni che non possiamo accettare e non sono accettabili. Mi riferisco particolarmente al famoso articolo intitolato « La rivoluzione contro il “ Capitale ” » 1 dove il « Capitale » è il libro di Carlo Marx, e la rivoluzione è quella dei bolscevichi russi neH’Ottobre 1917. L’impostazione, come si vede, è errata ed errati sono alcuni giudizi. Ma da questo scritto mi pare emerga quasi un grido di liberazione del giovane Gramsci che, vedendo ciò che è avvenuto in Russia, finalmente sente che ci si può liberare dal (pesante e ingombrante involucro dell’interpretazione pedantesca, grettamente materialistica e positivistica che era stata data del pensiero di Marx in Italia, e che era stata data anche da grandi e ben noti agitatori del socialismo.

Il Capitale in Russia era diventato — si legge in questo articolo — « il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’èra capitalistica, si instaurasse una civiltà di t[...]

[...]in Rinascita, a. XIV, n. 4, apr. 1957, pp. 146147.Paimiro Togliatti

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prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico ».

Qui è l’errore, ma non è di sostanza. Quella che Gramsci denuncia e respinge era stata, infatti, la falsa interpretazione che del materialismo storico avevano data i cosiddetti marxisti legali. Ma egli prosegue: « I bolscevicki rinnegano Carlo Marx, affermano con la testimonianza dell’azione esplicata, delle conquiste realizzate, che Ì canoni del materialismo storico non sono cosi ferrei come si potrebbe pensare e si è pensato... Ecco tutto... [Essi] non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore, di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensier[...]

[...]e non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco e che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche ». Anche questa è una affermazione da noi oggi non accettabile. Non in Marx era avvenuta la contaminazione, ma nei trattatelli e opuscoli di propaganda quintessenziale, dove il pensiero marxista era stato ridotto a ciò che non era e non poteva essere.

« Questo pensiero — continua Gramsci — pone sempre come massimo fattore di storia non i fatti economici, bruti, ma l’uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volontà... Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuto la durata e gli effetti che ha avuto. Non poteva prevedere che questa guerra, in tre anni di sofferenze indicibili,[...]

[...]ola, ed è una funzione che si attua, concretamente, con la soluzione che essa dà ai problemi che nel paese ove essa agisce sono da risolvere. Non si possono conoscere questi problemi se non con una attenta analisi delle strutture economiche, di tutte le sovrastrutture della economia e delle influenze che le stesse sovrastrutture esercitano sopra l’economia stessa e su tutto il complesso del tessuto sociale.

Qui è l’origine dell’attenzione che Gramsci dà alla storia del Risorgimento ed a tutta la storia italiana. Egli ricerca nella storia del Risorgimento, ricerca nelle analisi sui differenti momenti della storia italiana, ricerca nell’analisi della funzione che hanno avuto gli intellettuali nella storia del nostro paese, — e che fu una funzione particolare, diversa da quella che hanno avuto altrove, — egli ricerca con questa sua molteplice indagine una definizione dei rapporti di classe della società italiana più esatta di quelle che abitualmente si sogliono dare. Continuamente attento all’azione reciproca tra la struttura dei rapporti pr[...]

[...]te si sogliono dare. Continuamente attento all’azione reciproca tra la struttura dei rapporti produttivi e le sovrastrutture (politiche, militari, organizzative, ideologiche, ecc.), giunge a individuare quello che egli chiama il « blocco storico », le forze che lo dirigono e i contrasti interiori che ne determinano il movimento.

Nella prima giornata di questo Convegno si è svolto un interessante dibattito circa le affermazioni e la critica di Gramsci alle forze motrici del Rinascimento italiano per l’assenza di giacobinismo. Mi sembra però che un momento particolarmente importante non sia stato messo nellaPaimiro Togliatti

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giusta luce da chi è intervenuto su questa questione. Non è che Gramsci incolpasse i ceti borghesi di non aver fatto quello che potevano fare. Esulava dalla sua metodologia questo modo di intendere la storia. Quello che egli cerca è invece un’esatta definizione di ciò che questi ceti hanno fatto, il che gli deve servire per dare una definizione esatta della struttura della società italiana, quale esce dalla rivoluzione nazionale. Né si può negare che, nei momenti critici della storia, le classi dirigenti possono fare cose diverse. Lenin applicò questo criterio alla analisi dello sviluppo del capitalismo in Russia, e del modo come avrebbe potuto venire risolta, in[...]

[...]re, — e anche questa alleanza avrebbe potuto essere diversa — con il ceto capitalistico. A questo blocco storico, cui corrisponde un certo sviluppo di tutti i rapporti sociali, la classe operaia oppone la sua alleanza con le masse contadine per lottare sia contro l’autocrazia, sia contro il capitalismo e crea cosi le condizioni della sua vittoria rivoluzionaria. In questo modo si sviluppano l’analisi storica e l’azione di Lenin, e il pensiero di Gramsci si colloca sullo stesso piano.

La borghesia italiana ha preso il potere ed ha organizzato la società e lo Stato alleandosi a determinate forze e non a determinate altre. Ciò è stato conseguenza della sua natura ed è il fatto di cui bisogna tener conto. Perciò la società italiana, del Risorgimento e postrisorgimentale, ha assunto quel particolare suo carattere. Si è creato un « blocco storico », e quindi particolari condizioni in cui la classe operaia incomincia a organizzarsi, combatte, acquista coscienza di se stessa e della propria funzione e attua questa sua funzione attraverso l’azione[...]

[...]atura ed è il fatto di cui bisogna tener conto. Perciò la società italiana, del Risorgimento e postrisorgimentale, ha assunto quel particolare suo carattere. Si è creato un « blocco storico », e quindi particolari condizioni in cui la classe operaia incomincia a organizzarsi, combatte, acquista coscienza di se stessa e della propria funzione e attua questa sua funzione attraverso l’azione politica del partito che la dirige. È questo processo che Gramsci cerca di definire nel modo più esatto con tutta la sua indagine politica e storica, la quale muove dalle condizioni concrete della politica e della cultura nel momento in cui egli dà inizio al proprio lavoro.

Eravamo nel primo decennio del ’900. periodo di profonda crisi nello sviluppo della società italiana. Le scelte che vennero fatte in quel periodoebbero una efficacia fatale su ciò che è avvenuto in seguito. Negli indirizzi,.432

Le relazioni

ideali e pratici che in quel periodo maturarono e presero consistenza, sono presenti i germi di parecchi dei mali che più tardi si abbatter[...]

[...]gruppi dirigenti borghesi, ma anche i loro oppositori di parte cattolica e clericale, borghesi e reazionari anch’essi, e oramai costretti a porre al di sopra di ogni altra cosa la difesa dell’ordinamento capitalistico.

Una consapevolezza di questa crisi vi fu certamente in alcuni uomini della classe dirigente e in questo è da ricercare quell’elemento positivo nel giudizio che si deve dare dell’attività e del pensiero di Giovanni Giolitti, che Gramsci non sottolineò, e non poteva né doveva sottolinearlo, perché la sua attenzione doveva essere concentrata in un’altra direzione. Nella lotta immediata che allora si conduceva, era inevitabile che l’attenzione si portasse, non su quel tanto di coscienza che vi fu in Giolitti, all’inizio del ’900, della necessità di cambiare qualche cosa degli indirizzi politici tradizionali, quanto sulla inadeguatezza delle conseguenze che egli trasse da questa coscienza e quindi sui momenti negativi della sua azione immediata. Appunto perché egli aveva voluto presentarsi con un volto nuovo, erano più gravi, sc[...]

[...]tta la visione della storia del nostro paese subisce una scossa profonda, ad opera di dilettanti, è vero, e non ancora di scienziati, ma in modo tale che lascia traccia profonda. È il momento — si ricordi — in cui viene diffusa ed esaltata l’opera storica, che noi oggi sappiamo come debba essere giudicata, di Alfredo Oriani. È il momento del crollo dei sistemi positivistici e del tramonto, insieme con essi, di tutta una cultura.

Come si muove Gramsci in quel momento di cosi profonda crisi? L’influenza delle nuove correnti idealistiche lo porta a respingere le volgarità delle interpretazioni positivistiche del marxismo. Egli è però, in pari tempo, agli antipodi della visione idealistica della storia e della situazione del nostro paese. Respinge con repugnanza tanto l’esasperato e ridicolo individualismo dannunziano quanto l’esaltazione nazionalistica alla quale stavano attingendo nuovo alimento ideologico i gruppi dirigenti reazionari. Nella indagine sulla storia, sulla struttura, sulla realtà attuale della società italiana il suo pensiero[...]

[...] questa confusione il carattere stentato dell’illuminismo e razionalismo italiano di quel tempo. Da alcuni, almeno, di questi pensatori era però partito un impulso, efficace e potente, alla ricerca della realtà economica e delle forme di organizzazione della società italiana, come si era storicamente formata attraverso i secoli e come si presentava all’inizio del Risorgimento. È secondo questa linea, è in questo alveo che si muove il pensiero di Gramsci. Sarebbe quindi errato considerarlo come una varietà delle concezioni indealistiche allora prevalenti, o, peggio ancora, come uno sforzo per correggere le loro esagerazioni. No! La differenza è sin dai primi passi, una profonda differenza di indi434

Le relazioni

rizzo e di qualità. Vi è in Gramsci il confluire di una visione della storia, che gli veniva dallo sviluppo della filosofia italiana nel momento in cui essa si ricollegava alle grandi scuole filosofiche tedesche del secolo precedente, ma che assorbiva una nuova linfa vitale dalla migliore tradizione delle indagini economiche e storiche dei maestri della storiografia razionalistica e positivistica. Privo di questa linfa vitale il suo pensiero non sarebbe stato quello che è; non avrebbe potuto elaborare la sua dottrina dell’alleanza della classe operaia del Nord con le masse contadine italiane, particolarmente dell’Italia meridio[...]

[...]a storia d’Italia. Tutto il suo pensiero storiografico e politico non avrebbe potuto avere quel rigoglioso sviluppo che noi sappiamo, se non vi fosse inizialmente stata in lui la efficacia di quel filone di pensiero che abbiamo indicato, e se egli non avesse fecondato quel filone con le proprie indagini e con le proprie conclusioni.

Giusto è ricordare, come mediatore di questa efficacia, il nome di Gaetano Salvemini, per quanto la polemica di Gramsci con Salvemini sia stata continua dall’inizio della prima guerra mondiale in poi.

In Salvemini l’elemento positivo della visione storica e politica si disperdeva in frammenti. Lo sforzo di sintesi politica era d’altra parte soggetto alla influenza di elementi di ordine passionale non sempre meditati, alle volte moralistici, oppure dipendenti da una visione parziale della realtà. Ciò portò Salvemini a compiere atti politici che Gramsci non poteva non giudicare come errori, e che tali furono. Non ostante questo, Salvemini rimane un grande maestro del pensiero storico e politico italiano, da cui Gramsci molto apprese, a cui di molto egli è debitore.

È necessario però osservare, a questo punto, che relativamente ad uno degli aspetti fondamentali dell’applicazione e dello sviluppo dei leninismo, che Gramsci fece in relazione con la storia italiana e con la situazione del nostro paese, cioè nella formulazione della necessità di un’alleanza tra la classe operaia e le grandi masse lavoratrici contadine del Meridione nella lotta contro il loro nemico comune, che è il regime capitalistico e il suo Stato accentratore e tiranno, Gramsci prende le mosse dalla polemica salveminiana, ma decisamente se ne stacca nelle conclusioni. Il concetto di alleanza elaborato da Gramsci è qualitativamente diPaimiro Togliatti

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verso, dal punto cui anche Salvemini era giunto nella sua agitazione politica. Non si tratta più, infatti, di qualche cosa di strumentale. Non è che l’operaio attenda un aiuto dal contadino, e il contadino, a sua volta, dall’operaio, per combattere quel sopruso o realizzare quella rivendicazione. No, si tratta di una alleanza di classe secondo il concetto leninista, cioè di un nesso fondamentale, organico, il quale diventa la base di un nuovo blocco storico. Si tratta di una nuova unità di forze di classe la quale si afferma nella lotta contro[...]

[...]ivoluzionaria: gli obiettivi rivoluzionari servono di guida anche nelle lotte immediate che orientano e illuminano, cosi come le lotte immediate servono a scoprire e indicare le linee fondamentali di organizzazione del nuovo blocco storico che, attraverso la rivoluzione e nella marcia verso di essa, afferma se stesso come forza dirigente nazionale.

In questa luce e soltanto in questa luce credo possa oggi essere considerata l’azione svolta da Gramsci a Torino negli anni 1919 e 1920. È infatti assurdo pensare che mentre Gramsci, come egli stesso dice nelle sue Note sulla quistione meridionale, già nel 1919 era giunto a questa nuova concezione dell’alleanza di classe tra gli operai e le masse contadine per risolvere la questione dello Stato e della sua unità, è assurdo ritenere che in questo stesso momento egli avesse una visione della funzione della classe operaia che escludesse la organizzazione del partito politico e la lotta politica come forma più alta della lotta di classe e desse un valore esclusivo per giungere alla conquista del potere, al fatto che l’operaio si impadronisse, nella fabbrica, del processo pro[...]

[...] momento egli avesse una visione della funzione della classe operaia che escludesse la organizzazione del partito politico e la lotta politica come forma più alta della lotta di classe e desse un valore esclusivo per giungere alla conquista del potere, al fatto che l’operaio si impadronisse, nella fabbrica, del processo produttivo e di una posizione di dominio nei confronti del padrone.

È vero, si possono trovare in questo o quello scritto di Gramsci, di quegli anni, espressioni staccate che possono suscitare il dubbio che egli pensasse in questo modo; ma queste espressioni hanno essenzialmente un valore esortativo. Esse vogliono portare la classe operaia a prendere coscienza della funzione che essa ha nel processo della produzione e quindi nella fabbrica; ma dalla fabbrica Gramsci risaliva non a un fantastico Stato di « produttori » fuori della storia, bensì al concreto Stato italiano e alla lotta politica che in esso doveva esser condotta.436

Le relazioni

Gramsci ha del resto vivamente criticato, giungendo persino, in qualche momento, a esagerare in questa critica, la tendenza a considerare lo sviluppo economico come risultato delle pure modificazioni dello strumento tecnico. Effettivamente anche le modificazioni dello strumento tecnico hanno un valore che non è soltanto materiale. Esse stesse sono il risultato di una evoluzione che ha luogo anche nelle sovrastrutture, sono il portato di una ricerca, di uno studio, di una azione educativa, possono persino essere legate al prevalere di indirizzi filosofici che spingono alla indagine dei fenomeni natura[...]

[...]i ieri e di oggi e alla macchina di domani, non si afferra se non si indaga e non si svela il rapporto di proprietà, cioè il rapporto tra le classi, la relazione tra chi è il proprietario dei mezzi di produzione e chi non possiede che la propria forza di lavoro, cioè se non si esce dall’ambito della fabbrica per proiettare il rapporto che si stabilisce nella fabbrica in una visione generale di tutti i rapporti sociali.

Questa fu la ricerca di Gramsci negli anni dal 1918 al 1920. Egli intendeva fare uscire dalla fabbrica moderna capitalistica di Torino, luogo più avanzato dello sviluppo industriale italiano, una forza adeguata alla soluzione dei problemi nazionali che in quel momento si ponevano, capace di superare la crisi terribile provocata dalla guerra e dalla distruzione delle forze produttive, di eliminare il disordine e il caos, di vincere il profondo scoraggiamento che regnava nei ceti dirigenti e nelle masse. Tutto questo poteva essere fatto dalla classe operaia se, partendo dalle questioni che si ponevano nella fabbrica, fosse ri[...]

[...] partendo dalle questioni che si ponevano nella fabbrica, fosse riuscita ad acquistare una giusta coscienza dei grandi problemi nazionali e del modo di risolPalmiro Togliatti

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verli. Nessun culto, quindi, della spontaneità; cioè nessuna tendenza a. idealizzare le forme delazione operaia nella fabbrica e chiudersi in esse, ma sforzo consapevole per portare la classe operaia ad una più elevata, coscienza del proprio compito nazionale.

Gramsci stesso ci ha dato e la critica e la definizione delle sue posizioni in quel periodo. «L’accusa contraddittoria [volta al movimento torinese di essere contemporaneamente spontaneista e volontarista o bergsoniano] analizzata, mostra — egli scrive — la fecondità e la giustezza della direzione impressagli. Questa direzione non era 64 astratta non consisteva nel ripetere meccanicamente delle formule scientifiche o teoriche; non confondeva la politica, l’azione reale con la disquisizione teoretica; essa si applicava a uomini reali, formatisi in determinati rapporti storici, con determinati sentimen[...]

[...]valori storici e istituzionali, di fondatrice di Stati. Questa unità della 44 spontaneità ” e della 44 direzione consapevole ”, ossia della 44 disciplina ”, è appunto l’azione politica reale delle classi subalterne, in quanto politica di massa e non semplice avventura di gruppi che si. richiamano alla massa » 1.

Del resto, la risposta migliore che si può dare a coloro che fraintendono, alle volte anche volutamente, l’azione politica svolta da Gramsci in quel periodo, è che qudl’azione politica mise capo e non poteva non mettere capo alla fondazione del partito rivoluzionario della classe operaia...

1 p. 57.438

Le relazioni

Il partito rivoluzionario della classe operaia. Questo è l’altro elemento essenziale della dottrina leninista che Gramsci fa propria, dabora, approfondisce, avvicina alla realtà del nostro paese, traduce in un’azione, in una pratica di lavoro, di lotta, ed anche più che di lavoro e di lotta, di dedizione totale sino al sacrificio della propria esistenza.

Il partito è un « intellettuale collettivo », perché una classe subalterna, la quale vuole affermare la propria egemonia e giungere alla conquista del potere non vi giunge spontaneamente, senza una direzione. « Una massa umana... non diventa indipendente 44per sé”, senza organizsarsi (in senso lato) e non c’è organizzazione senza intellettuali, cioè senza org[...]

[...] esistenza.

Il partito è un « intellettuale collettivo », perché una classe subalterna, la quale vuole affermare la propria egemonia e giungere alla conquista del potere non vi giunge spontaneamente, senza una direzione. « Una massa umana... non diventa indipendente 44per sé”, senza organizsarsi (in senso lato) e non c’è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti».

Qui il nucleo e l’originalità del pensiero di Gramsci circa la dottrina del partito. Dallo sviluppo di questi concetti egli deriva le norme fondamentali della vita del partito stesso: la fedeltà, la disciplina, la unità interna, il carattere, in pari tempo, internazionale e nazionale del movimento, che egli, in una nota che ho citato negli « Appunti » per la mia relazione, particolarmente sottolinea, per derivarne da un lato la necessità dell’demento unitario fondamentale e dall’altro per derivarne la eguale necessità delie variazioni, oggi diremmo delle diverse « vie al socialismo » aderenti alle condizioni di ogni paese.

A questa parte del [...]

[...]nità interna, il carattere, in pari tempo, internazionale e nazionale del movimento, che egli, in una nota che ho citato negli « Appunti » per la mia relazione, particolarmente sottolinea, per derivarne da un lato la necessità dell’demento unitario fondamentale e dall’altro per derivarne la eguale necessità delie variazioni, oggi diremmo delle diverse « vie al socialismo » aderenti alle condizioni di ogni paese.

A questa parte del pensiero di Gramsci sono state volte parecchie critiche. Particolarmente ha concentrato la sua critica in questa direzione il prof. Rodolfo Mondolfo, il quale pure, in un notevole studio, ha riconosciuto il valore positivo e creativo della visione che Gramsci ha del marxismo e di tutto il suo pensiero. Da un lato egli afferma che questo « intellettuale collettivo », il partito, sarebbe cosa deteriore perché verrebbe dall’esterno del movimento della classe operaia; dall’altro lato trova, nel modo come Gramsci sviluppa il concetto di partito, una specie di giustificazione di una forma di tirannide.

Circa la prima critica, credo che l’errore consista nel ritenere che la dottrina del partito, cosi come Gramsci la espone e sviluppa sulla traccia di Lenin, sia qualche cosa che prescinda dalle analisi storiche, economiche e sociali di tutta la realtà. Il partito di una determinata classe non sorge in qualsiasi momento, cosi come non sorgono tn qualsiasi momento della storia i problemi che una determinata classe è chiamata a porre e risolvere. Sorge e può svilupparsi soltanto in una società in cui si sia iniziato il concretarsi di una volontà collettiva della nuovaPaimiro Togliatti

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classe, riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione. Il partito quindi sorge quando esistono già alcune[...]

[...]oteva e doveva compiere.

Anc^he la dottrina del partito fa parte di quello sviluppo creativo del marxismo che da Lenin ha ricevuto un impulso fondamentale. Anche questa dottrina respinge le pedantesche e fatalistiche concezioni dello sviluppo storico attraverso le quali il genuino pensiero marxista era stato contraffatto, reso inerte, impotente alla creazione storica.

Al prof. Mondolfo si potrebbe ricordare ciò che già gli faceva osservare Gramsci nel 1919, recensendo un opuscolo dello stesso Mondolfo dedicato alla Rivoluzione russa. « Si racconta — scrive Gramsci — che un professore tedesco di scuole medie, riuscito stranamente a innamorarsi, cosi combinasse insieme la pedagogia e la tenerezza: —Mi ami tu, tesoretto mio? — Si. — No, nella risposta deve essere sempre ripetuta la domanda, in questo modo: Si, ti amo, topolino mio! ».

Nella risposta che Lenin ha dato ai problemi della Rivoluzione russa non era contenuta la domanda che Rodolfo Mondolfo crede si debba fare al politico a seconda del modo come egli interpreta il marxismo. Era però

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Le relazioni

contenuta la risposta adeguata alla realtà dello sviluppo storico della Russia, [...]

[...]emi della Rivoluzione russa non era contenuta la domanda che Rodolfo Mondolfo crede si debba fare al politico a seconda del modo come egli interpreta il marxismo. Era però

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Le relazioni

contenuta la risposta adeguata alla realtà dello sviluppo storico della Russia, della vita sociale, economica, collettiva del popolo russo.

Ma la dottrina del partito conterrebbe dunque la giustificazione di una tirannide? Si possono trovare in Gramsci, soprattutto nelle primepagine delle Note sul Machiavelli, affermazioni che, staccate dal loro contesto, possono spaventare un ignaro. Sono invece affermazioni dei tutto comprensibili, logiche, giuste, quando la dottrina del partito è intesa come Lenin e Gramsci la intesero.

Gramsci affronta questo problema in modo assai vario e complesso,, perché riconosce che il pericolo può esserci. Egli ne aveva avuto esperienza nel modo come era stato diretto il suo partito, il Partito comunista italiano nei primi anni della sua esistenza, trasformandolo in una sèttar in una organizzazione di tipo pseudomilitaresco, privo di una propria vita, vivacità e dialettica interna, e quindi incapace anche di adempiere a quelle funzioni cui deve adempiere il partito nel contatto con le masse che hanno bisogno della sua direzione.

Di qui le indicazioni assai interessanti, — anche se forse n[...]

[...]e un altro aspetto, più generale, e che ha assunto un grande rilievo nello sviluppo del movimento operaio internazionale degli ultimi anni: l’aspetto della validità dei concetti formali di democrazia e libertà, in rapporto con le necessità della edificazione storica di un nuovo regime, della sua difesa, del suo passaggio dall’uno all’altro stadio dello sviluppo. Qui si entra in un campo che è il più attuale, nel quale per muoverci il pensiero di Gramsci è una guida è richiede uno sviluppo. Ciò che interessa soprattutto è il modo come Gramsci considera il problema del potere, cioè dell’esercizio dell’autorità dirigente da parte di determinati gruppi sociali. Qui egli introduce il concetto di egemonia, ma questo concetto mon può essere formalmente opposto al concetto di dittatura, allo stesso modo che non si possono formalmente opporre i concetti di società civile e società politica come se indicassero cose organicamente diverse. La differenza non è organica, ma di metodo.

Una classe dirigentè realizza la propria direzione in modi diversi* a seconda non soltanto della diversità delle situazioni storiche, ma anche delle different[...]

[...]eplici sono i mezzi attraverso i quali la classe che tende alla conquista del potere si sforza di creare le condizioni della sua egemonia.

Per approfondire questo tema sarebbe necessario addentrarsi nel campo della concreta attività politica attuale, il che non mi pare sia opportuno in questo momento. Vorrei soltanto accennare alla distinzione, assai interessante e, quando venga esplorata a fondo, assai ricca di indicazioni e di sviluppi, che Gramsci introduce, riferendosi alla lotta per il potere, tra la « guerra manovrata » e la « guerra di posizione ». Col primo termine egli designava, in sostanza, l’attacco rivoluzionario per la conquista del potere. Con il secondo designava il contrasto di classe che matura, sotto la direzione del partito rivoluzionario, quando l’attacco rivoluzionario non è possibile o prima di esso, per prepararlo. Anche in questo secondo caso viene condotta un’azione che tende al rivolgimento delle strutture e del blocco storico dominante. Non vi è la pace, dunque, ma la guerra che si conduce ha un carattere compl[...]

[...] il secondo designava il contrasto di classe che matura, sotto la direzione del partito rivoluzionario, quando l’attacco rivoluzionario non è possibile o prima di esso, per prepararlo. Anche in questo secondo caso viene condotta un’azione che tende al rivolgimento delle strutture e del blocco storico dominante. Non vi è la pace, dunque, ma la guerra che si conduce ha un carattere completamente diverso dall''attacco diretto.

Che cosa intendeva Gramsci quando insisteva su questa differenza? La cosa risulta dallo esplicito richiamo, che è in una delle Note sul Machiavelli, all'azione di Lenin per istruire le avanguardie della classe operaia del mondo occidentale e di tutto il mondo, sulla lòtta politica che esse dovevano e devono condurre nelle condizioni della società capitalistica, quando non sono mature le condizioni né oggettive né soggettive di un attacco rivoluzionario. «Mi pare che Ilici [Lenin] aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata Vittoriosamente in Oriente nel ’17, alla guerra di posizione che [...]

[...]acco rivoluzionario. «Mi pare che Ilici [Lenin] aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata Vittoriosamente in Oriente nel ’17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente... Questo mi pare significhi la formula del “ fronte unico ”... » \

A questa posizione si collegano tanto la critica alla dottrina della

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rivoluzione permanente di Trotzki, che Gramsci considera come la dottrina dell’attacco quando l’attacco inevitabilmente deve terminare con una sconfitta, quanto il richiamo ai lavori di Lenin, precedenti il III Congresso dell’Internazionale comunista, e all’opera stessa di Lenin a questo Congresso comunista.

Il fatto di attribuire un valore non organico, ma metodologico alla distinzione tra società politica e società civile porta, d’altra parte* a far la chiarezza nella questione delle forme della dittatura della classe operaia. È inevitabile che siano differenti in differenti situazioni, che siano più o meno ampie, più o meno vicine a[...]

[...]ca e politica, egli raccomandava di non attenersi allo schema russo, ma di seguire una diversa via per risolvere i problemi dell’organizzazione della produzione, dei rapporti con la piccola e media borghesia produttrice e con le sue formazioni politiche. Basta ricordare come Lenin giungeva a parlare di variazioni nelle forme del potere, quando fossero entrate in azione le grandi masse umane deirOriente, come oggi sta avvenendo.

Il pensiero di Gramsci si è mosso per questa via, che è la via dello sviluppo creativo del marxismo. Su di essa è stato guidato da Lenin. Noi cerchiamo e troviamo nel suo pensiero non delle formule, ma una guida per comprendere i problemi del mondo d’oggi, per lavorare a risolvere le contraddizioni che oggi si presentano sulla scena economica e politica, e che sorgono anche là dove il potere è già nelle mani della classe operaia, dovendo allora essere trattate e portate a soluzione con metodi particolari, diversi da quelli con cui si risolvono le contraddizioni antagonistiche del mondo capitalistico.

Ma giunti a[...]

[...] anche là dove il potere è già nelle mani della classe operaia, dovendo allora essere trattate e portate a soluzione con metodi particolari, diversi da quelli con cui si risolvono le contraddizioni antagonistiche del mondo capitalistico.

Ma giunti a questo punto è necessario fermarsi. L’esame delle questioni nuove, che oggi nella lotta politica quotidiana ci si presentano, esige nozioni concrete di fatto che non possiamo trovare nell’opera di Gramsci. Egli rimane però la luce che illumina il nostro cammino. Egli è andato avanti fino che ha potuto. Ha conosciuto la realtà che stava davanti a lui, ha fatto tutto ciò che stava in lui per modificarla con un’azione consapevole. La creazione del partito della classe operaia è, quindi, non azione secondaria o parallela, ma il culmine di tutta la sua attività intellettuale e di tutta la sua azione.

In una delle sue lettere, egli parla con amarezza, ma con fierezza, della propria esistenza. « Io non parlo mai — dice — dell’aspetto negativo della mia vita, prima di tutto perché non voglio essere[...]

[...]na delle sue lettere, egli parla con amarezza, ma con fierezza, della propria esistenza. « Io non parlo mai — dice — dell’aspetto negativo della mia vita, prima di tutto perché non voglio essere compianto; ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata, e i combattenti non possono e non devono essere compianti, quando essi hanno lottato non perché costretti, ma perché cosi hanno essi stessi voluto consapevolmente ».

Ebbene, Gramsci noi non lo compiangiamo, noi ci sforziamo di continuare l’opera sua.



da [Gli interventi] Gastone Manacorda in Studi gramsciani

Brano: Gastone Manacorda

Noi siamo, oggi, in una fase tale di studi su Gramsci che ci occorre innanzitutto uscire dal generico e cominciare a proporci, direi, due serie di studi: 1’una — ed è quella sulla quale vorrei brevemente soffermarmi — che ci serva a chiarire la posizione storica del pensiero di Gramsci per quello che riguarda determinati problemi, quelli appunto che sono oggetto della relazione testé tenuta; l’altra, invece, che verifichi nella ricerca alcuni spunti gramsciani e li porti avanti autonomamente. Qualche cosa, in questa seconda direzione, è stato già fatto in questi anni, e bisogna dire che in realtà si è già constatata la vitalità, l’attualità delle interpretazione storiche e dei suggerimenti storiografici che si trovano nell’opera politica di Gramsci. Ma nonostante questo — anzi forse proprio per questo — recentemente si è aperta una polemica sul valore storiografico degli scritti di Gramsci; una polemica, che nel corso del 1956 ha toccato il suo apice ed il suo momento più interessante in seguito ad uno scritto di un giovane storico liberale, Rosario Romeo, che ha suscitato grande interesse, e alle risposte che lo hanno seguito. Nello scritto di Romeo, come già in altri scritti su Gramsci, si parte da una pregiudiziale che esprime diffidenza verso l’opera storica di Gramsci, cioè si dice : « qui si tratta di un pensatore politico, non di uno studioso di storia, le sue tesi sono tesi politiche ». Questa pregiudiziale fu già avanzata — come è noto — dal Croce e dall’Antoni e poi ebbe una formulazione un po’ più approfondita da parte dello Chabod, il quale precisò, in un saggio su Croce storico, che le tesi di Gramsci sulla mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e la critica che Gramsci fa ai democratici del Risorgimento di non avere or
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Gli interventi

ga.nizza.to la rivoluzione agraria, sono le proiezione nel Risorgimento di un problema che in realtà era il problema di Gramsci, era un problema del 1920 e non del 1848 o del 1860.

Non voglio discutere sulla questione di ordine teoretico, cioè sul rapporto fra coscienza politica e coscienza storica, fra giudizio politico e giudizio storico, ma prima di tutto sarà invece da vedere se questa affermazione regge, cioè se veramente il problema della rivoluzione contadina non fosse già presente, non dico soltanto nelle cose, ma nella coscienza stessa degli uomini del Risorgimento.

In realtà, basta leggere la letteratura politica del Risorgimento, e soprattutto quella immediatamente posteriore alla unificazione, per tr[...]

[...]dico soltanto nelle cose, ma nella coscienza stessa degli uomini del Risorgimento.

In realtà, basta leggere la letteratura politica del Risorgimento, e soprattutto quella immediatamente posteriore alla unificazione, per trovarvi larghissimamente sviluppata la critica al Risorgimento cosi come si è svolto, e per ritrovare nel pensiero stesso di questi protagonisti molti elementi che poi avranno sviluppo successivamente ed anche nel pensiero di Gramsci.

Faccio pochi esempi. Prendiamo uno fra i critici più intelligenti della società italiana appena unificata, un Leopoldo Franchetti, borghese, conservatore e cosciente di appartenere alla borghesia, che accusa e critica la borghesia alla quale egli sa di appartenere, quella borghesia — egli dice — che è diventata padrona dello Sta.o e dei Comuni, perché sfrutta, impoverisce il contadino meridionale, perché — per esempio — attraverso la privatizzazione dei demani comunali, fatta nel modo che tutti sanno, ha tolto ai contadini le terre che a loro spettavano in forza delle leggi eversive della[...]

[...]contemporanei. In realtà, questo è avvenuto.

Oggi, però, si nota anche in seno alla storiografia liberale, da parteGastone Manacorda

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di elementi più giovani, di una nuova generazione di studiosi, che si sono formati in un nuovo clima, si nota, dicevo, che certi interessi si sono risvegliati; ed a me pare che, nonostante il dissenso che il Romeo tende a sottolineare con le tesi politiche, con le posizioni filosofiche fondamentali di Gramsci, non ci sia poi un dissenso reale in quello che riguarda alcune constatazioni storiche, sebbene nel suo scritto aleggi sempre questa riserva: che in fondo le idee di Gramsci sono tesi politiche che si sovrappongono alla storia, anche se poi quando si va a vedere in concreto, stringi stringi, si può finire con l’essere d’accordo.

Perché rimane questa riserva, questa diffidenza, questa pregiudiziale negativa? Proprio perché non si è fatto lo sforzo di risalire a quelle che sono state le origini di queste idee di Gramsci; io credo che a quella letteratura critica del Risorgimento, a cui accennavo prima facendo rapidamente soltanto il nome di Leopoldo Francherai, si debba ricollegare Gramsci e che ci sia un tramite abbastanza evidente, che non è stato ancora sufficientemence messo in luce, attraverso il quale questo pensiero giunge fino a Gramsci; ed a me pare che questo tramite sia principalmente quello di Salvemini.

La ricerca sulle fonti italiane del pensiero di Gramsci è appena agli inizi. Si è insistito, e giustamente per una parte, sulla derivazione da Antonio Labriola. Io non ho nulla da eccepire su questo. Il giudizio di Gramsci su Labriola come il primo, in Italia, che affermi l’autosufficienza della filosofia della prassi (cioè che i!l marxismo non ha bisogno di altri presupposti filosofici) indica indubbiamente che Gramsci stesso si pone su questa linea; tuttavia a me pare che circoli una tendenza a semplificare la genealogia intellettuale di Gramsci per quello che riguarda in particolare il pensiero politico italiano.

Indubbiamente la derivazione di Gramsci da Labriola ce, nessuno vuole negarlo, ma anche nel campo della storia delle idee, anzi specialmente in esso, come è noto, gli svolgimenti non sono mai semplici e lineari, anzi sono sempre complessi ed impuri; e se la linea LabriolaGramsei ci sembra la più pura, la più genuina, la più facilmente riconoscibile, io credo, però, che dobbiamo domandarci se in questo non centri un pochino il desiderio di trovare le cose troppo ben fatte, di trovare a Gramsci un precursore diretto, sul quale non ci sia da fare quasi nessuna eccezione.

A me sembra che il nesso fra il pensiero di Gramsci e quello [...]

[...]da Labriola ce, nessuno vuole negarlo, ma anche nel campo della storia delle idee, anzi specialmente in esso, come è noto, gli svolgimenti non sono mai semplici e lineari, anzi sono sempre complessi ed impuri; e se la linea LabriolaGramsei ci sembra la più pura, la più genuina, la più facilmente riconoscibile, io credo, però, che dobbiamo domandarci se in questo non centri un pochino il desiderio di trovare le cose troppo ben fatte, di trovare a Gramsci un precursore diretto, sul quale non ci sia da fare quasi nessuna eccezione.

A me sembra che il nesso fra il pensiero di Gramsci e quello di506

Gli interventi

Labriola abbia ancora da essere studiato storicamente, che questo studio debba condurre a sostituire a una precesa derivazione diretta, un po’ schematica, la reale complessità del rapporto fra i due pensatori. Bisogna collocare questo rapporto nella storia culturale italiana della fine del secolo XIX e del principio del secolo XX; perché se, da un lato, è chiaro che si risale da Gramsci a Labriola attraverso Croce, che in qualche modo è discepoloantagonista di Labriola e maestroantagonista di di Gramsci; dall’altro lato, a me pare che a Labriola stesso, per quello die riguarda la sua metodologia applicata ai problemi della politica italiana, si risalga attraverso Salvemini.

Circa il rapporto fra Salvemini e Labriola come iniziatore del materialismo storico in Italia vorrei soltanto ricordare la più recente testimonianza dello stesso Salvemini in una lettera pubblicata in occasione della sua morte, su Mondo operaio. Scrive Salvemini: «Nel 1894 tutto il nostro gruppo diventò socialista. Fino a quel momento io ero stato sotto l’influenza di Taine e di Villari. Entrambi parlavano dell’ambient[...]

[...]i primi mesi del ’99, quando conobbi i suoi scritti sul 1848 in Lombardia i quali erano pensati con lo stesso metodo di'pensiero di quelli di Marx sulla Francia del 1848 ».

È una testimonianza di grande interesse. Vi si trovano tre nomi: quello di Marx, quello di Labriola e quello di Cattaneo. Da Salvemini, dunque, siamo ricondotti da un lato a Labriola e a Marx; dall’altro, a Cattaneo. E il nome di Cattaneo ci invita a considerare l’opera di Gramsci, per un certo aspetto, come il punto di approdo di un filone di pensiero politico italiano, e di riflessione critica sul Risorgimento, che prende le mosse proprio da Cattaneo.

Come il prof. Garin ha ricordato stamane, oggi vi è una ripresa di studi su Cattaneo, una ripresa che non è certamente dettata soltanto daGastone Manacorda

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un interesse erudito; quindi quello che io sto dicendo potrebbe essere interpretato come un indulgere iad una moda. Perciò vorrei subito precisare che i riferimenti diretti di Gramsci a Cattaneo sono scarsissimi, non solo, ma ci sono alcune cose interes[...]

[...] politico italiano, e di riflessione critica sul Risorgimento, che prende le mosse proprio da Cattaneo.

