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Il segmento testuale Freud è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 333Analitici , di cui in selezione 14 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Cesare Musatti, Varietà e documenti. Freud e l'ebraismo in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: VARIETÀ E DOCUMENTI
FREUD E L'EBRAISMO
Mentre mi sembra di conoscere abbastanza bene l'opera e la personalità di Freud, anche solo definire ciò che per ebraismo si debba intendere è, almeno per me, assai difficile.
Pure esso, come elemento di differenziazione, dalla popolazione in mezzo alla quale gli ebrei della diaspora vivono, è certamente una realtà. Una realtà che ha la sua base nella famiglia stessa, e che attraverso questa viene trasmessa.
Della propria famiglia Freud raccontò che i suoi erano originari della Galizia. Il bisnonno Ephraim Freud fu un noto rabbino, e cosi il figlio di lui Schlomo: non si sa bene se rabbini nel senso tecnico della parola, oppure uomini addottrinati e colti nelle sacre scritture, e come tali circondati di rispetto ed autorità. Schlomo morí nel 1856, l'anno stesso della nascita di Freud, a cui fu imposto, proprio in ricordo del nonno, il nome di Sigismund (che a quanto pare corrisponderebbe all'ebraico Schlomo). Fu lo stesso Freud che piú tardi si abbreviò il nome in Sigmund. Il padre di Freud, Jakob, fu invece commerciante di lane, e si trasferí in Moravia a Freiberg (l'attuale Pribor). Si era sposato giovanissimo ed aveva avuto due figli, Emanuel nato nel '32 e Philipp nel '36. Rimasto vedovo, si risposò con Amalie Nathanson, assai giovane, e coetanea del secondogenito Philipp. Essa era molto bella, e da essa nacquero numerosi figli: tre maschi (di cui il secondo morí bambino) e cinque femmine.
Sigmund era il primogenito. Fu indubbiamente il piú amato dalla madre, e quello sul cui successo, nel campo degli studi e dell'affermazione sociale, si appuntarono tutte le aspettative de[...]

[...]nson, assai giovane, e coetanea del secondogenito Philipp. Essa era molto bella, e da essa nacquero numerosi figli: tre maschi (di cui il secondo morí bambino) e cinque femmine.
Sigmund era il primogenito. Fu indubbiamente il piú amato dalla madre, e quello sul cui successo, nel campo degli studi e dell'affermazione sociale, si appuntarono tutte le aspettative dell'intera famiglia.
Questa posizione preminente influí moltissimo sul carattere di Freud, che fin da ragazzo si sentí predestinato a grandi cose. Si paragonava per questo motivo a Goethe, dicendo che il figlio primogenito prediletto dalla madre è sorretto nella vita da una tale forza interiore, che gli fa conquistare, non soltanto nella fantasia, ma nella stessa realtà, il successo.
Questo orgoglio, questa fiducia in se stesso, questa attesa del successo, accompagnarono sempre Freud, anche quando dovette affrontare difficoltà e inimicizie.
Godette in famiglia di privilegi, che considerò piú tardi egli stesso ingiusti. Ad esempio tardò a laurearsi e ad entrare nella professione medica, perché preferiva studiare scientificamente, essendo però mantenuto dal padre, il quale
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versava in pessime condizioni economiche, e facendosi aiutare da prestiti anche cospicui concessigli da amici.
Dichiarò sempre che non si considerava propriamente medico nel senso professionale del termine, quanto piuttosto ricercatore e scienziato.
Per quanto riguarda la fami[...]

[...]ui figlio John (nipote dunque di Sigmund, benché maggiore di un anno rispetto a lui) fu suo compagno di giochi e di infantili litigi.
La famiglia era molto unita, come per lo piú avviene nell'ambiente ebraico. Ma quando Jakob, poiché gli affari gli andavano male, si trasferí prima a Lipsia (Sigmund aveva allora tre anni) e quindi a Vienna, i due fratelli maggiori emigrarono in Inghilterra, dove si stabilirono, e la grossa famiglia si scompose.
Freud ebbe la prima istruzione dalla madre, come si usava nelle famiglie israelite, poi dal padre che era un uomo non privo di cultura. Quando erano ancora a Freiberg, Sigmund si era molto affezionato ad una donna di servizio Nannie, che lo portava a spasso ed anche in chiesa, parlandogli, con linguaggio cattolico, di Dio e dei santi. Questa Nannie però, accusata di furto, fini in prigione, creando gravi problemi psicologici al piccolo Sigmund.
Il padre di Sigmund era un ebreo osservante, con una certa conoscenza della lingua tradizionale. Tuttavia Sigmund a Vienna fu anche inviato in una scuola p[...]

[...]annie, che lo portava a spasso ed anche in chiesa, parlandogli, con linguaggio cattolico, di Dio e dei santi. Questa Nannie però, accusata di furto, fini in prigione, creando gravi problemi psicologici al piccolo Sigmund.
Il padre di Sigmund era un ebreo osservante, con una certa conoscenza della lingua tradizionale. Tuttavia Sigmund a Vienna fu anche inviato in una scuola privata israelitica, tenuta da un amico di famiglia, Hammerschlag, a cui Freud rimase sempre legato, e da cui fu in seguito pure aiutato anche economicamente per la prosecuzione dei propri studi. Presso Hammerschlag studiò l'ebraico (senza tuttavia apprenderlo bene) e si preparò per entrare in Ginnasio.
Non credo che si debba dare importanza, ai fini di cogliere qualche cosa del suo ebraismo, a questa istruzione elementare. Di cui egli in una lettera del 26 Febbraio 1925 alla Judische Presszentrale, di Zurigo, parlò in questi termini: « Sono stato giovane in un'epoca in cui i nostri maestri non annettevano alcun valore alla conoscenza della lingua e della letteratura e[...]