Come il prof. Garin ha ricordato stamane, oggi vi è una ripresa di studi su Cattaneo, una ripresa che non è certamente dettata soltanto daGastone Manacorda

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un interesse erudito; quindi quello che io sto dicendo potrebbe essere interpretato come un indulgere iad una moda. Perciò vorrei subito precisare che i riferimenti diretti di Gramsci a Cattaneo sono scarsissimi, non solo, ma ci sono alcune cose interessanti : ad esempio per due volte Gramsci cita l’edizione in volume de La città del Cattaneo della quaile egli aveva notizia, mi pare di capire, attraverso una recensione (come per molti altri libri) con il desiderio di leggerla perché sente che li troverebbe qualche cosa che lo interessa vivamente, vi troverebbe trattato quel problema di città e campagna che è uno dei temi Centrali del suo pensiero; ma Gramsci non conosce questo scritto, che prima del suo arresto non era stato mai ripubblicato. Cosi, non tricorda, Gramsci, gli scritti di carattere economico di Cattaneo. Viceversa, mi sembra di derivazione nettamente cattaneiana la critica al ’48 : il giudizio sulla politica piemontese nel ’48, la questione dei rapporti fra Piemonte e Lombardia, la Lombardia più illuminata, più evoluta rispetto al Piemonte, ecc.; idee che poi sono rimaste molto vive anche nella storiografia recente, soprattutto nell’opera di Cesare Spellanzon.

Ma è chiaro che nello stabilire questa derivazione gramsciana, o meglio nel considerare il pensiero gramsciano anche come punto di approdo della critica del Risorgimento, non possiamo [...]

[...]carattere economico di Cattaneo. Viceversa, mi sembra di derivazione nettamente cattaneiana la critica al ’48 : il giudizio sulla politica piemontese nel ’48, la questione dei rapporti fra Piemonte e Lombardia, la Lombardia più illuminata, più evoluta rispetto al Piemonte, ecc.; idee che poi sono rimaste molto vive anche nella storiografia recente, soprattutto nell’opera di Cesare Spellanzon.

Ma è chiaro che nello stabilire questa derivazione gramsciana, o meglio nel considerare il pensiero gramsciano anche come punto di approdo della critica del Risorgimento, non possiamo fermarci soltanto allesame dei rapporti diretti fra Cattaneo e Gramsci; oi occorre ricostruire la storia del formarsi di certe idee, del loro svolgersi e del loro confluire, poi, nei pensiero di Gramsci; quindi, una duplice ricerca che implica, fra l’altro, una biografia intellettuale di Gramsci, lo studio della sua formazione culturale e, quindi, anche delle sue letture negli anni giovanili, ecc.: cose tutte nelle quali siamo ancora ad uno stato prelucano.

Però, come dicevo prima, una derivazione chiara e più immediata ce, ed è quella da Salvemini. A Salvemini direttamente, senza dubbio Gramsci deve molto, nonostante la grande distanza che li separa poi sul terreno delle soluzioni politiche, nonostante la polemica con Salvemini degli anni de LOrdine Nuovo, (questa è un’altra questione), e nonostante che le soluzioni che il Salvemini al principio del secolo proponeva, siano assolutamente estranee a Gramsci. Del federalismo cattaneiano, — ad esempio — non è rimasta neppur l’ombra nel pensiero di Gramsci; tuttavia ritengo che egli gli debba molto, a Salvemini, non solo sul terreno dell'analisi, della ricognizione dell’Italia postrisorgi508

Gli interventi

mentale, ma anche nella individuazione delle forze della rivoluzione italiana.

Intanto, è comune in Gramsci e in Salvemini la avversione politica verso il riformismo e, quindi, la polemica contro la sordità dei riformisti alla questione meridionale; nello stesso ambito, la polemica contro il giolittismo, contro l’alleanza riformisticogiolittiana il cui significato profondo — come tutti ricordano — è particolarmente messo in luce nelle Note sulla quistione meridionale; ma è comune anche l’idea, conseguente a questa analisi, che questo sistema di forze può essere abbattuto, può essere rovesciato e può dar luogo ad un rinnovamento profondo della società italiana soltanto attraverso l’alleanza degli op[...]

[...]onari del Sud, vi è lotta fra le masse del Nord ed i reazionari del Nord, e soggiungeva che come i reazionari del Nord e del Sud si uniscono insieme petr opprimerle le masse del Nord e del Sud, cosi le masse delle due sezioni del nostro Paese avrebbero dovuto unirsi per sconfiggere « a fuochi incrociati » la reazione.

Se noi riflettiamo che a questo punto era pervenuta la critica al Risorgimento al principio del secolo, ci rendiamo conto come Gramsci, essendosi formato in questo clima, avendo maturato in questo clima e, credo, molto su queste letture, le sue idee sulla situazione italiana, fosse pervenuto nella disposizione di chi poteva accogliere l’idea leninista della alleanza fra operai e contadini; e, quindi, da un lato, tradurre efficacemente il leninismo in italiano, e dall’altro portare avanti la coscienza rivoluzionaria italiana su un piano più elevato nella situazione del dopoguerra.

Vorrei dire, in sostanza, che non è vero che la consapevolezza del problema contadino italiano nasca soltanto nel primo dopoguerra, che il probl[...]

[...]a operai e contadini; e, quindi, da un lato, tradurre efficacemente il leninismo in italiano, e dall’altro portare avanti la coscienza rivoluzionaria italiana su un piano più elevato nella situazione del dopoguerra.

Vorrei dire, in sostanza, che non è vero che la consapevolezza del problema contadino italiano nasca soltanto nel primo dopoguerra, che il problema contadino giunga ad essere una realtà soltanto nel primo dopoguerra e che, quindi, Gramsci lo trasferisca arbitrariamente nel Risorgimento. Si avrebbe, secondo me, maggior ragione di. dire che laGastone Manacorda

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coscienza di questo problema culmina in Gramsci ed acquista in lui una maggiore forza e, quindi, una maggiore profondità. Perché culmina in Gramsci? Perché siamo nel momento (il primo dopoguerra, appunto) in cui di questo problema si vede e si formula già la possibile soluzione nella realtà. Ed allora, il momento in cui il contrasto sociale ereditato dal Risorgimento appare superabile nella realtà, il momento in cui si vedono già in atto le forze che possono superarlo, che possono creare un mondo diverso, questo è anche il momento in cui si raggiunge la comprensione storica dei termini reali di quel contrasto, cioè questo è il momento in cui si può effettivamente capire «come le cose sono effettivamente andate », il momento in cui si può[...]

[...] non ce ad un certo punto un salto, quasi che gli uomini politici smettessero di pensare e venissero gli storici a mettere le cose a posto. Sarebbe comodo per gli studiosi di storia; ma essi, invece, debbono fare i conti anche con l'ininterrotto svolgersi della coscienza critica della realtà sociale.

Io vorrei rifarmi, a questo proposito, ad una delle citazioni che felicemente sono state ricordate stamane dal prof. Garin, cioè a quel detto di Gramsci, che « condanna in blocco il passato soltanto chi non riesce a differenziarsene ». Quel detto di Gramsci contiene implicita l’idea che il momento nel quale si passa dalla coscienza dei contemporanei a quella dei posteri, dal giudizio politico al giudizio storico, si realizza nella storia delle idee, soltanto in quanto nella storia dei fatti, appunto, si supera il passato, ci si differenzia dal passato. Ora, nel primo dopoguerra, noi siamo, non dico nel momento, ma in un momento importante della differenziazione dal passato, dal Risorgimento, dal processo di unificazione e di costruzione dello Stato unitario.

Nel pensiero di Gramsci il Risorgimento è visto nella profondità di una nuova prospet[...]

[...]contemporanei a quella dei posteri, dal giudizio politico al giudizio storico, si realizza nella storia delle idee, soltanto in quanto nella storia dei fatti, appunto, si supera il passato, ci si differenzia dal passato. Ora, nel primo dopoguerra, noi siamo, non dico nel momento, ma in un momento importante della differenziazione dal passato, dal Risorgimento, dal processo di unificazione e di costruzione dello Stato unitario.

Nel pensiero di Gramsci il Risorgimento è visto nella profondità di una nuova prospettiva, e certi problemi vi prendono nuova luce, e certe idee che già erano vive nella coscienza dei contemporanei riemergono ed acquistano il vigore di una interpretazione storica mentre là avevano soltanto un valore polemico. Al principio del secolo jl cattaneiano Salvemini era ancora immerso ed impegnato nella battaglia, pe510

Gli interventi

r altro già perduta, del federalismo, cioè era ancora in una delle tante posizioni di ribellione contro lo Stato unitario (ce ne più di una, come è noto); mentre venti o venticinque anni[...]

[...]cattaneiano Salvemini era ancora immerso ed impegnato nella battaglia, pe510

Gli interventi

r altro già perduta, del federalismo, cioè era ancora in una delle tante posizioni di ribellione contro lo Stato unitario (ce ne più di una, come è noto); mentre venti o venticinque anni dopo, dopo la prima guerra mondiale, ed ancora di più dopo l'avvento del fascismo, cioè in una situazione storica che consente e favorisce il distacco, il marxista Gramsci, nonostante il tono polemico di molte sue affermazioni anche riguardanti uomini del Risorgimento, non protesta, non condanna, ma constata, prende coscienza da un nuovo punto di vista di quel processo storico.

Tutti ricordano un ,ampio frammento dei Quaderni di Gramsci in polemica contro le cosiddette « interpretazioni » del Risorgimento, contro i « romanzi ideologici » che, per la loro tendenizosità, hanno soltanto — egli dice — un significato di carattere politico immediato ed ideologico e non un reale valore storico. Questa letteratura — egli dice — ha soltanto una importanza documentaria per i tempi di cui parla; nella storia — ad esempio — della polemica politica in Italia fra il 70 ed ili ’900 è chiaro che scrittori come Turiello e Mosca hanno il loro posto,, ma il loro pensiero non ha un effettivo contenuto storico.

Non entro nella sostanza della [...]

[...]e non un reale valore storico. Questa letteratura — egli dice — ha soltanto una importanza documentaria per i tempi di cui parla; nella storia — ad esempio — della polemica politica in Italia fra il 70 ed ili ’900 è chiaro che scrittori come Turiello e Mosca hanno il loro posto,, ma il loro pensiero non ha un effettivo contenuto storico.

Non entro nella sostanza della discussione, perché qui bisognerebbe distinguere fra i vari autori che cita Gramsci e dissentirei da alcuni giudizi, ma non è su questo che voglio soffermarmi; voglio dire, invece, che mi pare che il giudizio polemico contro Gramsci, che è stato lanciato prima dal Croce e poi ripreso da altri, tenda, in sostanza, ad ascrivere Gramsci stesso a questa letteratura, e per le ragioni che ho svolto mi pare che questo giudizio non corrisponda alla realtà. A questo punto, bisogna passare ai problemi storici concreti, ad esaminarli, uno per uno, cioè fare quel secondo lavoro al quale io accennavo in principio.

Mi limito soltanto ad accennare che per quello che riguarda il periodo più recente, quello nel quale Gramsci fu ancora attore politico* o per lo meno quello più vicino a lui, molti suoi giudizi appaiono più discutibili, come è logico; anzi direi che su questi temi, quasi per paradosso, si verifica perfino che contengano maggiore verità storica certi giudizi che sembrano più polemici, più politici.

Per esempio, a proposito di Giolitti, a me sembra che il giudizio che si trova ad un certo punto nei Quaderni, secondo il quale Giolitti, in fondo, sarebbe un continuatore di Crispi, che si sarebbe mantenuto,Gastone Manacorda

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essenzialmente, nel solco di Crispi sostituendo al giacobinismo di [...]

[...]ito di Giolitti, a me sembra che il giudizio che si trova ad un certo punto nei Quaderni, secondo il quale Giolitti, in fondo, sarebbe un continuatore di Crispi, che si sarebbe mantenuto,Gastone Manacorda

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essenzialmente, nel solco di Crispi sostituendo al giacobinismo di temperamento di Crispi la solerzia e la continuità burocratica, sia un giudizio politico di tipo polemico che non si può trasferire sul piano storico. Mi pare che qui Gramsci non intenda a fondo il valore della lotta politica che si svolse all'interno della borghesia, (ma anche con la partecipazione, per la prima volta sul piano della politica nazionale, delle forze proletarie) alla fine del secolo XIX. Viceversa, mi sembra che resista all’analisi storica, che del resto è appena iniziata, l’esame più profondo del sistema giolittiano e delle alleanze di classe sulle quali esso poggia, come è delineato nelle Note sulla questione meridionale e ripreso in parte nei Quaderni.

Il discorso, invece, che si deve fare sui temi più strettamente legati al Risorgimento è un[...]

[...]ppena iniziata, l’esame più profondo del sistema giolittiano e delle alleanze di classe sulle quali esso poggia, come è delineato nelle Note sulla questione meridionale e ripreso in parte nei Quaderni.

Il discorso, invece, che si deve fare sui temi più strettamente legati al Risorgimento è un po’ diverso. La recente discussione suscitata dallo scritto di Romeo ha messo in luce che la realtà, la fondatezza, la concretezza storica di certi temi gramsciani non può più essere disconosciuta. Vorrei soltanto aggiungere, a questo proposito, per l’esatto intendimento del pensiero gramsciano, che il problema contadino del Risorgimento in Gramsci è solo un aspetto del problema più generale che Gramsci imposta, che è quello della direzione politica e delle forze rivoluzionarie sulle quali potevano fare assegnamento i partiti del Risorgimento. Dico questo, perché isolando il problema contadino e mostrandolo come centrale nel pensiero di Gramsci si rischia di dimenticare la complessità ed anche l’ampiezza della sua visione storica. Ad esempio, io ho letto con stupore che si accusi Gramsci di non avere tenuto conto deHa situazione internazionale e quindi della impossibilità di una rivoluzione agraria italiana nell’Europa del 1848 che non era la Francia del 1789. Ma questo, in Gramsci, è detto e ripetuto più di una volta, e stupisce che studiosi anche autorevoli dicano che questo aspetto nei Quaderni è trascurato, mentre c’è ad ogni pagina; ed io vi risparmio le citazioni, meno una che mi pare le riassuma un po’ tutte, là dove Gramsci dice testualmente che « Il Risorgimento è svolgimento storico contradditorio e complesso che risulta integrato da tutti i suoi elementi antitetici, dai suoi protagonisti e dai suoi antagonisti, dalle loro lotte, dalle modificazioni reciproche che le lotte stesse determinano ed anche dalla funzione delle forze passive e latenti come le grandi masse agricole, oltre, naturalmente, la funzione eminente dei rapporti internazionali ».512

Gli interventi

Certo, se si isolano talune affermazioni di Gramsci come quella che « l’azione sui contadini era sempre possibile », si può aprire la discuss[...]

[...]o storico contradditorio e complesso che risulta integrato da tutti i suoi elementi antitetici, dai suoi protagonisti e dai suoi antagonisti, dalle loro lotte, dalle modificazioni reciproche che le lotte stesse determinano ed anche dalla funzione delle forze passive e latenti come le grandi masse agricole, oltre, naturalmente, la funzione eminente dei rapporti internazionali ».512

Gli interventi

Certo, se si isolano talune affermazioni di Gramsci come quella che « l’azione sui contadini era sempre possibile », si può aprire la discussione : che valore ha affermare una possibilità nel passato? Ripeto, su queste questioni io non apro la discussione di carattere teoretico, però vorrei dire che per lo meno altrettanto discutibile è la tendenza a fare della storia avvenuta non solo l’unica storia reale, l’unica storia di cui si può parlare — su questo siamo d’accordo, — ma a farne anche la storia ideale.

A me sembra che Rosario Romeo non si sia accontentato di stare nella storia accaduta, nella storia reale. Quando ad un certo punto, eg[...]

[...]ca, in questo caso). Ancor più, quando Romeo istituisce il confronto con la Francia, e dice che là le cose sono andate peggio perché la Rivoluzione aveva creato la piccola proprietà rurale, ecc., e contrappone lo sviluppo capitalistico italiano a quello francese come qualcosa di preferibile, ancora una volta egli idealizza la recente storia d’Italia.

Idealizzazione per idealizzazione, posto che la scelta fosse tra questi termini, posto che in Gramsci sia idealizzata la storia di Francia, mi terrei quella; ma la scelta non è questa, la scelta è fra la concretezza storica, lo stimolo, quindi, alla individuazione 'di reali problemi storici che troviamo in Gramsci, oppure la rinuncia a questo; e — fìngendo di fare storia — la prosecuzione di una polemica che in realtà è di carattere politico.

Ma qui vorrei concludere questo mio intervento sulla relazione del prof. Cessi, esprimendo un voto: chi studia l’opera di Gramsci incontra una grande difficoltà per il modo in cui è stata condotta l'edizione dei Quaderni del carcere. Perciò io faccio voti che si prepari presto una nuova edizione che rispecchi fedelmente l’ordine cronologico di comGastone Manacorda

513

posizione dei Quaderni, per quanto è possibile, e [rispetti la collocazione che i singoli frammenti hanno in ciascun Quaderno; e non entro in particolari, perché so che la questione presenta anche varie difficoltà, (frammenti scritti due volte in Quaderni diversi, ecc.). Io mi limito a sottoporre all’attenzione del Convegno questa questione che rite[...]

[...]ine cronologico di comGastone Manacorda

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posizione dei Quaderni, per quanto è possibile, e [rispetti la collocazione che i singoli frammenti hanno in ciascun Quaderno; e non entro in particolari, perché so che la questione presenta anche varie difficoltà, (frammenti scritti due volte in Quaderni diversi, ecc.). Io mi limito a sottoporre all’attenzione del Convegno questa questione che ritengo pregiudiziale aUapprofondimento degli studi gramsciani.



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Petronio, Gramsci e la critica letteraria in Studi gramsciani

Brano: Giuseppe Petronio
GRAMSCI E LA CRITICA LETTERARIA
Gramsci non fu certo un critico letterario nel senso preciso, tecnico, della parola. Critico letterario, in senso tecnico, è, infatti, chi, dedicando all'indagine critica una parte rilevante della sua attività, esprime e lascia un corpo di giudizi puntuali su autori e su opere, giudizi che o costituiscono punti fermi di riferimento ai quali ci si richiami anche piú tardi, o sono, almeno, tipici a caratterizzare, per i posteri, il gusto letterario di un'epoca.
Di questi giudizi Gramsci ne ha lasciati assai pochi, e chi spigoli nei Quaderni del carcere e nelle Lettere a raccogliersi un'antologia che d[...]

[...]etterario nel senso preciso, tecnico, della parola. Critico letterario, in senso tecnico, è, infatti, chi, dedicando all'indagine critica una parte rilevante della sua attività, esprime e lascia un corpo di giudizi puntuali su autori e su opere, giudizi che o costituiscono punti fermi di riferimento ai quali ci si richiami anche piú tardi, o sono, almeno, tipici a caratterizzare, per i posteri, il gusto letterario di un'epoca.
Di questi giudizi Gramsci ne ha lasciati assai pochi, e chi spigoli nei Quaderni del carcere e nelle Lettere a raccogliersi un'antologia che documenti il pensiero di lui sugli autori maggiori della letteratura italiana, troverà molto poco. In parte, certo, per la forma incompiuta, di appunti, di note, di abbozzi nella quale le vicende della vita costrinsero Gramsci ad esprimere il proprio pensiero, un poco anche perché, veramente, l'attività letteraria e critica non fu mai, per lui, la piú rilevante, e fu, anzi, come una naturale e necessaria appendice alle sue meditazioni sulla storia civile italiana, un'applicazione alla letteratura di una sua visione nuova del mondo.
Certo, giudizi puntuali non ne mancano, e sono spesso veramente felici, tali da far rimpiangere che siano cosí pochi e Cosí frettolosi. Vorrei citare, per un solo esempio, quanto Gramsci scrisse di Pirandello, e nelle cronache teatrali che tra il '16 e il '20 compilò per l'Avanti! 1, e [...]

[...] anche perché, veramente, l'attività letteraria e critica non fu mai, per lui, la piú rilevante, e fu, anzi, come una naturale e necessaria appendice alle sue meditazioni sulla storia civile italiana, un'applicazione alla letteratura di una sua visione nuova del mondo.
Certo, giudizi puntuali non ne mancano, e sono spesso veramente felici, tali da far rimpiangere che siano cosí pochi e Cosí frettolosi. Vorrei citare, per un solo esempio, quanto Gramsci scrisse di Pirandello, e nelle cronache teatrali che tra il '16 e il '20 compilò per l'Avanti! 1, e nelle rapide note nelle quali, quindici o venti anni dopo,
1 L. V. N., p. 223 sgg
224 I documenti del convegno
sistemò, nel carcere, quelle prime impressioni 1. La sicurezza con la quale Gramsci, ancor giovane, ancora « tendenzialmente piuttosto crociano » 2, sceverò il grano dal loglio in un'opera cosí difficile come quella di Pirandello, piú difficile allora in quel suo continuo confuso concrescere, la sicurezza, dunque, del giudizio del Gramsci è veramente notevole, e potrebbe essergli invidiata da qualsiasi critico specialista. Eccolo, infatti, cogliere la superficialità virtuosistica di Pensaci Giacomino, a proposito del quale parlerà felicemente di « pittoresco caricaturale » 3; eccolo restar freddo dinanzi a Cosí è (se vi pare), Il gioco delle parti, La ragione degli altri, Come prima, meglio di prima, per avvertire invece la sostanza poetica di Liolà, su cui scriverà una magnifica pagina'. Mentre, piú tardi, ormai maturo, pur trascurando l'opera narrativa di Pirandello (ma tutti, allora, erano abbarbagliati dal luccichio del te[...]

[...]rà una magnifica pagina'. Mentre, piú tardi, ormai maturo, pur trascurando l'opera narrativa di Pirandello (ma tutti, allora, erano abbarbagliati dal luccichio del teatro!), pose con sicurezza alcuni problemi di metodo e chiari dialetticamente il significato storicoculturale di quell'opera, in pagine nelle quali l'istanza viva del crocianesimo
— la ricerca della poetica o no del teatro pirandelliano — si arricchisce di altre istanze tipicamente gramsciane, ed il giudizio estetico
poesia o non poesia — si inquadra in un sistema piú largo di giudizi storicoculturali: « il Pirandello si è fatta una concezione della vita e dell'uomo, ma essa è " individuale ", incapace di diffusione nazionalepopolare, che però ha avuto una grande importanza " critica ", di corrosione di un vecchio costume teatrale » 5; e ancora: « il suo teatro vive esteticamente in maggior parte se " rappresentato " teatralmente,
e se rappresentato teatralmente, avendo il Pirandello come capocomico
e regista. (Tutto ciò sia inteso con molto sale)» 6.
Giudizi letterari cos[...]

[...]he però ha avuto una grande importanza " critica ", di corrosione di un vecchio costume teatrale » 5; e ancora: « il suo teatro vive esteticamente in maggior parte se " rappresentato " teatralmente,
e se rappresentato teatralmente, avendo il Pirandello come capocomico
e regista. (Tutto ciò sia inteso con molto sale)» 6.
Giudizi letterari cosí articolati e distesi non sono però frequenti, e sarebbe difficile, chi si fermasse ad essi, collocare Gramsci tra i critici letterari o parlare di una sua importanza nella storia della nostra critica letteraria.
1 L. V. N., p. 46 sgg.
2 M. S., p. 199.
3 L. V. N., p. 281 sgg.
4 L. V. N., p. 283 sgg.
5 L. V. N., p. 46.
8 L. V. N., p. 53.
Giuseppe Petronio 225
Ma la critica letteraria non consiste soltanto in quel giudicare puntuale e concreto di cui si diceva; che è anzi, questo, come l'ultimo atto, conclusivo, di un lavoro lungo e complesso al quale attendono o collaborano piú specialisti, ognuno con un suo compito preciso. Il giudizio critico presuppone infatti una estetica, cioè una concezio[...]

[...]o contribuiscono, dunque, forse piú ancora che i precedenti critici tecnici, i filosofi di estetica, i teorici del gusto, gli storici; sicché, io direi, alla educazione del critico italiano che si sforzi oggi di ricondurre la propria attività di studioso dei fenomeni letterari ai principi e allo spirito del marxismo, piú che i critici in senso stretto della nostra generazione e di quella precedente, sono di aiuto Marx, Engels, Mehring, Labriola, Gramsci, Lukàcs, e, come esempio altissimo di una critica tutta storicamente e politicamente impegnata, Francesco De Sanctis. Il che non esclude — è ovviò, ma sarà prudente ribadirlo — la piú severa preparazione tecnica, e la conoscenza ragionata dei propri colleghi di oggi a qualsiasi scuola appartengano.
In questo senso, dunque, l'opera di Gramsci rientra di pieno diritto nella storia della nostra critica letteraria, come quella di un uomo che all'arte, e ad una concezione e definizione di essa, ha dedicato assai del sino tempo e del suo ingegno, e che, riflettendo sulla storia civile italiana e dandone una propria originale interpretazione, ne ha dedotto — o ha lasciato spunti perché altri deducesse — una interpretazione originale della nostra storia letteraria e del suo periodizzamento storico.
Il primo problema che si ponga allora all'attenzione dello studioso di Gramsci è il rappbrto tra la sua concezione dell'arte e quella domina[...]

[...]la di un uomo che all'arte, e ad una concezione e definizione di essa, ha dedicato assai del sino tempo e del suo ingegno, e che, riflettendo sulla storia civile italiana e dandone una propria originale interpretazione, ne ha dedotto — o ha lasciato spunti perché altri deducesse — una interpretazione originale della nostra storia letteraria e del suo periodizzamento storico.
Il primo problema che si ponga allora all'attenzione dello studioso di Gramsci è il rappbrto tra la sua concezione dell'arte e quella dominante al suo tempo: la concezione neoidealistica in genere, la concezione
226 I documenti del convegno
crociana in particolare. Un problema il cui scioglimento è assai interessante, non solo a definire nella sua originalità, nei suoi limiti e nel. suo significato storico, il pensiero estetico e critico di Gramsci, ma anche ad aiutarci a rispondere a quei marxisti o marxisteggianti di oggi, timidi ancora di fronte all'esperienza crociana, incapaci di liberarsene a fondo,. teorizzatori e banditori di non si sa quale sua universale e necessaria validità.
Ho già ricordato che Gramsci fu, e si disse, per alcun tempo, « tendenzialmente piuttosto crociano»; ho osservato ancora come le tracce della lezione crociana restino evidenti anche in pagine sue tra le piú mature; ma ha notato giustamente il Garin, richiamandosi proprio a Gramsci, che ciò che conta, nella definizione di un pensiero, non sono le affermazioni momentanee, i passi singoli che possono essere anche contraddittori tra loro, quanto lo spirito dell'opera, il suo senso ultimo, le direzioni costanti nelle quali essa è rivolta, pure tra scarti o deviazioni del momento. E — cito dal riassunto della relazione del Garin — « il crocianesimo di Gramsci — a parte una prima simpatia iniziale con siste nello avere combattuto sistematicamente Croce, considerandolo la voce piú importante (e piú " pericolosa ") della vita italiana » : un'affermazione che mi pare esattissima, ma che va dimostrata, almeno per quanto concerne la critica letteraria.
Merito precipuo di Gramsci fu lo sforzo, riuscito, di storicizzare il marxismo, non accettandolo e ripetendolo come un sistema pietrificato di dogmi, ma neppure dissolvendolo in un revisionismo eversore, sibbene svolgendolo alla luce dei progressi della cultura europea, arricchendolo e rinsanguandolo di quanto il pensiero moderno aveva prodotto, senza per. questo rinnegarne i principi e lo spirito. Cosí operando Gramsci veniva ad attuare quel ritorno al marxismo, di cui piú volte, nel secondo decennio del secolo, avevano parlato i socialisti italiani, consci dei pericoli del neoidealismo, convinti della impossibilità di combatterlo con le armi ormai spuntate del positivismo, proclamanti la necessità di rifarsi ai principi di Marx ed Engels, per adattárli alle nuove esigenze della vita sociale e culturale italiana, ma incapaci, poi, di svolgere essi quel compito di cui pure avvertivano l'urgenza 1.
1 Per qualche esempio dr. A. SCHIAVI, «Per la cultura socialista», in Critica sociale, XXII, 1912, p. 147 sgg[...]

[...]necessità di rifarsi ai principi di Marx ed Engels, per adattárli alle nuove esigenze della vita sociale e culturale italiana, ma incapaci, poi, di svolgere essi quel compito di cui pure avvertivano l'urgenza 1.
1 Per qualche esempio dr. A. SCHIAVI, «Per la cultura socialista», in Critica sociale, XXII, 1912, p. 147 sgg.; T. CoLucci, « A proposito di filosofia della storia e di marxismo », ivi, XXIII, 1913, p. 268 sgg.
Giuseppe Petronio 227
Gramsci svolse lui questo compito, e sono noti i termini nei quali lo pose: elaborazione, o rielaborazione, di una filosofia della prassi, che tenesse si conto delle conquiste particolari del neoidealismo, ma che queste conquiste assumesse organicamente in un sistema tutto diverso di principi; fondazione di un AntiCroce e di un AntiGentile, che ripetesse per i due filosofi dell'idealismo italiano quanto già i fondatori della filosofia della prassi avevano compiuto per Dühring. $ logico, allora, che lo studioso di Gramsci debba oggi ricercare, nei volumi delle opere di lui, quanto della iniziale posiz[...]

[...] pose: elaborazione, o rielaborazione, di una filosofia della prassi, che tenesse si conto delle conquiste particolari del neoidealismo, ma che queste conquiste assumesse organicamente in un sistema tutto diverso di principi; fondazione di un AntiCroce e di un AntiGentile, che ripetesse per i due filosofi dell'idealismo italiano quanto già i fondatori della filosofia della prassi avevano compiuto per Dühring. $ logico, allora, che lo studioso di Gramsci debba oggi ricercare, nei volumi delle opere di lui, quanto della iniziale posizione « tendenzialmente crociana » è rimasto di non bruciato, ma debba soprattutto indagare quanto vi è invece di nuovo, di coscientemente diverso; è logico, soprattutto, che debba, indipendentemente dalle singole consonanze puntuali, sforzarsi di cogliere le linee direttive, originali, del pensiero di Gramsci.
Della lezione crociana era rimasta viva in Gramsci l'esigenza di non perdere mai di vista la natura particolare, specifica, dell'opera d'arte, quella natura formale nella quale consiste lo specifico artistico. Nelle note che già abbiamo citate su Pirandello egli insiste continuamente: « Ma in ogni modo rimane da studiare: 1) se esso è diventato arte in qualche momento, ecc. ecc. » 1; « Quello che importa è però questo: il senso criticostorico del Pirandello, se lo ha portato nel campo culturale a superare e dissolvere il vecchio teatro tradizionale, convenzionale, di mentalità cattolica o positivistica, imputridito nella muffa della vita regi[...]

[...]senso criticostorico del Pirandello, se lo ha portato nel campo culturale a superare e dissolvere il vecchio teatro tradizionale, convenzionale, di mentalità cattolica o positivistica, imputridito nella muffa della vita regionale o di ambienti borghesi piatti e abiettamente banali, ha però dato luogo a creazioni artistiche compiute? » 2. E nelle note raccolte nelle prime pagine di Letteratura e vita nazionale, che sono lo sforzo piú organico del Gramsci per una teoria dell'arte e della critica, questa preoccupazione è costante: « Due scrittori possono rappresentare (esprimere) lo stesso momento storicosociale, ma uno può essere artista, e l'altro un semplice untorello » 3; « Ciò che si esclude è che un'opera sia bella, per il suo contenuto morale e politico, e non già per la sua forma in cui il contenuto astratto si è fuso e immedesimato » 4. Dove vi è certo la lezione crociana, e vi è il rifiuto e come il timore di certo schematico
i L. V. N., p. 50.
2 L. V. N., p. 49.
3 L. V. N., p. 6.
4 L. V. N., p. 11.
228 i documenti del convegno
[...]

[...]assaggio meccanico dal giudizio storico al giudizio estetico'.
Però le stesse frasi che ho citate, e altre consimili che si potrebbero spigolare, lette nel loro contesto, che è il solo modo di leggerle, non sono affatto crociane, e sono, anzi, della concezione crociana dell'arte e della critica un superamento radicale. Tanto che, proprio in quelle note è il passo tante volte citato in questi anni, e certo di fondamentale importanza ad intendere Gramsci: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci) » 2; un passo riassuntivo e incisivo, in cui la coscienza del proprio distacco da Croce si esprime in termini netti, anche se, almeno nelle righe riportate qua su, ancora negativi piuttosto che positivi.
Ma anche i termini positivi, dell'affermazione dopo la negazione, ci sono, e sono chiari, sicché l'antitesi CroceGramsci risiede nello spirito piú profondo delle due opere, in quella concezione del mondo che è dietro ogni siste[...]

[...]eraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci) » 2; un passo riassuntivo e incisivo, in cui la coscienza del proprio distacco da Croce si esprime in termini netti, anche se, almeno nelle righe riportate qua su, ancora negativi piuttosto che positivi.
Ma anche i termini positivi, dell'affermazione dopo la negazione, ci sono, e sono chiari, sicché l'antitesi CroceGramsci risiede nello spirito piú profondo delle due opere, in quella concezione del mondo che è dietro ogni sistema di pensiero e gli dà la sua impronta precisa.
La prima netta distinzione è nel fatto che il Gramsci, ritornando, al di là del neoidealismo italiano, al pensiero marxista, ritornava, in ultima analisi, alla dialettica hegeliana degli opposti, sia pure rimessa sulla testa, negando la crociana dialettica dei distinti e riemergeva cosí l'arte, e quindi la critica, in quella storia da cui il Croce le aveva cautelosamente allontanate. L'arte, per Gramsci, è forma, ma una forma condizionata dal suo contenuto, i1 quale contenuto è sempre storicamente determinato. Perciò Gramsci, in antitesi netta con Croce, mentre sottolinea sí la necessità di non confondere il giudizio storico (che è un giudizio di contenuti) con il giudizio estetico (che è un giudizio di forme), già arricchisce questa distinzione di spunti che sono tipicamente marxistici: un momento dato non è mai omogeneo; ogni momento storico pub
1 Cfr. ad esempio la lettera di Engels a Bloch del 21 settembre 1890 e quella a Paolo Ernst del 5 giugno 1890 (riportate in K. MARX F. ENGELS, Sur la litérature et l'art, a cura di J. Freville, Parigi, 1954, p. 160 sgg.; 321 sgg.).
2 L. V. N., p. 7.
Giuseppe Petronio[...]

[...] grado superstrut tuurale » 3.
Ma non basta. Ristabilire un nesso necessario ed organico tra la. forma dell'opera d'arte ed il suo contenuto, significava riaffermare la. piena storicità dell'opera d'arte, il nesso, quindi, tra arte e storia. E. significava, ancora, ritrovare e riaffermare la storicità della critica anch'essa. tutta necessariamente impegnata, riflesso anche essa di una ideologia, di un impegno totale di fronte alla vita.
Perciò Gramsci, contro le tesi dominanti al suo tempo, ricollega le battaglie culturali alla poesia, e sostiene che ogni lotta per una nuova. società, anche se non crea immediatamente nuova arte e nuovi artisti, contribuisce mediatamente a crearli, suscitando nuovi contenuti e nuove concezioni di vita. « Il movimento della " Voce " non poteva creare artisti, ut sic, è evidente; ma lottando per una nuova cultura, per un. nuovo modo di vivere, indirettamente promuoveva anche la formazione di temperamenti artistici originali, poiché nella vita c'è anche l'arte » 4. E subito dopo, con mossa schiettamente alla L[...]

[...] le ideologie non creano ideologie, le superstrutture non generano superstrutture altro che come eredità di inerzia e di passività: esse sono generate non per " partenogenesi ", ma per l'intervento dell'elemento " maschile ", la storia, l'attività rivoluzionaria che crea iI " nuovo uomo ", cioè nuovi rapporti sociali » 2: dopo di che cianci, chi se la sente, di sopravvivenze crociane!
Dopo di che può essere chiaro invece che cosa significhi per Gramsci contrapporre alla critica letteraria di tipo crociano quella di tipo desanctisiano: la critica letteraria — egli afferma continuando il passo già citato — « deve fondere la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » 3. La critica letteraria, diciamo noi, dev'essere tutta politica, critica dei contenuti e delle forme, critica di battaglia, nella quale il critico si impegni tutto, non solo come studioso e [...]

[...]manesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » 3. La critica letteraria, diciamo noi, dev'essere tutta politica, critica dei contenuti e delle forme, critica di battaglia, nella quale il critico si impegni tutto, non solo come studioso e giudice di poesia, ma come uomo, ed uomo di sangue e di crucci.
Certo, Gramsci sa bene che tale è sempre la critica, anche quando affermi o creda di essere oggettiva, al di fuori o al di sopra della mischia. E comincia infatti proprio da lui quello « smascheramento ideologico » del Croce che si è da poco ripreso e che occorre condurre fino in fondo 4; Gramsci, cioè, sa bene che il Croce è il critico di una « fase difensiva » non piú « aggressiva e fervida », o, diremmo noi, che con lui, il piú intelligente e operoso dei conservatori italiani, la critica letteraria si afferma autonoma, non impegnata, formale, perché solo cosí, in una falsa oggettività, isolando il critico, come l'artista, in una torre d'avorio, essa può servire la causa della conservazione culturale e politica: negare la
L. V. N., p. 9.
2 L. V. N., p. 11.
3 L. V. N., p. 7.
4 Cfr. soprattutto E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, 1955; M. ABBATB, La filosofia di B. Cro[...]

[...]che di filosofia italiana, Bari, 1955; M. ABBATB, La filosofia di B. Croce e la crisi della società italiana, Torino, 1955, per cui mi permetto rinviare ad una mia recensione in Mondo operaio, IX, 1956, n. 3.
Giuseppe Petronio 231
propria natura ideologica può essere, in un determinato momento storico, la piú comoda e utile delle ideologie!
Ma qui proprio è la differenza tra il tipo di critica propugnato dal Croce e quello del De Sanctis e di Gramsci; una differenza che è, originariamente, ideologica, ma si fa presto tecnica. La critica d. Croce, voglio dire, serve un'ideologia conservatrice; quelle di De Sanctis e di Gramsci servono ideologie progressive; ma, intanto, per servire ognuna la propria ideologia, l'una diviene critica della pura forma, della distinzione netta tra poesia e nonpoesia, tra struttura e poesia, e via dicendo, le altre si atteggiano come critiche dei contenuti e delle forme tutt'insieme, e tendono a fondere struttura e poesia in un tutto organico. Ecco, dunque, perché dicevamo assurdo affermare che per Gramsci si possano conciliare crocianesimo (o neoidealismo) e marxismo; il problema di Gramsci è
invece quello di giungere ad una fase ulteriore e nuova storicamente
aggiornata — del marxismo, che riassotira in sé, in una sintesi superiore, il neoidealismo. In una pagina di Estremo interesse egli si chiese una volta quale dovesse essere l'atteggiamento della filosofia della prassi di fronte a Croce e a Gentile, e concluse: « in realtà si riproduce ancora la posizione reciprocamente unilaterale e criticata nella prima tesi su Feuerbach, tra materialismo e idealismo e come allora, sebbene in un momento superiore, è necessaria la sintesi in un momento di superiore sviluppo della filosof[...]

[...]si chiese una volta quale dovesse essere l'atteggiamento della filosofia della prassi di fronte a Croce e a Gentile, e concluse: « in realtà si riproduce ancora la posizione reciprocamente unilaterale e criticata nella prima tesi su Feuerbach, tra materialismo e idealismo e come allora, sebbene in un momento superiore, è necessaria la sintesi in un momento di superiore sviluppo della filosofia della prassi » 1. E la critica letteraria alla quale Gramsci aspira, quella di cui tratteggia le linee ideali e che qualche volta consegue, è una critica in cui, nello spirito e nella metodologia di un marxismo evolutosi coi tempi, siano sussunte e riassorbite le parti vitali della critica crociana; vitali, perd, veramente, solo se cosí riassorbite e sussunte.
Deriva da tutto quanto si è detto almeno un'altra differenza di fondo. L'estetica crociana conduceva logicamente a negare la possibilità e la legittimità di una storia letteraria; per Gramsci non vi è altra critica che non sia un frammento o un capitolo di una organica storia letteraria.
Chi, i[...]

[...]inee ideali e che qualche volta consegue, è una critica in cui, nello spirito e nella metodologia di un marxismo evolutosi coi tempi, siano sussunte e riassorbite le parti vitali della critica crociana; vitali, perd, veramente, solo se cosí riassorbite e sussunte.
Deriva da tutto quanto si è detto almeno un'altra differenza di fondo. L'estetica crociana conduceva logicamente a negare la possibilità e la legittimità di una storia letteraria; per Gramsci non vi è altra critica che non sia un frammento o un capitolo di una organica storia letteraria.
Chi, infatti, si raccolga pazientemente i passi delle opere gramsciane
M. S., p, 91.
232 I documenti del convegno
di carattere letterario, noterà che, anche se si tratti (e spesso per le ragioni pratiche e contingenti che tutti conoscono) di notazioni o osservazioni su un singolo scrittore o su una singola opera, il carattere dell'osservazione è sempre storico, ed il giudizio non è mai di gusto, ma scaturisce dal collocare lo scrittore o l'opera in un sistema di rapporti, e tende sempre a delineare, sia pure per rapidi cenni, il «,panorama ideologico» 1 che è intorno ad esso. Sicché, in ultima analisi, potremmo dire che tutti i giudizi critici che abbiamo [...]

[...] che tutti conoscono) di notazioni o osservazioni su un singolo scrittore o su una singola opera, il carattere dell'osservazione è sempre storico, ed il giudizio non è mai di gusto, ma scaturisce dal collocare lo scrittore o l'opera in un sistema di rapporti, e tende sempre a delineare, sia pure per rapidi cenni, il «,panorama ideologico» 1 che è intorno ad esso. Sicché, in ultima analisi, potremmo dire che tutti i giudizi critici che abbiamo di Gramsci non sono che frammenti di una storia letteraria, di quella storia letteraria che egli non scrisse, ma di cui ci ha lasciato il disegno e lo scheletro.
Che è, poi, il punto in cui la critica letteraria di Gramsci meglio coincide con quella di De Sanctis, ma è pure il punto in cui ne diverge con maggiore energia 2.
Tutti e due, infatti, mirano a risolvere il giudizio critico in un giudizio storico, inquadrando opere e autori in una storia della letteratura che sia una storia della civiltà italiana sub specie litterarum. E tutti e due perciò disegnano Gramsci disegna solo, De Sanctis vi aggiunge i colori — una storia civile italiana dalla cui trama si spicchi e rilevi, pur tutt'una con essa, la storia letteraria, simile al volto umano che Dante scorge, dipinto dello stesso colore e pur tutto in risalto, sull'una delle circonferenze divine.
Ma la storia civile italiana che Gramsci tratteggia è poi tutta diversa da quella del De Sanctis, come dev'essere necessariamente diversa la visione che della storia italiana ha il marxista Gramsci da quella che aveva avuta, alla fine del Risorgimento italiano, il democratico De Sanctis.
La visione storica del De Sanctis era — sono cose ormai note — democratica e progressiva, ma era, tuttavia, quella di un borghese democratico educatosi al Romanticismo e tempratosi nelle lotte risorgimentali; di un uomo per cui la letteratura italiana aveva avuto il gran vizio di non essere popolare e realista, ma per cui pure popolare aveva ancora, su per giú, l'accezione che gli aveva data il Berchet nella sua Lettera semiseria. Mentre per Gramsci il male che aveva minato nei secoli la
1 M. S., p. 1[...]

[...]s.
La visione storica del De Sanctis era — sono cose ormai note — democratica e progressiva, ma era, tuttavia, quella di un borghese democratico educatosi al Romanticismo e tempratosi nelle lotte risorgimentali; di un uomo per cui la letteratura italiana aveva avuto il gran vizio di non essere popolare e realista, ma per cui pure popolare aveva ancora, su per giú, l'accezione che gli aveva data il Berchet nella sua Lettera semiseria. Mentre per Gramsci il male che aveva minato nei secoli la
1 M. S., p. 17.
2 Per quanto segue mi permetto rinviare ad un mio saggio « Di che fanno la criticai critici? », in Mondo operaio, IX, 1956, fasc. 89.
Giuseppe Petronio 233
storia italiana era stato il suo carattere classista, il non essere popolare
e nazionale, dove però popolare aveva il significato preciso, di classe, che poteva dargli on socialista o comunista educatosi su Marx ed Engels
e tempratosi nelle lotte operaie.
La differenza è radicale, e non solo da un punto di vista ideologico; ché anche qui è possibile osservare come una differenza[...]

[...]ratosi nelle lotte operaie.
La differenza è radicale, e non solo da un punto di vista ideologico; ché anche qui è possibile osservare come una differenza ideologica divenga immediatamente differenza formale, tecnica, sicché la diversa visione storiografica comporta uno spostamento di accenti in ogni giudizio, e apra prospettive nuove, e determini una problematica fino allora nemmeno intravista.
Indicare nei suoi particolari questa problematica gramsciana non è compito di chi studi Gramsci critico letterario; basterà accennare al punto di partenza, al lievito fermentante in ogni pagina. Per Gramsci la storia della letteratura si fa tutt'uno con la « storia della formazione
e dello sviluppo dei gruppi intellettuali italiani », in uno sforzo di ristabilire, o stabilire, dopo tanti secoli, l'unità tra intellettuali e popolo. Si tratta perciò di riandare la storia passata italiana a cogliere le vicende
e le ragioni del distacco tradizionale tra gli uni e gli altri, per scoprire in esse le cause di certi malanni, che furono si storici o storicocivili (dominazioni straniere, mancata unità nazionale, arretratezza economica,
e via dicendo), ma furono anche, per la stessa ragione, nello stess[...]

[...]a. Ora invece queste classi subalterne invadono se non il proscenio lo sfondo; non parlano qualche volta, ma la loro muta presenza colorisce e qualifica il dramma che si svolge piú avanti, cosí come il Convitato di pietra per essere muto non resta però estraneo al dramma, che egli condiziona con la sola sua ombra.
Ecco, allora, che nelle pagine dei Quaderni del carcere è una miniera inesausta di spunti e di temi, altamente suggestivi i piú, che Gramsci ha potuto accennare e porre, non svolgere, ma che affascinano oggi il
234 1 documenti del convegno
nostro intelletto, e la cui soluzione potrebbe arricchire la nostra visione della storia letteraria italiana. Si pensi, per un esempio solo, all'attenzione rivolta a certe forme popolari d_ letteratura, quali il romanzo d'appendice 1, la bellettristica 2, e si rifletta come, ancora una volta, la delineazione di un « panorama ideologico n completo, la delineazione di un quadro storico piú ampio e meno convenzionale, l'entrata in scena di nuovi umani interessi, permettano una visione e comprensi[...]

[...]lla poesia a pura forma, e cioè al suo svuotamento culturale e sociale, si è avuto, per le stesse ragioni, ne fossero o no consci i singoli critici, uno svuotamento dello schema storiografico costruito, sul lavoro dei secoli precedenti, dai romantici. Ed è ovvio: ridotta l'opera d'arte a «poesia » senza un substrato politicosociale, tutte le opere d'arte diventano piú o meno simili tra loro, senza nemmeno piú differenziazioni profonde di stile.
Gramsci, invece, riintroduce nella critica la considerazione dell'« elemento maschile », cioè della storia, ed ha della storia, marxisticamente, una concezione tutta dialettica e drammatica; ed ecco, allora, che i singoli periodi riacquistano vita e colore, si rifanno individualità concrete, ognuno con caratteristiche sue, anche se in esso sopravvivano residui cul_urali del passato anche se si affaccino le prime anticipazioni del futuro: basti, a chiarire questo senso dialettico e drammatico che il Gramsci ha della poesia, la sua interpretazione di Dante: « il vecchio "uomo ", per il cambiamento, div[...]

[...]azione dell'« elemento maschile », cioè della storia, ed ha della storia, marxisticamente, una concezione tutta dialettica e drammatica; ed ecco, allora, che i singoli periodi riacquistano vita e colore, si rifanno individualità concrete, ognuno con caratteristiche sue, anche se in esso sopravvivano residui cul_urali del passato anche se si affaccino le prime anticipazioni del futuro: basti, a chiarire questo senso dialettico e drammatico che il Gramsci ha della poesia, la sua interpretazione di Dante: « il vecchio "uomo ", per il cambiamento, diventa anch'esso "nuovo ", poiché entra in nuovi rapporti, essendo stati quelli primitivi capovolti. Donde il fatto che, prima che il " nuovo uomo " creato positivamente abbia dato poesia, si possa assistere al " canto del cigno" del vecchio uomo rinnovato negativamente; e spesso questo canto del cigno è di mirabile splendore; i1 nuovo vi si unisce al vecchio, le passioni vi si arroventano in modo incomparabile ecc. (Non è forse la Divina Commedia un po' il canto del cigno medievale, che pure anticipa[...]

[...] Donde il fatto che, prima che il " nuovo uomo " creato positivamente abbia dato poesia, si possa assistere al " canto del cigno" del vecchio uomo rinnovato negativamente; e spesso questo canto del cigno è di mirabile splendore; i1 nuovo vi si unisce al vecchio, le passioni vi si arroventano in modo incomparabile ecc. (Non è forse la Divina Commedia un po' il canto del cigno medievale, che pure anticipa i nuovi tempi e la nuova storia?) » '.
Il Gramsci ritorna cosí allo schema romanticodesanctisiano; ma vi ritorna, s'intende, arricchendolo di quel senso, che abbiamo già fatto
1 L. V. N., p. 11.
236 I documenti del convegno
notare, della storia d'Italia quale contrasto e conflitto tra « intellettuali » e « popolo ». I punti sui quali egli ha maggiormente fissato la sua attenzione sono stati perciò l'età comunale, il periodo dell'Umanesimo, del Rinascimento e della Riforma, il Risorgimento; e, al solito, le sue sono non tanto trattazioni argomentate e distese, quanto notazioni fuggevoli e pure organiche, spunti che vanno sistemati e svilup[...]

[...]ò nella Controriforma, la nuova ideologia fu soffocata anch'essa e gli umanisti (salvo poche eccezioni) dinanzi ai roghi abiurarono » 1: dove le intuizioni della storiografia romantica e desanctisiana sul carattere formale della letteratura rinascimentale trovano una conferma e una spiegazione, e mille fatti rimasti « mitici » diventano « storici », si fanno chiari nel loro significato storicoculturale: valga per tutti il casoMachiavelli, di cui Gramsci riesce a fissare, forse per primo, il profondo rapporto con la situazione storica italiana ed europea 2.
Lo stesso sguardo educato alla comprensione dialettica della storia ed alla considerazione della parte che in essa hanno avuta le forze subalterne, il Gramsci appunta sul Risorgimento, ed anche qui la visione tradizionale, monarchica e moderata, dell'Ottocento svela la sua faziosa fallacia, ed anche qui Gramsci semina spunti e germi che attendono di essere svolti e sistemati. Se perciò qualcuno ha potuto giustamente parlare della necessità di uno studio del De Sanctis « secondo Gramsci » piuttosto che «secondo Croce », potremmo dire che anche lo schema della letteratura italiana va oggi approfondito, chi voglia rifarlo secondo interessi democratici e moderni, « secondo Gramsci », e non secondo la concezione moderata e liberale di cui il Croce ha dato gli esempi piú alti 3.
1 R., p. 27.
2 Per Umanesimo e Rinascimento cfr. ancora I., p. 36 sgg.; M. S., p. 85 sgg.; per il Machiavelli cfr. soprattutto Mach., p. 3 sgg.; 115 sgg.; 211 sgg.; R., p. 13; L. C., p. 47. Per un esempio recente della fertilità di alcune intuizioni gramsciane sul Rinascimento, oltre ai saggi ben noti di E. Garin, cfr. A. TENENTI, Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento, Torino, 1957.
3 Cfr. V. GERRATANA, « De SanctisCroce o De SanctisGramsci », in Società, VII, 1952, n. 3, p. 497 sgg. Sul tema di questa comunicazione si possono inoltre consultare utilmente il saggio di C. SALINARI, « Il ritorno di De Sanctis », in Rinascita, IX, 1912, n. 5, con la replica di B. CROCE, « De SanctisGramsci », in Lo spettatore italiano, V, 1952 ,n. 7; e le recensioni di N. SAPEGNO a Letteratura e vita nazionale (in Società, VII, 1951, n. 2) e di E. JACOMELLI, « Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno di A. G. », (ivi, VI, 1950, n. 1).
238 I documenti del convegno
Ma vi è ancora di piú. Rinnovare gli schemi estetici indicando un nuovo modo di leggere, rinnovare gli schemi storiografici indicando un punto nuovo di vista, significa aiutare non solo ad una diversa e nuova comprensione dei « contenuti » delle singole specifiche opere d'arte, sibbene proprio ad una valutazione nuo[...]

[...]e e del posto che gli spetta nella storia, porterà per logica forza di cose ad una valutazione nuova e del suo valore poetico e del carattere della sua poesia, e spiegherà meglio, o in modo diverso, i caratteri formali dell'opera sua. II che significa poi rivalutare la critica letteraria sottraendola all'arbitrio deI gusto individuale per farne, invece, un'espressione delle grandi correnti culturali e ideali.
Cosí gli appunti o spunti sparsi di Gramsci sono assai suggestivi non solo per lo storico letterario, ma anche per il critico autore di monografie (di monografie, però, idealmente sciolte, sempre, in una storia coerente ed organica!), inteso a studiare questo o quello scrittore. Valga qualche esempio a chiarire.
Manzoni interessò Gramsci soprattutto per la parte ch'egli ebbe nella annosa « questione della lingua » e per quanto poteva giovargli a delineare quella storia dei gruppi intellettuali italiani che era tra le sue ambizioni maggiori. Manzoni, cioè, lo interessò soprattutto per la sua posizione ideologica di « moderato » e di cattolico; e per questo egli studiò seriamente l'atteggiamento psicologico dello scrittore nei riguardi dei suoi personaggi « popolani » ed « umili » : « questo atteggiamento è nettamente di casta pur nella sua forma religiosa cattolica; i popolani, per il Manzoni, non hanno " vita interiore ", non[...]

[...] minute osservazioni puntuali. Piú tardi la critica letteraria italiana, seguendo il processo involutivo della nostra cultura e della nostra società, si sforzò di eliminare il peso del reale nel romanzo per accentuare quello dell'ideale:
« nell'arte del Manzoni — scrisse una volta il Momigliano —l'ideale sovrasta la realtà, la domina e le dà valore, cioè la chiave della sua poesia è in cielo e non in terra » 2.
Accettare invece la posizione di Gramsci significa vedere in modo nuovo il rapporto tra ideale e reale, notare le « notevoli tracce di brescianesimo » 3, di spirito aristocratico, di tradizione controriformistica che sono nel libro, e rendersi conto, quindi, della psicologia dei personaggi, del taglio di certe scene (per un esempio, quelle di folla: i tumulti a Milano), dello stile e della lingua, e intendere, quindi, i limiti della Popolarità del romanzo. Non è un caso, perciò, che dalle pagine di Gramsci abbiano preso le mosse le pagine piú nuove e piú notevoli che si sono avute in questi ultimi anni sul Manzoni: da quelle di Nata[...]

[...]ere in modo nuovo il rapporto tra ideale e reale, notare le « notevoli tracce di brescianesimo » 3, di spirito aristocratico, di tradizione controriformistica che sono nel libro, e rendersi conto, quindi, della psicologia dei personaggi, del taglio di certe scene (per un esempio, quelle di folla: i tumulti a Milano), dello stile e della lingua, e intendere, quindi, i limiti della Popolarità del romanzo. Non è un caso, perciò, che dalle pagine di Gramsci abbiano preso le mosse le pagine piú nuove e piú notevoli che si sono avute in questi ultimi anni sul Manzoni: da quelle di Natalino Sape
L. V. N., p. 73.
2 In L'esame, I, 199, pp. 656.
3 L. V. N., p. 77.



da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA
In un testo del 1933 Gramsci fissò i canoni per lo studio di una « concezione del mondo » che il pensatore non abbia mai « esposto sistematicamente », e quindi non sia consegnata, come tale, a un « singolo scritto o serie di scritti », ma debba essere rintracciata « nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti ». In un'indagine del genere « occorre... preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso». Si tratta [...]

[...]lo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso». Si tratta di «identificare gli elementi stabili e ' permanenti ',.., assunti come pensiero proprio », distinguendoli dal materiale che é servito di stimolo, e fissando « dall'intrinseco » gli eventuali « periodi » e i possibili « scarti » (1).
E' osservazione comune di ogni studioso come esperienza personale — prosegue Gramsci — che ogni nuova teoria studiata con ' eroico furore ' (cioè... non per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per un certo tempo, specialmente se si è giovani, attira di per se stessa, si impadronisce di tutta la personalità, e viene limitata dalla teoria successivamente studiata,
(*) Per concessione dell'Istituto Gramsci e degli Editori Riuniti pubblichiamo due delle quattro relazioni tenute al Convegno di Studi Gramsciani (svoltosi in Roma nel gennaio 1958) i cui atti sono in corso di pubblicazione.
** Le abbreviazioni per i riferimenti ai volumi delle opere sono quelle adottate per l'indice generale posto in fondo al vol. VII. Il vol. IX è indicato con l'abbrevazione O. N. Si è inoltre usata, soprattutto per le pp. 20233, l'Antologia popolare, Roma 1957, a cura di C. Salinaci e M. Spinella; per altri scritti non raccolti in volume ci si é serviti delle riproduzioni in a Rinascita », vol. 14, 1957, pp. 14658. De La città futura si é usata una riproduzione fotografica del giugno 1952; per Id Grido del Popol[...]

[...]soprattutto per le pp. 20233, l'Antologia popolare, Roma 1957, a cura di C. Salinaci e M. Spinella; per altri scritti non raccolti in volume ci si é serviti delle riproduzioni in a Rinascita », vol. 14, 1957, pp. 14658. De La città futura si é usata una riproduzione fotografica del giugno 1952; per Id Grido del Popolo l'esemplare della Biblioteca Nazionale di Firenze. Di proposito non si è fatto alcun riferimento esplicito alla vasta letteratura gramsciana, spesso molto notevole.
(1) M. S. 7688.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 155
finché non si stabilisce un equilibrio critico, e si studia con profondità, senza però arrendersi subito al fascino del sistema o dell'autore studiato. Questa serie di osservazioni valgono tanto più quanto più il pensatore dato é piuttosto irruento, di carattere polemico e manca di spirito di sistema, quando si tratta di una personalità nella quale l'attività teorica e quella pratica sono indissolubilmente intrecciate, di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente l'autocritica nel modo più spietato e conseguente ».
Gramsc[...]

[...] del sistema o dell'autore studiato. Questa serie di osservazioni valgono tanto più quanto più il pensatore dato é piuttosto irruento, di carattere polemico e manca di spirito di sistema, quando si tratta di una personalità nella quale l'attività teorica e quella pratica sono indissolubilmente intrecciate, di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente l'autocritica nel modo più spietato e conseguente ».
Gramsci — é noto — si riferiva a un eventuale studio su Marx: eppure ai nostri orecchi suonano indicativi proprio per uno studio sulla sua opera i suoi avvertimenti: distinguere fra scritti compiuti e pubblicati, e scritti postumi; fra lavori conclusi (« un'opera non può essere mai identificata col materiale bruto raccolto per la sua compilazione: la scelta definitiva, la disposi zione degli elementi componenti, il peso maggiore o minore dato a questo o a quello degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sóno appunto ciò che costituisce l'opera effettiva »). Delle lettere converrà usare con ca[...]

[...]on cautela: «un'affermazione recisa fatta in una lettera non sarebbe forse ripetuta in un libro. La vivacità stilistica delle lettere, se spesso é artisticamente più efficace dello stile più misurato e ponderato di un libro, talvolta porta a deficienze di argomentazione; nelle lettere come nei di scorsi si verificano più spesso errori logici; la rapidità maggiore del pensiero é spesso a scapito della sua solidità » (2).
E' difficile pensare che Gramsci, nel '33, quando stendeva queste pagine così precise, non avesse presente il proprio lavoro consegnato ad articoli, pubblicati si, ma che egli stesso considerava ' provvisori '; a lettere; a quaderni d'appunti. Pensava alla fine; é del 24 luglio di quell'anno la lettera in cui fa cenno alla cognata dei lucidi discorsi pronunciati nel delirio: « ero persuaso di morire, e cercavo di dimostrare l'inutilità della religione e la sua inanità, ed ero preoccupato che, approfittando della mia
(2) Cfr. M. S. 137.
156 EUGENIO GARIN
debolezza, il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che [...]

[...]N
debolezza, il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che mi ripugnavano e da cui non sapevo come difendermi. Pare che per un'intera notte ho parlato dell'immortalità dell'anima in un senso realistico e storicistico, cioè come una necessaria sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessaria, e come un incorporarsi di esse nel mondo di fuori » (3).
E' un testo umanamente significativo: ma che documenta anche la consapevolezza di Gramsci; ed è un testo che, fra l'altro, richiama una lettera di due anni prima, del 17 agosto 1931, molto importante ai fini della determinazione « dall'intrinseco » dei momenti dello sviluppo del suo pensiero. Ricordando i tempi in cui era allievo di Umberto Cosmo dichiara che, ' sebbene allora non avesse precisato la sua posizione ', aveva tuttavia il senso di trovarsi su un terreno culturale comune a molti: « partecipavamo in tutto o in parte al movimento morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere senza religio[...]

[...]e che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani; mi pare una conquista civile che non deve essere perduta » (4).
Senza dubbio era presente qui una polemica precisa contro una delle `crisi' periodiche a cui vanno soggetti gli intellettuali italiani; dopo la Conciliazione taluni « convertiti dell'idealismo crociano e gentiliano » avevano trovato che una cattedra val bene una messa. Eppure non era solo una polemica contingente che operava in Gramsci: egli voleva definire una volta di più un tratto permanente del proprio rapporto con Croce e col movimento culturale che a lui si richiamava. In una lettera del 6 giugno del '32 non esiterà a dichiarare, in forma nettissima, non
(3) L. 229.
(4) L. 132; Cfr. M. S. 199 (a io ero [nel febbraio del '17] tendenzialmente piuttosto crociano »); L. V. N. 247 (dall'« Avanti! », 21 agosto 1916): a accanto all'attività conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività estetica a.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 157
solo una sotti[...]

[...]vimento culturale che a lui si richiamava. In una lettera del 6 giugno del '32 non esiterà a dichiarare, in forma nettissima, non
(3) L. 229.
(4) L. 132; Cfr. M. S. 199 (a io ero [nel febbraio del '17] tendenzialmente piuttosto crociano »); L. V. N. 247 (dall'« Avanti! », 21 agosto 1916): a accanto all'attività conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività estetica a.
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solo una sottile convergenza fra Croce e Gentile, ma la funzione di Croce nell'Italia fascista: « la più potente macchina » per « conformare » le forze nuove italiane agli interessi del gruppo dominante, intimamente grato, « nonostante qualche superficiale apparenza », al non a caso sempre tollerato filosofo napoletano (5). E' dei « quaderni » la battuta sulla più stretta parentela di Croce con i senatori Agnelli e Benni che con Platone e Aristotele; né a Gramsci era sfuggito il parallelismo fra certi infelici discorsi di Gentile e la bonaria difesa crociana (maggi[...]

[...]ottile convergenza fra Croce e Gentile, ma la funzione di Croce nell'Italia fascista: « la più potente macchina » per « conformare » le forze nuove italiane agli interessi del gruppo dominante, intimamente grato, « nonostante qualche superficiale apparenza », al non a caso sempre tollerato filosofo napoletano (5). E' dei « quaderni » la battuta sulla più stretta parentela di Croce con i senatori Agnelli e Benni che con Platone e Aristotele; né a Gramsci era sfuggito il parallelismo fra certi infelici discorsi di Gentile e la bonaria difesa crociana (maggio del '24) delle «piogge di pugni, in certi casi utilmente e opportunamente somministrate », o di una funzione positiva del fascismo (luglio del '24), per la restaurazione di un più severo regime liberale nel quadro di uno stato forte (6). Eppure, accanto all'accusa così cruda di una concordia nascosta fra Croce e il fascismo — « non abbracciamento da palcoscenico, ma sempre... concordia e della più intima e fattiva » — ecco come Gramsci parla della crociana religione della libertà: « Religi[...]

[...] crociana (maggio del '24) delle «piogge di pugni, in certi casi utilmente e opportunamente somministrate », o di una funzione positiva del fascismo (luglio del '24), per la restaurazione di un più severo regime liberale nel quadro di uno stato forte (6). Eppure, accanto all'accusa così cruda di una concordia nascosta fra Croce e il fascismo — « non abbracciamento da palcoscenico, ma sempre... concordia e della più intima e fattiva » — ecco come Gramsci parla della crociana religione della libertà: « Religione della libeertà significa... fede nella civiltà moderna, che non ha bisogno di trascendenze e rivelazioni ma contiene in se stessa la propria razionalità e la propria origine ».
(5) L. 19293. Sulle «crisi» degl'intellettuali (oltre le osservazioni sul Giuliano, pubblicate in « Energie Nuove », febbraio 1919) è da rileggere, ne La città futura, Margini, 3: « gli uomini cercano sempre fuori di sé la ragione dei propri fallimenti spirituali... » (con quel che segue).
(6) « La Critica », XXII, 1924 (20 maggio), p. 191: « non è detto... ch[...]

[...]la nazione... ». Nel ristampare queste pagine nel '43 (il volume fu finito il 20 marzo del '43) il Croce annotava: « L'autore... non intende punto sottrarsi alla taccia che... gli può essere data di facile ottimismo e di non sufficiente preveggenza politica » (cfr. N. Boasto, Politica e cultura, Torino 1955, p. 217 sgg.; M. ABBATE, La filosofia dì Benedetto Croce e la crisi della società italiana, Torino 1955, p. 221 e sgg.).
158 EUGENIO GARIN
Gramsci, insomma, anche quando giunse a una posizione apertamente critica, e ormai del tutto staccata, non rinnegò mai, non solo una personale esperienza crociana, ma il valore permanente di certi temi, anche se poi « in questi fatti umani — per usare le sue parole — la concordia si presenta sempre... come una lotta e una zuffa ». E chi ricerchi, oltre gli « scarti », gli « elementi stabili e permanenti », e « il ritmo del pensiero in isviluppo... più importante delle singole affermazioni casuali o degli aforismi staccati », non potrà nascondersi un costante riferimento, e magari alla fine per combat[...]

[...]i o degli aforismi staccati », non potrà nascondersi un costante riferimento, e magari alla fine per combattere o rifiutare, a tutta una problematica legata a quel vario rinnovarsi della cultura italiana che si mosse intorno all'attività del Croce. Anche se poi, spesso, molto più che di Croce, dovrebbe farsi il nome del De Sanctis o del Labriola, o perfino, in sede di critica letteraria, di Renato Serra, che crociano senza dubbio non era, ma che Gramsci, in quella commossa pagina in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce (7). Tanto riuscì a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comu ne rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo.
D'altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l'aspetto o l'influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l'uso, bisognerà tener presente l'avvertenza
(7) « Il grido [...]

[...]quella commossa pagina in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce (7). Tanto riuscì a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comu ne rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo.
D'altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l'aspetto o l'influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l'uso, bisognerà tener presente l'avvertenza
(7) « Il grido del popolo » di Torino, 20111915: « il Serra ha dato una lezione di umanità: in ciò egli ha veramente continuato Francesco De Sanctis, il più grande critico che l'Europa abbia avuto... Ora non possiamo aspettarci più nulla da Renato Serra. La guerra l'ha maciullato, la guerra della quale aveva scritto con parole così pure, con concetti cosí ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui: era l'uomo nuovo dei nostri tempi, che[...]

[...]ì pure, con concetti cosí ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui: era l'uomo nuovo dei nostri tempi, che tanto ancora avrebbe potuto dirci ed insegnarci, Ma la sua luce s'è spenta e noi non vediamo ancora chi per noi potrà sostituirla... » Ne La Città Futura (Numero unico, Torino 11 febbraio 1917), ove pure riporta un lungo testo di Salvemini sul concetto di cultura, nel riprodurre anche un testo di Croce Gramsci lo chiama « il più grande pensatore d'Europa in questo momento ». E più oltre (Margini, 6), a proposito del « socialismo scientifico » di Claudio Treves, rimanda al « positivismo filosofico u (a questa concezione non era scientifica, era solo meccanica, aridamente meccanica... ne è rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico... un balocco di fatalismo positivista »).
GRANISCI NELLA CULTURA ITALIANA 159
sua, essere « il ritmo del pensiero in sviluppo più importante delle singole affermazioni casuali ».
Al qual proposito é forse opportuna, in margine agli avvertimenti metodologici pr[...]

[...]anica... ne è rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico... un balocco di fatalismo positivista »).
GRANISCI NELLA CULTURA ITALIANA 159
sua, essere « il ritmo del pensiero in sviluppo più importante delle singole affermazioni casuali ».
Al qual proposito é forse opportuna, in margine agli avvertimenti metodologici prima sottolineati, ancora qualche postilla sulla questione più volte dibattuta della frammentarietà dei ' quaderni'. Che Gramsci si rendesse conto del pericolo insito in essa, risulta chiaro. Come é altrettanto evidente che non gli sfuggivano le insidie dell'isolamento del carcere che, se poteva rendere in certo modo « essenziale » la sua riflessione, rischiava anche di impoverirla. « La prigione — scrive nel '32 a proposito di un saggio su Carlo Bini — é una lima così sottile, che distrugge completamente il pensiero, oppure fa come quel maestro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco d'olivo stagionato per fare una statua di San Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, fini col ricavarn[...]

[...]a come quel maestro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco d'olivo stagionato per fare una statua di San Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, fini col ricavarne un manico di lesina ». Sono righe di una consapevolezza crudele, che vien fatto di mettere a fronte al programma di lavoro tracciato così organicamente, e con si ampio respiro, nella ben nota lettera del 18 marzo 1927. Dell'inattuabilità di quel piano Gramsci si accorse subito: e non
tanto per gli ostacoli materiali mancanza di libri, impossi
bilità di compiere indagini preliminari — ma soprattutto per la condizione ' mentale' in cui era costretto (« mi é molto difficile abbandonarmi completamente ad un argomento o ad una materia e sprofondarmi in essa,... come si fa quando si studia sul serio ») (8). E tuttavia nella frammentarietà dei quaderni non si traduce solo quella disperata volontà di operare che faceva suo il motto della saggezza Zulù: « meglio avanzare e morire, che fermarsi e morire ». Se nelle notazioni epigrammatiche si esprime la f[...]

[...]mplare — da dovunque si cominci a operare, le difficoltà appaiono subito gravi perché non si era mai pensato concretamente a esse; e siccome occorre sempre cominciare da piccole cose (per lo piú le grandi cose non sono che un insieme di piccole cose) la ' piccola cosa' viene a sdegno; é meglio continuare a sognare, e rimandare l'azione al momento della ' grande cosa'» (10).
L'esigenza del concreto contro ogni residuo ' aroma speculativo ' portò Gramsci a insistere sui metodi della ` filologia ', sul determinatissimo ` certo' (11). Scrive a Berti, nel '27, contro « le
(9) M.S. 131. Cfr. p. 179: « dissoluzione [in Croce] del concetto di ' sistema ' chiuso e definito e quindi pedantesco e astruso in filosofia: affermazione che la filosofia deve risolvere i problemi che il processo storico nel suo svolgimento presenta volta a volta. La sistematicità è ricercata non in una esterna struttura architettonica ma nell'intima coerenza . e feconda comprensibilità di ogni soluzione particolare. Il pensiero filosofico non è concepito quindi come uno svo[...]

[...]presenza, nei quaderni, di non pochi testi ancora informi; si vuol rifiutare la tesi sostenuta dal Croce nel '48 che i quaderni costituiscano solo una congerie « di pensieri abbozzati o tentati, di interrogazioni a se stesso, di congetture e sospetti spesso infondati », comunque privi sempre di « quel pensiero sintetico che scevera, fonde, integra in un tutto » (13).
Non diverso discorso dovrà farsi, del resto, a proposito delle altre opere del Gramsci: le lettere, e, innanzitutto, gli articoli del periodo anteriore all'arresto. Di essi è noto il giudizio che l'autore dette nel settembre del 1931: pagine « scritte alla giornata » e, come tali, destinate a « morire dopo la giornata » (14). In realtà, di nuovo, la forma espressiva è solidale con un modo d'intendere la funzione dello scritto, anzi del pensiero, della riflessione; e, se si vuole usare il termine grave, della filosofia. In una delle sue osservazioni più acute Gramsci cercherà di chiarire il senso di una conversione 'non speculativa' della filosofia nella storia: ed è un testo da[...]

[...], gli articoli del periodo anteriore all'arresto. Di essi è noto il giudizio che l'autore dette nel settembre del 1931: pagine « scritte alla giornata » e, come tali, destinate a « morire dopo la giornata » (14). In realtà, di nuovo, la forma espressiva è solidale con un modo d'intendere la funzione dello scritto, anzi del pensiero, della riflessione; e, se si vuole usare il termine grave, della filosofia. In una delle sue osservazioni più acute Gramsci cercherà di chiarire il senso di una conversione 'non speculativa' della filosofia nella storia: ed è un testo da tener presente per intendere anche la vicinanza e la lontananza della concezione gramsciana da identificazioni apparentemente analoghe proposte in sede idealistica: l'identità fi
presenta come fenomeno di 'speculazione' filosofica ed é semplicemente un atto pratico, la forma di un contenuto concreto sociale e il modo di condurre l'insieme della società a foggiarsi una unità morale. L'affermazione che si tratti di ' apparenza', non ha nessun significato trascendente o metafisico, ma é la semplice affermazione della sua ' storicità ', del suo essere ' mortevita ', del suo rendersi caduca perché una nuova coscienza sociale e morale si sta sviluppando, più comprensiva, superiore, ch[...]

[...]filosofia è ' storia', se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali in cui gli uomini vivono), e non già perché a un grande filosofo succede un più grande filosofo e così via, è chiaro che lavorando praticamente a fare storia si fa anche filosofia... » (15').
Commentare questo testo fino in fondo, seguirne la genesi e discuterne il senso, porterebbe ad un'analisi completa del pensiero di Gramsci, che a me non compete: sarebbe necessario infatti seguire il maturare della sua riflessione attraverso la lotta politica, che lo portò a leggere, o a rileggere con occhi resi diversi da eventi decisivi, le pagine medesime di Marx (16). Ma in tale prospettiva, e nel modo d'intendere il filosofo « individuale », andrà ricollocata tutta la sua impostazione delle vicende degli intellettuali italiani: tutta la sua storia della filosofia, della cultura; anzi, a un certo punto, tutta la storia italiana cercata nel concreto degli individui pensanti e operanti, pensanti in quanto operanti, e capaci di[...]

[...]he i canoni del materialismo storico valgano solo post factum, per studiare e compren' dere gli avvenimenti del passato, e non debbano diventare ipoteca sul presente e sul futuro... »; o Il nostro Marx (4 maggio 1918: a non è un mistico né un metafisico positivista; è uno storico... »). Poi vennero altre letture di Marx, letture di Lenin, e, soprattutto, esperienze decisive.
GRAMS CI NELLA CULTURA ITALIANA 163
bile giungere circa il linguaggio gramsciano: e respinta la tesi degli ' inconditi abbozzi', degli articoli di giornale occasionali, e delle lettere edificanti, sarà da considerarsi con cautela anche il concetto di una frammentarietà dovuta a una situazione anormale di lavoro — concetto in cui rischia di insinuarsi l'idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l'elaborazione del periodo dal '27 in poi e l'attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a quello dell'azione: opera di storico succeduta a quella d[...]

[...]una situazione anormale di lavoro — concetto in cui rischia di insinuarsi l'idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l'elaborazione del periodo dal '27 in poi e l'attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a quello dell'azione: opera di storico succeduta a quella del politico. Senza dubbio uno sviluppo nel pensiero gramsciano è innegabile — nessuno potrebbe porre mai sullo stesso piano l'articolo del « Grido del Popolo » in morte di Renato Serra e i testi dei quaderni su Croce., Ma si tratta di una chiara linea di approfondimento, non della verifica di una dialettica di tipo crociano fra un pensiero e un'azione fra loro `distinti'. La saldatura di teoria e pratica, di pensiero e azione, fu anzi in Gramsci, a un certo momenta, così `realmente' raggiunta che, come i suoi più energici articoli di « Ordine Nuovo » mettono efficacemente e criticamente a fuoco le questioni del momento in cui operano, così, quanto più profondo sembra farsi il suo ironico distacco (17), tanto più aderente si rivela il suo pensiero al moto delle cose, più pertinenti le osservazioni, più legate alle vicende effettuali: unitarie nell'ispirazione, puntualizzate nello scarno linguaggio di una nota. Così fu costantemente partecipe al dibatttito culturale anche nel momento della sua segregazione e lo segui fin negli aspetti [...]

[...]ua segregazione e lo segui fin negli aspetti marginali, in un dialogo serrato con l'altra posizione allora effettivamente significativa da noi: con l'interpretazione della storia d'Italia elaborata sotto la spinta dello storicismo crociano. Al qual proposito, forse, non giova molto chiedersi se per avventura altre voci, soffocate dalla cosidetta rinascita idealistica, fossero più importanti, e meritassero maggiore attenzione e più equo giudizio. Gramsci non intendeva fare opera di ricercatore erudito: la sua concezione del pensatore e dello storico lo impegnava in una
(17) L. 58.
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situazione concreta, a scelte reali. E se, oggi, noi possiamo spesso considerare con occhio distaccato non poche impostazioni e valutazioni che ancor ieri sembravano dominanti; se, a un certo punto, anche i famosi ` conti con Croce ' si possono supporre un capitolo chiuso della storia della nostra cultura — ma non so, per ora, quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all'esaurimento dall'interno di tan[...]