[...]na lettera del 26 Febbraio 1925 alla Judische Presszentrale, di Zurigo, parlò in questi termini: « Sono stato giovane in un'epoca in cui i nostri maestri non annettevano alcun valore alla conoscenza della lingua e della letteratura ebraica. La mia cultura in questo campo è pertanto rimasta indietro, cosa di cui in seguito ho avuto spesso occasione di rammaricarmi ».
Cosí pure non ritengo si debba dare importanza al fatto che nella biblioteca di Freud a Vienna (quando egli aveva già ottant'anni) qualcuno abbia intravisto lo Zohar (poi scomparso quando la biblioteca fu trasferita a Londra), per parlare di una influenza del pensiero mistico medioevale ebraico su Freud. Anche se nello Zohar sono contenute interpretazioni di sogni che possono far pensare al metodo delle associazioni libere, ideato da Freud.
Egli era un uomo di grande e varia cultura, e come possedeva una quantità di testi classici greci e latini, e di opere moderne in tutte le lingue, poteva benissimo possedere fra i suoi libri opere appartenenti ad alcuni filoni di tradizione
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ebraica. Ce li ho del resto anch'io, pervenutimi da biblioteche di famiglia, senza che io abbia un particolare interesse per queste cose; e senza che possa neppure considerarmi propriamente in modo completo ebreo.
Lo sforzo che fa David Bakan, nel suo libro (Freud e la tradizione mistica ebraica, ed. di Comunità, 1977, dall'ed.[...]

[...]testi classici greci e latini, e di opere moderne in tutte le lingue, poteva benissimo possedere fra i suoi libri opere appartenenti ad alcuni filoni di tradizione
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ebraica. Ce li ho del resto anch'io, pervenutimi da biblioteche di famiglia, senza che io abbia un particolare interesse per queste cose; e senza che possa neppure considerarmi propriamente in modo completo ebreo.
Lo sforzo che fa David Bakan, nel suo libro (Freud e la tradizione mistica ebraica, ed. di Comunità, 1977, dall'ed. originale inglese del 1958), dove cerca di far derivare la psicoanalisi dalle tracce che l'educazione ebraica, con particolare riferimento agli elementi del misticismo giudaico, avrebbe lasciato su Freud, mi appare quindi una forzatura.
Che la psicoanalisi e la mentalità stessa di Freud, di cui essa è frutto, abbiano qualche cosa a che fare con l'ebraismo è un altro conto: questo però non ha nulla a che vedere con una trasmissione di nozioni e di concetti. Parenti, amici, colleghi piú intimi, piú tardi perfino la maggior parte dei pazienti appartenevano allo stesso ambiente: un ambiente chiuso, un ghetto, anche se con le porte spalancate da quasi un secolo. Dove tutti si conoscevano; e parlavano in tedesco sí, ma in un tedesco di gergo, con inframezzate parole yiddisch, o addirittura espressioni ebraiche.
Penso che anche attualmente e pure nel nostro paese sia abbastanza fr[...]

[...]a tradizione scritta od orale della mistica ebraica, ma considerando certe caratteristiche particolari della mentalità degli ebrei: caratteristiche innovatrici che si manifestano — in uno strano contrasto — accanto ad un insieme di tendenze invece conservatrici, e ad un timore costante di esporsi di fronte ai gentili, con elementi suscettibili di promuovere la reazione antisemita.
A proposito della relazione fra psicoanalisi e mentalità ebraica Freud stesso scrisse nella « Revue juive » di Ginevra del marzo 1925: « Forse non è stato un fatto puramente casuale che il primo esponente della psicoanalisi fosse un ebreo. Per aderire alla teoria psicoanalitica bisogna avere una notevole disponibilità, ed accettare un destino al quale nessun altro è avvezzo come l'ebreo: è il destino di chi sta all'opposizione da solo ». Queste caratteristiche innovatrici sono date
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dalla capacità di sviluppare improvvisamente in se stessi forze dirompenti, suscettibili di capovolgere radicalmente una situazione di pensiero consolidata. [...]

[...]ensiero — che alcuni dimostrano di possedere, sviluppandola con una forza intellettuale inusitata, e che può in essi coesistere con una forma di estrema timidezza e perfino di conformismo nella vita quotidiana.
Penso a tre di questi scienziati rivoluzionari, spuntati fuori dopo che sono state aperte agli ebrei le porte della cultura europea, e specificamente tedesca. A tre fra i maggiori naturalmente: a Karl Marx, ad Albert Einstein e a Sigmund Freud.
Io ho conosciuto personalmente (per modo di dire, e per combinazione) soltanto Einstein: a cui, quando ero un giovanotto, ho dato il braccio per fargli salire la scaletta che conduceva alla Cattedra nella solenne Aula Magna dell'Università di Padova. Era timido come un bambino. E come gli altri due aveva l'aria del pacifico padre di famiglia borghese.
Che cosa accomuna questi tre personaggi? Tutti e tre hanno rovesciato il modo di considerare le cose di questo mondo. In campi diversi, certo, e con conseguenze molto differenti. Ma dando prova tutti e tre di una indipendenza di spirito, che [...]

[...]re hanno rovesciato il modo di considerare le cose di questo mondo. In campi diversi, certo, e con conseguenze molto differenti. Ma dando prova tutti e tre di una indipendenza di spirito, che derivava loro probabilmente dal fatto di non essere passivamente inseriti nella comune realtà accettata dai cristiani.
Rivoluzionari disarmati! Come i profeti dunque, ma dotati di uno straordinario coraggio, perché capaci di porsi contro l'umanità intera.
Freud, in un discorso tenuto al B'nai B'rith di Vienna nel 1926, dopo aver detto che « ciò che lo legava all'ebraismo era la familiarità che nasce dalla comune costruzione psichica », continuò: « Poiché ero ebreo mi ritrovai immune da molti pregiudizi che limitano gli altri nell'uso del loro intelletto e, in quanto ebreo, fui sempre pronto a passare all'opposizione e a rinunciare all'accordo con la maggioranza compatta ». (L'espressione maggioranza compatta, — kompakte Majorität — è tratta da Ibsen, Il nemico del popolo.)
Questo carattere profetico è certamente qualche cosa di molto strano. Si com[...]