[...]li. E se, oggi, noi possiamo spesso considerare con occhio distaccato non poche impostazioni e valutazioni che ancor ieri sembravano dominanti; se, a un certo punto, anche i famosi ` conti con Croce ' si possono supporre un capitolo chiuso della storia della nostra cultura — ma non so, per ora, quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all'esaurimento dall'interno di tante tesi ha dato proprio l'analisi gramsciana, la quale, sottolineando con singolare energia la solidarietà di certi ideali e di certe visioni con una situazione, ha aperto la strada ad altre scelte e ad altre possibilità. E come sul terreno dottrinale a un certo Hegel, à un certo Marx, a un certo Labriola e, magari, a un certo Machiavelli, oppose un'altra possibilità interpretativa, cosí a un'altra storia d'Italia volle saldare un'altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un'Italia ca[...]

[...]d affrontò l'unica posizione veramente operante in Italia (e non a caso era tale), veramente potente, e con essa si impegnò: ne prese talora il linguaggio, vide l'ambito della sua validità, non ne sottovalutò né l'importanza, né la forza, né le conquiste reali. Oggi può sembrare che sulla linea RomagnosiCattaneo ci fosse una forza teorica più robusta: e può darsi (18); ma in un'Ita
(18) Gobetti, nel '24, indicava fra a i maestri più diretti del Gramsci » Salvemini, del Cattaneo grande ammiratore (editore, nel '22, presso il Treves, di una antologia molto significativa). Che, per vie mediate, il a positivo » di Carlo Cattaneo
(per usare la distinzione del Labriola fra a positivo e a positivistico ») passasse in
Gramsci, è comprensibile. Ma una meditazione approfondita non risulta; il nome di Cattaneo (a giacobino con troppe chimere in testa », come lo chiama in una lettera nel '31) compare nei volumi delle opere una diecina di volte circa, e sempre
II
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 165
lia non a caso culturalmente crociana e gentiliana, che aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall'intrinseco » certe posizioni — ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola: ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò ch[...]

[...]ie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che é vivo da ciò che é morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.
La rottura con una certa tradizione e la lotta per un'altra Italia, si configurano così — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella stessa storia d'Italia: rappresentano la vittoria di forze vitali, di possibilità positive contra soluzioni esaurite: e sono, perciò spesso, non più parziali, ma veramente rispondenti all'aspirazione di tutta l'Italia, di tutta la sua storia, di tutto il suo popolo. Come non ricordare l'articolo pubblicato nel '19 sull'Ordine Nuovo, a proposito dei rivoluzionari russi (19): « hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la... vita più intima [del popolo], la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda... Hanno rotto col passato[...]

[...]popolo che « il nuovo stato era il suo stato, la sua vita, il suo spirito, la sua tradizione ». La rivoluzione non va mai contro il moto storico: é il punto in cui il processo rompe gli argini che lo volevano chiudere — in cui gli istituti già elaborati come strumenti si irrigidiscono in barriere: é ve
in riferimenti generici, che, come nel caso de La città, mostrano un desiderio di letture piuttosto che letture già fatte. Certo, acuto com'era, Gramsci si rese ben conto che anche in posizioni legate al « positivismo » non mancavano temi fecondi (basterebbero i richiami a Vailati, l'accenno alla teoria della «previsione» in Limentani ecc.). Ma la sua battaglia era altrove.
(19) O.N. 7 (7 giugno 1919).
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ramente, per usare ancora un'espressione gramsciana, « la protesta del divenire storico contro ogni irrigidimento e ogni impaludamento del dinamismo sociale ». E prosegue: « la critica marxista all'economia liberale é la critica del concetto di perpetuità degli istituti economici e politici; é la riduzione a storicità e contingenza di ogni fatto, é una lezione di realismo agli astrattisti pseudoscienziati ».
Non é facile staccarsi da questi testi gramsciani, così limpidi e precisi, sul processo storico come effettiva conquista di libertà, contro ogni mistificazione del socialismo, contro ogni esperantismo pseudomarxista che non tenga conto della vita reale di un popolo (20). Tutti gli articoli del '19 andrebbero sottolineati con quelle loro dichiarazioni nettissime: « l'esperienza liberale non é vana, e non può essere superata se non dopo averla fatta »; « la creazione dello stato proletario non é... un atto tumaturgico: é... un farsi, é un processo di sviluppo ». L'urto contro le cristallizzazioni in nome del processo di liberazione umana pr[...]

[...] un atto tumaturgico: é... un farsi, é un processo di sviluppo ». L'urto contro le cristallizzazioni in nome del processo di liberazione umana produce, é vero, una scissione, che é di tutti: gruppi contro gruppi, l'uomo contro se stesso; ma « lo scisma del genere umano non può durare a lungo. L'umanità tende all'unificazione interiore ed esteriore, tende ad organarsi in un sistema di convivenza pacifica che permetta la ricostruzione del mondo ». Gramsci combatte senza posa per un marxismo che sia davvero, com'egli dice, umanismo integrale: e proprio per questo non esita a ribellarsi contro ogni economismo e ogni determinismo assoluto: « La pretesa — ribadisce — presentata come postulato essenziale del materialismo storico, di esporre ogni fluttuazione della politica e dell'ideologia come un'espressione immediata della struttura, deve
(20) O.N. 45, 9, 15 18. A proposito dell' esperantismo é interessante l'articolo La lingua unica e l'esperanto, « Il grido del popolo m, 16 febbraio 1918 (con le iniziali A. G.): «Quale atteggiamento devono pre[...]

[...]teggiamento devono prendere i socialisti in confronto dei banditori di lingue uniche...?... combattere quelli che vorrebbero che il partito si faccia sostenitore e propagatore dell'Esperanto a. E prosegue: « non c'é nella storia, nella vita sociale, niente di fisso, di irrigidito, di definitivo. E non ci sarà mai. Nuove verità accrescono il patrimonio della sapienza, nuovi bisogni, nuove curiosità intellettuali e morali pungono lo spirito... a.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 167
essere combattuta teoricamente come infantilismo primitivo ». E in un testo dell'Ordine Nuovo aveva ben precisato cosa fosse il suo umanesimo integrale: «studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali, le studia nelle interferenze reciproche, nella dialettica ' che si sprigiona dai cozzi inevitabili tra la classe capitalista, essenzialmente economica, e la classe proletaria, essenzialmente spirituale, tra la conservazione e la rivoluzione. La demagogia, l'illusione, la menzogna, la corruzione della società capitalistica non sono accidenti s[...]

[...]rionfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma morale; per guadagnare centomila lire si affama una città; per guadagnare un miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di ricchezza. La vita degli uomini, le conquiste della civiltà, il presente, l'avvenire sono in continuo pericolo ».
Economismo, determinismo cieco e meccanico, astrattismo teologizzante — ecco le accuse che l'umanismo di Gramsci rivolge nel '19, con vigore di argomenti, dalle colonne dell'edizione piemontese dell'Avanti!, a Einaudi (21). L'economia « studia i ' fatti' e trascura gli ' uomini'; i processi storici sono visti come regolati da leggi perpetuamente simili, immanenti alla realtà dell'economia che é concepita avulsa dal processo storico generale ». Il meccanismo economico si pone come autonomo: «può venir ' urtato' dagli uomini, ma non ne é determinato e vivificato »; é « uno schema, un piano prestabilito, una via della provvidenza, una utopia astratta e materialistica, che non ha mai avuto e non avrà mai in[...]

[...]listica, che non ha mai avuto e non avrà mai incastro nella realtà storica ». Gli economi
(21) O.N. 2325.
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sti di tipo einaudiano «hanno tutta la mentalità dei sacerdoti; sono queruli e scontenti sempre, perché le forze del male impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso. mondo ».
Nell'idea di una ' natura' umana si cela «un residuo ' teologico ' e ' metafisico' ». « La natura dell'uomo — insiste Gramsci — é la 'storia'... se... si dà a storia il significato di 'divenire ', di una ' concordia discors ' che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile; perciò la ' natura umana' non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del ' genere' umano » (22). Ove, ancora, quella ' storia del genere umano' lungi dall'essere « pura dialettica concettuale » é storia di uomini reali in rapporti reali, in cui i processi che modificano le situazioni e la coscienza che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge così... all'... equaz[...]

[...]za che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge così... all'... equazione fra filosofia e politica', fra pensiero e azione, cioè a una filosofia della prassi... La sola filosofia é la storia in in atto » (23) — la storia che « riguarda gli uomini viventi... tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliorano se stessi » (24).
Proprio per questo la politica di Gramsci doveva saldarsi indissolubilmente con una visione storica, anzi con una revisione della storia di quel popolo a cui apparteneva e tra cui operava. « Scoprire e inventare modi di vita originali » — com'egli dice — non si può se non rispondendo concretamente e positivamente a
(22) M.S. 312.
(23) Seguita: e in questo senso si può interpretare la tesi del proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca — e si può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da Lenin è stata anche un grande avvenimento ' metafisico ' D. E ancora (M.S. 32): a nella storia l'ug[...]

[...] e pubbliche ', ' esplicite ed implicite ' che si annodano nello ' Stato' e nel sistema mondiale politico: si tratta di ' uguaglianze' sentite come tali fra i membri di un'associazione e di ' diseguaglianze ' sentite tra le diverse associazioni; uguaglianze e diseguaglianze che valgono in quanto se ne abbia coscienza individualmente e come gruppo a. A proposito di Lenin, è interessante il testo di Croce, Pagine sparse, II, p. 177.
(24) L. 255.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 169
domande reali, essenziali, maturate nella storia d'Italia, individuandole in una comprensione dei rapporti fra le sue molteplici componenti, e non isolandone alcune, a mutilandole per difendere interessi di parte ». E basterà rileggere gli articoli pubblicati sull'Avanti! nel novembre del '19, e riflettere sul sì detto a Cavour, e sul no detto a Giolitti, per comprendere, non solo la maturità della visione gramsciana della storia d'Italia, ma anche la sua vibrante condanna dell'esperantismo e la sua insistenza sulle « traduzioni » nazionali dei grandi moti della storia (25). Il ricorrente richiamo a Kant che decapita Dio, mentre Robespierre decapita il re, non vuole indicare soltanto il rapporto fra una « tranquilla teoria » che cambia le « idee », e una rivoluzione che muta la società: vuol richiamare al problema della traduzione varia in linguaggi nazionali di posizioni dottrinali « equivalenti ». La gramsciana filosofia della prassi, se respinge ogni mistificazione speculativa, rifiuta ogni esperant[...]

[...]te condanna dell'esperantismo e la sua insistenza sulle « traduzioni » nazionali dei grandi moti della storia (25). Il ricorrente richiamo a Kant che decapita Dio, mentre Robespierre decapita il re, non vuole indicare soltanto il rapporto fra una « tranquilla teoria » che cambia le « idee », e una rivoluzione che muta la società: vuol richiamare al problema della traduzione varia in linguaggi nazionali di posizioni dottrinali « equivalenti ». La gramsciana filosofia della prassi, se respinge ogni mistificazione speculativa, rifiuta ogni esperantismo; traduce il marxismo in italiano, ossia intende rispondere alle richieste maturate lungo la storia italiana in modo ad esse appropriato (26). Non è, insomma, un formulario di risposte prefabbricate, ma un modo di individuare le domande, e un metodo per rispondervi realmente, non evasivamente.
Gramsci poneva limite alcuno alla storicità della filosofia della prassi: nata quale « manifestazione delle intime contraddizioni da cui la società é stata lacerata... non può evadere dall'attuale terreno delle contraddizioni »: anch'essa ' provvisoria ' in nome della « storicità di ogni concezione del mondo e della vita ». E « si può persino giungere ad affermare che, mentre tutto il sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un modo unificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero diventare[...]

[...]rante il regno della necessità, potrebbero diventare ' verità ' » (27). Avviene, é vero, che « la stessa filosofia della prassi tenda a diventare una ideologia »;
(25) O.N. 299301; M.S. 6162.
(26) M.S. 61, 63 sgg., 67.
(27) M.S. 96.
170 EUGENIO GARIN

tenda, anch'essa, a concedere « a necesità esteriori e pedantesche di architettura del sistema » e ad « idiosincrasie individuali »; tenda insomma a farsi « astorica ». Lo sforzo costante di Gramsci é stato quello appunto di opporsi a qualsiasi trasformazione della filosofia della prasi in una metafisica o teologia, per svolgerne « uno ' storirismo' assoluto », inteso come « mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero », come un «umanismo assoluto della storia ».
Per questo l'attività critica, la sola possibile, é impiegata costantemente a risolvere «i problemi che si presentano come espressione dello svolgimento storico »; e poiché « l'unità della storia, ciò che gl'idealisti chiamano unità dello spirito, non é un presupposto ma un continuo farsi progressivo », l'indagine stori[...]

[...]o... tutto quello che si vuole manipolando le prospettive e l'ordine delle grandezze e dei valori » (e attraverso l'immorale « sollecitazione dei testi »); se é vero che la tradizione italiana presenta filoni molteplici é pur vero che sarà atteggiamento storicamente serio e particolarmente costruttivo solo quello che più elevato avrà il senso della molteplicità e della distinzione. « Si condanna in blocco il passato quando non si riesce a diffe
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renziarsene o almeno le differenziazioni sono di carattere secondario e si esauriscono quindi nell'entusiasmo declamatorio » (28).
Costretto a trasferire la propria attività su un piano diverso, nei quaderni Gramsci tende soprattutto a una storia della tradizione culturale italiana vista nel concreto della vita dei gruppi intellettuali allo scopo di definire una ' concezione del mondo'. « La fondazione di una classe dirigente — egli scrive — (e cioè di uno stato) equivale alla creazione di una Weltanschauung », che, d'altra parte, non è solo «elaborazione ' individuale' di concetti sistematicamente coerenti, ma inoltre e specialmente... lotta culturale per 'trasformare' la 'mentalità popolare' e diffondere le innovazioni filosofiche che si dimostreranno ' storicamente vere' nella misura in cui diventeran[...]

[...]orazione della filosofia della prassi fa corpo con una storia d'Italia, dei suoi gruppi intellettuali, non isolati nelle loro idee o nei loro scritti, ma visti in rapporto con le forze reali operanti, e con quei popolani la cui voce solo di rado sembra affiorare o essere ascoltata e conservata, ma che pure hanno espresso lungo i secoli artisti e contadini, artigiani, e ciompi, e soldati. Non è difficile « schedare » il materiale dei « quaderni » gramsciani lungo queste linee, e ordinarlo per argomenti ad esse riconducibili. D'altra parte questa « storia » doveva sempre le
(28) P. 34, 63, 131.
(29) M.S. 21 sgg., 25, 75 sgg. (per la distinzione forze materialiideologiecontenuto forma, distinzione « meramente didascalica », cfr. M.S., 49).
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garsi criticamente alle « altre storie »: a quelle più valide per intima solidità, esprimenti efficacemente forze e temi di rilievo; così come a quelle dominanti e trionfanti sul piano politico italiano. Uno dei segni del carattere non velleitario della critica gramsciana dei « quaderni [...]

[...]28) P. 34, 63, 131.
(29) M.S. 21 sgg., 25, 75 sgg. (per la distinzione forze materialiideologiecontenuto forma, distinzione « meramente didascalica », cfr. M.S., 49).
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garsi criticamente alle « altre storie »: a quelle più valide per intima solidità, esprimenti efficacemente forze e temi di rilievo; così come a quelle dominanti e trionfanti sul piano politico italiano. Uno dei segni del carattere non velleitario della critica gramsciana dei « quaderni » sta proprio nel suo rapporto costante con Croce da un lato, e con le più vistose e rilevanti manifestazioni delle correnti cattoliche e idealistiche dall'altro.
Il fatto che così spesso l'opera di Gramsci si faccia dialogo serrato con Croce, il fatto che le impostazioni discusse, elaborate o respinte si leghino alla situazione culturale creata dal Croce, è segno di forza e di attualità di un pensiero che non lavorava alteri saeculo, ma per questo secolo. L'altro secolo che poi giudica, che indica limiti e ingiusti giudizi, probabilmente non sarebbe mai nato così acuto senza quelle discussioni. La caducità di certi giudizi non é che l'altra faccia della loro storicità: e, mentre l'impegnarsi nel tempo é il segno della responsabilità di un dibattito, il discorso polemico col discorso più efficac[...]

[...]ato così acuto senza quelle discussioni. La caducità di certi giudizi non é che l'altra faccia della loro storicità: e, mentre l'impegnarsi nel tempo é il segno della responsabilità di un dibattito, il discorso polemico col discorso più efficace, a cui perciò stesso si lega, é anche il lavoro storicamente più costruttivo — il solo veramente costruttivo.
Sarebbe ben difficile negare oggi, nello spostarsi di una discussione, che certe valutazioni gramsciane dì importanti movimenti sono particolarmente insufficienti o almeno discutibili: basterebbe pensare all'atteggiamento di fronte al positivismo, e, per altro verso, all'apprezzamento del modernismo. Nel primo caso, anche se probabilmente converrebbe andar molto cauti, _per non incorrere in frettolose revisioni, e tener distinte cose distinte, e rendersi ragione di pur sempre validi temi polemici (e andare magari a rileggersi il Marx di Loria, del 1902) (30), é certo che
(30) Cfr. A. Loxln, Marx e la sua dottrina, Palermo, Sandron, 1902, p. 64 (da un art. del 1 aprile 1883): a Carlo Marx...[...]

[...]vista. Studioso della filosofia hegeliana, ei tentò ringiovanirla, associandola all'indagine delle scienze storiche e giuridiche; e più tardi, quando il nuovo indirizzo della scienza ebbe vasto trionfo, egli si immerse nell'investigazione realistica, studiò la vita sociale, e tentò di innestare nel tronco delle sue teorie filosofiche le immense nozioni positive, che aveva acquisite. Ma l'antico indirizzo del suo pensiero e de' suoi studi non fu
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Gramsci risenti di tutto quel moto culturale che caratterizzò i primi due decenni del secolo, e in cui la « Critica» ebbe tanta parte. Cosi come, viceversa, negli accenni all'importanza dei ' modernisti' italiani, a guardar da vicino, c'é da chiedersi quanta pesasse — questa volta — la polemica antigentiliana. Né, per fare un altro esempio, par sostenibile il peso specifico attribuito una volta al movimento vociano, rilevante soprattutto come espressione paradigmatica di una singolare confusione di idee. Il discorso potrebbe continuare, ma per esser davvero utile dovrebbe estendersi — e questo non é [...]

[...]tiliana. Né, per fare un altro esempio, par sostenibile il peso specifico attribuito una volta al movimento vociano, rilevante soprattutto come espressione paradigmatica di una singolare confusione di idee. Il discorso potrebbe continuare, ma per esser davvero utile dovrebbe estendersi — e questo non é possibile qui ora — a tutta la rete, fittisima, di rapporti e dibattiti che travagliarono la cultura italiana del primo Novecento, ove la voce di Gramsci — come, per altro verso, quella di Gobetti (e, prima ancora, di Salvemini) — inserirono, proprio sulle linée più avanzate, una nota originale, che appare oggi, nell'esaurirsi di altri temi, singolarmente stimolante. Ed é proprio in questi toni che più giova afferrare il significato della meditazione gramsciana.
«L'Italia — osserva Gramsci — ebbe e conservò... una tradizione culturale che non risale all'antichità classica, ma al periodo dal Trecento al Seicento, e che fu ricollegata all'età classica dall'Umanesimo e dal Rinascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogico politico (31). Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei
cancellato. Malgrado la sua cognizione meravigliosa della vita reale, ci rimase un metafisico in mezzo a una generazione di positivisti, vagheggiando la determinazione dell'Idea fra genti che non ne comprendevano il nome ». Presso lo stesso editore, nella x Biblioteca di scienze sociali e politiche », n. 32, nel 1900, Croce aveva riunito i suoi a saggi critici » su Materialismo sto[...]

[...]ua originalità (32). Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodi e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve «importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno é già riuscita a elaborare le sue questioni e le soluzioni relative in modo già molto chiaro e approfondito ». D'altra parte a valutare esattamente le riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe necessario un lavoro preliminare — che manca — in cui avesse risalto quello che il tema Machiavelli fu in Italia fra la prima guerra mondiale e il fascismo. Impegnarsi su Machiavelli non era analizzare un momento qualsiasi della cultura italiana: significava prendere posizione su tutte le questioni fondamentali della storia e della politica italiana. E forse non é senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul «machiavellismo »), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l'abbia scritto mai; ov'è, in certo modo,[...]

[...]se non é senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul «machiavellismo »), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l'abbia scritto mai; ov'è, in certo modo, la verifica della tesi gram sciana dell'erasmismo di Croce — anche se é da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l'ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po' convenzionale) (33).
Gramsci sa che Machiavelli é esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che « lo stesso
(32) Cfr. L. 144 (a quando vidi il Cosmo, l'ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il Machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione »).
(33) Le due e figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la 'passione' di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l'Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla ' politica' del M. intorno al '25, e subito dopo (dr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: a è risaputo che il M. scopre la necessità e l'autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all'indagine del[...]

[...]to dopo (dr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: a è risaputo che il M. scopre la necessità e l'autonomia della politica, della politica che è di là, o piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all'indagine della realtà »).
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 175
richiamo a Roma é meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima dell'Umanesimo e del Rinascimento ». Da altra parte, mentre é fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un'ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Del la Casa — dei tratti che li avvicinano a Machiavel[...]

[...]e esigenze immediate contenute nel Principe... La dottrina di Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente ' libresca', un monopolio di pensatori isolati, un libro segreto che circola fra iniziati. Lo stile del Machiavelli non é quello di un trattatista sistematico... é stile di uomo d'azione, di chi vuole spingere all'azione, é stile di 'manifesto' di partito » (35), Manifesto e profezia: dover essere che si fa costruttivo dell'essere. Gramsci a proposito di Machiavelli pone due rapporti illuminanti: con Savonarola e con Rousseau.
« L'opposizione SavonarolaMachiavelli, scrive, non é l'opposizione tra essere e dover essere... ma tra due dover essere, quello astratto... del Savonarola, e quello realistico del Machiavelli, realistico anche se non diventato realtà », perché Machiavelli non fu capo di uno stato, né capitano di un esercito: ma si « uomo di parte, di passioni poderose, un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e perciò non pub non occuparsi del dover essere ». Machiavelli non é mai «un mero scienziato [...]

[...] »; «si fa
(34) Mach. 6, 9, 141; P. 34; 1. 345.
(35) Mach. 9, 13, 15.
y
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popolo; [e] non con un popolo genericameìite inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso (36). Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l'idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell'autonomia della politica, e scopritore dell'economico. ' Morale ' é il principato, ' morale ' é la repubblica. « Il Principe prende il posto, nella coscienza, della divinità o dell'imperativo categorico, diventa la base del laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita » — per la res publica si «perde l'anima »; alla volontà generale si sacrifica tutto (37). Tragica nel momento dell'autoritàprincipato: armonica in quello del consensorepubblica, la situazione umana, la natura umana é[...]

[...]nistico (con le sue contraddizioni). La formula kantiana sembra superiore perché gl'intellettuali la riempiono del loro particolare modo di vivere e di operare... » (38). Nella « staticità » formale kantiana, opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica; nella dialettica PrincipeDiscorsi; nella figura MachiavelliRousseau; in Machiavelli rivoluzionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula
(36) Mach. 10, 40.
(37) Mach. 147 (e 117).
(38) P. 202.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 177
crociana di Marx « Machiavelli del proletariato » in un MachiavelliMarx del « popolo » fiorentino e italiano del '500. Con la proclamata « moralità » del Principe si rifiutava così la « distinzione » di tipo crociano come l'idea teologale ad essa congiunta di una « natura » umana, per risolvere con forza ogni « forma » trascendentale nella società umana pacificata: e questo nel punto stesso in cui il dover essere della res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un'intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di gi[...]

[...]la res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un'intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizia, si sacrifica — paradossalmente — anche l'anima: che è una forma di ascesi che invano si cercherebbe nella tradizione italiana, non solo fra le anime belle e le anime pie, o fra i molti salvatori di anime proprie ed altrui, ma anche fra i più rigorosi e seri moralisti.
Quanto di se stesso Gramsci prestasse a questo Machiavelli, non è difficile vedere: saldato, non a un qualunque popolo, ma al suo popolo, non a qualunque cultura, ma alla cultura italiana del suo tempo; intellettuale non velleitario, ma uomo di passione che dei suoi scritti fa un manifesto; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato; ecco il profilo dell'intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta soprarazionale; che salda il sapere al fare, che al posto dell'a[...]

[...] ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato; ecco il profilo dell'intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta soprarazionale; che salda il sapere al fare, che al posto dell'atteggiamento oracolare e del piglio pontificale pone la verità come ricerca e lavoro comune. Nella « figura » di Machiavelli, forse meglio che in ogni altro suo scritto, Gramsci ha fissato il proprio pensiero, e la propria lontananza non solo da Croce ma dal tipo di cultura che Croce ha incarnato. Non a caso Gramsci colloca dopo Machiavelli la decisiva « separazione » degli intellettuali italiani come non a caso egli insiste sulla corrispondenza simbolica CroceErasmo.
Troppo facile sarebbe nella storia degli intellettuali italiani delineata da Gramsci enumerare con mentalità notarile difficoltà d'ogni sorta; altrettanto facile quanto sottolinearne suggerimenti e giudizi di una singolare penetrazione, che oltrepassano i limiti impostigli dalle fonti a cui era costretto ad attingere. Perché non
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sarebbe difficile rintracciare nella storiografia crociana, o dei crociani (da De Ruggiero a Omodeo), proprio le radici di quelle posizioni di Gramsci che meno soddisfano: da un Erasmo convenzionale allo scarso rilievo dato alla tradizione scientifica dal '500 in poi; dall'atteggiamento di fronte agli illuministi del '700 alla svalutazione di non poche posizioni dell'800. Una serie di ricerche in questa direzione sarebbe certo giovevole, ma non destinata a incidere sensibilmente sulla prospettiva cosí originale in cui l'opera di Gramsci si colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando così largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un'elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i ' mistificatori ' del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti — Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa — e Croce per quanto contribuì a man[...]

[...]colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando così largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un'elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i ' mistificatori ' del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti — Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa — e Croce per quanto contribuì a mantener vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso, sempre più chiaramente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione dell'hegelismo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabili: un ' sistema ' della ' filosofia dello spirito', una ' natura umana' assoluta. Gramsci, al contrario, non si limiterà a rifiutare l'atto spirituale taumaturgico, e solo retoricamente operoso, per ritrovare il positivo e il concreto processo storico, vivo e reale nel lavoro delle società umane. Anche l'ultimo « aroma speculativo » svanirà: nella critica alla doppia mistificazione del marxismo — sia in direzione idealistica che materialistica — e nella elaborazione di una originale ' concezione del mondo' si consoliderà nitidissimo un integrale umanismo storico: uomini veri, reali, che vivono convivendo in reali rapporti: mobili, in un processo condizionato insieme e libero.
Lim[...]

[...]e reale nel lavoro delle società umane. Anche l'ultimo « aroma speculativo » svanirà: nella critica alla doppia mistificazione del marxismo — sia in direzione idealistica che materialistica — e nella elaborazione di una originale ' concezione del mondo' si consoliderà nitidissimo un integrale umanismo storico: uomini veri, reali, che vivono convivendo in reali rapporti: mobili, in un processo condizionato insieme e libero.
Limpido e preciso qui Gramsci é veramente nostro (39), ossia
(39) Cfr. CROCE, a Quaderni della Critica », 8, 1947, p. 86.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 179
di quanti credono nel compito critico di una cultura volta a liberare gli uomini in terra, per costruire una città giusta: per la sua moralità impietosa; per la sua ironica lucidità; per il suo atteggiamento di lotta in un tempo di latta. Della sua « zuffa » continua con Croce, come dell'essersi consapevolmente calato tutto nella tradizione culturale italiana più viva, non c'é persona seria che possa dubitare. E a caratterizzare la sua distanza da posizioni a cui pure, in origine, era stato vicino, nulla giova quanto la sua ripetuta osservazione sul carattere delle[...]

[...] storico dei momenti rivoluzionari; Croce é storico degli istituti e delle ' forme' da conservare, non delle libertà reali da conquistare. La storia eticopolitica potrà anche esser riassunta nel momento del consenso: nella crudeltà della lotta, quando si chiede piuttosto il giustiziere che il giustificatore, quando essere ingiusti é necessario, e bisogna dannarsi e non salvarsi, l'olimpica serenità goethiana é piuttosto irritante che consolante. Gramsci — l'aveva già notato Gobetti (che per questo gli fu vicino) — é invece l'espressione dell'intransigenza morale più aspra nel campo della cultura; l'imperativo più forte alla lotta per la libertà (40), anche a costo di perdere l'anima, a costa di riuscire odiosi alle anime belle: perché l'umanità si serve nella volontà ferma di costruire un mondo comune oltre le scomuniche, perché la verità é cosa comune, con un linguaggio comune. Ed è questa verità comune, non oracolare e non fuori del tempo, ma che nella storia si costruisce e nella storia si consuma, tutta umana, di uomini e per uomini, que[...]

[...]o più forte alla lotta per la libertà (40), anche a costo di perdere l'anima, a costa di riuscire odiosi alle anime belle: perché l'umanità si serve nella volontà ferma di costruire un mondo comune oltre le scomuniche, perché la verità é cosa comune, con un linguaggio comune. Ed è questa verità comune, non oracolare e non fuori del tempo, ma che nella storia si costruisce e nella storia si consuma, tutta umana, di uomini e per uomini, quella che Gramsci cerca e per cui lotta: per questo, oltre le parti, egli è di quanti in Italia intendono lavorare insieme intorno a problemi precisi (alle « piccole cose »), con semplicità, con quanti più uomini é possibile. Sarà indulgenza alla retorica, ma come non concludere con la conclusione di quel
(40) P. GosETTI, La rivoluzione liberale, Torino, 1950, p. 117: « La figura di Lenin gli appariva come una volontà eroica di liberazione: i motivi ideali che costituivano il mito bolscevico... dovevano agire... come l'incitamento a una libera iniziativa operante dal basso ».
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EUGENIO GARIN
l'ultima l[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Dal Sasso, Il rapporto struttura-poesia nelle note di Gramsci sul decimo canto dell'Inferno in Studi gramsciani

Brano: Rino Dal Sasso
IL RAPPORTO STRUTTURAPOESIA NELLE NOTE DI GRAMSCI SUL DECIMO CANTO DELL'INFERNO
1. Nella lettera del 26 agosto del 1929 Antonio Gramsci promette a Tatiana Schucht una « nota dantesca » a proposito di una sua « piccola scoperta » sul X canto dell'Inferno: uno spunto critico, individuato molti anni addietro, era giunto a maturazione 1.
L'interesse di Gramsci per il X canto ha, infatti, una storia non breve: lo accompagna, si può dire, lungo tutte le tappe della sua formazione intellettuale. Anche.se solo verso il 1929 esso prende corpo e si inserisce nella piú completa problematica gramsciana, con molta probabilità lo spunto risale ai tempi degli studi universitari. E non a caso, pensiamo, quando in carcere riprende l'indagine sul X canto il suo pensiero subito ricorre a Umberto Cosmo, col quale svolge un'affettuosa ma ferma polemica, al quale invia la « nota dantesca » e che vorrebbe rivedere per poter impegnare ancora qualcuna « di quelle discussioni che facevamo talvolta negli anni di guerra passeggiando di notte per le vie di Torino » 2. Appunto agli ultimi tempi della prima guerra mondiale risale il primo scritto (a nostra conoscenza) in cui Gramsci accenni esplicitamente [...]

[...]e riprende l'indagine sul X canto il suo pensiero subito ricorre a Umberto Cosmo, col quale svolge un'affettuosa ma ferma polemica, al quale invia la « nota dantesca » e che vorrebbe rivedere per poter impegnare ancora qualcuna « di quelle discussioni che facevamo talvolta negli anni di guerra passeggiando di notte per le vie di Torino » 2. Appunto agli ultimi tempi della prima guerra mondiale risale il primo scritto (a nostra conoscenza) in cui Gramsci accenni esplicitamente a questa questione.
Se ne ricorda Gramsci una decina d'anni dopo la sua comparsa sull'Avanti!, in carcere: « nel 1918, in un " Sotto la mole " intitolato
1 L. C., p. 82.
2 L. C., pp. 1323.
124 1 documenti del convegno
Il cieco Tiresia è pubblicato un cenno dell'interpretazione data in queste note della figura di Cavalcante 1 ».
Lo spunto a quel corsivo era stato offerto dalla notizia che un ragazzo di un paesello delle Marche, e una fanciulla ricoverata nella Pia Casa Cottolengo, erano diventati ciechi appena dopo aver profetato che la guerra sarebbe finita entro il 1918. Non passava anno dallo scoppio della guerra, osservava Gr[...]

[...].
124 1 documenti del convegno
Il cieco Tiresia è pubblicato un cenno dell'interpretazione data in queste note della figura di Cavalcante 1 ».
Lo spunto a quel corsivo era stato offerto dalla notizia che un ragazzo di un paesello delle Marche, e una fanciulla ricoverata nella Pia Casa Cottolengo, erano diventati ciechi appena dopo aver profetato che la guerra sarebbe finita entro il 1918. Non passava anno dallo scoppio della guerra, osservava Gramsci, senza che qualcuno, frate o laico, non profetasse la fine imminente del conflitto: « una profezia all'anno, una pace all'anno ». Ma in questo caso (continua Gramsci), dell'uso non certo disinteressato si è impadronito lo spirito popolare, e l'ha abbellito « della ingenua poesia che vivifica le sue creazioni spontanee. La qualità di profeta fu ricongiunta con la sventura della cecità... Il bambino di °stria, la fanciulla della Pia Casa Cottolengo, sono appunto due canti della poesia popolare: poesia, niente altro che poesia ».
Ma lo spirito popolare si ricongiunge sempre, se pure inconsciamente, a una secolare tradizione, di folklore e letteraria, nella quale « il dono della previsione è sempre connesso con l'infermità attuale del veggente, che mentre ve[...]

[...]stria, la fanciulla della Pia Casa Cottolengo, sono appunto due canti della poesia popolare: poesia, niente altro che poesia ».
Ma lo spirito popolare si ricongiunge sempre, se pure inconsciamente, a una secolare tradizione, di folklore e letteraria, nella quale « il dono della previsione è sempre connesso con l'infermità attuale del veggente, che mentre vede il futuro non vede l'immediato presente, perché cieco » z.
Ed è una connessione, nota Gramsci, che « implica un principio di pensiero di giustizia » , « compensazione ineluttabile che la natura domanda alle sue concessioni » : una enorme esperienza » umana si racchiude quindi in questo rapporto fra qualità profetiche e cecità, una esperienza che se solo « la tradizione popolare poteva riuscire a provare e concretare », raggiunge anche la poesia vera e propria, la poesia colta.
Si veda il mitico Tiresia: primo passo dell'affiorare alla cultura di questa esperienza antica e collettiva. La « limpida chiarità del suo pensiero era chiusa in un corpo opaco » : e già in questo riflette lo s[...]

[...]glio essere morto. Egli non conosce il presente: vede il futuro e nel futuro il figlio è morto: nel presente? Dubbio torturante, punizione tremenda in questo dubbio, dramma altissimo che si consuma in poche parole ».
2. La « nota dantesca » del '29 si trova dunque in nuce nel corsivo dell'Avanti!. Ma già allora era un punto di arrivo di una ricerca precedente e di una intuizione fruttuosa. Ma è possibile stabilire con certezza il momento in cui Gramsci comincia a interessarsi al X canto e alla questione ad esso collegata?
Gramsci stesso, sia nelle Lettere che nei Quaderni, cerca di ricostruirne la storia, dalle soglie del periodo univesitario. E ricorda che l'argomento era stato tema di discussioni « negli anni passati », mentre a proposito di uno dei problemi che, come vedremo, stanno proprio al centro dell'indagine, il problema dell'inespresso, egli si rifà al corso di storia dell'arte tenuto da Toesca nel 1912, oltre, in genere, all'autorità e all'insegnamento di Cosmo: « Ricardo che la prima volta pensai a quella interpretazione leggendo il ponderoso lavoro di Isidoro Del Lungo sulle Cronache fiorentine di Dino Co[...]

[...]tre, in genere, all'autorità e all'insegnamento di Cosmo: « Ricardo che la prima volta pensai a quella interpretazione leggendo il ponderoso lavoro di Isidoro Del Lungo sulle Cronache fiorentine di Dino Compagni, dove il Del Lungo per la prima volta fissò la data della morte di Guido Cavalcanti » 1.
Si tratta dell'opera Dino Compagni e la sua Cronica (la cui terza parte era apparsa nel 1887): ma la relazione è ancora indiretta perché, come nota Gramsci, il Del Lungo non aveva collegato la datazione della morte di Guido con il X canto 2. Benché sia impossibile stabilire la data esatta della lettura gramsciana, essa è comunque anteriore al 1918. La definizione del problema si ha invece con sicurezza, sempre per ammissione di Gramsci, quand'egli può leggere La poesia di Dante di Croce.
1 L. C., p. 166.
2 L. V. N., p. 18.
126 I documenti del convegno
Quando? Anche questo è difficile stabilirlo. Tra i libri del carcere si trova la terza edizione dell'opera crociana, del 1922. A Turi il volume deve per forza essere entrato dopo il luglio del 1928, un anno prima dei primi appunti sulla questione. Ma se si tiene presente che dell'argomento egli aveva parlato in una lettera di « molto tempo » anteriore a quella citata del 26 agosto 1929, e che in quest'ultima è già ben definita la prospettiva critica dell'indagine 1, si può[...]

[...]gli ha permesso di modificare la prospettiva critica precedente, spingendolo a rivedere e a riprendere l'argomento.
Si veda nella citata lettera alla cognata: « recentemente e da altro
punto di vista ripensai a questo spunto, leggendo il libro di Croce sulla poesia di Dante, dove l'episodio di Cavalcante è accennato in modo da far capire che non si tiene conto del "contrappunto" di Farinata » 2.
Fissata in tal modo la propria visuale critica, Gramsci intensifica la lettura di saggi su Dante: La vita di Dante di Cosmo, gli studi desanctisiani, articoli e scritti di Russo, del Romani, di Barbi, Morello ecc.3. Il riassunto della « nota dantesca » lo invia poi alla cognata, perché lo sottoponga al Cosmo, due anni dopo il primo annuncio, con la lettera del 21 settembre 1931. La risposta di Cosmo gli arriverà l'anno seguente e ne dà ricevuta con la lettera del 21 marzo 1932. La risposta è trascritta. nei Quaderni, insieme a una sua rapida riserva 4: altri problemi lo occupano e la salute sempre piú malferma lo costringe a concentrare le forze s[...]