[...]uesto carattere profetico è certamente qualche cosa di molto strano. Si comprende però come sia suscettibile di provocare la formazione di fedelissimi segñaci, e folle di oppositori tenaci.
Per la relatività di Einstein il fatto è forse meno visibile, perché dato lo strumento tecnico matematico su cui la teoria è fondata, è difficile discuterla: benché anche in questo campo vi siano scuole differenti e dissensi non sopiti.
Per il marxismo e il freudismo, siamo su terreni dove è piú facile la dissidenza, e l'ambizione di sostituirsi al fondatore, creando nuovi indirizzi e nuovi punti di vista. Ma sono i cascami del movimento rivoluzionario originale, ed essi non sono piú privilegio di uno spirito ebraico. La strada è stata aperta, e tutti possono infilarcisi con la illusione di poter divenire essi pure dei nuovi Messia.
Rimangono altri problemi per individuare i rapporti fra psicoanalisi ed ebraismo.
È stato indubbiamente piú facile a Freud (come osservò egli stesso) di quanto avrebbe potuto esserlo ad altri, porre al centro della propr[...]

[...]sidenza, e l'ambizione di sostituirsi al fondatore, creando nuovi indirizzi e nuovi punti di vista. Ma sono i cascami del movimento rivoluzionario originale, ed essi non sono piú privilegio di uno spirito ebraico. La strada è stata aperta, e tutti possono infilarcisi con la illusione di poter divenire essi pure dei nuovi Messia.
Rimangono altri problemi per individuare i rapporti fra psicoanalisi ed ebraismo.
È stato indubbiamente piú facile a Freud (come osservò egli stesso) di quanto avrebbe potuto esserlo ad altri, porre al centro della propria considerazione la

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libido: la libido, che in tedesco è un sostantivo strettamente connesso con Liebe, e che è sempre per Freud la forza motrice dell'amore nel senso piú ampio. Il tabú del sesso è piú cristiano. Gli ebrei hanno maggiore tolleranza e comprensione per l'eruzione degli impulsi erotici; e sono meno inibiti verso la sessualità, non essendo ossessionati dal prete con il concetto del peccato carnale che conduce direttamente all'inferno.
Cosí Freud ha avuto maggiormente mano libera collegando le nevrosi con i tabú sessuali, ed ha potuto trovare maggiore comprensione da parte dei pazienti ebrei, presso i quali il problema della colpa è vissuto in modo diverso che presso i gentili.
Con ciò non si vuol dire che la psicoanalisi sia fatta per gli ebrei soltanto. Ma che con un paziente ebreo l'analista trova una via di intesa molto piú rapidamente che non con altri.
In tutto ciò Freud vedeva anche un pericolo. Non per nulla affermò: « Dobbiamo evitare che la psicoanalisi diventi un affare interno per il solo ambiente ebraico. E perciò siamo costretti ad accettare anche gli svizzeri (e cioè Jung in quel periodo) ed essere comprensivi, rendendoci conto che essi, i gentili, hanno maggiori difficoltà che non gli ebrei, ad accettare alcuni punti di vista della psicoanalisi » (Lettere del maggio e del luglio 1908 ad Abraham).
Bakan sostiene che Freud avrebbe pubblicato inizialmente anonimo il saggio sul Mosè di Michelangiolo, per il timore di attrarre su di sé l'ostilità deg[...]

[...]ericolo. Non per nulla affermò: « Dobbiamo evitare che la psicoanalisi diventi un affare interno per il solo ambiente ebraico. E perciò siamo costretti ad accettare anche gli svizzeri (e cioè Jung in quel periodo) ed essere comprensivi, rendendoci conto che essi, i gentili, hanno maggiori difficoltà che non gli ebrei, ad accettare alcuni punti di vista della psicoanalisi » (Lettere del maggio e del luglio 1908 ad Abraham).
Bakan sostiene che Freud avrebbe pubblicato inizialmente anonimo il saggio sul Mosè di Michelangiolo, per il timore di attrarre su di sé l'ostilità degli antisemiti. È una affermazione del tutto infondata. La verità è soltanto che Freud nel suo saggio parla del Mosè di pietra come se si fosse trattato di un ,essere vivente, che mutava di sentimenti ed era in movimento: e cioè di un paziente di cui si vuol ricostruire un processo di pensiero. E non voleva di fronte ai critici d'arte (che di fatto in genere non hanno seguito il suo modo di ragionare) prestarsi a critiche che avrebbero investito anche la psicoanalisi. L'antisemitismo non c'entra proprio per nulla.
Preoccupazioni d'ordine politico Freud ebbe invece piú tardi per il libro sull'uomo Mosè: benché coloro che questa volta potevano risentirsi delle tesi sostenute [...]

[...] del Mosè di pietra come se si fosse trattato di un ,essere vivente, che mutava di sentimenti ed era in movimento: e cioè di un paziente di cui si vuol ricostruire un processo di pensiero. E non voleva di fronte ai critici d'arte (che di fatto in genere non hanno seguito il suo modo di ragionare) prestarsi a critiche che avrebbero investito anche la psicoanalisi. L'antisemitismo non c'entra proprio per nulla.
Preoccupazioni d'ordine politico Freud ebbe invece piú tardi per il libro sull'uomo Mosè: benché coloro che questa volta potevano risentirsi delle tesi sostenute da Freud, fossero proprio gli stessi' ebrei, che si vedevano privati della ebraicità del loro piú grande profeta. Ma al tempo del libro su Mosè e il monoteismo, i nazisti stavano per invadere l'Austria. E Freud paventava sí da un lato di offendere, o addolorare gli ebrei già provati dalle persecuzioni iniziate, ma altresf di irritare la Chiesa cattolica (pur essa in definitiva interessata all'autenticità della figura di Mosè, su cui poggia tutto l'Antico Testamento). Di irritare quella Chiesa cattolica, da cui Freud allora continuava ad illudersi che potesse venire qualche aiuto, per impedire che la Germania nazista ed atea inghiottisse la cattolicissima Austria.
Certo Freud, fin dalla piú tenera età ebbe da temere l'antisemitismo: che in forma, ora latente, ora aperta, persisteva da tempo immemorabile specialmente nell'Europa centrale. Ma non cessò mai — benché non credente in alcuna religione — di proclamare non solo la propria discendenza ebraica, ma la propria piena appartenenza al popolo di Israele.

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Nella già citata lettera del 26 febbraio 1925 alla Judische Presszentrale di Zurigo, afferma: « Posso dire di sentirmi lontano dalla religione ebraica come da tutte le altre religioni, nel senso che non mi coinvolgono emotivament[...]

[...]afferma: « Posso dire di sentirmi lontano dalla religione ebraica come da tutte le altre religioni, nel senso che non mi coinvolgono emotivamente, anche se nutro per esse un grandissimo interesse scientifico. Per contro ho sempre avuto molto forte il senso di appartenenza al mio popolo, senso che ho cercato di coltivare anche nei miei figli. Abbiamo tutti conservato la denominazione ebraica » (l'ultima frase significa che i membri della famiglia Freud dichiaravano — come la legge del paese allora richiedeva — di essere e di voler essere considerati ebrei). In casa sua non si rispettava molto il coscerüth (e cioè il complesso delle prescrizioni della cucina ebraica), benché sua moglie si sforzasse di conservare il piú possibile le vecchie abitudini tradizionali.
Dal 1896 in poi Freud restò sempre socio del B'nai B'rith di Vienna (circolo culturale ebraico, senza alcun rapporto con elementi religiosi), dove, quando poteva ancora parlare in pubblico, tenne spesso conferenze. L'appartenenza al B'nai B'rith diede anzi luogo ad una complicazione quando i nazisti invasero Vienna e perquisirono la sede della Società psicoanalitica. Ci si illudeva di poter salvare la continuità della Società, malgrado la presenza dei nazisti, ma questi posero la condizione che fossero allontanati i soci che risultavano ebrei (cioè in pratica quasi tutti), e che la associazione non avesse nulla a [...]

[...]azisti invasero Vienna e perquisirono la sede della Società psicoanalitica. Ci si illudeva di poter salvare la continuità della Società, malgrado la presenza dei nazisti, ma questi posero la condizione che fossero allontanati i soci che risultavano ebrei (cioè in pratica quasi tutti), e che la associazione non avesse nulla a che fare con organismi ebraici. Saltò però fuori, durante la perquisizione dei locali, la tessera del B'nai B'rith, di cui Freud aveva pagata anche la quota dell'anno in corso, e si dovettero dare infinite spiegazioni per superare momentaneamente lo scoglio. Piú tardi, come si sa, ogni riferimento alla psicoanalisi fu vietato dal governo nazista. E i fascisti italiani, senza capirne niente, scimmiottarono un tale comportamento.
Nel libro di Bakan sono contenute molte affermazioni riguardanti Freud e la sua ebraicità, le quali tuttavia a mio parere sono del tutto infondate.
Cosí quando Brücke spinse Freud, allora giovanotto, ad abbandonare gli studi puramente scientifici per dedicarsi alla professione medica, egli lo fece certamente perché non esistevano prospettive di una rapida carriera universitaria per Freud, che aveva invece assolutamente bisogno di guadagnare. Pensare che il comportamento di Brücke nel 1882 fosse dettato da antisemitismo, e dal desiderio cioè di non tenere, per questo motivo, ulteriormente Freud nel proprio Istituto, come suppone Bakan, è assolutamente assurdo.
È vero che gli ebrei sono stati e sono spesso oggetto di persecuzioni reali; ma bisogna tener conto che questo ha anche sviluppato fra loro una certa mania di persecuzione, per cui possono tendere ad attribuire ad antisemitismo situazioni che coll'antisemitismo nulla hanno a che vedere.
Freud fu invece sempre grato a Brücke di averlo indotto a mettersi a lavorare professionalmente, e riconobbe che Brücke aveva contribuito a toglierlo da una situazione indignitosa, per non dire vergognosa. Infatti per consentire a Sigmund, che non guadagnava un soldo, di continuare i propri lavori scientifici nel campo della neurofisiologia, in vista di una carriera accademica del tutto aleatoria, le sue sorelle erano in quel tempo costrette a fare le domestiche a
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servizio di estranei. Era quindi perfettamente giusto che Brücke riportasse il proprio allievo ad una visione [...]

[...]ava un soldo, di continuare i propri lavori scientifici nel campo della neurofisiologia, in vista di una carriera accademica del tutto aleatoria, le sue sorelle erano in quel tempo costrette a fare le domestiche a
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servizio di estranei. Era quindi perfettamente giusto che Brücke riportasse il proprio allievo ad una visione piú realistica della situazione.
Assai dubbie sono pure le affermazioni di Bakan, secondo il quale Freud avrebbe derivato dalle dottrine di Abulafio ()in secolo) elementi per le proprie teorie, o la affermazione che il nome fittizio Dora, inventato da Freud per la paziente del primo dei suoi Casi clinici, sia stato inconsciamente scelto da Freud, derivandolo da Torah. Parimenti gratuita è l'affermazione secondo cui la interpretazione simbolica dei sogni (la quale fu del resto aggiunta solo nelle edizioni successive al 1908 della Traumdeutung), deriverebbe da una tradizione ebraica risalente alla Bibbia. È ben noto che il tentativo di trarre dai sogni un significato occulto, eventualmente per ricavarne un pronostico per l'avvenire, si trova presso moltissime culture molto diverse fra loro. Cosí in tutto il mondo greco e latino. Ed io stesso mi sono occupato di una edizione della Onirologia di Artemidoro di Daldi del II secolo dopo Cri[...]