[...]tore G. C. Sansoni, Firenze, 1933 »): « Non so resistere alla tentazione di avere questo lavoro, anche se non sarò in grado, ancora per qualche mese, di studiarlo » 5.
1 L. C., p. 82.
2 L. C., p. 166.
3 L. C., p. 143 e L. V. N., p. 34 passim.
A L. V. N., p. 43.
L. C., p. 224.
Rino Dal Sasso 127
Il volumetto lo ricevette e quasi certamente lo lesse, ma crediamo con certa delusione.
3. Per circa vent'anni, dunque, restò vivo l'interesse di Gramsci verso il X canto e i problemi che da esso vedeva sorgere. Amore per Dante? Non di questo si trattava. Conviene anzi chiarire subito il pensiero di Gramsci a questo proposito, perché investe un atteggiamento proprio di gran parte della cultura ufficiale e accademica negli ultimi, decenni dell'ottocento. È questo anzi un momento della polemica antipositivistica di Gramsci, condotta su una piattaforma ideale e metodologica che non è quella crociana, ma quella del marxismo; ed è un momento della sua ricerca sulla formazione dello spirito pubblico in Italia. Non pochi sono i legami con la polemica « antibrescianesca ». Ma si veda. Amore per Dante? « Chi legge Dante con amore? I professori rirnminchioniti che si fanno delle religioni di un qualche poeta o scrittore e ne celebrano degli strani riti filologici, lo penso che una persona intelligente e moderna deve leggere i classici in generale con un certo " distacco", cioè solo per i loro valori estetici, mentre 1"[...]

[...] del convegno
su Leopardi: il cui « pessimismo » ora non gli pare privo di carattere rivoluzionario. Leopardi, scrive, vive « in forma estremamente dramma tica la crisi di transizione verso l'uomo moderno; l'abbandono critico delle vecchie concezioni trascendentali senza che ancora si sia trovato un ubi consistam morale e intellettuale nuovo... » 1.
Ma, per tornare ai nostri « dantisti », ogni volta che gli tocca di accennare alla sua « nota » Gramsci non manca di mettere in rilievo la loro vecchiaia e insussistenza culturale: ché altro non può essere un atteggiamento ammirativo e quindi una adesione a valori ideali morti da secoli. La sua polemica si concreta poi nei confronti di due rappresen tanti della « critica storica » e del dantismo ufficiale i quali, sebbene assai diversi per carattere e quanto a probità di studiosi, si incontrano non del tutto casualmente nell'insensibilità verso i valori del pensiero moderno.
Il primo è proprio Umberto Cosmo, del quale Gramsci legge in carcere La vita di Dante: « Devo dire che ne ho tratto meno[...]

[...]le: ché altro non può essere un atteggiamento ammirativo e quindi una adesione a valori ideali morti da secoli. La sua polemica si concreta poi nei confronti di due rappresen tanti della « critica storica » e del dantismo ufficiale i quali, sebbene assai diversi per carattere e quanto a probità di studiosi, si incontrano non del tutto casualmente nell'insensibilità verso i valori del pensiero moderno.
Il primo è proprio Umberto Cosmo, del quale Gramsci legge in carcere La vita di Dante: « Devo dire che ne ho tratto meno soddisfazione di quanto credessi, per varie ragioni, ma specialmente perché ho avuto l'impressione che la personalità scientifica e morale del Cosmo abbia subIto un processo di disfacimento. Deve essere diventato terribilmente religioso nel senso positivo della parola » 2.
La risposta di Cosmo deve essere stata addolorata e risentita se Gramsci tiene a precisargli che non intendeva « neanche pensare un giudizio su di lui che ponesse in dubbio la sua rettitudine, la dignità del suo carattere, il suo senso del dovere ».
Il giudizio rifletteva, infatti, l'impressione che le ultime pagine del volume del Cosmo, soprattutto, avevano suscitato in lui, tanto piú che lo ricordava come un uomo moderno, schierato sulla medesima trincea della sua battaglia culturale e morale: « Mi pareva che tanto io come il Cosmo, come molti altri intellettuali del tempo (si può dire nei primi quindici anni del secolo), ci trovassimo su un terreno comune che [...]

[...]velata o positiva o mitologica o come altrimenti si vuol dire ».
Le ultime pagine della Vita di Dante di Cosmo indicano invece come il suo autore si sia allontanato di molto da quel « terreno comune » : indicano adesione a quanto di mistico vi è nel mondo dantesco e addirittura concludono con un'invocazione all'al di là. Il fatto che tali pagine siano, forse, state dettate da entusiasmo verso il « divino poeta » non nega, anzi conferma, la tesi gramsciana che l'adorazione di un classico diviene adesione al suo contenuto ideologico ed è possibile per una sostanziale debolezza ideologica e filosofica dello studioso. Come era possibile, con tale cultura pronta a ogni cedimento, riformare moralmente e intellettualmente un paese come il nostro, malato da secoli proprio di insicurezza ideale, e di profondo scetticismo? Né a Gramsci pareva, dun que, un caso che il vecchio professore avesse accettato di compilare, insieme a un fervente cattolico, il Gerosa, « un'antologia di scrittori latini dei primi secoli della Chiesa per una casa editrice cattolica » 1. Tutto ciò, naturalmente, non vietava a Gramsci di sottoporre al Cosmo la sua nota affinché, « come specialista in danteria », gli sappia dire se ha fatto « una falsa scoperta o se veramente meriti la pena di compilarne un contributo, una briccica da aggiungere ai milioni e milioni di tali note che sono già state scritte » 2.
Gramsci infatti, anche se lo giudica malato « un po' della malattia professionale dei dantisti » 3, continua a stimare il Cosmo. La sua polemica si rivolge dunque contro una mentalità, contro un vizio proprio della cultura italiana. E anzi, per il timore di dar credito egli medesimo a tale malattia, ritrae subito anche il progetto di compilare un contributo « dantesco » : « La letteratura dantesca è cosí pletorica e prolissa che l'unica giustificazione a scrivere qualcosa in proposito mi pare sia quella di dire qualcosa di veramente nuovo, con la maggior possibile precisione e con il minimo di parole[...]

[...]ia quella di dire qualcosa di veramente nuovo, con la maggior possibile precisione e con il minimo di parole possibili » , mentre sua intenzione, data anche l'impossibilità di profittare dell'apparato bibliografico necessario, è di scrivere qualcosa per proprio conto, « per passare il tempo » 4,
1 L. C., p. 132.
2 L. C., p. 138.
3 L. C., p. 1734.
4 L. C., p. 1734.
Rino Dal Sasso 131
pattuglia piú guerrafondaia, interventista e sciovinista: Gramsci ne parla in altra occasione, a proposito del soprannome che questo eroe si era scelto: Rastignac. E precisamente ne park là dove esamina l'origine dei nicciani italiani. Costoro, si chiede, derivano davvero la loro concezione o il loro atteggiamento nicciani dalla lettura e dalla conoscenza di Nietzsche? Sono davvero, queste concezioni «superumane », il prodotto « di una elaborazione di pensiero da porsi nella sfera della " alta cultura ", oppure [hanno) origini molto piú modeste.. per esem pio connesse con la letteratura d'appendice? »
Lo pseudonimo di questo nicciano denuncia proprio tale [...]

[...]ani dalla lettura e dalla conoscenza di Nietzsche? Sono davvero, queste concezioni «superumane », il prodotto « di una elaborazione di pensiero da porsi nella sfera della " alta cultura ", oppure [hanno) origini molto piú modeste.. per esem pio connesse con la letteratura d'appendice? »
Lo pseudonimo di questo nicciano denuncia proprio tale origine, mentre la sua mentalità curiosa e rodomontica si può documentare proprio dal volume su Dante, da Gramsci diffusamente esaminato nei Quaderni. Ci limitiamo a riassumere i tratti salienti. I1 Morello comincia affermando di essere in possesso della « debita preparazione» 2 per « leggere ed intendere la Divina Commedia, senza smarrirsi nei labirinti delle vecchie congetture, che la incompleta informazione storica e le deficiente disciplina intellettuale3 gareggiavano nel costruire e rendere inestricabili ». A Gramsci non è difficile dimostrare « che egli ha letto superficialmente lo stesso canto decimo e non ne ha compreso la lettera piú evidente » 4.
La prima tesi del Morello è che il canto decimo è « per eccellenza politico ». Al che Gramsci ribatte che « il canto decimo è politico come politica è tutta la Divina Commedia, ma non è politico per eccellenza. Ma al Morello questa affermazione fa comodo per non affaticare le meningi; poiché egli si reputa grande uomo politico e grande teorico della politica ».
La seconda perla raccolta da Gramsci è la spiegazione data dal Morello dell'impassibilità di Farinata mentre Dante e Cavalcante parlano fra di loro. Morello sostiene che Farinata resta immobile e impassibile « perché ignora la persona di Guido », « perché ignora che Guido ha stretto matrimonio con sua figlia » e perché è morto quando Guido aveva
1 L. V. N., p. 122.
2 Il corsivo è di Gramsci.
3 Il corsivo è di Gramsci.
' Tutti i brani riferiti sul Morello in L. V. N., pp. 3842. I corsivi sotto di Gramsci.
132 I documenti del convegno
sette anni. « Se è vero (continuava il Morello) che i morti non possono conoscere da sé i fatti dei vivi, ma soltanto per mezzo delle anime che
li avvicinano, o degli angeli o dei demoni, Farinata può non conoscere la sua parentela con Guido e rimanere indifferente alle sorti di lui, se nessuna anima o nessun angelo o demone gliene abbian portata notizia. Cosa che non pare avvenuta » .
Il « brano è strabiliante », scrive Gramsci: non è infatti vero che gli eresiarchi ignorano i fatti dei vivi. Essi ignorano solo i fatti « che si approssimar e son », cioè il p[...]

[...]ocumenti del convegno
sette anni. « Se è vero (continuava il Morello) che i morti non possono conoscere da sé i fatti dei vivi, ma soltanto per mezzo delle anime che
li avvicinano, o degli angeli o dei demoni, Farinata può non conoscere la sua parentela con Guido e rimanere indifferente alle sorti di lui, se nessuna anima o nessun angelo o demone gliene abbian portata notizia. Cosa che non pare avvenuta » .
Il « brano è strabiliante », scrive Gramsci: non è infatti vero che gli eresiarchi ignorano i fatti dei vivi. Essi ignorano solo i fatti « che si approssimar e son », cioè il presente e l'immediato passato. Ma « nei personaggi di un'opera d'arte, andare a cercare le intenzioni oltre la portata della espressione letterale dello scritto... è proprio da dilettante ». Il Morello « pensa realmente alla vita concreta d'i Farinata nell'inferno oltre il canto di Dante, e pensa persino poco probabile che i demoni o gli angeli abbiano potuto, a tempo perso, informare Farinata di ciò che gli era ignoto. È la mentalità dell'uomo del popolo che qua[...]

[...]otuto, a tempo perso, informare Farinata di ciò che gli era ignoto. È la mentalità dell'uomo del popolo che quando ha letto un romanzo vorrebbe sapere che cosa hanno fatto ulteriormente tutti i personaggi »; mentalità ben adatta alle pseudonimo morellesco; e in sé non sarebbe certo gran male se non fosse accolta a braccia aperte dalla cultura ufficiale. Ma tralasciamo le altre « superficialità e contraddizioni » del Morello. Che cosa ne conclude Gramsci?
All'inizio della scheda dei Quaderni, nello stendere lo schema della nota dantesca, scrive: « Lettura di Vincenzo Morello come corpus vile » . Il Morello è dunque un caso limite. Ma quanto accreditato lo stesso Gramsci neppure sospettava. La sua « strabiliante » conferenza è stata letta alla « Casa romana di Dante ». E se Gramsci afferma che « Rastignac conta meno che un fuscello nel mondo culturale ufficiale » 1, come, si chiede sempre Gramsci, fu permessa la lettura? Non ci vuole davvero « rnolta bravura per mostrarne l'inettitudine e la zerità». Ma intanto essa fu accolta con favore. Gramsci si domandava: « Come è stata giudicata la conferenza dai dantisti? Ne ha parlato 11 Barbi... per mostrarne la deficienza? » 2. Sí, il Barbi ne ha parlato, ma non proprio per mostrarne la deficienza. Nel volumetto che, nella lettera del 3 aprile del 1933, Gramsci chiedeva con tanto calore, egli avrebbe trovato motivo ulteriore
1 L. V. N., p. 45.
2 L. V. N., p. 45.
Rino Dal Sasso 133
di sconforto o di riso. dl Barbi infatti, proprio in quel volume, non esitava a elogiare « l'autorità del naine e l'abilità del critico », sino a definire lo scritto del Morello « lettura bella ed eloquente» 1.
Cosí, allorché scriveva che « il modo migliore di presentare questeosservazioni sul canto decimo pare debba essere proprio quello polemico, per stroncare un ,filisteo classico come Rastignac, per dimostrare, in modo drammatico e fulminante e sia pure demagogico[...]

[...]a bella ed eloquente» 1.
Cosí, allorché scriveva che « il modo migliore di presentare questeosservazioni sul canto decimo pare debba essere proprio quello polemico, per stroncare un ,filisteo classico come Rastignac, per dimostrare, in modo drammatico e fulminante e sia pure demagogico, che i rappresentanti di un gruppo sociale subalterno possono fare le fiche, scientificamente e come gusto artistico, a ruffiani intellettuali come Rastignac »2, Gramsci trascina nella condanna una porzione non modesta né di scarso rilievo della cultura italiana, e non solo un caso limite. Questo è il primo contenuto critico della « nota » gramsciana, che coincide con la sua. battaglia ideale, culturale e politica piú generale. Alla cultura retorica dominante per decenni nel nostro paese (e certo neppure ora, anche se travestita, scomparsa), che di Dante stesso ha fatto un mito, spesso senza comprenderlo nella lettera, una specie di icone mummificata, Gramsci contrappone la funzione rinnovatrice e moderna della classe operaia, la visione critica e scientifica di cui è portatrice.
5. Anche il crocianesimo aveva condotto una dura battaglia contro la_ « scuola storica », sulla base di una metodologia critica e dialettica. Era. logico quindi che, anche su questo terreno, Gramsci si incontrasse con_ Benedetto Croce. E comincia col chiedersi: il metodo crociano porta. a risultati migliori, anche nel caso particolare del X canto, della scuola storica? E cioè, ricostruisce con maggiore verità e aderenza il mondo, sensibile e storico del poeta, sa interpretare con maggiore rispetto il linguaggio stesso con cui si esprime? Nel caso del X canto, l'interpretazione crociana si differenzia dai precedessori? No. Come anche il De Sanctis, e come gli eruditi della scuola storica, se pure sulla base di diversi principi e metodologie, anche il Croce vede il X canto come il canto di[...]

[...]a la mente di Dante. Dal verso 100 al verso 108 Farinata si fa, appunto, pedagogo, come diceva De Sanctis. Oppure, per dirla con le parole di Croce, quel « che tien dietro » alla profezia dell'esilio «dettato da ragioni strutturali... non ha intima vita » 2. È davvero cosí? O piuttosto la didascalia detta da Farinata illumina e Chiarisce un dramma che si è compiuto poco prima nel volgere di un dialogo fulmineo? E questa la
piccola scoperta » di Gramsci. Al Croce (non meno che alla scuola storica) era sfuggito il significato letterale e drammatico del X canto. È sfuggito Che questo canto non contiene un dramma solo, quello di Farinata, ma due: di Farinata e di Cavalcante. E anzi è sfuggito che se non vi fosse Cavalcante mancherebbe un elemento fondamentale della struttura del poema: il sesto cerchio, infatti, risulterebbe privo della legge del contrappasso: « E strano che l'ermeneutica dantesca, pur cosí minuziosa e bizantina, non abbia mai notato che Cavalcante è il vero punito tra Lli epicurei delle arche infuocate, dico il punito di puniz[...]

[...]ar fiorentino si solleva per sapere se Guido è vivo o morto in quel momento... Il dramma diretto di Cavalcante è rapidissimo, ma di una intensità indicibile. Egli subito domanda di Guido e spera che egli sia con Dante, ma quando da parte del poeta, non informato della pena, sente " ebbe ", il verbo al passato, dopo un grido straziante, " supin ricadde, e piú non parve fuori" » 2.
Farinata partecipa indirettamente a questo dramma o, come avverte Gramsci, avendo in « gran dispitto » le stesse leggi infernali. Vi partecipa, però, per quanto lo consente la sua figura. E con molto acume, in
1 L. C., p. 141.
2 L. C., p. 142.
10.
136 .1 documenti del convegno
vagii spunti Gramsci indica il rapporto figurativo tra Farinata e Caval cante: « esplicitamente, dopo l'" ebbe ", Dante contrappone Farinata a Cavalcante nell'aspetto fisicostatuario che esprime la loro posizione morale; Cavalcante cade, si affloscia... Farinata " analiticamente " non muta aspetto né muove collo né piega costa ».
E vi partecipa, oltre Che figurativamente, dal punto di vista narrativo: caduto Cavalcante, Farinata profetizza l'esilio di Dante, dimostrando cosí di vedere nel futuro e non nel presente. Appunto cosí, anzi, la curiosità di Dante viene maggiormente appagata. Vi partecipa, infine, quand[...]

[...] reale valore artistico. Non si è, compreso il significato medesimo dell'apparizione di Cavalcante: la critica storica fissandosi a disquisire sul disdegno » di Guido, divenuto « il centro delle ricerche di tutti i fabbricanti di ipotesi e di contributi »; la critica estetica assumendo la figura di Cavalcante per il suo contrappunto figurativo con la scultorea fermezza di Farinata, senza coglierne l'autonoma validità poetica. In realtà, conclude Gramsci, il momento strutturale del canto è profondamente collegato con quello poetico. La distinzione crociana di poesia e non poesia cade, nel concreto di un testo. Qui, ad esempio, il momento poetico non potrebbe esprimersi senza il momento strutturale: « Dante non interroga Farinata solo per " istruirsi "; egli lo interroga perché è rimasto colpito dalla scomparsa di Cavalcante. Egli vuole che gli sia sciolto il nodo che gli impedí di rispondere a Cavalcante; egli si sente in colpa dinanzi a Cavalcante. Il brano strutturale non è solo struttura, è anche poesia, è un elemento necessario del dramma[...]

[...]oetico non potrebbe esprimersi senza il momento strutturale: « Dante non interroga Farinata solo per " istruirsi "; egli lo interroga perché è rimasto colpito dalla scomparsa di Cavalcante. Egli vuole che gli sia sciolto il nodo che gli impedí di rispondere a Cavalcante; egli si sente in colpa dinanzi a Cavalcante. Il brano strutturale non è solo struttura, è anche poesia, è un elemento necessario del dramma che si è svolto » 1.
Dante, come già Gramsci aveva scritto nel lontano corsivo del
1 L. V. N., p. 36.
Rino Dal Sasso 137
l'Avanti!, è poeta colto: le intuizioni proprie della immaginazione popo lare in lui, per forza, tendono a complicarsi. Egli a volte suggerisce il dramma, a volte la sua poesia è difficile, come in questo canto nel quale il dramma di Cavalcante, appunto « per essere compreso, ha bisogno di riflessione, di ragionamento; che agghiaccia per la sua rapidità e intensità, ma dopo esame critico ».
A Gramsci pare dunque « che questa interpretazione leda in modo vitale la tesi del Croce su la poesia e la struttura della Di[...]

[...]corsivo del
1 L. V. N., p. 36.
Rino Dal Sasso 137
l'Avanti!, è poeta colto: le intuizioni proprie della immaginazione popo lare in lui, per forza, tendono a complicarsi. Egli a volte suggerisce il dramma, a volte la sua poesia è difficile, come in questo canto nel quale il dramma di Cavalcante, appunto « per essere compreso, ha bisogno di riflessione, di ragionamento; che agghiaccia per la sua rapidità e intensità, ma dopo esame critico ».
A Gramsci pare dunque « che questa interpretazione leda in modo vitale la tesi del Croce su la poesia e la struttura della Divina Commedia. Senza la struttura non ci sarebbe poesia e quindi anche la struttura ha valore di poesia ».
6. Ma quali obiezioni potrebbero venir mosse all'interpretazione gramsciana e alle conclusioni che ne trae?
L'episodio di Cavalcante, risponderebbe il Croce, non ha intima vita appunto perché rinvia a qualcos'altro per essere capito. Se esso ha bisogno di una delucidazione successiva, di una didascalia, vuol dire che quel dramma non ha superato la fase della intenzionalità, non si è espresso poeticamente. E, quindi, che la fantasia di Dante in quel momento si è annebbiata e si è lasciata inaridire dalle esigenze strutturali: ragione di piú per affermare che la struttura è qualitativamente distinta dalla poesia. Farinata non ha bisogno della spiegazione struttural[...]

[...] di vita propria. Cavalcante, che ne ha bisogno, non è dramma vissuto ed espresso.
L'obiezione Ylà luogo all'esame di due distinti problemi: l'episodio di Cavalcante, a sé preso, è poeticamente incompiuto per l'intervento di una inibizione di carattere pratico? e quindi, la struttura, il brano strutturale, è una sovrapposizione, un di piú, inessenziale alla vita del dramma? Risponde necessariamente a ragioni pratiche?
Quanto al primo problema, Gramsci si pone in tal modo la questione: « si tratta di una critica dell'inespresso, di una storia dell'indistinto, di una astratta ricerca di plausibili intenzioni mai diventate concreta poesia, ma di cui rimangono tracce esteriori nel meccanismo della struttura » 1.
Stabilito che la incompiutezza del dramma di Cavalcante non ha la
1 L. V. N., p. 36.
138 I documenti del convegno
medesima natura delle « rinunzie descrittive », quali spesso si incontrano nel Paradiso 1, dipende essa allora da una volontaria rinunzia a rappresentare nella sua pienezza quel dramma? È avvenuto in Dante quello che ta[...]

[...]anche Farinata si rivela legato alla condanna infernale: e questo a far intendere anche il suo « gran dispitto ». Il dramma di Cavalcante è
dunque incompiuto non per povertà di fantasia e di forza creatrice, o perché sia intervenuta una preoccupazione pratica, ma perché Dante l'ha concepito in quei termini, « adoperando » il linguaggio che gli era solo possibile adoperare. Ma è possibile ricostruire e criticare una poesia
1 L. V. N., pp. 4245. Gramsci sembra aderire alla tesi del Russo che le « rinunzie descrittive » siano in realtà « espressioni piene » del sentimento di Dante.
2 L. V. N., p. 36. Corsivi di Gramsci.
3 L. C., p. 142.
4 L. V. N., p. 36.
5 L. V. N., p. 37.
Rra o Dal Sasso 139
se non nel mondo dell'espressione concreta, del linguaggio storicamente realizzato? «Dante non rinunzia a rappresentare il dramma direttamente, perché questo è appunto il suo modo di rappresentarlo. Si tratta di un " modo di espressione " e penso che i " modi di espressione " possono mutare nel tempo cosí come muta la lingua propriamente detta ».
Esempi di tale « modo di espressione » (dell'incompiuto) se ne possono trovare infiniti nell'arte del passato: Gramsci stesso, sin dalla prima lettera che abbiamo citat[...]

[...]mondo dell'espressione concreta, del linguaggio storicamente realizzato? «Dante non rinunzia a rappresentare il dramma direttamente, perché questo è appunto il suo modo di rappresentarlo. Si tratta di un " modo di espressione " e penso che i " modi di espressione " possono mutare nel tempo cosí come muta la lingua propriamente detta ».
Esempi di tale « modo di espressione » (dell'incompiuto) se ne possono trovare infiniti nell'arte del passato: Gramsci stesso, sin dalla prima lettera che abbiamo citato, credeva di dover condurre una ricerca in questo senso. Fer poter stendere « una nota di questo genere », scriveva, « dovrei rivedere una certa quantità di materiale (per esempio, la riproduzione delle pitture pompeiane) che si trova solo nelle grandi biblioteche. Dovrei cioè raccogliere gli elementi storici che provano come, per tradizione, dall'arte classica al Medioevo, i pittori rifiutassero di riprodurre il dolore nelle sue forme piú elementari e profonde (dolore materno): nelle pitture pompeiane, Medea che sgozza i figli avuti da Giason[...]

[...] che questo era un modo di esprimersi degli antichi e che Lessing nel Laocoonte (cito a memoria da queste lezioni) non riteneva ciò un artificio da impotente, ma anzi il modo migliore di dare l'impressione dell'infinito dolore di un genitore, che rappresentato materialmente si sarebbe cristallizzato in una smorfia » 1.
Fosse o meno d'accordo con questa interpretazione troppo estesa del Lessing e troppo derivata dalla sua cultura preromantica (e Gramsci certamente era restio a dar valore assoluto a un «modo di espressione » o a una data tecnica, a identificare un « soggetto » con le sue possibili espressioni); e volesse o meno suggerire, anche con la scelta degli esempi, che vi può essere stata una influenza, attraverso pari canali, su Dante proprio per questa modo di rappresentare il dolore dei genitori; in sostanza Gramsci vuol precisare che appunto quel dolore Dante rappresenta, riunendo in Cavalcante un nodo di sentimenti e di passione che può arrivare allo scioglimento e alla catarsi solo con il compiersi di quel dramma. Rappresentare i1 dolore di Cavalcante direttamente, realistica
1 L. C., p. 142.
140 I documenti del convegno
mente (naturalisticamente), forse era impossibile a Dante appunto per lo storico linguaggio artistico che gli era proprio. Ma forse piú ancora per intima ragione poetica. Cavalcante soffre il suo dramma rapidissimo perché è condannato a una certa pena: vive e soffre un dramma appun[...]

[...] Cavalcante non significa che Dante abbia rinunciato a rappresentare piú distesamente quel dramma, ma solo che lo ha espresso nel « modo » che gli era storicamente possibile; la didascalia di Farinata, che costituisce il brano strutturale vero e proprio, è invece staccata dal processo creativo? E dettata da ragioni pratiche?
7. Siamo al secondo problema cui dava luogo la possibile obiezione della critica estetica.
La soluzione, a guardar bene, Gramsci l'ha già data quando ha avvertito che Dante non interroga Farinata per « istruirsi » ma perché è « rimasto colpito dalla scomparsa di Cavalcante ». Né la didascalia è innaturale in bocca a Farinata, come sosteneva il De Sanctis: essa è resa necessaria da tutto lo svolgimento dell'episodio, dall'atteggiamento dei protagonisti, i quali tutti (Dante compreso) rimarrebbero in parte o del tutto oscuri senza quei versi. Ed è logico che sia proprio Farinata a pronunciare la didascalia, arricchendo la forza della sua figura e l'unità ispiratrice del canto.
Può aver dunque anche la didascalia un valo[...]

[...]tutto lo svolgimento dell'episodio, dall'atteggiamento dei protagonisti, i quali tutti (Dante compreso) rimarrebbero in parte o del tutto oscuri senza quei versi. Ed è logico che sia proprio Farinata a pronunciare la didascalia, arricchendo la forza della sua figura e l'unità ispiratrice del canto.
Può aver dunque anche la didascalia un valore artistico? Può rispondere a esigenze poetiche, anzi che pratiche, come assolutamente afferma il Croce? Gramsci pone il problema cosí: « quistione... delle didascalie nel dramma: le didascalie hanno un valore artistico? contribuiscono alla rappresentazione dei caratteri? In quanto limitano l'arbitrio dell'attore e caratterizzano piú concretamente il personaggio, certamente » 1.
L. V. N., p. 34. Per i brani successivi su Shaw, dr. L. C., p. 143 e L. V. N., p. 34, e passim.



da [Le relazioni] E. Garin, Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: Eugenio Garin

GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA

In un testo del 1933 Gramsci fissò i canoni per lo studio di una « concezione del mondo » die il pensatore non abbia mai « esposto sistematicamente », e quindi non sia consegnata, come tale, a un « singolo scritto o serie di scritti », ma debba essere rintracciata « nell’intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti ». In un’indagine del genere « occorre... preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso ». Si tratta[...]

[...]tezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso ». Si tratta di « identificare gli elementi divenuti stabili e 64 permanenti assunti come pensiero

proprio », distinguendoli dal materiale che è servito di stimolo, e fissando « dall’intrinseco » gli eventuali « periodi » e i possibili « scarti » \

« È osservazione comune di ogni studioso come esperienza personale, — prosegue Gramsci — che ogni nuova teoria studiata con “ eroico furore ” (cioè... non per mera curiosità esteriore ma per un profondo interesse) per un certo tempo, specialmente se si è giovani, attira di per se stessa, si impadronisce di tutta la personalità e viene limitata dalla teoria successivamente studiata finché non si stabilisce un equilibrio critico e si studia con profondità senza però arrendersi subito al fascino del sistema o delTautore studiato. Questa serie di osservazioni valgono

tanto più quanto più il pensatore dato è piuttosto irruento, di carattere

1 M. S.} p. 76.396

Le relazioni [...]

[...]di osservazioni valgono

tanto più quanto più il pensatore dato è piuttosto irruento, di carattere

1 M. S.} p. 76.396

Le relazioni

polemico e manca dello spirito di sistema, quando si tratta di una personalità nella quale l’attività teorica e quella pratica sono indissolubilmente intrecciate, di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente l’autocritica nel modo più spietato e conseguente ».

Gramsci — è noto — si riferiva a un eventuale studio su Marx: eppure ai nostri orecchi suonano indicativi proprio per uno studio sulla sua opera i suoi avvertimenti : distinguere fra scritti compiuti e pubblicati, e scritti postumi; fra lavori conclusi i(« Un’opera non può mai essere identificata col materiale bruto raccolto per la sua compilazione : la scelta definitiva, la disposizione degli elementi componenti, il peso maggiore e minore dato a questo o a quello degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sono appunto ciò che costituisce l’opera effettiva»), Delle lettere converrà usare con c[...]

[...]on cautela : « un’affermazione recisa fatta in una lettera non sarebbe forse ripetuta in un libro. La vivacità stilistica delle lettere, se spesso è artisticamente più efficace dello stile più misurato e ponderato di un libro, talvolta porta a deficienze di argomentazione; nelle lettere come nei discorsi si verificano più spesso errori logici; la rapidità maggiore del pensiero è spesso a scapito della sua solidità » 1.

È difficile pensare che Gramsci, nel ’33, quando stendeva queste pagine cosi precise, non avesse presente il proprio lavoro consegnato ad articoli, pubblicati si, ma che egli stesso considerava «provvisori»; a lettere; a quaderni d’appunti. Pensava alla fine; è del 24 luglio di quell’anno la lettera in cui fa cenno alla cognata dei lucidi discorsi pronunciati nel delirio : « ero persuaso di morire e cercavo di dimostrare l’inutilità della religione e la sua inanità ed ero preoccupato che approfittando della mia debolezza il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che mi ripugnavano e da cui non sapevo come difend[...]

[...] mia debolezza il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che mi ripugnavano e da cui non sapevo come difendersi. Pare che per un’intera notte ho parlato dell’immortalità dell’anima in un senso realistico e storicistico, cioè come una necessaria sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessarie, e come un incorporarsi di esse nel mondo di fuori » 2.

È un testo umanamente significativo, ma che documenta anche la consapevolezza di Gramsci; ed è un testo che, fra l’altro, richiama una

1 M. Sp. 78.

2 L., p. 229.Eugenio Garin

397

lettera di due anni prima, del 17 agosto 1931, molto importante ai fini della determinanzione « dall’intrinseco » dei momenti dello sviluppo del suo pensiero. Ricordando i tempi in cui era allievo di Umberto Cosmo dichiara che, sebbene allora non avesse «precisato la sua posizione», aveva tuttavia il senso di trovarsi su un terreno culturale comune a molti : «partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo p[...]

[...]e che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani, mi pare una conquista civile che non deve essere perduta» \

Senza dubbio era presente qui una polemica precisa contro una delle « crisi » periodiche a cui vanno soggetti gli intellettuali italiani; dopo la Conciliazione taluni « convertiti dell’idealismo crociano e gentiliano » avevano trovato che una cattedra vai bene una messa. Eppure non era solo una polemica contingente che operava in Gramsci: egli voleva definire una volta di più un tratto permanente del proprio rapporto con Croce e col movimento culturale che a lui si richiamava. In una lettera del 6 giugno del ’32 non esiterà a dichiarare, in forma nettissima, non solo una sottile convergenza fra Croce e Gentile, ma la funzione di Croce nell’Italia fascista: «la più potente macchina» per « conformare » le forze nuove italiane agli interessi del gruppo dominante, intimamente grato, >« nonostante qualche superficiale apparenza », al non a caso sempre tollerato filosofo napoletano2. È dei Quaderni la battuta sulla più stretta pare[...]

[...]olo una sottile convergenza fra Croce e Gentile, ma la funzione di Croce nell’Italia fascista: «la più potente macchina» per « conformare » le forze nuove italiane agli interessi del gruppo dominante, intimamente grato, >« nonostante qualche superficiale apparenza », al non a caso sempre tollerato filosofo napoletano2. È dei Quaderni la battuta sulla più stretta parentela di Croce con i senatori Agnelli e Benni che con Platone e Aristotele; né a Gramsci era sfuggito il parallelismo fra certi infelici discorsi di Gentile e la bonaria difesa crociana {maggio del ’24) delle « piogge di pugni, in certi casi utilmente e op
1 L., p. 132; cfr. M. S., p. 199 (« io ero [nel febbraio del *17} tendenzialmente piuttosto crociano»); L. V. N., p. 247 (dall’Avanti/, 21 agosto 1916): « accanto all’attività conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, lo spirito ha bisogno di esercitare la sua attività estetica ».

2 L., pp. 19293. Sulle « crisi » degl’intellettuali (oltre le osservazioni sul Giuliano, pubblicate in Energie Nuove,[...]

[...]ei propri fallimenti spirituali... » (con quel che segue).398

Le relazioni

portunamente somministrate», o di una funzione positiva del fascismo (luglio del ’24), per la restaurazione di un più severo regime liberale nel quadro di uno Stato forte 1. Eppure, accanto all’accusa cosi cruda di una concordia nascosta fra Croce e il fascismo — « non abbracciamento da palcoscenico, ma sempre... concordia e della più intima e fattiva » — ecco come Gramsci parla della crociana religione della libertà : « Religione della libertà significa... fede nella civiltà moderna, che non ha bisogno di trascendenze e rivelazioni ma contiene in se stessa la propria razionalità e la propria origine ».

Gramsci, insomma, anche quando giunse a una posizione apertamente critica, e ormai del tutto staccata, non rinnegò mai, non solo una personale esperienza crociana, ma il valore permanente di certi temi, anche se poi « in questi fatti umani — per usare le sue parole — la concordia si presenta sempre... come una lotta e una zuffa ». E chi ricerchi, oltre gli « scarti », gli « elementi stabili e permanenti », e « il ritmo del pensiero in isviluppo... più importante delle singole affermazioni casuali o degli aforismi staccati », non potrà nascondersi un costante riferimento, e magari alla fine per combat[...]

[...]e queste pagine nel ’43 (il volume fu finito il 20 marzo del ’43) il Croce annotava : « L’autore... non intende punto sottrarsi alla taccia che... gli può essere data di facile ottimismo e di non sufficiente preveggenza politica » (cfr. N. Bobbio, Politica e cultura, Torino, 1955, p. 217 e sgg.; M. Abbate, La filosofia di Benedetto Croce e la crisi della società italiana, Torino, 1955, p. 221 sgg.).Eugenio Garin

399

dubbio non era, ma che Gramsci, in quella commossa pagina in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce \ Tanto riuscì a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comune rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo.

D’altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l’aspetto o l’influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l’uso, bisognerà tener presente l’avvertenza sua, essere « il r[...]

[...]n quella commossa pagina in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce \ Tanto riuscì a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comune rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo.

D’altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l’aspetto o l’influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l’uso, bisognerà tener presente l’avvertenza sua, essere « il ritmo del pensiero in sviluppo più importante delle singole affermazioni casuali».

Al qual proposito è forse opportuna, in margine agli avvertimenti metodologici prima sottolineati, ancora qualche postilla sulla questione più volte dibattuta della frammentarietà dei Quaderni. Che Gramsci si rendesse conto del pericolo insito in essa, risulta chiaro. Come è altrettanto evidente che non gli sfuggivano le insidie deH’isolamento del carcere, che, se poteva rendere in certo modo « essenziale » la sua riflessione, rischiava anche di impoverirla. « La prigione — scrive nel ’32 a proposito di un saggio su Carlo Bini — è una lima cosi sottile, che distrugge completamente il pensiero, oppure ifa come quel mastro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco di legno d’olivo stagionato per fare una statua di san Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, fini col[...]

[...]uale egli aveva scritto con parole cosi pure, con concetti cosi ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui; era l’uomo nuovo dei nostri tempi, che tanto ancora avrebbe potuto dirci ed insegnarci. Ma la sua luce s’è spenta e noi non vediamo ancora chi per noi potrà sostituirla... ». Ne La città futura, ove pure riporta un lungo testo di Salvemini sul concetto di cultura, nel riprodurre anche un testo di Croce* Gramsci lo chiama « il più grande pensatore d’Europa in questo momento ». E più oltre (« Margini » 6), a proposito del « socialismo scientifico » di Claudio Treves, rimanda al « positivismo filosofico » (« questa concezione non era scientifica, era solo meccanica, aridamente meccanica... ne è rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico... un balocco di fatalismo positivista » ).

2 P., p. 130.400

Le relazioni

ma di lavoro tracciato cosi organicamente, e con si ampio respiro, nella ben nota lettera del 19 marzo 1927. Dell’inattuabilità di quel piano Gramsci si accorse subito : e non t[...]

[...]ocialismo scientifico » di Claudio Treves, rimanda al « positivismo filosofico » (« questa concezione non era scientifica, era solo meccanica, aridamente meccanica... ne è rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico... un balocco di fatalismo positivista » ).

2 P., p. 130.400

Le relazioni

ma di lavoro tracciato cosi organicamente, e con si ampio respiro, nella ben nota lettera del 19 marzo 1927. Dell’inattuabilità di quel piano Gramsci si accorse subito : e non tanto per gli ostacoli materiali — mancanza di libri, impossibilità di compiere indagini preliminari — ma soprattutto per la condizione « mentale » in cui era costretto («mi è molto difficile abbandonarmi completamente a un argomento o a una materia e sprofondarmi solo in essa,... come si fa quando si studia sul serio»)1. E tuttavia nella frammentarietà dei Quaderni non si traduce solo quella dispenata volontà di operare che faceva suo il motto della saggezza Zulù :

« meglio avanzare e morire, che fermarsi e morire ». Se nelle notazioni epigrammatiche si esprime l[...]

[...]cità è ricercata non in una esterna struttura architettonica ma nell'intima coerenza e feconda comprensività di ogni soluzione particolare. Il pensiero filosofico non è concepito quindi come uno svolgimento — da pensiero altro pensiero — ma pensiero dalla realtà storica ».Eugenio Garin

401

rimare a sognare, e rimandare l’azione al momento della 66 grande cosa ” » \

L’esigenza del concreto contro ogni residuo « aroma speculativo » portò Gramsci a insistere sui metodi della « filologia », sul determinatissimo «certo» 2. Scrive a Berti, nel ’27, contro «le idee geniali»: « penso che la genialità debba essere mandata nel 64 fosso ” e debba invece essere applicato il metodo delle esperienze più minuziose » 3. E la ricerca, minuziosa insieme e dùttile, la notazione precisa, venne a trovare un modo espressivo congeniale nella breve nota, nell’appunto rapido, che tuttavia rimanda di continuo a una fondamentale unità d’orientamento. Ove non si vuol già negare la presenza, nei Quaderni, di non pochi testi ancora informi; si vuol rifiutare la[...]

[...]lo stesso tempo. La filosofia della prassi è la concezione storicistica della realtà, che si è liberata da ogni residuo di trascendenza e di teologia anche nella loro ultima incarnazione speculativa; lo storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologicospeculativa ».

3 L., p. 41.

4 Quaderni della Critica, 10, 1948, pp. 789.402

Le relazioni

Non diverso discorso dovrà farsi, del resto, a proposito delle altre opere del Gramsci: le lettere, e, innanzitutto, gli articoli del periodo anteriore all’arresto. Di essi è noto i1 giudizio che l’autore dette nel settembre del 1931 : pagine « scritte alla giornata » e, come tali, destinate a « morire dopo la giornata » 1. In realtà, di nuovo, la forma espressiva è solidale con un modo d’intendere la funzione dello scritto, anzi del pensiero, della riflessione; e, se si vuole usare il termine grave, della filosofia. In una delle sue osservazioni più acute Gramsci cercherà di chiarire il senso di una conversione « non speculativa » della filosofia nella storia: ed è un testo da[...]

[...]to, gli articoli del periodo anteriore all’arresto. Di essi è noto i1 giudizio che l’autore dette nel settembre del 1931 : pagine « scritte alla giornata » e, come tali, destinate a « morire dopo la giornata » 1. In realtà, di nuovo, la forma espressiva è solidale con un modo d’intendere la funzione dello scritto, anzi del pensiero, della riflessione; e, se si vuole usare il termine grave, della filosofia. In una delle sue osservazioni più acute Gramsci cercherà di chiarire il senso di una conversione « non speculativa » della filosofia nella storia: ed è un testo da tener presente per intendere anche la vicinanza e la lontananza della concezione gramsciana da identificazioni apparentemente analoghe proposte in sede idealistica : l’identità filosofiastoria « porta alla conseguenza che occorre negare la 66 filosofia assoluta ” o astratta e speculativa, cioè la filosofia che nasce dalla precedente filosofia e ne eredita i “ problemi supremi ” cosi detti, o anche solo il 66 problema filosofico ”, che diventa pertanto un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determinati problemi della filosofia. La precedenza passa... alla storia reale dei mutamenti dei rapporti sociali, dai quali quindi... sorgono (o sono presentati) i problemi c[...]

[...]ilosofia è “ storia ”, se la filosofia si sviluppa perché si sviluppa la storia generale del mondo (e cioè i rapporti sociali iin cui gli uomini vivono), e non già perché a un grande filosofo succede un più grande filosofo e cosi via, è chiaro che lavorando praticamente a fare storia, si fa anche filosofia... » 2.

Commentare questo testo fino in fondo, seguirne la genesi e discuterne il senso, porterebbe ad un’analisi completa del pensiero di Gramsci, che a me non compete: sarebbe necessario infatti seguire il maturare della sua riflessione attraverso la lotta politica, che lo portò a leggere, o a rileggere con occhi resi diversi da eventi decisivi, le pagine medesime di Marx3. Ma in tale prospettiva, e nel modo d’intendere il filosofo

1 L., p. 137 (sulla «frammentarietà», pref. a M. S., pp. XIXXX).

2 M. S., pp. 2334.

3 Sono da rileggere gli articoli del ’18, quali «La critica critica» (Il grido del popolo, 12 gennaio 1918): «la nuova generazione pare voglia ritornare alla genuina dottrina di Marx, per la quale l’uomo e la realtà[...]

[...]impostazione delle vicende degli intellettuali italiani : tutta la sua storia della filosofia, della cultura; anzi, a un certo punto, tutta la storia italiana cercata nel concreto degli individui pensanti e operanti, pensanti in quanto operanti, e capaci di rendersi conto, e di rendere conto in precise proposizioni teoriche volte a suscitare nuove azioni.

Comunque a qualche conclusione preliminare sembra possibile giungere circa il linguaggio gramsciano : e respinta la tesi degli « inconditi abbozzi », degli articoli di giornale occasionali, e delle lettere edificanti, sarà da considerarsi con cautela anche il concetto di una frammentarietà dovuta a una situazione anormale di lavoro, concetto in cui rischia di insinuarsi l’idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l’elaborazione del periodo dal ’27 in poi e l’attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a q/uello dell’azione: opera di storico succeduta a quella[...]

[...]una situazione anormale di lavoro, concetto in cui rischia di insinuarsi l’idea di una non organicità, e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sarà da accettare un netto distacco fra l’elaborazione del periodo dal ’27 in poi e l’attività precedente, quasi di un momento di pensiero posteriore a q/uello dell’azione: opera di storico succeduta a quella del politico. Senza dubbio uno sviluppo nel pensiero gramsciano è innegabile: nessuno potrebbe porre mai sullo stesso piano l’articolo del Grido del popolo in morte di Renato Serra e i testi dei Quaderni su Croce. Ma si tratta di una chiara linea di approfondimento, non della verifica di una dialettica di tipo crociano fra un pensiero e un’azione fra loro « distinti ». La saldatura di teoria e pratica, di pensiero e azione, fu anzi in Gramsci, a un certo momento, cosi « realmente » raggiunta che, come i suoi più energici articoli òelYOrdine Nuovo mettono efficacemente e criticamente a fuoco le questioni del momento in cui operano, cosi, quanto più profondo sembra farsi il suo ironico distacco1, tanto più aderente si rivela il suo pensiero al moto delle cose, più pertinenti le osservazioni, più legate alle vicende effettuali: unitarie nell’ispirazione, puntualizzate nello scarno linguaggio di una nota. Cosi fu costantemente partecipe al dibattito culturale anche nel momento della sua segregazione e lo segui fin negli aspetti margin[...]

[...]arx, letture di Lenin, e, soprattutto, esperienze decisive.

1 L., p. 58.404

Le relazioni

allora effettivamente significativa da noi: con l’interpretazione della storia d’Italia elaborata sotto la spinta dello storicismo crociano. Ai qual proposito, forse, non giova molto chiedersi se per avventura altre voci, soffocate dalla cosiddetta rinascita idealistica, fossero più importanti, e meritassero maggiore attenzione e più equo giudizio. Gramsci non intendeva fare opera di ricercatore erudito: la sua concezione del pensatore e dello storico lo impegnava in una situazione concreta, a scelte reali. E se, oggi, noi possiamo spesso considerare con occhio distaccato non poche impostazioni e valutazioni che ancor ieri sembravano dominanti; se, a un certo punto, anche i famosi « conti con Croce » si possono supporre un capitolo chiuso della storia dèlia nostra cultura — ma non so, per ora, quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all’esaurimento dall’interno di tante tesi ha dato proprio l’analisi[...]

[...]li. E se, oggi, noi possiamo spesso considerare con occhio distaccato non poche impostazioni e valutazioni che ancor ieri sembravano dominanti; se, a un certo punto, anche i famosi « conti con Croce » si possono supporre un capitolo chiuso della storia dèlia nostra cultura — ma non so, per ora, quanto sarebbe serio il farlo — non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all’esaurimento dall’interno di tante tesi ha dato proprio l’analisi gramsciana, la quale, sottolineando con singolare energia la solidarietà di certi ideali e di certe visioni con una situazione, ha aperto la strada ad altre scelte e ad altre possibilità. E come sul terreno dottrinale a un certo Hegel, a un certo Marx, a un certo Labriola er magari, a un certo Machiavelli, oppose un’altra possibilità interpretativa, cosi a un 'altra storia d’Italia volle saldare un’altra azione politica. Alla linea nazionalretorica, più che storicistica idealistica, più che religiosa clericale, più che liberale conservatrice, e più che conservatrice fascista, intese opporre un’Italia[...]

[...]zione veramente operante in Italia (e non a caso era tale), veramente potente, e con essa si impegnò: ne prese talora il linguaggio, vide l’ambito della sua validità, non ne sottovalutò né l’importanza, né la forza, né le conquiste reali. Oggi può sembrare che sulla linea RomagnosiCattaneo ci fosse una forza teorica più robusta: e può darsi1; ma in un’Italia non a caso culturalmente

1 Gobetti, nel ’24, indicava fra « i maestri più diretti del Gramsci » Salvemini, del Cattaneo grande ammiratore (editore, nel ’22, presso il Treves, di una antologia molto significativa). Che, per vie mediate, il « positivo » diEugenio Garin

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crociana e gentiliana, che. aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall’intrinseco » certe posizioni, ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola : ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte[...]

[...] di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che è vivo da ciò che è morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.

La rottura con una certa tradizione e la lotta per un’altra Italia, si configurano cosi — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella, stessa storia d’Italia : rappresentano la vittoria di forze vitali, di possibilità positive contro soluzioni esaurite: e sono, perciò stesso, non più parziali, ma veramente rispondenti all’aspirazione di tutta l’Italia, di tutta la sua storia, di tutto il suo popolo. Come non ricordare l’articolo pubblicato nel ’19 sull’Ordine Nuovo, a proposito dei rivoluzionari russi1: « hanno sistemato in organismo complesso e agilmente articolato la... vita più intima [del popolo}, la sua tradizione e la sua storia spirituale e sociale più profonda... Hanno rotto col passato, [...]

[...] sviluppato e arricchito una tradizione... In ciò sono stati rivoluzionari » in quanto hanno rivelato» al popolo che « il nuovo Stato era il suo Stato, la sua vita, il suo spirito, ia sua tradizione ». La rivoluzione non va mai contro il moto storico : è il punto in cui il processo rompe gli argini che lo volevano chiudere, in cui gli istituti già elaborati come strumenti si irrigidiscono in barriere: è veramente, per usare ancora un’espressione gramsciana, la

Carlo Cattaneo (per usare la distinzione del Labriola fra « positivo » e « positivistico » ) passasse in Gramsci, è comprensibile. Ma una meditazione approfondita non risulta; il nome di Cattaneo (« giacobino con troppe chimere in testa »,

come lo chiama in una lettera nel ’31) compare nei volumi delle opere una diecina di volte circa, e sempre in riferimenti generici, che, come nel caso de La

città, mostrano un desiderio di letture piuttosto che letture già fatte. Certo,,

acuto com’era, Gramsci si rese ben conto che anche in posizioni legate al « positivismo » non mancavano temi fecondi (basterebbero i richiami a Vailati, l’accenno alla teoria della « previsione » in Limentani ecc.). Ma la sua battaglia era altrove.

1 O. N., pp. 78.406

Le relazioni

«protesta del divenire storico contro ogni irrigidimento e ogni impaludamento del dinamismo sociale ». E prosegue : « la critica marxista alla economia liberale è la critica al concetto di perpetuità degli istituti umani economici e politici; è la ridiuzione a storicità e contingenza di ogni fatto, è una lezione di realismo agli[...]

[...]e.

1 O. N., pp. 78.406

Le relazioni

«protesta del divenire storico contro ogni irrigidimento e ogni impaludamento del dinamismo sociale ». E prosegue : « la critica marxista alla economia liberale è la critica al concetto di perpetuità degli istituti umani economici e politici; è la ridiuzione a storicità e contingenza di ogni fatto, è una lezione di realismo agli astrattisti pseudoscienziati».

Non è facile staccarsi da questi testi gramsciani, cosi limpidi e precisi, sul processo storico come effettiva conquista di libertà, contro ogni mistificazione del socialismo, contro ogni esperantismo pseudomarxista che non tenga conto della vita reale di un popolo1. Tutti gli articoli del 19 andrebbero sottolineati con quelle loro dichiarazioni nettissime: « l’esperienza liberale non è vana, e non può essere superata se non dopo averla fatta » ; « la creazione dello Stato proletario non è... un atto taumaturgico : è... un da farsi, è un processo di sviluppo ». L’urto contro le cristallizzazioni in nome del processo di liberazione umana p[...]

[...]to taumaturgico : è... un da farsi, è un processo di sviluppo ». L’urto contro le cristallizzazioni in nome del processo di liberazione umana produce, è vero, una scissione, che è di tutti : gruppi contro gruppi, l’uomo contro se stesso; ma « lo scisma del genere umano non può durare a lungo. L’umanità tende all’unificazione interiore ed esteriore, tende ad organarsi in un sistema di convivenza pacifica che permetta la ricostruzione del mondo ». Gramsci combatte senza posa per un marxismo che sia davvero, com’egli dice, umanismo integrale: e proprio per questo non esita a ribellarsi contro ogni economismo e ogni determinismo assoluto: « La pretesa — ribadisce — presentata come postulato essenziale del materialismo storico, di esporre ogni fluttuazione della politica e dell’ideologia come un’espressione immediata della struttura, deve essere combattuta teoricamente come infantilismo primitivo ». E in un testo dell’Ordine Nuovo aveva ben precisato cosa fosse il suo umanismo integrale: « studia, nella storia, tanto le forze economiche che le fo[...]

[...]onfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma morale; per guadagnare centomila lire si affama una città; per guadagnare un miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di ricchezza. La vita degli uomini, le conquiste della civiltà, il presente, l’avvenire sono in continuo pericolo ».

Economismo, determinismo cieco e meccanico, astrattismo teologizzante: ecco le accuse che l’umanesimo di Gramsci rivolge nel ’19, con vigore di argomenti, dalle colonne dell’edizione piemontese àeìY Avanti!, a Einaudi1. L’economia « studia i 44 fatti ” e trascura gl* 46 uomini ”; i processi storici sono visti come regolati da leggi perpetuamente simili, immanenti alla realtà dell’economia che è concepita avulsa dal processo storico generale ». Il meccanismo economico si pone come autonomo : « può venir 44 turbato ” dagli uomini, ma non ne è determinato e vivificato » ; è « uno schema, un piano prestabilito, una via della provvidenza, una utopia as ir atta e matematica, che non ha mai avuto non ha e non [...]

[...]s ir atta e matematica, che non ha mai avuto non ha e non avrà mai riscontro alcuno nella realtà storica ». Gli economisti di tipo einaudiano « hanno tutta la mentalità dei sacerdoti : sono queruli e scontenti sempre, perdié le forze del male impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso mondo ».

Nell’idea di una « natura » umana si cela « un residuo 44 teologico ” e 44 metafisico ” ». « La natura dell’uomo — insiste Gramsci — è la 44 storia ”... se... si dà a storia il significato di 44 divenire ”, in una 44 concordia discors ” che non parte dall’unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile; perciò la 44 natura umana ” non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del genere umano » 2.

1 O. N. pp. 2325.

2 M. Sp. 31.

27.408 Le relazioni

Ove, ancora, quella « storia del genere umano » lungi dall’essere « pura dialettica concettuale » è storia di uomini reali in rapporti reali, in cui i processi che modificano le situazioni e la coscienza che se ne ha, i pensieri e le oper[...]

[...] che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmente legati. « Si giunge cosi... all’... equazione tra 64 filosofia e politica ”, tra pensiero e azione, cioè ad una filosofia della prassi... La sola 66 filosofia ” è la storia in atto » 1, la storia che « riguarda gli uomini viventi... tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliorano se stessi » 2.

Proprio per questo la politica di Gramsci doveva saldarsi indissolubilmente con una visione storica, anzi con una revisione della storia di quel popolo a cui apparteneva e tra cui operava. « Scoprire e inventare modi di vita originali — com’egli dice — non si può se non rispondendo concretamente e positivamente a domande reali, essenziali, maturate nella storia d’Italia, individuandole in una comprensione dei rapporti: fra le sue molteplici componenti, e non isolandone alcune, o mutilandole per difendere interessi di parte ». E basterà rileggere gli articoli pub* blicati sull’Avanti! nel novembre del ’19, e riflettere sul si detto a [...]

[...]ndo concretamente e positivamente a domande reali, essenziali, maturate nella storia d’Italia, individuandole in una comprensione dei rapporti: fra le sue molteplici componenti, e non isolandone alcune, o mutilandole per difendere interessi di parte ». E basterà rileggere gli articoli pub* blicati sull’Avanti! nel novembre del ’19, e riflettere sul si detto a Cavour,, e sul no detto a Giolitti, per comprendere, non solo la maturità della visione gramsciana della storia d’Italia, ma anche la sua vibrante condanna dell’esperantismo e la sua insistenza sulle « traduzioni » nazionali dei grandi moti della storia3. Il ricorrente richiamo a Kant che decapita Dio, mentre Robespierre decapita il re, non vuole indicare soltanto il rapporto fra una « tranquilla teoria » che cambia le « idee », e una

1 Seguita : « In questo senso si può interpretare la tesi del proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca — e si può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell’egemonia fatta da Ilici è stato anche un grande avvenimento “meta[...]

[...] le diverse associazioni; uguaglianze e diseguaglianze che valgono in quanto se ne abbia coscienza individualmente e come gruppo ». A proposito di Lenin, è interessante il testo di Croce, Vaginesparse, cit., II, p. 177.

2 L., 255.

3 O. N., pp. 299301; M. S., pp. 6162.Eugenio Garin

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rivoluzione che muta la società: vuol richiamare al problema della traduzione varia in linguaggi nazionali di posizioni dottrinali « equivalenti ». La gramsciana filosofìa della prassi, se respinge ogni mistificazione speculativa, rifiuta ogni esperantismo; traduce il marxismo in italiano, ossia intende rispondere alle richieste maturate lungo la storia italiana in modo ad esse appropriato1. Non è, insomma, un formulario di risposte prefabbricate, ma un modo di individuare le domande, e un metodo per rispondervi realmente, non evasivamente.

Gramsci poneva limite alcuno alla storicità della filosofia della prassi : nata quale « manifestazione delle intime contraddizioni da cui la società è stata lacerata... non può evadere dall’attuale terreno delle contraddizioni » : anch’essa « provvisoria » in nome della « storicità di ogni concezione del mondo e della vita ». E « si può persino giungere ad affermare che, mentre tutto il sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un mondo unificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero divent[...]

[...]ificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero diventare “ verità ” » 2. Avviene, è vero, che « la stessa filosofia della prassi tenda a diventare una ideologia » ; tenda, anch’essa, a concedere « a necessità esteriori e pedantesche di architettura del sistema » e ad « idiosincrasie individuali » ; tenda insomma a farsi « astorica ». Lo sforzo costante di Gramsci è stato quello appunto di opporsi a qualsiasi trasformazione della filosofia deBa prassi in una metafisica o teologia, per svolgerne « uno “ storicismo ” assoluto », inteso come « mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero », come un « umanismo assoluto della storia ».

Per questo l’attività critica, la sola possibile, è impiegata costantemente a risolvere « i problemi che si presentano come espressione dello svolgimento storico » ; e poiché « l’unità della storia, ciò che gl’idealisti chiamano unità dello spirito, non è un presupposto, ma un continuo farsi' progressivo », l’indagi[...]

[...]loni molteplici è pur vero dhe sarà atteggiamento storicamente serio e particolarmente costruttivo solo quello che più elevato avrà il senso della molteplicità e della distinzione. « Si condanna in blocco il passato quando non si riesce a differenziarsene o almeno le differenziazioni sono di carattere secondario e si esauriscono quindi neH’entusiasmo declamatorio » \

Costretto a trasferire la propria attività su un piano diverso, nei Quaderni Gramsci tende soprattutto a una storia della tradizione culturale italiana vista nel concreto della vita dei gruppi intellettuali allo scopo di definire una « concezione del mondo ». « La fondazione di una classe dirigente — egli scrive — (cioè di uno Stato) equivale alla creazione di una WeUanschauung », che, d’altra parte, non è solo « elaborazione “ individuale ” di concetti sistematicamente coerenti, ma inoltre e specialmente... lotta culturale per trasformare la “ mentalità ” popolare e diffondere le innovazioni filosofiche che si dimostreranno 66 storicamente vere ” nella misura in cui diventer[...]

[...]elaborazione della filosofia della prassi fa corpo con una storia d’Italia, dei suoi gruppi intellettuali, non isolati nelle loro idee o nei loro scritti, ma visti in rapporto con le forze reali operanti, e con quei popolani la cui voce solo di rado sembra affiorare o essere ascoltata e conservata, ma che pure hanno espresso lungo i secoli artisti e contadini, artigiani, e ciompi, e soldati. Non è difficile « schedare » il materiale dei Quaderni gramsciani lungo queste linee, e ordinarlo per argomenti ad esse riconducibili. D’altra parte questa « storia » doveva sempre legarsi criticamente alle « altre storie » : a quelle più valide per intima solidità, esprimenti efficacemente forze e temi di rilievo; cosi come a quelle dominanti e trionfanti sul piano politico italiano. Uno dei segni del carattere non velleitario della critica gramsciana dei Quaderni sta proprio nel suo rapporto costante con Croce da un lato, e con le più vistose e rilevanti manifestazioni delle correnti cattoliche e idealistiche dall’altro.

Il fatto che cosi spesso l’opera di Gramsci si faccia dialogo serrato con Croce, il fatto che le impostazioni discusse, elaborate o respinte si leghino alla situazione culturale creata dal Croce, è segno di forza e di attualità di un pensiero che non lavorava alteri saeculo, ma per questo secolo. L’altro secolo che poi giudica, che indica limiti e ingiusti giudizi, probabilmente non sarebbe mai nato cosi acuto senza quelle discussioni. La caducità di certi giudizi non è che l’altra faccia della loro storicità: e, mentre l’impegnarsi nel tempo è il segno della responsabilità di un dibattito, il discorso polemico col discorso più efficac[...]

[...]to cosi acuto senza quelle discussioni. La caducità di certi giudizi non è che l’altra faccia della loro storicità: e, mentre l’impegnarsi nel tempo è il segno della responsabilità di un dibattito, il discorso polemico col discorso più efficace, a cui perciò stesso si lega, è anche il lavoro storicamente più costruttivo, il solo veramente costruttivo.

Sarebbe ben difficile negare oggi, nello spostarsi di una discussione, che certe valutazioni gramsciane di importanti movimenti sono particolarmente insufficienti o almeno discutibili: basterebbe pensare all’atteggiamento di fronte al positivismo, e, per altro verso, all’apprezzamento del modernismo. Nel primo caso, anche se probabilmente converrebbe andar molto cauti, per non incorrere in frettolose revisioni, e

1 M. S., pp. 75 sgg., 25, 21 sgg. (per la distinzione forze materialiideologie, contenutoforma, distinzione «meramente didascalica», cfr. M. S., p. 49).412

Le relazioni

tener distinte cose distinte, e rendersi ragione di pur sempre validi temi polemici (e andare magari a r[...]

[...]el primo caso, anche se probabilmente converrebbe andar molto cauti, per non incorrere in frettolose revisioni, e

1 M. S., pp. 75 sgg., 25, 21 sgg. (per la distinzione forze materialiideologie, contenutoforma, distinzione «meramente didascalica», cfr. M. S., p. 49).412

Le relazioni

tener distinte cose distinte, e rendersi ragione di pur sempre validi temi polemici (e andare magari a rileggersi il Marx di Loria, del 1902) 1, è certo che Gramsci risenti di tutto quel moto culturale che caratterizzò i primi due decenni del secolo, e in cui la Critica ebbe tanta parte. Cosi come, viceversa, negli accenni all’importanza dei « modernisti » italiani, a guardar da vicino, ce da chiedersi quanto pesasse — questa volta — la polemica antigentiliana. Né, per fare un altro esempio, par sostenibile il peso specifico attribuito una volta al movimento vociano, rilevante soprattutto come espressione paradigmatica di una singolare confusione di idee. Il discorso potrebbe continuare, ma per esser davvero utile dovrebbe estendersi — e questo non è pos[...]

[...]iliana. Né, per fare un altro esempio, par sostenibile il peso specifico attribuito una volta al movimento vociano, rilevante soprattutto come espressione paradigmatica di una singolare confusione di idee. Il discorso potrebbe continuare, ma per esser davvero utile dovrebbe estendersi — e questo non è possibile qui ora — a tutta la rete, fittissima, di rapporti e dibattiti che travagliarono la cultura italiana del primo Novecento, ove la voce di Gramsci — come, per altro verso, quella di Gobetti (e, prima ancora, di Salvemini) — inserirono, proprio sulle linee più avanzate, una nota originale, che appare oggi, neiresaurirsi di altri temi, singolarmente stimolante. Ed è proprio in questi toni che più giova afferrare il significato della meditazione gramsciana,

« L’Italia — osserva Gramsci — ebbe e conservò... una tradizione culturale Che non risale all’antichità classica, ma al periodo dal Trecento al Seicento, e che fu ricollegata all’età classica dalFUmanesimo e dal Ri
1 A. LORIA, Marx e la sua dottrinay Palermo, Sandron, 1902, p. 64 (da un art. del 1 aprile 1883): «Carlo Marx... è la produzione fatale dell’età... Era il 1840. La vecchia metafisica era morente, il nuovo positivismo non era ancor nato. Era dunque troppo tardi per essere metafìsico, troppo presto per essere positivista. Studioso della filosofia hegeliana, ei tentò ringiovanirla, associandola all’indagine dell[...]

[...]sarcasmi di Engels, o di Labriola, erano ben lontani dal raggiungere l’amena leggerezza ^ di quei valentuomini : nel confronto dei quali — non si dimentichi — sì collocava Croce. Del resto sul « positivismo » è da rileggere sempre tutta la lettera di Labriola a Engels del ’94 (Roma, 1949, pp. 14650).'Eugenio Garin

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nascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogicopolitico1. Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), si colgono bene le differenze della sua posizione, e la sua originalità 2. Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodo e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve « importante solo come elemento dello sv[...]

[...] sua originalità 2. Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodo e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve « importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno è già riuscita a elaborare le sue quistioni e le soluzioni relative in modo già molto chiaro e approfondito ». D’altra parte a valutare esattamente le riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe necessario un lavoro preliminare — che manca — in cui avesse risalto quello che il tema Machiavelli fu in Italia fra la prima guerra mondiale e il fascismo. Impegnarsi su Machiavelli non era analizzare un momento qualsiasi della cultura italiana: significava prendere posizione su tutte le questioni fondamentali della storia e della politica italiana. E forse non è senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul « machiavellismo » ), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l’abbia scritto mai; ov’è, in certo mod[...]

[...]scismo. Impegnarsi su Machiavelli non era analizzare un momento qualsiasi della cultura italiana: significava prendere posizione su tutte le questioni fondamentali della storia e della politica italiana. E forse non è senza significato che proprio Croce abbia si detto più volte la sua opinione (e soprattutto sul « machiavellismo » ), ma un saggio di ampio respiro su Machiavelli non l’abbia scritto mai; ov’è, in certo modo, la verifica della tesi gramsciana deH’erasmismo di Croce; anche se è da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza l’ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po’ convenzionale)3.

1 P., p. 16 (cfr. p. 28 sgg.; L. V. N., pp. 2045, R., p. 6 sgg.).

2 Cfr. L., p. 115 («quando vidi il Cosmo, l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione » ).

3 Le due « figure » GramsciMachi[...]

[...]aschera di Erasmo (e di un Erasmo un po’ convenzionale)3.

1 P., p. 16 (cfr. p. 28 sgg.; L. V. N., pp. 2045, R., p. 6 sgg.).

2 Cfr. L., p. 115 («quando vidi il Cosmo, l’ultima volta nel maggio 1922... egli ancora insistette perché io scrivessi uno studio sul Machiavelli e il machiavellismo; era una sua idea fissa, fin dal 1917, che io dovessi scrivere uno studio sul Machiavelli, e me lo ricordava a ogni occasione » ).

3 Le due « figure » GramsciMachiavelli, CroceErasmo hanno un valore paradigmatico. Ciò non toglie che, mentre la « passione » di Machiavelli è bene afferrata per conoscenza diretta, l’Erasmo gramsciano è sfocato (è un Erasmo quale lo poteva delineare De Ruggiero). Del Croce è da rileggere proprio quello che scrive sulla « politica » del M. intorno al ’25, e subito dopo (cfr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: «è risaputo che il M. scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è al di là, o piut414

Le relazioni

Gramsci sa che Machiavelli è esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che «lo stesso richiamo a Roma è meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima deirUmanesimo e del Rinascimento ». D’altra parte, mentre è fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un’ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che po[...]

[...] esigenze immediate contenute nel Principe... La dottrina del Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente 46 libresca ”, un monopolio di pensatori isolati, un libro segreto che circola tra iniziati. Lo stile del Machiavelli non è quello di un trattatista sistematico... è stile di uomo d’azione,, di chi vuole spingere all’azione, è stile da “ manifesto ” di partito »2. Manifesto e profezia: dover esser che si fa costruttivo dell’essere. Gramsci a proposito di Machiavelli pone due rapporti illuminanti: con Savonarola e con Rousseau.

« L’opposizione SavonarolaMachiavelli — scrive — non è l’opposizione tra essere e dover essere... ma tra due dover essere, quello astratto... del Savonarola, e quello realistico del Machiavelli, realistico anche se noti diventato realtà », perché Machiavelli non fu capo di uno Stato, né capitano di un esercito : ma si « uomo di parte, di passioni poderose, un

tosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha le sue leggi a cui è vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l’a[...]

[...]on può non occuparsi del “ dover essere ” ». Machiavelli non è mai « un mero scienziato » ; « si fa popolo; {e} non con un popolo genericamente inteso, ma col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione ». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volontà generale nel momento del contrasto e dell'autorità, mentre i Discorsi rappresentano il momento del consenso \ Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l’idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell’autonomia della politica, e scopritore dell’economico. « Morale » è il principato, « morale » è la repubblica. « Il Principe prende il posto, nella coscienza, della divinità o dell’imperativo categorico, diventa la base del laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita », per la res publica si « perde l’anima » ; alla volontà generale si sacrifica tutto 2. Tragica nel momento deH’autoritàprineipato : armonica in quello del consensorepubblica, la situazione umana, la natura umana è s[...]

[...]stico (con le sue contraddizioni...). La formula kantiana, sembra superiore perché gli intellettuali la riempiono del loro particolare modo di vivere e di operare... » 3. Nella « staticità » formale kantiana, opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica, nella dialettica PrincipeDiscorsi; nella figura MachiavelliRousseau; in Machiavelli rivoluzionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula crociana di Marx « Machiavelli del proletariato » in un Machiavelli « Marx del po~

1 Mach., pp. 10, 3940.

2 Mach., pp. 147, 117
3 P., p. 202.416

Le relazioni

polo » fiorentino e italiano del ’500. Con la proclamata « moralità » del Principe si rifiutava cosi la « distinzione » di tipo crociano come l’idea teologale ad essa congiunta di una « natura » umana, per risolvere con forza ogni «forma» trascendentale nella società umana pacificata: e questo nel punto stesso in cui il dover essere della res publica [...]

[...] res publica si poneva come norma di un rigorismo e di un’intransigenza da riformatore religioso. Per la res publica, per una legge non formale di giustizia, si sacrifica — paradossalmente — anche l’anima: che è una forma di ascesi che invano si cercherebbe nella tradizione italiana, non solo fra le anime belle e le anime pie, o fra i molti salvatori di anime proprie ed altrui, ma anche fra i più rigorosi e seri moralisti.

Quanto di se stesso Gramsci prestasse a questo Machiavelli, non è difficile vedere: saldato, non a un qualunque popolo, ma al suo popolo, non a qualunque cultura, ma alla cultura italiana del suo tempo; intellettuale non velleitario, ma uomo di passione che dei suoi scritti fa un manifesto; realistico anche se condannato a non realizzare, perché ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato: ecco il profilo dell’intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta sopranazionale, che salda il sapere al fare, che al posto dell’a[...]

[...] ha in mano solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato: ecco il profilo dell’intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta sopranazionale, che salda il sapere al fare, che al posto dell’atteggiamento oracolare e del piglio pontificale pone la verità come ricerca e lavoro comune. Nella « figura » di Machiavelli, forse meglio che in ogni altro suo scritto, Gramsci ha fissato il proprio pensiero, e la propria lontananza non solo da Croce ma dal tipo di cultura che Croce ha incarnato. Non a caso Gramsci colloca dopo Machiavelli la decisiva « separazione » degli intellettuali italiani, come non a caso egli insiste sulla corrispondenza simbolica CroceErasmo.

Troppo facile sarebbe nella storia degli intellettuali italiani delineata da Gramsci enumerare con mentalità notarile difficoltà d’ogni sorta; altrettanto facile quanto sottolinearne suggerimenti e giudizi di una singolare penetrazione, che oltrepassano i limiti impostigli dalle fonti a cui era costretto ad attingere. Perché non sarebbe difficile rintracciare nella storiografia crociana, o di crociani (da De Ruggiero a Omodeo), proprio le radici di quelle posizioni di Gramsci che meno soddisfano: da un Erasmo convenzionale allo scarso rilievo dato alla tradizione scientifica dal ’500 in poi; daH’atteggiamento di fronte agli illuministi del 700 alla svalutazione di non poche posizione dell’ ’800. Una serie di ricerche inEugenio Garin

All

questa direzione sarebbe certo giovevole, ma non destinata a incidere sensibilmente sulla prospettiva cosi originale in cui l’opera di Gramsci si colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando cosi largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un’elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i “ mistificatori ” del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti, Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa; e Croce per quanto contribuì a mante[...]

[...] colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando cosi largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un’elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i “ mistificatori ” del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti, Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa; e Croce per quanto contribuì a mantener vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso, sempre più chiaramente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione deU’hegelismo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabile : un « sistema » della « filosofia dello spirito », una « natura umana » assoluta. Gramsci, al contrario, non si limiterà a rifiutare l’atto spirituale taumaturgico, e solo retoricamente operoso, per ritrovare il positivo e il concreto processo storico, vivo e reale nel lavoro delle società umane. Anche l’ultimo « aroma speculativo » svanirà : nella critica alla doppia mistificazione del marxismo — sia in direzione idealistica che materialistica — e nella elaborazione di una originale « concezione del mondo » si consoliderà nitidissimo un integrale umanismo storico: uomini veri, reali, che vivono convivendo in reali rapporti: mobili, in un processo condizionato insieme e libero.
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[...]ale nel lavoro delle società umane. Anche l’ultimo « aroma speculativo » svanirà : nella critica alla doppia mistificazione del marxismo — sia in direzione idealistica che materialistica — e nella elaborazione di una originale « concezione del mondo » si consoliderà nitidissimo un integrale umanismo storico: uomini veri, reali, che vivono convivendo in reali rapporti: mobili, in un processo condizionato insieme e libero.

Limpido e preciso qui Gramsci è veramente nostro 1, ossia di quanti credono nel compito critico di una cultura volta a liberare gli uomini in terra, per costruire una città giusta; per la sua moralità impietosa; per la sua ironica lucidità; per il suo atteggiamento di lotta in un tempo di lotta. Della sua « zuffa » continua con Croce, come dellessersi consapevolmente calato tutto nella tradizione culturale italiana più viva, non c’è persona seria che possa dubitare. E a caratterizzare la sua distanza da posizioni a cui pure, in origine, era stato vicino, nulla giova quanto la sua ripetuta osservazione sul carattere delle [...]

[...]storico dei momenti rivoluzionari; Croce è storico degli istituti e delle « forme » da conservare, non delle libertà reali da conquistare. La storia eticopolitica potrà anche esser riassunta nel momento del consenso: nella crudeltà della lotta, quando si chiede piuttosto il giustiziere che il giustificatore, quando essere ingiusti è necessario, e bisogna dannarsi e non salvarsi, l’olimpica serenità gocthiana è piuttosto irritante che consolante. Gramsci — l’aveva già notato Gobetti (che per questo gli fu vicino) — è invece l’espressione dell’intransigenza morale più aspra nel campo della cultura; l’imperativo più forte alla lotta per la libertà 1, anche a costo di perdere l’anima, a costo di riuscire odiosi alle anime belle : perché l’umanità si serve nella volontà ferma di costruire un mondo comune oltre le scomuniche, perché la verità è cosa comune, con un linguaggio comune. Ed è questa verità comune, non oracolare e non fuori del tempo, ma che nella storia si costruisce e nella storia si consuma, tutta umana, di uomini e per uomini, quell[...]

[...]ivo più forte alla lotta per la libertà 1, anche a costo di perdere l’anima, a costo di riuscire odiosi alle anime belle : perché l’umanità si serve nella volontà ferma di costruire un mondo comune oltre le scomuniche, perché la verità è cosa comune, con un linguaggio comune. Ed è questa verità comune, non oracolare e non fuori del tempo, ma che nella storia si costruisce e nella storia si consuma, tutta umana, di uomini e per uomini, quella che Gramsci cerca e per cui lotta: per questo, oltre le parti, egli è di quanti in Italia intendono lavorare insieme intorno a problemi precisi (alle « piccole cose » ), con semplicità, con quanti più uomini è possibile. Sarà indulgenza alla retorica, ma come non concludere con la conclusione di quelTultima lettera al figlio? « io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi, e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano e lottano e migliora[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Trevisani, Gramsci e il teatro italiano in Studi gramsciani

Brano: Giulio Trevisani
GRAMSCI E IL TEATRO ITALIANO.
L'attività del giovane Gramsci come critico teatrale comincia il 16 gennaio 1916 quando l'Avanti! inizia nell'edizione piemontese la pagina di cronaca di Torino, e finisce il 16 dicembre 1920, quindici giorni prima dell'apparizione dell'Ordine Nuovo quotidiano. Dal suo ventiseiesimo al suo trentesimo anno — l'intenso quinquennio della segreteria della sezione socialista, dell'Ordine Nuovo rivista e della latta per la fondazione del partito comunista — Gramsci riesce ad intercalare una costante attività giornalistica, alternando ai caustici commenti della rubrica « Sotto la mole » la critica teatrale. Gobetti, che si compiacque di posizioni paradossali contro la critica teatrale, scrisse: « Si può compiere con utilità anche l'esperienza di critico teatrale; ma se la si smette presto » : e Gramsci, infatti, sotto il peso, d'altronde, di ben piú gravi responsabilità, sembra aver dato ragione a Gobetti, lasciando la rubrica dell'Ordine Nuovo, ed affidandola a lui. Il contributo, comunque, che Gramsci dette al teatro italiano dal 1916 al 1920 fu di importanza notevole, non tanto, crediamo, per la validità critica, pur notevole, delle singole recensioni — quelle note che nascono nelle ore piccole della notte, da una frettolosa fusione fra critica e cronaca — quanto per la visione completa che, in quelle recensioni ed in vari articoli, egli mostrò di avere del fenomeno teatrale, considerato sia sotto l'aspetto artistico, sia sotto quello economico.
Quale era la particolare fisionomia del teatro europeo e, in ispecie, del teatro italiano, in quel periodo che va dalla fase drammatica culminan[...]