[...]ativo di trarre dai sogni un significato occulto, eventualmente per ricavarne un pronostico per l'avvenire, si trova presso moltissime culture molto diverse fra loro. Cosí in tutto il mondo greco e latino. Ed io stesso mi sono occupato di una edizione della Onirologia di Artemidoro di Daldi del II secolo dopo Cristo, che contiene una simbologia facilmente comparabile con quella che si trova nelle edizioni successive al 1909 della Traumdeutung di Freud. Ma molte altre corrispondenze possono essere trovate in documenti provenienti da diverse civiltà.
La via di trasmissione di queste corrispondenze non è dunque storico culturale, ma semplicemente psicologica, per la uniformità dell'apparato psichico degli uomini.
Bakan parla anche di una certa dissimulazione della propria persona da parte di Freud in ciò che pubblicava; e la attribuisce pure ad un bisogno di nascondersi in funzione del problema dell'antisemitismo. Cita Bakan, a tale proposito, il fatto che molti dei sogni, od altri episodi analizzati nelle sue opere, non vengono da Freud riferiti a se stesso, che ne è il vero soggetto, ma ad ipotetici pazienti, o comunque ad altre persone.
Freud però faceva semplicemente quello che fanno tutti gli analisti. Un analista non dovrebbe parlare di se stesso (come invece ho proprio io il brutto vizio di fare), per un riguardo verso i propri pazienti, e perché l'analisi con questi si possa svolgere in forma corretta.
Oggi sappiamo che la maggior parte dei sogni narrati nella Traumdeutung appartengono allo stesso Freud. E d'altronde nel piccolo e chiuso ambiente pettegolo della Vienna ebraica di allora, tutti i personaggi dei sogni e delle altre esposizioni di Freud, erano — per uno studio attento, quale fu fatto ad esempio piú tardi dal Bernfeld e da altri — pienamente riconoscibili. E riconoscibile è pure Freud stesso quando racconta sogni propri.
D'altra parte si sa bene che la Traumdeutung è il frutto della autoanalisi di Freud, ed è quindi logico che il materiale dimostrativo contenuto nell'opera sia per la massima parte un materiale personale. L'aver nascosto questo non fu determinato da una qualche paura, ma semplicemente — come Freud in qualche occasione ha esplicitamente dichiarato — da uno spirito di discrezione: che ogni analista dovrebbe avere (afferma appunto Freud) non soltanto verso i propri pazienti, ma anche verso la propria persona.
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Un legame di tutt'altro genere può invece essere trovato fra Freud e il mondo ebraico, quando si prenda in considerazione quello strano suo libro, da lui a dir la verità poco amato, e pure a mio parere molto importante teoreticamente, che è Der Witz und seine Beziehung zum Umbewussten (Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio). La battuta di spirito nasce per lo piú spontaneamente ed improvvisamente in chi la pronuncia, in seguito ad un processo dinamico interiore che si svolge automaticamente nell'inconscio, per cui si esplicita un impulso prima represso o rimosso. Esso riesce ad estrinsecarsi utilizzando una certa struttura formale, la quale [...]

[...]
Cosí attraverso il motto di spirito (senza che l'autore neppure si renda conto di come esso nasca) può esprimersi un impulso aggressivo, o anche lascivo, che non sarebbe altrimenti tollerato nelle comuni relazioni fra le persone cosiddette civili e bene educate.
Teoreticamente questi rapporti dinamici sono molto interessanti, perché possono essere messi a confronto con i processi del sogno e con quelli della formazione dei sintomi nevrotici.
Freud aveva comunicato a Fliess nel settembre del 1899 (quando la Traumdeutung era già in stampa) che si accingeva a raccogliere una collezione di quelle che vengono indicate come « storielle ebree »: le quali avrebbero dovuto servirgli come materiale dimostrativo per quest'opera sul Witz. E cosi fece effettivamente. Gli esempi utilizzati nel libro sono in gran parte presi da storielle ebree (per lo piú originariamente in yiddisch, o comunque circolanti fra gli ebrei aschenaziti dell'Europa centrale) in parte da racconti di Heine, che (nonostante il battesimo) rimase sempre per mentalità, spirito e[...]

[...]si fece effettivamente. Gli esempi utilizzati nel libro sono in gran parte presi da storielle ebree (per lo piú originariamente in yiddisch, o comunque circolanti fra gli ebrei aschenaziti dell'Europa centrale) in parte da racconti di Heine, che (nonostante il battesimo) rimase sempre per mentalità, spirito e genialità, un ebreo tipico.
Queste storielle ebree sono caratterizzate dal fatto di essere non tanto comiche, quanto umoristiche. E, come Freud nota esplicitamente, l'umorismo è una produzione in cui l'autore stesso si offre personalmente, oppure identificandosi con la propria comunità, o gruppo, quale bersaglio ed oggetto della ilarità aggressiva altrui.
Ciò significa che le storielle ebree sono tutte lievemente masochistiche ed autolesionistiche. Freud del resto in altra occasione aveva affermato che nella mentalità ebraica è sempre presente una certa componente masochistica. E quanto alle storielle, ci si deve riferire a quelle costruite e pronunciate proprio da ebrei, le uniche veramente spiritose; giacché le battute dovute ai gentili nei confronti degli ebrei, sono per lo piú soltanto aggressive e non raggiungono mai la efficacia di quelle, per cosi dire, fabbricate in casa. Il rivestimento spiritoso che copre il contenuto critico nobilita, anche di fronte a chi ascolta, l'autore (o ciò che egli rappresenta). Egli ironizza su se stesso, [...]