[...] allegre, di vecchi intriganti e di vecchi satiri »; « riduzione meccanica » e « visione artificiosa del mondo, utilissima ai fini del successo, perché offriva un'inesauribile miniera di spunti, di intrighi, di intrecci, non domandava sforzi di fantasia, non domandava
Giulio Trevisani 289
elaborazioni faticose ». Tentava, ora, Bernstein, di trarre motivi dalle sofferenze e dalle angosce quotidiane dovute alla guerra: ma « la guerra — osservava Gramsci — non può far diventare poeta un mercante di parole ». Bataille, « scrittore moralisteggiante » , « che annega la vita nel tenerume sentimentale, che esaspera e diluisce due o tre spunti drammatici in un oceano di tenerume poetico ». Egli « sublima le creature della sua fantasia, assegna loro un compito ed un apostolato »; ma i suoi personaggi non sono che « bocche da discorsi ». Fra Bernstein e Bataille, Gramsci preferisce, per absurdum, l'originalità « puramente esteriore » di Sacha Guitry, che è « lieve, vellutata creazione di stati d'animo provvisori » e « non stanca »; ritiene « piú igienica per i nervi » la Dame de Chez Maxim, che, almeno, « non ha pretese e non nasconde il belletto e la sfacciataggine », « tanto piú se l'arte di Dina le toglie la patina piú appariscente di volgarità, e le dà in prestito la sua vita artistica », sovrapponendosi, cosí, per eccezione, al « trimme della produzione comica francese », che rispecchiava quel mondo parigino di tabarin e di separés, di cocottes e viveurs[...]

[...]ontrapposta mitologia aristocratica.
Sbocciavano, cosí, speranzose della fortuna del Niccodemi, sia le prime erbacce forzaniane, che si faranno, poi, alte e soffocanti sotto il fascismo e saranno, or è qualche anno, premiate in blocco con un milione dal parastatale Istituto del Dramma Italiano, sia le « piante di stanza » del salottierismo, « la pochade che vuol essere " commedia comica " » e questa che si adorna di spiritosaggini « come — dice Gramsci — un pellerossa da carnevale si adorna di penne ». Gli uomini spiritosi, egli dice, « sono una parte molto importante della vita sociale moderna e sono molto popolari... ». L'ideale della loro vita elegante sono « la conversazione fatua e brillante del salotto, l'applauso discreto e i1 sorriso velato dei fre
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quentatori disalotti ». Anche questo genere di commedia, avrà poi suo massimo sviluppo sotto il fascismo.
Una sola opera, maturata in un clima di volontarismo ibseniano, si è, negli ultimi anni (è del 1912), staccata dalla produzione salottiera, oltre che v[...]

[...]duzione salottiera, oltre che valorizzata da una interpretazione inimitabile. Il Santo è l'opera; Ruggeri l'interprete: per il resto, Bracco rimane anche lui nel salotto, o talvolta — il che non è, certo, artisticamente piú valido — scende in istrada con gli atti unici di tardo verismo.
I futuristi non avevano portato nel teatro che clownesche stramberie; e, d'altronde, non tarderanno a rivelarsi, in tutta la loro attività, quel « gruppo — come Gramsci disse — di scolaretti, che, scappati da un collegio di gesuiti, hanno fatto un po' di baccano nel bosco vicino e sono stati ricondotti sotto la ferula della guardia campestre ».
In contrapposizione al salottierismo erano sorte, sulla scia benelliana, opere intese ad evadere dalla povertà presente, risalendo al passato nella storia e nei miti. Benelli aveva sconfessato D'Annunzio, ma la discendenza era innegabile. Ora la Cena — che Gramsci definisce « castelletto di cartapesta », con personaggi che erano maschere « dalla gioia canora e dall'anima di legno », — Il Beffardo di Nino Berrini, il Glauco di Ercole Morselli hanno momenti di clamorosa fortuna tra le platee, e non solo italiane — « meteore », postilla Gramsci —; ma per queste opere valeva il giudizio già dato da lui sulla letteratura italiana del tempo: « il passato non vive del presente, non è elemento essenziale del presente... non è elemento di vita ma solo di cultura libresca e scolastica ». Perciò esse non erano poesia.
Solo importante tentativo di rinnovamento della scena italiana fu, in quegli anni, il teatro del « grottesco », nel tempo stesso in cui sorgeva l'astro pirandelliano.
Del grottesco dice Gramsci: « Questi giovani adempiono pure a un compito: rendere intollerante la vecchia moda del teatro romantico da appendice » e riescono a[...]

[...] queste opere valeva il giudizio già dato da lui sulla letteratura italiana del tempo: « il passato non vive del presente, non è elemento essenziale del presente... non è elemento di vita ma solo di cultura libresca e scolastica ». Perciò esse non erano poesia.
Solo importante tentativo di rinnovamento della scena italiana fu, in quegli anni, il teatro del « grottesco », nel tempo stesso in cui sorgeva l'astro pirandelliano.
Del grottesco dice Gramsci: « Questi giovani adempiono pure a un compito: rendere intollerante la vecchia moda del teatro romantico da appendice » e riescono anche a quello di portare ad un tono piú elevato la recitazione, perché « spoltriscono i facili schemi irrigiditi degli attori ». Della commedia capostipite, La maschera e il volto di Chiarelli, piace a Gramsci, nel 1917, la spregiudicatezza con cui l'autore, costruendo la macchina convenzionale che regge i tre atti, non nasconde la volontà del convenzionale. Il suo lavoro — egli dice — è pertanto opera di sincerità, e ha un grande valore per l'educazione estetica del pubblico, per correg
Giulio Trevisani 291
gere il gusto del pubblico, attutito e fatto lapposo dalla falsa grandezza
e dall'artificio abilmente nascosto nel teatro solito »; e loda « l'abilità
e l'elasticità d'ingegno » dell'autore che compone in modo piacevole, deformandola, la vita solita del teatro di maniera. Non meno vivamente[...]

[...]oda « l'abilità
e l'elasticità d'ingegno » dell'autore che compone in modo piacevole, deformandola, la vita solita del teatro di maniera. Non meno vivamente, un anno dopo, egli loderà L'uomo che incontrò se stesso del giovane Luigi Antonelli.
Ma dal tentativo non nascono nuovi e sostanziali sviluppi né per virtú degli iniziatori, né per quella di altri giovani che battono, con maggiore
o minore ingegno ed abilità tenace, la loro stessa via. E Gramsci non tarderà, nello spazio di qualche anno, a dare atto, con severe critiche, della sua delusione. Appare chiaro che il rinnovamento si limita alla forma; è del tutto esteriore, nonostante le pretese introspettive. « L'intrigo è ordito per lumeggiare le sublimi facoltà d'intuizione critica di un poliziotto dilettante dello spirito, ovverossia della psiche umana » . L'originalità degli aspiranti rinnovatori non nasce dalla fantasia ma dall'artificio. $, infatti, dice Gramsci, recensendo L'uccello del paradiso di Cavacchioli, « una fantasia legnosamente arida, che scoppietta e frigge per una goc[...]

[...]pazio di qualche anno, a dare atto, con severe critiche, della sua delusione. Appare chiaro che il rinnovamento si limita alla forma; è del tutto esteriore, nonostante le pretese introspettive. « L'intrigo è ordito per lumeggiare le sublimi facoltà d'intuizione critica di un poliziotto dilettante dello spirito, ovverossia della psiche umana » . L'originalità degli aspiranti rinnovatori non nasce dalla fantasia ma dall'artificio. $, infatti, dice Gramsci, recensendo L'uccello del paradiso di Cavacchioli, « una fantasia legnosamente arida, che scoppietta e frigge per una goccetta d'olio rovesciata dalla lucerna, alla quale si compulsarono gli articoli sulla filosofia delle dame. Una fantasia matematica, una fantasia di ingegneri che sanno il fatto loro, una fantasia da curiosi di sapere come la fantasia era fatta, i quali pertanto l'hanno recisa per notomizzarla
e veder com'era fatta ». Non è originalità, quindi, ma solo bizzarria; la quale è solo un sottoprodotto della originalità. E l'involucro della bizzarria avvolgerà o il vuoto o della v[...]

[...]ingegneri che sanno il fatto loro, una fantasia da curiosi di sapere come la fantasia era fatta, i quali pertanto l'hanno recisa per notomizzarla
e veder com'era fatta ». Non è originalità, quindi, ma solo bizzarria; la quale è solo un sottoprodotto della originalità. E l'involucro della bizzarria avvolgerà o il vuoto o della vecchia merce scadente. Il primo è, per esempio, il caso del pur quotatissimo Rosso di San Secondo, ii cui ingegno, dice Gramsci, gli permette con Marionette, che passione! di « portare sui teatro la formula famosa: per fare un cannone si prende un buco e lo si avvolge di bronzo: egli prende il vuoto, lo avvolge di parole ». Siamo costretti, oggi, a controllare l'esattezza di questo giudizio tutte le volte che assistiamo a riesumazioni di Rosso. Il secondo caso riguarda la innumerevole produzione di Carlo Veneziani.
Occorre ben altro: occorrono grandi spalle e forti braccia ed un impegno largo e totale per proporsi di ripulire le stalle d'Augia del teatro borghese. E Gramsci, ascoltato il 29 novembre da Ruggeri Il pia[...]

[...] cannone si prende un buco e lo si avvolge di bronzo: egli prende il vuoto, lo avvolge di parole ». Siamo costretti, oggi, a controllare l'esattezza di questo giudizio tutte le volte che assistiamo a riesumazioni di Rosso. Il secondo caso riguarda la innumerevole produzione di Carlo Veneziani.
Occorre ben altro: occorrono grandi spalle e forti braccia ed un impegno largo e totale per proporsi di ripulire le stalle d'Augia del teatro borghese. E Gramsci, ascoltato il 29 novembre da Ruggeri Il piacere dell'onestà, cosí vi presentò Pirandello: « Luigi Pirandello è un " ardito " del teatro. Le sue commedie sono tante bombe a mano che scoppiano nei cervelli degli spettatori e producono crolli di banalità, ravine di
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sentimenti, di pensiero. Luigi Pirandello ha il merito grande di far, per lo meno, balenare delle immagini di vita che escono fuori dagli schemi soliti, della tradizione e che però non possono iniziare una nuova tradizione, non possono essere imitate, non possono determinare il cliché di moda. C'è nelle [...]

[...]uori dagli schemi soliti, della tradizione e che però non possono iniziare una nuova tradizione, non possono essere imitate, non possono determinare il cliché di moda. C'è nelle sue commedie uno sforzo di pensiero astratto che tende a concretarsi sempre in rappresentazione, e, quando riesce, dà frutti insoliti nel teatro italiano, d'una plasticità e d'una evidenza fantastica mirabile ».
A questo punto, evidentemente, si prospetterebbe il tema « Gramsci e Pirandello », tema fortemente impegnativo, specie dopo gli accenni tenuti nel saggio di Carlo Salinaci pubblicato, nel 1957, in Società, e che, investendo il tema generale della poetica pirandelliana, esula dai confini di questa comunicazione.
Qui, restando nel campo delle critiche teatrali, bisogna anzitutto precisare che nel quinquennio 19161920, Gramsci conobbe di Pirandello: ha ragione degli altri, che è del 1915, Pensaci Giacomino, Liold e Il berretto a sonagli, che sono del 1916, Il piacere dell'onestd, del 1917, Cosí è (se vi pare) e Il giuoco delle parti del 1918, L'innesto, del 1919, Tutto per bene e Come prima, meglio di prima del 1920; conobbe, cioè, il Pirandello che precedette i Sei personaggi e l'Enrico IV, che sono del 1922; il Pirandello, cioè, non ancora completamente riconosciuto nella sua grandezza da gran parte della critica maggiore; ed è noto che Gramsci ricorderà piú tardi, con compiacimento (lettera alla cognata del 19 m[...]

[...]iacomino, Liold e Il berretto a sonagli, che sono del 1916, Il piacere dell'onestd, del 1917, Cosí è (se vi pare) e Il giuoco delle parti del 1918, L'innesto, del 1919, Tutto per bene e Come prima, meglio di prima del 1920; conobbe, cioè, il Pirandello che precedette i Sei personaggi e l'Enrico IV, che sono del 1922; il Pirandello, cioè, non ancora completamente riconosciuto nella sua grandezza da gran parte della critica maggiore; ed è noto che Gramsci ricorderà piú tardi, con compiacimento (lettera alla cognata del 19 marzo 1927) come in quel tempo in cui Pirandello era « amabilmente sopportato o apertamente deriso » , egli, dal 1915 al 1920, avesse scritto tanto (e lo ricorderà nei Quaderni del carcere) « da mettere insieme un volumetto da 200 pagine ». In quella lettera famosa di opere da compiere, egli includeva tra queste, come è noto, « uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato ed ha contribuito a determinare».
Il capolavoro del periodo precedente ai Sei [...]

[...]me un volumetto da 200 pagine ». In quella lettera famosa di opere da compiere, egli includeva tra queste, come è noto, « uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato ed ha contribuito a determinare».
Il capolavoro del periodo precedente ai Sei personaggi, è, indubbiamente, Liolà, che egli giudica « una delle piú belle commedie moderne » : il contadino siciliano in cui Gramsci vede « l'uomo della vita pagana, pieno di robustezza morale e fisica, perché uomo, perché se stesso, semplice umanità vigorosa », « efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica », l'opera che non po
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teva non ferire profondamente la mentalità cattolica; e Gramsci ricorderà piú tardi le chiassate degli studenti clericali torinesi alla prima di Liolà, quando — nei tempi dell'accanimento della Civiltà cattolica e dei critici teatrali cattolici contro Pirandello — osserverà che, in effetti, il grande scrittore siciliano si stacca dal verismo borghese e piccoloborghese del teatro tradizionale perché la concezione umanitaria e positivistica del verismo non era anticattolica; e, invece, la tendenza filosofica pirandelliana, qualunque ne siano il contenuto, i limiti, la coerenza, è sempre
indubbiamente anticattolica ».
Nel chiudere la prima parte di questa [...]

[...]iciliano si stacca dal verismo borghese e piccoloborghese del teatro tradizionale perché la concezione umanitaria e positivistica del verismo non era anticattolica; e, invece, la tendenza filosofica pirandelliana, qualunque ne siano il contenuto, i limiti, la coerenza, è sempre
indubbiamente anticattolica ».
Nel chiudere la prima parte di questa comunicazione riguardante le recensioni teatrali, mi si permetta di osservare che ai critici d'oggi Gramsci offre lezioni di costume e di stile.
Caratteristica della sua critica teatrale è il suo antiintellettualismo. Il linguaggio di Gramsci è semplice: familiare il tono; chiara l'esposizione del fatto e limitata all'essenziale. I giudizi non cadono dall'alto ma emergono spontanei dal discorso come naturale conseguenza di senso comune. Cosí quando stronca, mancano la malignità e il gusto dello stroncamento: egli non fa che parlare franco; ed è tutto. E poiché l'idea è chiara e la parola è tagliente, peggio per chi ci capita. Non conosce la perversità della punzecchiatura né il sadismo letterario della frustata: ma nemmeno l'untuosità ipocrita della riserva, non giulebba i noccioli, secondo una sua frase, per farli meglio inghiott[...]

[...]che parlare franco; ed è tutto. E poiché l'idea è chiara e la parola è tagliente, peggio per chi ci capita. Non conosce la perversità della punzecchiatura né il sadismo letterario della frustata: ma nemmeno l'untuosità ipocrita della riserva, non giulebba i noccioli, secondo una sua frase, per farli meglio inghiottire. Dice il bene, quando ha da dir bene, il male, quando ha da dir male, e il male e il bene quando ha da dire insieme male e bene.
Gramsci pone su un piano della massima importanza sia il fattore del complesso artistico sia quello della singola interpretazione. Egli vede il primo solo nella perfetta struttura ed armonica completezza. Della. compagnia comica GalliGuastiBracci, di cui nomina nel tempo stesso i migliori fra i cooperatori secondari, scrisse che essa è « l'unica compagnia italiana che meriti veramente questo nome, poiché presenta organicità. di ruoli e graduazioni di capacità che, pur lasciando agio ai principes di. mettere in rilievo le loro doti speciali, non nuoce all'insieme e dà risalto anche alle parti secondar[...]

[...]peciali, non nuoce all'insieme e dà risalto anche alle parti secondarie » : dice, anzi, che queste, se alacri ed intelligenti, non solo non fanno diminuire la personalità dei maggiori, ma la mettono, forse, maggiormente in risalto. (Si pensi come tutto questo possa apparirci lontano e sfocato nel tempo, innanzi alle varie striminzite e sbilenche compagnie che oggi si formano lavoro per lavoro!).
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La compagnia è, per Gramsci, un collettivo di lavoro anche se tutti gli elementi si riannodano, e debbono riannodarsi, intorno ai protagonisti. La sua battaglia su questo terreno precede di oltre un decennio la nota crociata damichiana per la regia. A proposito della compagnia di Ruggeri, il 5 febbraio 1916, egli lamenta: « ormai è invalso, nella organizzazione delle nostre migliori compagnie, l'uso di circondare gli elementi ottimi con altri molto scadenti, se non addirittura pessimi, che servono solo per il chiaroscuro, per dare maggiore risalto ai primi, con quanto scapito dell'effetto generale di una recita, è facil[...]

[...]egia. A proposito della compagnia di Ruggeri, il 5 febbraio 1916, egli lamenta: « ormai è invalso, nella organizzazione delle nostre migliori compagnie, l'uso di circondare gli elementi ottimi con altri molto scadenti, se non addirittura pessimi, che servono solo per il chiaroscuro, per dare maggiore risalto ai primi, con quanto scapito dell'effetto generale di una recita, è facile a chiunque capire ».
Alla completezza della compagnia deve, per Gramsci, rispondere l'integrità dell'opera d'arte. Qualche mese dopo, loda lo sforzo di Ruggeri « per dare di Amleto una raffigurazione pienamente umana »; ma censura l'interpretazione dell'opera « perché nelle opere del tragico inglese non c'è solo il protagonista, e la tragedia non è solo la tragedia di questo. La caratteristica del capolavoro (detto cosí all'ingrosso) consiste nella saturazione di poesia di ogni parola, di ogni atto, di ogni persona del dramma; niente c'è di inutile, niente da trascurare, ogni anche piccolo accenno concorre alla catastrofe ed è indispensabile per giustificarla. Re[...]

[...]iduce non può non essere sacrilego. L'opera deve rimanere tal quale è sgorgata, vibrante e palpitante di vita, dalla fantasia dell'autore. Ogni parola ha una ragione, ogni atteggiamento fisico e spirituale deriva necessariamente da una personalità che è stata concepita in quel dato modo e in nessun altro ».
Nella larga letteratura, comunque siano definiti i suoi testi, di inse
Giulio Trevisani 295
gnamento per gli attori, da Diderot a Jouvet, Gramsci innesta elementi notevoli.
Il definir grande un attore, egli dice, « vorrebbe dire stabilire una scala di valori, ricorrere a dei confronti, classificare. E invece l'artista non è grande o piccolo: è o non è tale, semplicemente. Lo studio può essere rivolto solo all'osservazione del come lo sia, può essere rivolto a stabilire come si svolge questa sua particolare attività, che è tutta lui, che è ciò che ci interessa. Cogliere l'attimo vivo, abbandonarsi al fluire di questa vita, e risentirla in sé come qualcosa di solidamente compatto, che si impone all'ammirazione, che ci domina in quel mom[...]

[...]i ad una varietà di interpretazione che non può non es sere a danno della profondità, della compiutezza. C'è sempre un po' di dilettantismo, di nomadismo, di improvvisato nei nostri attori. Le elaborazioni minuziose, capillari, sono ignorate. L'intuizione può supplire in parte, ma non riesce mai a dare quella pastosità intensa di luci che dà la preparazione, il lavoro critico ».
20.
296 1 documenti del convegno
Per i nostri attori, in genere, Gramsci ha simpatia, senza padreternismi né paternalismi; ammira il loro sforzo quando esso è dedicato a compiti ingrati. Quando si tratta di attori che profondamente stima (Virgilio Talli, per esempio, da lui definito, per la sua opera di direttore, « forse il piú acuto critico letterario che oggi esiste in Italia »; Emma Gramatica, Tina Di Lorenzo, Luigi Carini, Ruggero Ruggeri, Dina Galli), si accosta ad essi con rispetto, anche se non esita, quando gli par necessario, ad accoppiare alla lode riserve o critiche.
Gramsci enuncia le esigenze delle masse nei tempi nuovi. « I lavori capaci — scrive —[...]

[...] sforzo quando esso è dedicato a compiti ingrati. Quando si tratta di attori che profondamente stima (Virgilio Talli, per esempio, da lui definito, per la sua opera di direttore, « forse il piú acuto critico letterario che oggi esiste in Italia »; Emma Gramatica, Tina Di Lorenzo, Luigi Carini, Ruggero Ruggeri, Dina Galli), si accosta ad essi con rispetto, anche se non esita, quando gli par necessario, ad accoppiare alla lode riserve o critiche.
Gramsci enuncia le esigenze delle masse nei tempi nuovi. « I lavori capaci — scrive — di emozionare il nostro pubblico sono quelli che mettono a contatto il presente con l'avvenire, i dominatori con gli oppressi, il sistema sociale dell'oggi con le ardite speranze del domani ».
E qui è da notare che egli non istalla nella rubrica teatrale dell'Avantil una cattedra staccata dalla vita teatrale. Egli si rivela uomo di teatro; e cioè consapevole delle necessità pratiche a cui la vita del teatro è sotto:posta e dei mezzi che devono non ostacolare ma favorirne lo sviluppo. Sarebbe stato da ricordare il s[...]

[...]ella rubrica teatrale dell'Avantil una cattedra staccata dalla vita teatrale. Egli si rivela uomo di teatro; e cioè consapevole delle necessità pratiche a cui la vita del teatro è sotto:posta e dei mezzi che devono non ostacolare ma favorirne lo sviluppo. Sarebbe stato da ricordare il suo insegnamento l'anno scorso, in occasione di una polemica che fu intitolata « Arte e cultura » e che piú esattamente sarebbe stata intitolata « Arte e Teatro ». Gramsci sostenne che i diritti e i valori dell'arte dovevano essere rispettati in teatro come essenziali ai suoi fini nel tempo stesso ideali e pratici, perché senza di questi ultimi non esisterebbe teatro e la sua opera rimarrebbe nell'ambita della letteratura. Battendosi contro « l'insincerità psicologica, la bolsa espressione artistica », la forma « crassamente sguaiata » o « romanticosentimentale » della vita sessuale, Gramsci denunzia l'impresa teatrale Ghiarella che, a Torino, sta « lentamente abituando » il pubblico « a preferire lo spettacolo inferiore, indecoroso, a quello che rappresenta una necessità buona dello spirito » . Scrive: « Non è vero che il pubblico diserti i teatri; abbiamo visto dei teatri, vuoti per una lunga serie di rappresentazioni, riempirsi, affollarsi, all'improvviso per una serata straordinaria in cui si esumava un capolavoro, o anche piú modestamente un'opera tipica di una moda passata, ma che avesse un suo particolare cachet. Bisogna che ciò che ora il teatro dà come straordinario dive[...]

[...]so è anche un fatto « necessario, in quanto anche la produzione drammatica è in grandissima parte un fatto commerciale e perciò rispettabile ». Questa produzione di ordinaria amministrazione, cioè, sempre che abbia un minimo di dignità e di buon gusto, ha lo scopo di assicurare la funzionalità ininterrotta degli spettacoli; a tener « caldo », come si dice in gergo, « il locale », condizione prima perché i capolavori possano giungere al pubblico; Gramsci, nel suo realismo, ne aveva la perfetta comprensione.
La seconda parte di questa comunicazione riguarda l'atteggiamento di Gramsci di fronte al teatro considerato come fatto economico, con contributi ancora validi nell'attuale fase della vita teatrale italiana. Piú particolarmente ci riferiamo ad un gruppo di articoli che, scritti in occasione di una agitazione della categoria capocomicale contro gli esercenti di teatro, considera l'organizzazione pratica, cioè economica, del teatro come fatto avente fine in se stesso e per la sua influenza sull'espressione artistica.
La prefazione posta alla pubblicazione di Letteratura e vita nazionale avverte, per quanto riguarda le cronache e critiche teatrali, che esse offrono un q[...]

[...]to riguarda le cronache e critiche teatrali, che esse offrono un quadro pressocché completo della vita teatrale torinese di quel periodo. In verità, data, come vedremo, la particolare organizzazione del teatro italiano in quel tempo, la vita teatrale di Torino era strettamente legata a quella di Milano, di Genova, di Bologna e di Roma: e quindi era parte integrante della vita teatrale italiana. Possiamo dire, senza preoccupazioni, che le note di Gramsci hanno un valore di testimonianza e di giudizio su piano nazionale.
Fu, come è noto, quello della guerra e dell'immediato dopoguerra, un periodo di grande prosperità economica per qualsiasi genere di spettacolo. Certo, i locali piú affollati erano i caffèconcerto, dove si river
sava la gente favorita dalle nuove e facili fortune di guerra e, durante la guerra, i privilegiati sottrattisi al servizio militare, spettacolo poco
edificante per i combattenti che venivano in licenza dal fronte (tanto che, dopo Caporetto, intervennero limitazioni e chiusure); ciò non pertanto restava ancora pubblic[...]

[...]ero compagnie in cui anche gli attori principali erano scritturati e la compagnia era proprietà di un capitalista.
Il fatto recente, piú importante, era stato rappresentato dallo sviluppo dell'« esercizio » teatrale, e cioè dalla gestione dei locali, e ciò soprattutto per la costruzione, nelle grandi città, di nuovi teatri liberi dalla soggezione del « palchismo » e cioè dal condominio: e lo sviluppo era stato tale, da portare, nel tempo in cui Gramsci scriveva le sue note, alla creazione di un potente trust. I piú importanti teatri d'Italia, e cioè quelli di Milano, di Torino, di Genova, di Bologna, erano nelle mani della Società SuviniZerboni di Milano, dei fratelli Chiarella, genovesi, (con locali a Genova e Torino), del comm. Paradossi di Bologna; e questo trust sindacava anche quasi tutti i teatri di Roma.
Si era venuta, cosí, formando in Italia, dai principi del secolo, l'industria capocomicale, timida e subalterna a quella dell'« esercizio »
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teatrale, a quella cioè dei gestori dei teatri, generalmente chiamati[...]

[...]oma.
Si era venuta, cosí, formando in Italia, dai principi del secolo, l'industria capocomicale, timida e subalterna a quella dell'« esercizio »
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teatrale, a quella cioè dei gestori dei teatri, generalmente chiamati proprietari, sia che fossero proprietari sia che fossero fittuari dei relativi edifizi. La soggezione era diventata enormemente piú grave negli ultimi anni. Ed è con evidente riferimento a questa situazione che Gramsci, nella pagina già citata, vede il capocomico ridotio, sostanzialmente, alla funzione di « mediatore » tra « l'impresario del teatro associato in un trust» e « i comici soggiogati alla schiavitú del salario ».
Dai principi del secolo, si eran venuti, a loro volta, corporativisticamente organizzando le varie attività lavoratrici dello spettacolo: e già nel 1902 il suggeritore Domenico Gismano aveva fondato una Lega degli Attori Drammatici e un settimanale, l'Argante, e dirigeva l'una e l'altro con molta probità personale e con criteri assolutamente paternalistici, attraverso i quali — bisogna [...]

[...]e capocomicali. Contro il trust SuviniZerboniChiarelliParadossi costituitosi sotto forma di Consorzio, la Lega dell'Arte Drammatica dette il grido d'allarme ai capocomici; e questi, appoggiati anche dalla Società degli Autori, trovarono il piú battagliero rappresentante dei loro interessi in Ermete Zacconi, proprietario della compagnia a lui intitolata.
Sull'Avanti! di Torino, prima ancora che questa lotta fosse impostata sul terreno economico, Gramsci aveva rilevato i pericoli del trust sul terreno culturale. « Torino — egli aveva scritto il 25 maggio 1916,
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sotto il titolo « Sfogo necessario » — è diventata una buona piazza per il trust che regola il mercato artistico italiano »; e quel che diceva era valido per quasi tutta Italia. « Il trust ha ammazzato la concorrenza, ha rotto la molla che costringeva a dare il meglio se si voleva molto pubblico, si è formata la palude, la marcita che favorisce prosperità ai girini e alle erbacce ». E qui, nel successivo articolo del 18 giugno, « Malinconia », la dimostraz[...]

[...]rità ai girini e alle erbacce ». E qui, nel successivo articolo del 18 giugno, « Malinconia », la dimostrazione della sempre maggiore scarsezza di spettacoli teatrali sostituiti da « un pullulare malsano di varietà e di canzonettisterie ».
Un anno dopo, il male si aggrava: gli spettacoli di varietà, operette, vaudevilles si sono allargati, hanno preso posto in tutti i teatri di prosa. Sotto il titolo « L'industria teatrale », il 28 aprile 1917, Gramsci scrive: « Torino è diventata una fiera, Barnum è diventato il dio tutelare della attività estetica e del gusto dei torinesi. Barnum o il consorzio teatrale: Barnum o il trust dei fratelli Chiarella ».
Qui Gramsci denunzia lo spirito animatore dell'industria teatrale, tal quale esso si rivelava allora di fronte al caffèconcerto (e tal quale si rivela oggi di fronte alla rivista): « lo spirito dell'accumulatore di quattrini, cieco, sordo, insensibile a tutto ciò che non sia cespite di guadagno. Se domani sarà provato che è piú che conveniente adibire i teatri a rivendita delle noccioline americane e dei rinfreschi ghiacciati, l'industria teatrale non esiterà un istante a farsi rivenditrice di noccioline e di ghiacciate, pur mantenendo nella ditta l'aggettivo " teatrale " ».
Dei danni che certamente der[...]

[...]a tutto ciò che non sia cespite di guadagno. Se domani sarà provato che è piú che conveniente adibire i teatri a rivendita delle noccioline americane e dei rinfreschi ghiacciati, l'industria teatrale non esiterà un istante a farsi rivenditrice di noccioline e di ghiacciate, pur mantenendo nella ditta l'aggettivo " teatrale " ».
Dei danni che certamente deriveranno, e già cominciano a derivare, al teatro drammatico, l'industria teatrale, osserva Gramsci, non si preoccupa poiché, a causa del monopolio e della perversione del gusto, i suoi affari prosperano ugualmente. Perché dovrebbero, infatti, preoccuparsi i proprietari teatrali? Le compagnie, scrive Gramsci, « se vogliono vivere e lavorare devono passare sotto le forche caudine dei patti, dell'ingerenze, dei repertori, che il Consorzio impone ».
Fissiamo subito la nostra attenzione su questi tre temi proposti da Gramsci: patti, ingerenze, repertori; poiché si tratta di una tematica quanto mai attuale per porre in discussione le ragioni che impedivano allora e tanto piú impediscono oggi — in una situazione nuova ma analoga — quella libertà del teatro che è condizione assoluta per la sua esistenza.
Quanto ai patti, salvo alcune clausole addirittura leonine da tempo
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superate, essi sono oggi ancora, sostanzialmente, quegli stessi del contratto tipo preparato a quel tempo dal trust degli esercenti e che costituiscono l'impalcatura della struttura economica del teatro italiano; il quale ha [...]

[...]lla compagnia. La quale si difende attuando il criterio del minor rischio e del minor costo possibili: periodi sempre piú brevi, complessi sempre minori, occasionalità, provvisorietà sempre maggiori, e sempre maggiore decadenza artistica: fondamentale causa ed immediato effetto, questa, della crisi del teatro.
Quanto alle ingerenze, e cioè alle possibili limitazioni della libertà del capocomico nella formazione delle compagnie, ingerenze di cui Gramsci vedeva il pericolo nel rapporto di forze fra i due contraenti, basti pensare come esse si siano allargate ed approfondite, e come da eventuale pericolo siano diventate danno costante in un regime nel quale, dal 1936 ad oggi, la sovvenzione ministeriale è condizione di vita della compagnia.
Quanto, in definitiva, alla scelta del repertorio (per la quale l'ingerenza degli esercenti era solo potenziale nel momento in cui Gramsci scriveva, e che diventò reale due anni dopo, quando al trust degli esercenti fu abbinata la « Sitedrama », società accaparratrice di repertorio nazionale e straniero) l'ingerenza ministeriale ha, come è noto, sotto il governo fascista e quello democristiano, raggiunto il piú alto grado, rappresentando essa la ragione basilare del regime delle sovvenzioni, predisposto appunto in modo da soffocare ogni libertà del teatro. La censura fa il resto, sopprimendo tutto quello che al sovvenzionatore sia sfuggito di sopprimere.
Nel conflitto scoppiato fra il consorzio monopolistico degli esercenti ed [...]

[...]ro) l'ingerenza ministeriale ha, come è noto, sotto il governo fascista e quello democristiano, raggiunto il piú alto grado, rappresentando essa la ragione basilare del regime delle sovvenzioni, predisposto appunto in modo da soffocare ogni libertà del teatro. La censura fa il resto, sopprimendo tutto quello che al sovvenzionatore sia sfuggito di sopprimere.
Nel conflitto scoppiato fra il consorzio monopolistico degli esercenti ed i capocomici, Gramsci prese posizione contro il Consorzio, pur mettendo in evidenza il rapporto di forca ed impiccato, fra capocomico e scritturato. Su tutta una serie di sfruttamenti, infatti, quello del capocomico, quello dell'esercente, e — diventato oggi sempre piú grave — quello del proprietario delle mura (che ha cominciato ad imporre la sua partecipazione agli incassi lordi dello spettacolo) poggia la struttura economica del teatro italiano; sfruttamenti tutti che aggravano la crisi del teatro, ele
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vando il costo dello spettacolo e del biglietto d'ingresso, e che possono esser[...]

[...]o, quello dell'esercente, e — diventato oggi sempre piú grave — quello del proprietario delle mura (che ha cominciato ad imporre la sua partecipazione agli incassi lordi dello spettacolo) poggia la struttura economica del teatro italiano; sfruttamenti tutti che aggravano la crisi del teatro, ele
302 I documenti del convegno
vando il costo dello spettacolo e del biglietto d'ingresso, e che possono essere eliminati soltanto dai teatri comunali.
Gramsci muove contro la gretta politica degli « accumulatori di quattrini » , che, avendo in programma l'accondiscendere ai gusti degli amatori di banalità, contribuisce all'abbassamento di livello del gusto generale.
Alla reazione della ditta Chiarella, che aveva id monopolio dei teatri torinesi e genovesi e che protestava contro le note dell'Avanti! egli risponde informando i lettori dell'Avanti!: «II trust del Consorzio teatrale ha già escluso dai teatri di Torino Ermete Zacconi; ora anche Emma Gramatica è caduta in ostracismo ». E poiché questa nobilissima artista, che Gramsci loderà per un tent[...]

[...]egli amatori di banalità, contribuisce all'abbassamento di livello del gusto generale.
Alla reazione della ditta Chiarella, che aveva id monopolio dei teatri torinesi e genovesi e che protestava contro le note dell'Avanti! egli risponde informando i lettori dell'Avanti!: «II trust del Consorzio teatrale ha già escluso dai teatri di Torino Ermete Zacconi; ora anche Emma Gramatica è caduta in ostracismo ». E poiché questa nobilissima artista, che Gramsci loderà per un tentativo di lotta per l'arte, non accettava le forche caudine del trust, l'organo milanese del Consorzio attaccò volgarmente l'artista, rimproverandole di « non fare interesse », di non rendere, cioè, tanto in quattrini, quanto ne rendevano le compagnie di pochades.
Per completare l'accenno al conflitto fra il trust degli esercenti ed i capocomici, che impegnò Gramsci a favore di questi ultimi, ricorderemo che, dopo un inutile convegno del luglio a Milano, di cui Gramsci parla negli articoli « Ancora i fratelli Chiarella », e « L'industria teatrale », fra esercenti capocomici ed attori, si formò, 1'11 ottobre 1917, presieduta da Zacconi, l'Associazione dei capocomici. La Lega degli Attori Drammatici, e cioè dei salariati dell'industria capocomicale, dette ai suoi datori di lavoro tutta la sua solidarietà nella lotta da essi impegnata contro il Consorzio: l'Argante fu per molto tempo l'organo ufficioso di Zacconi e per molto tempo fu tessuto l'idillio della collaborazione fra attori e capocomici, salariati e padroni. Sulla validità e continuità di tale collabo[...]

[...]; i quali erogarono i fondi per la costituzione della prima corporazione fascista e crumira. Fu, in questa occasione, scoperto dai lavoratori del teatro un documento quanto mai significativo: una sottoscrizione promossa dall'Associazione
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Proprietari ed Esercenti di teatro, iniziata da Chiarella, con L. 5.000, ed altrettante da Zerboni, « per arginare le continue pretese delle leghe rosse ».
Credo che il contributo dato da Gramsci fra il 1917 e il 1919 allo studio del teatro come fatto economico sia di notevole importanza e che, nell'attuale naufragio della vita teatrale italiana, le sue intuizioni possano servire da bussola.
Il fatto economico è da lui sempre considerato nella sua inscindibilità dal fatto culturale ed artistico; e molti suoi passi vanno meditati.
Là dove egli dice che il teatro, come organizzazione pratica di uomini e di strumenti di lavoro non ha potuto sfuggire dalle spire del maelström capitalistico, aggiunge: « Ma l'organizzazione pratica del teatro è nel suo insieme un mezzo di espressione arti[...]

[...]zzazione pratica di uomini e di strumenti di lavoro non ha potuto sfuggire dalle spire del maelström capitalistico, aggiunge: « Ma l'organizzazione pratica del teatro è nel suo insieme un mezzo di espressione artistica: non si può turbarla senza turbare e rovinare il processo espressivo, senza sterilire l'organo " linguistico " della rappresentazione teatrale ».
Ed anche l'attore dovrà trarre insegnamenti.
« Le leggi della concorrenza — scrive Gramsci — hanno rapidamente condotto a termine l'opera loro disgregatrice: il comico è diventato un individuo, in lotta coi suoi compagni di lavoro, col "maestro" divenuto mediatore, e con l'industriale del teatro. Sfrenata la speculazione sordida, essa non ha conosciuto piú confini. Il carattere spesso peculiare del lavoro da svolgere è diventato reagente corrosivo » . « Primeggiare nel guadagno va di pari passo col primeggiare nella compagnia, nelle funzioni direttive e autoritarie, nella libertà di scegliere per sé le parti di successo e spiccare, monumento funerario, in un cimitero di fosse comun[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Zanardo, Il «manuale» di Bukharin visto dai comunisti tedeschi e da Gramsci in Studi gramsciani

Brano: Aldo Zanardo

IL « MANUALE » DI BUKHARIN VISTO DAI COMUNISTI TEDESCHI E DA GRAMSCI

Analizzare la critica di Gramsci alla Teoria del materialismo storico di Bukharin è compiere un primo passo nel tentativo di inserire l’originale interpretazione gramsciana del marxismo filosofico nel quadro complesso e contrastato delle interpretazioni che si sono avute negli anni che precedono immediatamente e che seguono la costituzione della Terza Internazionale. Le note di Gramsci su Bukharin sono del 3334, ma appartengono idealmente a quel tempo, rappresentano, come vedremo, la maturazione di motivi che fermentavano nel mondo intellettuale di allora.

La fissità, l’unità, la semplicità, che hanno caratterizzato il marxismo filosofico a partire dal 3031, la posizione periferica in cui si è venuta a trovare l’Italia rispetto alle discussioni teoriche sul marxismo, la solidità e il limite speculativo e astratto della cultura idealistica, le sorti politiche del paese, hanno impedito che per la storia delle interpretazioni del marxismo filosofico si avesse in Italia non [...]

[...] i classici del marxismo filosofico, di stimolare allo studio delle esperienze intellettuali che confluirono nel marxismo. Nelle ricerche di storia del marxismo filosofico e più in generale di storia del socialismo internazionale, si muovono ora i primi passi. Siamo ben lontani dal poter arrivare a risultati sistematici, dal potere dare, per quanto ci riguarda, una colloca338

I documenti del convegno

zione storica precisa della critica di Gramsci a Bukharin e dal poter offrire un panorama completo e una valutazione esatta delle prese di posizione che si sono avute nei partiti socialisti e in seno alla Terza Internazionale intorno al Manuale popolare. Anche il materiale a cui si può accedere in Italia permette una documentazione esauriente soltanto per il socialismo e il comuniSmo tedeschi.

Tuttavia è proprio in Germania che è più viva l’attenzione per gli aspetti filosofici del marxismo, è li che sono più numerosi, più colti e attivi gli intellettuali legati al movimento operaio. In tutta la Seconda Internazionale e nella Terza fin[...]

[...]socialiste e

comuniste italiane e francesi fra il ’20 e il ’30 mostrano il peso che

hanno avuto i quadri intellettuali del movimento operaio tedesco nella elaborazione delle questioni filosofiche e scientifiche. La ricchezza, la varietà, i legami internazionali, il prestigio della cultura socialista e

comunista tedesca di allora sono tali che i rilievi fatti su di essa

hanno una certa completezza e tipicità. Considerare la critica di Gramsci a Bukharin in questo confronto non è dunque casuale, significa collegarla ad alcuni dei termini essenziali della situazione ideologica di allora.

I

Il Manuale di Bukharin è del ’21. Le prime prese di posizione in Occidente datano però dal ’22, quando esce la traduzione tedesca1. La traduzione inglese esce a New York nel ’25 2, quella francese a Parigi nel ’273, ed è verosimile che anche intorno a queste si sia sviluppato un insieme di reazioni4.

1 Theorie des historischen Materialismus. Gemeinverstàndliches Lehrbuch der marxistischen Soziologie. Hamburg, Verlag der kommunistischen In[...]

[...]delle trasformazioni tecniche, e solo secondariamente queste influiscono sulla struttura. L’argomentazione si vale del noto capitolo sul feticismo della merce, un testo essenziale allora per Lukàcs (e non solo per lui), e che egli interpreta come negazione delloggettività storica, apparente, del tipo della merce, e delloggettività più generale propria del materialismo filosofico. Altro motivo centrale della posizione di Lukàcs (come di quella di Gramsci) è la critica della dottrina della previsione. Afferma, fondandosi su alcuni testi di Lenin, che esiste una impossibilità metodologica di prevedere un fatto con assoluta certezza: la struttura della realtà non è l’esattezza, la matematica, ma la tendenza, la possibilità, il movimento. Le leggi del marxismo sono tendenziali, non statiche.

Bukharin si è posto fuori della grande tradizione del marxismo (Marx, Engels, Mehring, Plekhanov, la Luxemburg): invece di criticare le scienze della natura col metodo del materialismo dialettico, applica il metodo di quelle scienze, il materialismo volgar[...]

[...]opportuno escludere (usciti in Kommunismus e in altri periodici) sono visibilissimi il semplicismo, l’hegelismo, il settarismo. Meccanicisticamente sono svolti per esempio i rapporti fra materialismo delle scienze della natura e capitalismo, fra materialismo storico e proletariato. Si confronti l’astrattezza deU’articolo « Klassenbewusstsein » 1 dove tenta di stabilire i rapporti fra classi e concezioni ideali, con la sensibilità storica con cui Gramsci analizza lo sviluppo e i nessi reali delle ideologie. Del marxismo si vedono solo gli aspetti fondamentali e si interpretano come assoluti. È attraverso lo sforzo di capire la concreta realtà politica che questo mondo intellettuale si complica, si raffina, assimila veramente la dialettica. Si veda l’articolo del ’22 2 a proposito dell’opuscolo della Luxemburg sulla Rivoluzione russa. Si veda soprattutto il lavoro su Lenin del ’24 3 : è qui, nel dibattito sulla natura del leninismo, nella distinzione fra marxismo e leninismo, fra weltgeschichtliche Perspektive e Tagesfrage che esce fuori chiar[...]

[...]oluzione dogmatica, non sviluppò dei quadri filosofici di alto livello, non significò l’assimilazione, la traduzione, per il proletariato, dei risultati più avanzati della cultura filosofica europea. Quello che era stato, da un certo punto di vista, l’inizio ancora manchevole e incerto di un tentativo in questo senso, parve essenzialmente una deviazione di sinistra a cui l’idealismo aveva fornito gli strumenti ideologici.

Ili

La critica di Gramsci a Bukharin si muove in ultima analisi nello stesso solco delle critiche di questi comunisti tedeschi. Certo le pagine su «La rivoluzione contro il Capitale» del 1918 hanno, con le posizioni di un Lukàcs, aspetti di affinità molto più appariscenti che non le pagine sul Manuale. Anche queste però restano nella stessa direzione di movimento intesa con molto ampiezza e in una fase molto avanzata, ma nella, stessa: la sintesi di due componenti, la cultura storicistica e umanistica europea e il* movimento operaio. Ma in Gramsci, contrariamente a quanto è avvenuto nei tedeschi, il processo di conflu[...]

[...]e di questi comunisti tedeschi. Certo le pagine su «La rivoluzione contro il Capitale» del 1918 hanno, con le posizioni di un Lukàcs, aspetti di affinità molto più appariscenti che non le pagine sul Manuale. Anche queste però restano nella stessa direzione di movimento intesa con molto ampiezza e in una fase molto avanzata, ma nella, stessa: la sintesi di due componenti, la cultura storicistica e umanistica europea e il* movimento operaio. Ma in Gramsci, contrariamente a quanto è avvenuto nei tedeschi, il processo di confluenza fra l’intellettuale e l’uomo politico, fra cultura e movimento operaio, sia pure in condi
1 Vedi per la Germania ancora Kurt SAUERLAND, Der dialektische Materialismus, Berlin, 1932. Sembra essere la rappresentazione migliore, ancora densa di problemi, della fase iniziale di questo processo di cristallizzazione.

2 Vedi per la Germania ancora Kurt SAUERLAND, Ueber den Kampf an der theoretischen Front, in Die Internationale, febbr. 1931, pp. 7579, marzo, pp. 128133. Vedi in particolare p. 77: «Il materialismo meccani[...]

[...]damente in larghe masse, mobilitarle, illuminarle, farne scaturire fuori dei quadri2. In una simile impostazione restano purtroppo allo stato di non elaborazione il problema della formazione dei quadri politici e intellettuali elevati, il problema della conquista ideologica permanente delle masse popolari, il problema del rapporto dei dirigenti con le masse, il problema dell’attività e della passività culturale e politica di queste masse.

Per Gramsci il marxismo sta in rapporto soprattutto critico con il senso comune3. Il lavoro di convincimene politico è indissociabile da una complessa opera di incivilimento. Il problema è di « elevare il tono e il livello intellettuale delle masse » 4, di renderle capaci di partecipare attivamente e consapevolmente al movimento politico, di aiutare a elaborare criticamente il pensiero. Bisogna portare i semplici al livello dei colti. Bisogna arrivare alle coscienze perché l'adesione a una causa ha da essere individuale e convinta. Si tratta di « riformare intellettualmente e moralmente strati sociali cu[...]

[...]ltura e masse indicati prima) il marxismo è « risultato e coronamento di tutta la storia precedente » 1; e per l’altro verso, le masse popolari organizzate in partiti hanno il compito di costruire una nuova società, di produrre una trasformazione materiale e intellettuale paragonabile ai grandi movimenti con cui le altre classi hanno conquistato l’egemonia.

Sempre nel quadro di questa concezione dell’azione politica e del marxismo, si ha, per Gramsci, tutta una serie di problemi, di nessi, di mediazioni là dove per l’impostazione semplicistica di Bukharin si ha una filosofia tutta esplicita e di valore assoluto. Il punto più notevole sembra essere la distinzione netta, consapevole, fra processo didascalico e processo di elaborazione, di creazione. Anche Lenin, nel frammento « A proposito della dialettica », distingue fra formulazione scientifica e formulazione per la popolarizzazione, e, più in generale, la distinzione non è estranea alla storia successiva del marxismo. Spunti della coscienza di questa distinzione si trovano anche nel Man[...]

[...]idascalico e processo di elaborazione, di creazione. Anche Lenin, nel frammento « A proposito della dialettica », distingue fra formulazione scientifica e formulazione per la popolarizzazione, e, più in generale, la distinzione non è estranea alla storia successiva del marxismo. Spunti della coscienza di questa distinzione si trovano anche nel Manuale di Bukharin. Di fatto però una vera articolazione fra i due termini non sembra si sia avuta. In Gramsci poi la distinzione fra pedagogia e creazione intellettuale si allarga in quella fra gruppi intellettuali e masse2, e ancora nelle altre fra politica e cultura, fra politica e filosofia. È noto che la ragione politica ebbe il sopravvento, che la creazione intellettuale si concepì in genere come illustrazione dei principi; che fra politica e filosofia si fissò un rapporto di indivisibilità : gli errori politici della socialdemocrazia vengono riportati a difetti di impostazione filosofica; fra le due sfere viene ammessa una completa traducibilità, reversibilità. È interessante che Lenin, proprio[...]

[...]dentità immediata, ma che il loro rapporto era articolato, problematico, era diverso e da stabilirsi secondo

a M. S., p. 105.

2 « Non c’è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza che l’aspetto teorico del nesso teoriapratica si distingua concretamente in uno strato di persone specializzate ncH'elaborazione concettuale e filosofica» : M. S., p. 12.Aldo Zanardo

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ì tempi e le circostanze1, Gramsci scrive: «Pare necessario che il lavorio di ricerca di nuove verità e di migliori, più coerenti e chiare formulazioni delle verità stesse sia lasciato aH’iniziativa libera dei singoli scienziati, anche se essi continuamente ripongono in questione gli stessi principi che paiono i più essenziali» 2. Istituti e accademie debbono mediare il rapporto fra questi intellettuali liberi e le masse. Alle identificazioni sommarie e immediate di Bukharin si trovano sostituite e articolate dialetticamente le distinzioni presenti in una società civile politicamente e intellettualmente complessa.

Altri pun[...]

[...]ropenderei a tenere queste discussioni filosofiche fra materialisti e “ empirio99 lontane dal vero lavoro di partito ».

2 M. S., p. 18.

3 Meno chiaro mi sembra è il nesso fra l’autonomia 'filosofica del marxismo (intesa certo con tutta l’ampiezza che si sa) e il marxismo che ha per obiettivo di « vivificare una integrale organizzazione pratica della società, ... diventare una totale, integrale civiltà» (M. S., p. 157). È da vedere se per Gramsci solo il marxismo è l’ideologia della classe operaia (cosa pensa per es. del movimento operaio inglese) e se gli è veramente estraneo il concetto di marxismo come qualcosa di amplissimo in cui confluiscono motivi diversi e anche contraddittori (come per es. nel liberalismo). Molti dei termini reali che hanno portato alla coscienza del movimento operaio questo problema sembrano essere posteriori a Gramsci.356

I documenti del convegno

d’approdo del movimento spontaneo delle masse. Si tratta — come è naturale che sia dopo L’imperialismo fase suprema del capitalismo — di una civiltà intellettuale, creata essenzialmente dalla potenza rivoluzionaria, del partito, dell’azione politica; si tratta della capacità di creare una nuova società in tutti i suoi livelli. Questa pare essere la via, che è anche la via di Lenin, del superamento mediatore della Seconda Internazionale. Bukharin, se per certi aspetti è fuori della socialdemocrazia, finisce con il rimanervi dentro per la sua concezione posit[...]

[...]na nuova società in tutti i suoi livelli. Questa pare essere la via, che è anche la via di Lenin, del superamento mediatore della Seconda Internazionale. Bukharin, se per certi aspetti è fuori della socialdemocrazia, finisce con il rimanervi dentro per la sua concezione positivistica e in sostanza subalterna del marxismo. Lukàcs, come si è visto, finiva, in. quegli anni, col rimanervi fuori astrattamente.

Il grosso della critica filosofica di Gramsci si intreccia intorno ai problemi della sociologia e del materialismo filosofico con tutte le loro implicazioni (previsione, regolarità degli accadimenti, determinismo, scienze naturali...) e intorno al problema della collocazione storica del materialismo di Bukharin.

Il Manuale parte dalla distinzione rigida fra generale e particolare, fra teoria e storiografia, e vuol essere un’indagine di ciò che è generale prima nella realtà naturale e umana, poi nella vita della società e in particolare della società moderna. Prima vengono trattati i principi universali, i concetti metodologici della s[...]

[...]ima nella realtà naturale e umana, poi nella vita della società e in particolare della società moderna. Prima vengono trattati i principi universali, i concetti metodologici della sociologia: regolarità, causa, libertà, necessità, caso, trasformazione; poi viene costruita la sociologia vera e propria: la società, gli stati di equilibrio, squilibrio e riequilibrio fra: la società e la natura, fra i vari elementi della società. La sociologia è per Gramsci una indebita estensione dei metodi delle scienze naturali alla scienza della società, « un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da prevedere l’avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia », « un tentativo di descrivere e classificare sistematicamente fatti storici e politici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali » 1. Si pretende di concepire la realtà con un’astrazione schematica, con una metodologia e una logica « esistente in sé e per sé » 2. Criticare questa posi[...]

[...]na logica « esistente in sé e per sé » 2. Criticare questa posizione non significa rinunciare alla comprensione intellettuale, cadere in forme di nominalismo nella concezione della

1 M. S., p. 125.

2 M. S., p. 62.Aldo Zanctrdo

357

realtà o della conoscenza1, bensì porre fra sociologia e storia, schema e attività concreta, tecnica e pensiero in atto, assoluto e relativo (secondo la forma in cui il problema volta a volta si presenta a Gramsci) un rapporto articolato, dialettico2. Implicite a questa impostazione storicistica sono, per un verso, la tesi che il mondo umano è qualcosa di specifico, di vivente, di originale rispetto alla natura, tale che con il suo trasformarsi rende a lungo andare vuoti gli schemi che se ne traggono, per altro verso,, la tesi che il marxismo è una metodologia della storia, un conoscere che aderisce alla realtà che si modifica, un conoscere che ha un rigoroso aspetto sperimentale.

Ma non ci si ferma a questa critica teorica, a questo storicismo elementare. Si ha anche un’analisi storicoconcreta. La [...]

[...], p. 127.

4 M. S., p. 100.

5 Sulla singolarissima storia della sociologia in Russia vedi l’articolo « Die russische Soziologie im zwanzigsten Jahrhundert » di P. SOROKIN in Jahrbuch fùr Soziologie, 1926, p. 462 sgg. Racconta fra l’altro: « Fino al 1909 nelle Università e nei colleges russi la sociologia non era ancora insegnata come una disciplina358

I documenti del convegno

trovano gli stessi motivi antiscientistici e umanistici di Gramsci, ma lo svolgimento sembra diverso. Si pensi al percorso intellettuale della maturità di Lukàcs: ha respinto la sociologia di Bukharin e di Kautsky ed ha assimilato quella di Lenin. Lukàcs lavora sulle generalizzazioni delle esperienze di Lenin. Non è passato, come è passato Gramsci, attraverso la percezione diretta della vita delle masse, della vita della realtà; la sua strada è stata più facile, ma accanto al vantaggio di essere rimasto a contatto col filone centrale, classico, della teoria del movimento operaio, va indicato lo svantaggio che spesso le categorie con cui lavora hanno il sapore dell’applicazione rigida, dell’estrinseco. In Gramsci il contatto col filone classico del marxismo teorico, forse anche col leninismo formale, è meno visibile. Le cose che scrive sulla sociologia echeggiano posizioni idealistiche e sembrano generalizzare esperienze di ricerca limitate alla sfera politica. Di fatto però la sua percezione della realtà si coordina in analisi in cui confluiscono gli elementi prospettiva, periodo, economia. Sono impostazioni leniniste che nascono dal basso.

A questa forte accentuazione storicistica non fa tuttavia riscontro, come forse si potrebbe pensare, una elaborazione teorica manchevole della generalizzazione[...]

[...]che e sembrano generalizzare esperienze di ricerca limitate alla sfera politica. Di fatto però la sua percezione della realtà si coordina in analisi in cui confluiscono gli elementi prospettiva, periodo, economia. Sono impostazioni leniniste che nascono dal basso.

A questa forte accentuazione storicistica non fa tuttavia riscontro, come forse si potrebbe pensare, una elaborazione teorica manchevole della generalizzazione. Non è insomma che in Gramsci non riceva trat
scientifica autonoma. La causa principale di questo era di natura politica, il governo zarista cioè pensava che sociologia significasse una dottrina rivoluzionaria e socialista. Perciò confiscò perfino la Dynamic So dolo gy di L. Vard, perché la ritenne uno scritto propagandistico del terrorismo e del socialismo... Dal 1909 la sociologia viene formalmente introdotta come una disciplina autonoma nel piano di insegnamento dell’Istituto psiconeurologico e di P. F. Lesgaft di Pietrogrado... Nelle Università tuttavia la sociologia fu riconosciuta sotto il nome di sociologia soltan[...]

[...]nza neanche sospettare che a questa può essere mossa l’obiezione di misticismo » 3, è un « ritorno implicito al sentimento religioso » 4.

La nozione di una oggettività sovrastorica, sopraumana, condizionante ma non condizionata rispetto al variopinto mondo dell’attività pratica e delle ideologie, e, più in generale, tutto il nodo di problemi che il marxismo ereditò, raffinandoli, dal materialismo tradizionale, sembrano estranei al pensiero di Gramsci. Per Gramsci non esiste « una realtà per sé stante, in sé e per sé » ; la realtà esiste solo « in rapporto storico con gli uomini che la modificano » 5. « Quando si afferma che una realtà esisterebbe anche se non esistesse luomo o si fa una metafora o si cade in una forma di misticismo. Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l’oggettività è un divenire » 6. « Oggettivo significa sempre 66 umanamente oggettivo ”, ciò che può corrispondere esattamente a “ storicamente soggettivo ”, cioè oggettivo signifi[...]

[...] solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un divenire, anche l’oggettività è un divenire » 6. « Oggettivo significa sempre 66 umanamente oggettivo ”, ciò che può corrispondere esattamente a “ storicamente soggettivo ”, cioè oggettivo significherebbe “ universale soggettivo ” » 7. « Senza l’attività dell’uomo, creatrice di tutti i valori anche scientifici, cosa sarebbe l’oggettività? » 8. Gramsci esclude che si possa chiedere alla scienza « la certezza deH’esistenza obiettiva della cosiddetta realtà esterna » 9.

Motivi analoghi a questi abbiamo già visto a proposito di Lukàcs e di Fogarasi, il relativismo, lo storicismo, l’eliminazione della cosa in sé, la natura specifica del mondo umano, i nessi dialettici che stringono tutti i

1 M. S., pp. 556.

2 M. S., p. 54.

3 M. S., pp. 1412.

4 M. S., p. 138.

5 M. S., p. 23.

6 M. S., p. 143.

7 M. S., p. 142.

8 M. S., p. 55.

9 M. Sp. 54.Aldo Zanardo

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termini della totalità. È indubbio che queste posizioni d[...]

[...]mo già visto a proposito di Lukàcs e di Fogarasi, il relativismo, lo storicismo, l’eliminazione della cosa in sé, la natura specifica del mondo umano, i nessi dialettici che stringono tutti i

1 M. S., pp. 556.

2 M. S., p. 54.

3 M. S., pp. 1412.

4 M. S., p. 138.

5 M. S., p. 23.

6 M. S., p. 143.

7 M. S., p. 142.

8 M. S., p. 55.

9 M. Sp. 54.Aldo Zanardo

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termini della totalità. È indubbio che queste posizioni di Gramsci si collocano nel solco della tradizione antipositivistica, umanistica, storicistica. Ma se è chiaro l’ambiente intellettuale in cui ci si muove, e sono chiare le implicazioni elementari di queste posizioni, non pare sia chiaro il loro significato filosofico preciso, cioè cosa esse implichino sul piano gnoseologico e ontologico. Sono in genere proposizioni che vengono avanzate in modo interrogativo o ipotetico e appaiono come il punto di approdo di una serie di critiche svolte invece con estrema sicurezza: la critica air« ideologia » che risolve le idee in sensazioni e poi in impulsi fisiologi[...]

[...]« ideologia » che risolve le idee in sensazioni e poi in impulsi fisiologici, la critica al monismo che appiattisce l’uomo, i soggetti, le ideologie, contro le forze materiali e la natura. Fra queste premesse e quelle conclusioni è tuttavia avvertibile un certo stacco. Premesse di questo tipo vengono più o meno soddisfatte anche dalla elaborazione che Lenin fa della dialettica e della materia come categoria filosofica, metodologica. Non pare che Gramsci abbia svolto adeguatamente queste posizioni teoriche generali. In altri termini: hanno un significato filosofico generale o sono semplicemente l'espressione delle esigenze critiche che abbiamo detto, formulate entro una determinata tradizione, una determinata prospettiva polemica? È un punto da studiare.

Da rilevare subito è (e qui si potrebbe svolgere un ampio confronto con i tedeschi) che questa relativizzazione rigorosa di soggetto e oggetto non attenua la distinzione fra uomo e rapporti sociali, uomo e condizioni obiettive1. La categoria dell’indipendenza dagli arbitri individuali cons[...]

[...]turale. È da dire insomma che la negazione di una oggettività extraumana non porta ad escludere il diverso peso, la diversa durata, che le varie determinazioni reali (economiche, sociali, individuali, ideologiche...) hanno per il marxismo, né porta ad attenuare il senso (implicito nel concetto di ma
1 AL S., p. 35.

2 M. S., p. 99.362

l docwnenti del convegno

teria) della necessità di far capo alla realtà, di riferirvisi continuamente. Gramsci sa benissimo tener distinti i concetti di uomo, di società, di natura \ sa che l’uomo non crea la natura, ma gli preme sottolineare che la natura, cosi come, è in rapporto con l’uomo, fa parte della medesima realtà, ne è modificata. È da aggiungere infine che questa impostazione umanistica non sembra determinare conseguenze rilevabili nelle concezioni politiche di Gramsci. Posizioni sindacalistiche, soggettivistiche, se ci sono, non sembra che possano collegarsi con queste concezioni generali.

In direzione non meno polemica contro la continuità, affermata da Bukharin, fra le scienze della natura e le scienze dell’uomo, contro la mutuabilità, se non l’identità, dei due metodi, è orientata anche la concezione gramsciana della scienza della natura. Anche se non mancano spunti di interpretazioni diverse, questa viene in genere considerata una tecnica di conoscenza particolare, cioè il metodo compilatorio, empirico; viene come bloccata nell’identificazione con questo metodo, resa incapace di trascendere se stessa e diventare vera conoscenza2. Non sembra di poter trovare, in Gramsci, tracce del motivo secondo cui « nelle scienze naturali, per il loro proprio sviluppo, è divenuta impossibile la concezione metafisica» (Engels). I risultati sempre superati e mutevoli e i metodi delle scienze naturali non rappresentano un caso generale della filosofia della prassi. Questa anzi è completamente indipendente, è la scienza autonoma del mondo umano, e ha da respingere rigorosamente ogni intromissione delle scienze naturali3, ogni pretesa di sussumerla a una teoria generale del materialismo o deiridealismo 4. Anche in merito a questi problemi tuttavia ci sono serie difficoltà di i[...]

[...]etodi delle scienze naturali non rappresentano un caso generale della filosofia della prassi. Questa anzi è completamente indipendente, è la scienza autonoma del mondo umano, e ha da respingere rigorosamente ogni intromissione delle scienze naturali3, ogni pretesa di sussumerla a una teoria generale del materialismo o deiridealismo 4. Anche in merito a questi problemi tuttavia ci sono serie difficoltà di interpretazione: sia per le esitazioni di Gramsci, sia perché è chiara la tendenza generale del pensiero, ma non la consistenza di ciò che intanto

1 Per esempio in M. S., p. 28.

2 M. S., p. 54.

3 M. S., pp. 54, 56, 162.

4 M. S., pp. 1589. Uno spunto di interpretazione forse diversa della scienza della natura si ha a p. 142 di M. S... : « La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione: essa è stato l’elemento di conoscenza che ha più contribuito a unificare lo spirito... ». Cioè la scienza della natura è un elemento della « lotta per l’oggettività », per l[...]

[...]3

si è raggiunto. Per di più, qui, queste difficoltà si cumulano con l’altra dovuta alla scarsezza delle ricerche sul modo (e anche il tempo) in cui si è passati dal materialismo storico a quello dialettico e sulle sollecitazioni ideali che hanno mediato questo passaggio.

Quello che prima, a proposito della sociologia, si è detto mancanza di contatto con il leninismo formale, qui è aperta divergenza di tradizioni intellettuali e politiche. Gramsci ha alle spalle la cultura storicistica e idealistica e di fronte, come obiettivo polemico essenziale, le combinazioni di marxismo e kantismo di rilievo filosofico e politico 1. Né dall’Italia forse si avvertiva l’importanza di tendenze di questo tipo nel marxismo tedesco e russo. Gramsci le considera di poco conto e le attribuisce a gruppi ristretti di intellettuali e di professori2. Fu appunto questo fatto, il rilievo politico e filosofico delle combinazioni di marxismo e idealismo, che dette vigore al materialismo filosofico russo, che mantenne elementi di continuità filosofica fra Plekhanov e Lenin. Fin dal 1909 3 Lenin indicava i termini della differenza filosofica fra marxismo e revisionismo nel materialismo e nella dialettica. Il binomio poi si conservò, con varia accentuazione e giustificandosi con altre lotte intellettuali e politiche, nel marxismo della Terza Interna[...]

[...]ca fra Plekhanov e Lenin. Fin dal 1909 3 Lenin indicava i termini della differenza filosofica fra marxismo e revisionismo nel materialismo e nella dialettica. Il binomio poi si conservò, con varia accentuazione e giustificandosi con altre lotte intellettuali e politiche, nel marxismo della Terza Internazionale.

Queste posizioni verso la sociologia, il materialismo volgare, le scienze della natura, si trovano riflesse e chiarite nel quadro che Gramsci ha dello sviluppo passato del marxismo filosofico e nella prospettiva che traccia per il futuro.

Il punto da cui dipende, per Gramsci, lo svolgimento generale di questi problemi è la rivoluzione teorica rappresentata dalla filosofia classica tedesca e soprattutto da Hegel, è il momento in cui sono stati immessi nella storia del pensiero i concetti di creatività e di dialettica. « È certo che la concezione soggettivistica è propria della filosofia moderna nella sua forma più compiuta ed avanzata, se da essa e come superamento di essa è nato il materialismo storico » 4, ed è certo ancora che di questa

1 M. S., p. 81.

2 M. S., pp. 8284.

3 Marxismo e revisionismo.

4 AL S., p. 139.364

I documenti del convegno

[...]

[...] superamento di essa è nato il materialismo storico » 4, ed è certo ancora che di questa

1 M. S., p. 81.

2 M. S., pp. 8284.

3 Marxismo e revisionismo.

4 AL S., p. 139.364

I documenti del convegno

concezione « lo hegelismo... rappresenta la forma più compiuta e più geniale » \

Il pensiero di Marx, storicamente e idealmente legato a Hegel, si è sviluppato, nel movimento socialista, in tutt’altro senso. Momento essenziale, per Gramsci, di questa deviazione è la « quistione del valore delle scienze cosi dette esatte o fisiche » e la « posizione che esse sono venute assumendo nel quadro della filosofia della prassi di un quasi feticismo, anzi della sola e vera filosofia o conoscenza del mondo » 2. Questa deviazione non è altro che la forma positivistica, scientistica, materialistica in senso tradizionale, del marxismo. Da questo angolo visuale Kautsky e Bukharin sembrano trovarsi sullo stesso terreno, rappresentare lo stesso momento dello sviluppo teorico. Gramsci in sostanza dice degli ortodossi ciò che dice di Bukharin 3. [...]

[...]e o fisiche » e la « posizione che esse sono venute assumendo nel quadro della filosofia della prassi di un quasi feticismo, anzi della sola e vera filosofia o conoscenza del mondo » 2. Questa deviazione non è altro che la forma positivistica, scientistica, materialistica in senso tradizionale, del marxismo. Da questo angolo visuale Kautsky e Bukharin sembrano trovarsi sullo stesso terreno, rappresentare lo stesso momento dello sviluppo teorico. Gramsci in sostanza dice degli ortodossi ciò che dice di Bukharin 3.

Particolari ragioni « didattiche » hanno obbligato il marxismo a combinarsi con queste forme di cultura ancora arretrate e tuttavia superiori aH’ideologia media delle masse popolari 4. La forma positivistica del marxismo non è altro che la sua fase economicocorporativa 5, è « una deviazione infantile » 6, « significa che si attraversa una fase storica relativamente primitiva » 7. Essa è stata « 1’44 aroma ” ideologico immediato della filosofia della prassi, una forma di religione e di eccitante... resa necessaria e giustificata s[...]

[...]», op. cit., p. 61). Questo motivo e anche l’altro della conciliabilità per Kautsky del marxismo con varie filosofie, sembrano essere i due punti di partenza per l’analisi della questione.

4 M. S., p. 84.

5 M. S., p. 93.

6 M. S., p. 156.

7 M. S., p. 12.

8 M. S., p. 13.Aldo Zanardo 365

e reale » 1; la sua funzione è paragonabile a « quella della teoria della grazia e della predestinazione per gli inizi del mondo moderno » 2.

Gramsci guarda con grandissima attenzione alla lotta contro il meccanicismo di Bukharin che aveva luogo nell'Unione Sovietica e che era venuto indirettamente a conoscere3. Il deperimento del fatalismo e del meccanicismo gli sembra l’indice di una grande svolta storica, appunto del passaggio dalla fase economicocorporativa a quella della lotta per l’egemonia.

Lontano dall’avere trovato completamento nelle integrazioni positivistiche, il marxismo è « una dottrina che è ancora allo stadio della discussione, della polemica, dell’elaborazione » 4. Si hanno le idee chiare su singoli gruppi di questioni [...]

[...]ia delle scienze naturali » 6; « deve trattare tutta la parte generale filosofica, deve svolgere quindi coerentemente tutti i concetti generali di una metodologia della storia e della politica, e inoltre dell’arte, dell’economia, dell’etica e deve nel nesso generale trovare il posto per una teoria delle scienze naturali » 7.

1 Ai. Sp. 14.

2 Ai. S., p. 19.

3 Ai. S., pp. 13, 20. Purtroppo non ho potuto vdere l’articolo di Mirsky da

cui Gramsci dice di avere avuto queste notizie.

4 Ai. S., p. 131.

5 Ai. S., p. 79.

6 Al. S.f p. 157.

7 M. S., p. 128.366

I documenti del convegno

Questo sviluppo non può avvenire fuori della storia della cultura e della filosofia. Sono da respingere le sommarie e presuntuose valutazioni negative che Bukharin fa delle altre filosofie. Un pensiero che vuol diventare « l’esponente egemonico dell’alta cultura » 1 non può porsi che in una posizione di critica inveratrice, soprattutto verso ciò che di più importante e riassuntivo c’è nella storia della filosofia. Non si tratta tuttavia di ri[...]

[...]o e come allora, sebbene in un momento superiore, è necessaria la sintesi in un momento di superiore sviluppo della filosofia della prassi » 2.

È incontestabile, in questa traccia di sviluppo del marxismo filosofico, la presenza della cultura storica e umanistica europea, della contrapposizione fra dialettica, storicità, criticismo da una parte e metafisica, materialismo, positivismo, realismo ingenuo, dall’altra. Estranea all’impostazione di Gramsci è la distinzione di origine gnoseologica, fra idealismo soggettivo e oggettivo, ripresa da Bukharin3; estranee sono le conseguenze che essa ha comportato per il marxismo nella periodizzazione della storia della filosofia. Manca il periodo moderno, di lotta contro l’idealismo soggettivo, elaborato in connessione con lo sviluppo delle scienze fisiche, che ha trovato la sua definizione classica in Materialismo ed empiriocriticismo. Lenin scrive che Marx ed Engels, che si erano formati alla scuola di Feuerbach, « rivolsero naturalmente la maggiore atten
1 M. S., p. 139.

2 M. S., p. 91.

3 O[...]

[...]3 Op. cit., p. 54.Aldo Zanardo

367

zione al completamento della filosofia del materialismo in alto, cioè non alla gnoseologia materialistica, ma alla concezione materialistica della storia. È per questo che Marx ed Engels nelle loro opere mettono l’accento sul materialismo dialettico più che sul materialismo dialettico ». Oggi invece, « in un periodo storico del tutto diverso », si tratta di mettere l’accento sul materialismo dialettico \ Gramsci invece scrive : « Si è dimenticato in un’espressione molto comune [«materialismo storico»} che occorreva posare l’accento sul secondo termine 44 storico ” e non sul primo di origine metafisica. La filosofia della prassi è lo 44 storicismo n assoluto, la mondanizzazione e la terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo assoluto della storia. In questa linea è da scavare il filone della nuova concezione del mondo » 2.

Per Gramsci il rapporto MarxLenin, fase primitiva e fase progredita del marxismo, sembra configurarsi essenzialmente come il rapporto scienzaazione 3. Noi viviamo nella stessa amplissima epoca culturale di Marx e in cui, oggi, il marxismo ha da rifare la sintesi fra idealismo e materialismo, ha da entrare nella lotta contro la metafisica e il positivismo condotta dal pensiero europeo più avanzato, portare il marxismo filosofico alla completezza e all’egemonia culturale.

Se si ripensa ai motivi che abbiamo messo in luce, il concetto del partito educatore, la critica alla sociologia e al materialismo me[...]

[...]fisica e il positivismo condotta dal pensiero europeo più avanzato, portare il marxismo filosofico alla completezza e all’egemonia culturale.

Se si ripensa ai motivi che abbiamo messo in luce, il concetto del partito educatore, la critica alla sociologia e al materialismo metafisico, la fase infantile del marxismo, la sua incompiutezza, l’importanza di Hegel e del neohegelismo, non pare possano sussistere dubbi sull’ambiente intellettuale che Gramsci respira.

È anche certo che da questa cultura storicistica e umanistica dipendono alcune deficienze, la sottovalutazione della tradizione illuministica, la concezione per lo più negativa delle scienze naturali, la considerazione scarsa, benché contenente spunti di grande rilievo, della logica, della metodologia, della problematica del materialismo. Sembra tuttavia che una ricerca orientata a illuminare queste manchevolezze dovrebbe trovare contrappeso nella ricerca degli atteggiamenti polemici che Gramsci ha anche verso gli esponenti delle forme più razionali e realistiche di storicismo, ne[...]

[...]stica e umanistica dipendono alcune deficienze, la sottovalutazione della tradizione illuministica, la concezione per lo più negativa delle scienze naturali, la considerazione scarsa, benché contenente spunti di grande rilievo, della logica, della metodologia, della problematica del materialismo. Sembra tuttavia che una ricerca orientata a illuminare queste manchevolezze dovrebbe trovare contrappeso nella ricerca degli atteggiamenti polemici che Gramsci ha anche verso gli esponenti delle forme più razionali e realistiche di storicismo, nella ricerca delle effettive diversità fra il marxismo di Gramsci

1 Materialismo ed empiriocriticismo, Roma, 1953, p. 309
2 M. S., p. 159.

3 M. S., pp. 39, 75.368

I documenti del convegno

e lo storicismo, per es., di un Croce o di un Vierkandt. Noi abbiamo mostrato in alcuni punti come l’enunciazione di posizioni storicistiche si accompagni all’assimilazione dei valori materialistici del marxismo.

Pare difficile che nella Germania' e nell’Italia di allora si potesse formare un marxismo più attuale, più complesso di quello di Gramsci. Il punto di mediazione, di controllo delle posizioni neohegeliane a cui il marxismo di Gramsci è arrivato è [...]

[...]icismo, Roma, 1953, p. 309
2 M. S., p. 159.

3 M. S., pp. 39, 75.368

I documenti del convegno

e lo storicismo, per es., di un Croce o di un Vierkandt. Noi abbiamo mostrato in alcuni punti come l’enunciazione di posizioni storicistiche si accompagni all’assimilazione dei valori materialistici del marxismo.

Pare difficile che nella Germania' e nell’Italia di allora si potesse formare un marxismo più attuale, più complesso di quello di Gramsci. Il punto di mediazione, di controllo delle posizioni neohegeliane a cui il marxismo di Gramsci è arrivato è incomparabilmente superiore a quello dei comunisti tedeschi che noi abbiamo visto. Nel quadro di questo controllo, di questa correzione, potevano avere sviluppo anche quei motivi di superamento dei limiti umanistici che già ci sono.

L’essenziale sembra essere questo spregiudicato, critico, inserimento del marxismo nella grande cultura europea, questa nozione di un marxismo che ha da completarsi a contatto della parte più progressiva della cultura mondiale. Si pensi a ciò che è accaduto al marxismo della Terza Internazionale. La critica a Feuerbach, il ritorno a Hegel, la diale[...]

[...]u due fronti, i due episodi filosofici che si indicano coi nomi di Bukharin e Deborin e la loro fine, sembrano poi essere stati i motivi di ordine intellettuale che introdussero l’idea della raggiunta perfezione, della classicità del marxismo. In una elaborazione sistematica in cui erano rappresentati gli elementi intellettuali più diversi, si pensò di avere qualcosa che. fosse l’eredità, l’assorbimento adeguato di tutto il pensiero umano.

In Gramsci i concetti di eredità, di sviluppo del marxismo, di epoca culturale, sono concepiti in modo più profondo, più ampio, più realistico. Ma oltre a questi aspetti generali c’è in lui la comprensione di alcune delle esigenze originali della Terza Internazionale sul piano del marxismo filosofico, il ricupero della dialettica come elemento permanente ed integrante del marxismo, l’afifermazione dell’attività umana, l'innalzamento del marxismo al rango della grande cultura. Con il fallimento della rivoluzione in Europa e l’avvento del fascismo sono venute meno le condizioni in cui, per un verso, quest[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Gramsci, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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