[...]nte già perseguitata, oltre che di espormi personalmente, giacché mi trovavo io pure in acque agitate. Cercai allora nella produzione umoristica di altre culture, a partire dai classici della letteratura latina, provando a farmi anche aiutare da Concetto Marchesi, il maggiore latinista di allora, col quale avevo quotidiani rapporti all'Università di Padova.
Ma non trovai nulla che mi potesse servire. Il Witz, il motto di spirito ebraico, su cui Freud aveva costruito la sua teoria per questo genere di produzione, mi apparve qualche cosa di pressoché unico, difficilmente ripetibile in letterature e culture diverse. Fui cosí costretto a limitarmi ad esporre nel Trattato la teoria quale Freud l'aveva enunciata, rinunciando a qualsiasi esempio dimostrativo. Questo ovviamente non significa che non vi siano altre forme di spirito. Ma solo che Freud ha potuto scrivere il libro sul Witz unicamente rifacendosi al proprio ambiente di origine, e dimostrando nel modo piú aperto la propria appartenenza alla realtà ebraica.
A proposito di questa voluta appartenenza, qualcuno ha sollevato dubbi, citando alcune difficoltà nevrotiche che Freud ebbe, per dare esecuzione, verso la fine dello scorso secolo, al suo vivissimo desiderio di visitare Roma, dove, malgrado vari tentativi, non era mai riuscito ad arrivare. Si è detto cioè che Roma, il centro del cattolicesimo, gli incuteva un particolare rispetto, supponendo perfino che nel corso della sua vita avesse talora pensato di farsi cattolico. Queste sono fantasie senza fondamento alcuno, sostenute questa volta non da un ebreo come Bakan, ma da pii cattolici, convinti che tutti, nel fondo del loro cuore, dovrebbero aspirare ad essere accolti nel seno della santa madre Chiesa cattolic[...]

[...]ivare. Si è detto cioè che Roma, il centro del cattolicesimo, gli incuteva un particolare rispetto, supponendo perfino che nel corso della sua vita avesse talora pensato di farsi cattolico. Queste sono fantasie senza fondamento alcuno, sostenute questa volta non da un ebreo come Bakan, ma da pii cattolici, convinti che tutti, nel fondo del loro cuore, dovrebbero aspirare ad essere accolti nel seno della santa madre Chiesa cattolica.
La fobia di Freud per arrivare a Roma, malgrado l'intenso desiderio che ne aveva, fobia durata diversi anni, e che si inquadrava in una piú ampia fobia per i viaggi in genere, ha tutt'altra origine. Quando si leggono i sogni effettuati da Freud (prima di riuscire ad arrivare a Roma) sulla stessa città di Roma, e si tenga conto che il viaggio a Roma finalmente compiuto nel 1901 coincise con la fine dell'autoanalisi (almeno di quella condotta sistematicamente), e con il distacco da Fliess, è facile comprendere come Roma abbia rappresentato l'alma Mater, il simbolo della madre stessa; e come l'ambivalenza costituita dal desiderio di conoscere e visitare Roma (di cui egli possedeva una carta topografica, che consultava per ore intere, a casa sua a Vienna, in modo ossessivo, cosí come un uomo può contemplare il ritratto, o rileggere le l[...]

[...]e come l'ambivalenza costituita dal desiderio di conoscere e visitare Roma (di cui egli possedeva una carta topografica, che consultava per ore intere, a casa sua a Vienna, in modo ossessivo, cosí come un uomo può contemplare il ritratto, o rileggere le lettere della donna amata) senza riuscire a raggiungerla, fosse determinata dal suo complesso edipico.
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Solo alla fine della propria autoanalisi la fobia scompare. Allora Freud (come racconta nell'ultima lettera a Fliess del 1902) poté contemporaneamente arrivare a Roma, e brigare a Vienna, per ottenere il titolo di Professore universitario, liberandosi dagli scrupoli di coscienza che lo avevano precedentemente ostacolato. Insieme egli riuscí a sciogliersi dal legame quasi omosessuale e di tipo transferenzialeanalitico con lo stesso Fliess: pervenendo in tal modo alla propria piena autonomia e indipendenza scientifica.
Tracce per convalidare questa interpretazione si ritrovano in un tardo scritto di Freud: una lettera dedicata a Romain Rolland del 1936.
Non Roma s[...]

[...]are a Roma, e brigare a Vienna, per ottenere il titolo di Professore universitario, liberandosi dagli scrupoli di coscienza che lo avevano precedentemente ostacolato. Insieme egli riuscí a sciogliersi dal legame quasi omosessuale e di tipo transferenzialeanalitico con lo stesso Fliess: pervenendo in tal modo alla propria piena autonomia e indipendenza scientifica.
Tracce per convalidare questa interpretazione si ritrovano in un tardo scritto di Freud: una lettera dedicata a Romain Rolland del 1936.
Non Roma soltanto lo turbava, ma anche Atene con la sua Acropoli: ancora una madre per un uomo imbevuto di cultura classica, quale egli era. Qui ovviamente non poteva trattarsi di una assurda tentazione di gettarsi fra le braccia della Chiesa cattolica romana. Freud raccontò a Romain Rolland (e il nome richiama ancora una volta Roma) di aver subito un fenomeno di derealizzazione, e di acuta angoscia, mentre per la prima volta nel 1924 visitava col fratello Alexander l'Acropoli di Atene.
Ancora il senso di sgomento per aver raggiunto la madre: l'essere piú amato e insieme piú inattingibile. Nella lettera a Romain Rolland c'è pure un accenno a questo pensiero: « Che cosa avrebbe detto il vecchio padre Jakob se avesse saputo che i suoi figli erano giunti sull'Acropoli di Atene! ».
Ancora il complesso edipico dunque: Atene e Roma unite ed identificate, non[...]

[...]ere piú amato e insieme piú inattingibile. Nella lettera a Romain Rolland c'è pure un accenno a questo pensiero: « Che cosa avrebbe detto il vecchio padre Jakob se avesse saputo che i suoi figli erano giunti sull'Acropoli di Atene! ».
Ancora il complesso edipico dunque: Atene e Roma unite ed identificate, non per il loro significato pagano o cattolico, ma come simboli della madre amata e proibita.
No. Nulla vi è nel pensiero e negli scritti di Freud, che porti a supporre una tentazione a rinnegare la propria ebraicità.
Scettico e agnostico sul piano religioso, Freud rimase fino alla fine della vita profondamente ebreo, rivendicando per sé e per coloro che appartengono alla sua gente, il diritto al riconoscimento di una piena parità giuridica e morale con ogni altro essere umano.
E vorrei, per concludere, citare gli ultimi due suoi scritti, che egli riusci a veder pubblicati, prima di morire. Sono lettere che aveva inviato a due giornali progressisti, uno francese ed uno inglese, dopo essere giunto profugo in Inghilterra nel 1938. Freud, che pure era stato accolto a Parigi e a Londra col massimo affetto e con i piú grandi onori, constatò come neppure l'I[...]

[...]lla vita profondamente ebreo, rivendicando per sé e per coloro che appartengono alla sua gente, il diritto al riconoscimento di una piena parità giuridica e morale con ogni altro essere umano.
E vorrei, per concludere, citare gli ultimi due suoi scritti, che egli riusci a veder pubblicati, prima di morire. Sono lettere che aveva inviato a due giornali progressisti, uno francese ed uno inglese, dopo essere giunto profugo in Inghilterra nel 1938. Freud, che pure era stato accolto a Parigi e a Londra col massimo affetto e con i piú grandi onori, constatò come neppure l'Inghilterra e la Francia fossero del tutto immuni dall'antisemitismo. I due giornali avevano infatti scritto accusando si i nazisti di barbarie, ma col tono di invocare, per i poveri ebrei, un po' piú di tolleranza da parte dei nazisti.
No, replica Freud, non tolleranza. Finché si parla di tolleranza si dà per scontata una condizione di inferiorità, e comunque un elemento di discriminazione.
Ciò che in queste sue ultime pagine egli chiede per sé, per gli ebrei, e per tutti gli esseri umani, è il riconoscimento della piena eguaglianza di ogni uomo, nella dignità, nei diritti e nel rispetto della persona.
CESARE MUSATTI



da Giovanni Mari, Ritratti critici contemporanei. Louis Althusser in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - luglio - 31 - numero 4

Brano: [...]sioni sulla « congiuntura politica » in cui il movimento comunista si è trovato in questi anni, e rappresenta la scelta di scrivere dei testi filosofici per produrre determinati effetti teoricopolitici in tale congiuntura 2. La quale inizia, secondo Althus
1 Nel corso del testo ho usato le seguenti sigle che rimandano alle opere cit. in bibliografia (la p. si riferisce, ad eccezione che per l'Avantpropos a Duménil, alla trad. it. cit.): FL, per Freud et Lacan, tr. it. in n. 66; PM, per Pour Marx, n. 21; LC, per Lire le Capital, n. 23; Lettere, per M. L. Maciocchi, Lettere dall'interno del PCI a L.A., n. 40; LAIE, per Idéologie et appareils idéologiques d'Etat, n. 66; Avertissement per Avertissement aux lecteurs du Livre I du « Capital », n. 39; RJL, per Réponse à John Lewis, n. 53; PPSS, per Philosophie et philosophie spontanée des savants, n. 59; EA, per Eléments d'autocritique, n. 60; SEJM, per Sur l'évolution du jeune Marx, n. 60; EMP, per Estil simple d'être marxiste en philosophie?, n. 66; Finalmente, per Finalmente qualcosa di vital[...]

[...]rtissement per Avertissement aux lecteurs du Livre I du « Capital », n. 39; RJL, per Réponse à John Lewis, n. 53; PPSS, per Philosophie et philosophie spontanée des savants, n. 59; EA, per Eléments d'autocritique, n. 60; SEJM, per Sur l'évolution du jeune Marx, n. 60; EMP, per Estil simple d'être marxiste en philosophie?, n. 66; Finalmente, per Finalmente qualcosa di vitale si libera dalla crisi e nella crisi del marxismo, n. 71; MF, per Marx et Freud, in nn. 68 e 75; MO, per Il marxismo oggi, n. 76; Ap, per Avantpropos al libro di Duménil, n. 78.
2 La cilena Marta Harnecker, che ha studiato con Althusser, nel suo fortunato libro Los conceptos elementales del materialismo histórico, Mexico, Siglo xxi, 1979°°, a p. 152, definisce in questo modo la « congiuntura politica »: « La congiuntura politica è il `momento attuale' della lotta delle classi in una formazione sociale o sistema di formazioni sociali ». Althusser non concettualizza direttamente la nozione di « congiuntura », che pure ricorre abbastanza frequentemente nei suoi scritti. Eg[...]

[...], una serie di concetti e metafore tratti dalla psicoanalisi: surdeterminazione, lettura sintomale, causalità metonimica, condensazione, spostamento, immaginario. Ma non si tratta soltanto
o semplicemente di un debito teorico. $ presente in Althusser il preciso intento di stabilire un rapporto positivo tra marxismo e psicoanalisi (la
« psicoanalisi, tra i comunisti, non era `in odore di santità' nel 1964, quando
LOUIS ALTHUSSER 431
pubblicai Freud e Lacan »), sulla base del convincimento che « nel campo delle `scienze umane', due scoperte imprevedibili e sconcertanti hanno sconvolto l'universo dei valori dominanti: le opere di Marx e di Freud » (MF, p. 129).
Alla scoperta dell'inconscio e piú in generale al pensiero di Freud, Althusser dedica due scritti specifici, Freud e Lacan (1964) e Marx e Freud (1976). Ma frequenti riferimenti all'opera di Freud sono rintracciabili anche in altri scritti. Nel saggio del '64 Althusser si sofferma soprattutto ad illustrare il significato dell'opera di Lacan, ma già sottolinea quello che gli appare come l'effetto teorico piú importante della scoperta dell'inconscio: la crisi della concezione ideologica e filosofica tradizionale di « uomo » e di
« soggetto ». Lacan, a cui non sfugge che Freud ha fondato una scienza (« Una scienza nuova, che è la scienza di un oggetto nuovo: l'inconscio », FL, p. 9), ha compreso l'esigenza e l'importanza teorica di un « autentico ritorno a Freud », che egli realizza nella duplice forma di una « critica ideologica » (contro lo sfruttamento ideologico del pensiero di Freud portato avanti dalla psicologia, dalla sociologia, dalla biologia, dalla filosofia) e di un
« chiarimento epistemologico » (come già Marx, anche Freud dovette formulare le proprie scoperte mediante concetti teorici già esistenti — il modello della fisica energetica di Helmholtz e di Maxwell — che essendo stati creati per altri scopi determinano nella psicoanalisi delle zone di opacità teorica). In questo duplice lavoro di restaurazione e di sviluppo Lacan perviene alle proprie scoperte mediante il ricorso ad una scienza piú recente di quella a cui si rifà Freud. È infatti attraverso il ricorso ai concetti della linguistica strutturale che Lacan chiarisce ed approfondisce l'idea freudiana che tutto dipendeva dal linguaggio chiarendo che « il discorso dell'inconscio è strutturato come un linguaggio » (FL, p. 18).
Già da questa sommaria esposizione risulta evidente il parallelismo che Althusser instaura, attraverso quello tra Marx e Freud (che in questo modo ne risulta rafforzato), tra la propria opera di difesa della radicale diversità del marxismo e del suo sviluppo attraverso la ricerca della filosofia di Marx,
e l'opera analoga che Lacan compie nei confronti del pensiero di Freud. Un'interpretazione degli anni Sessanta, in altre parole, non solo come del periodo del ritorno a Marx (Althusser, Della Volpe, ed altri), ma anche del ritorno a Freud (Lacan), come « ritorno », insomma, ai massimi teorici rivoluzionari del campo delle scienze umane.
Piú direttamente connessa alla ricerca althusseriana sull'ideologia (che vedremo nel paragrafo seguente) è l'idea che Freud avrebbe sottoposto ad una prova trasformatrice « una certa immagine tradizionale, giuridica, morale
e filosofica, cioè in definitiva ideologica, dell"uomo', del `soggetto' » (FL, p. 29). Questa idea viene particolarmente approfondita nello scritto del '76
432 GIOVANNI MARI
in cui Althusser affronta la questione delle « sorprendenti affinità » tra Marx e Freud. Tali affinità sono soprattutto le seguenti: il carattere conflittuale della teoria (quelle di Marx e di Freud sono verità che dividono: la storia del marxismo e della psicoanalisi è una storia di revisionismi e di scissioni); la fondazione della teoria attraverso una precisa esperienza pratica personale (Marx ed Engels hanno « partecipato » alle lotte del proletariato, Freud è stato « educato » dai propri pazienti isterici); la critica del concetto tradizionale di « soggetto » (entrambi hanno criticato l'idea dell'« unità e dell'identità inseparabile di ogni coscienza » e della sua « funzione » unificante) .
La riflessione di Althusser insiste particolarmente su quest'ultimo aspetto: per il filosofo francese non è infatti la coscienza, bensí l'ideologia a costituire i soggetti. Se Marx, criticando l'economia politica, ne ha criticato anche la filosofia sottostante dell'uomo cosciente dei suoi bisogni come elemento primario di ogni società, la scoperta dell'incon[...]

[...] n. 110, pp. 546 (tr. it. in n. 21). 16. Problèmes d'étudiants, « La
Nouvelle Critique », 1964, n. 152, pp. 80111. 17. Présentation a PIERRE MA
CHEREY, La philosophie de la science de Georges Canguilhem. Epistémologie et histoire
des sciences, « La Pensée », 1964, n. 113, pp. 5054. 18. Marxisme et huma
440 GIOVANNI MARI
nisme, «Cahiers de l'Institut de Science Economique Appliquée », Serie M, n. 20,
1964, pp. 109133 (tr. it. in n. 21). 19. Freud et Lacan, « La Nouvelle Criti
que », 19641965, n. 161/162, pp. 88108 (tr. it. di A. Sabbadini, « Autaut », 1974,
n. 141). 20. Note complémentaire sur l'« humanisme réel », «La Nouvelle Cri
tique », 1965, n. 164, pp. 3237 (tr. it. in n. 21). 21. Pour Marx, Paris, Maspero,
1965, che comprende, oltre ai nn. 8, 9, 11, 12, 13, 15, 18, 20, una Préface: Aujourd'hui (Marzo 1965) ed un Annexe al n. 11 (tr. it. di F. Madonia, L.A. Per Marx, Roma,
Editori Riuniti 1967, con una Nota introduttiva di Cesare Luporini). 22. Esquisse
du concept d'histoire, «La Pensée », 1965, n. 121, pp. 321. Riprodotto[...]

[...] (1969), in W. R. BEYER (a cura di), Hegel
Jahrbuch 19681969, Meisenheim a. Glan, 1970, pp. 4558 (tr. it. in n. 49). 45.
Lettera al traduttore del 19. Gennaio 1970, in L. A./E. BALIBAR, Reading Capital,
LOUIS ALTHUSSER 441
London, New Left Book, 1970, pp. 323324. 46. Foreword (1970), in L.A.,
Lenin and Philosophy and other Essays, London, New Left Book, 1971, pp. 79 (tr. it.
in S. Karsz, op. cit., pp. 344347). 47. Lettera al traduttore (di Freud et Lacan)
del 21 febbraio 1969, in n. 46, pp. 177178. 48. Presentación (1971) alla nuova
edizione di MARTA HARNECKER, Los conceptos elementales del materialismo histórico,
Mexico, Siglo xxl, 19794°, pp. xixvi (tr. it. in S. Karsz, pp. 348354). 49. Lénine
et la philosophie suivi de Marx et Lénine devant Hegel, Paris, Maspero, 1972, 91 pp. Raccoglie i nn. 36, 44, 43 (tr. it. di F. Madonia, L.A., Lenin e la filosofia. Seguito da: Sul rapporto fra Marx e Hegel. Lenin di fronte a Hegel, Milano, Jaca Book,
1972). 50. Sur une erreur politique. Les maîtres auxiliaires, les étudiants tra
vailleu[...]

[...]42 pp.
Carteggio con Luiz Francisco Rebello. 65. Histoire terminée, histoire intermi
nable, prefazione a DOMINIQUE LECOURT, Lyssenko. Histoire réelle d'une « science prolétarienne », Paris, Maspero, 1976, pp. 79 (tr. it. di F. Grillenzoni, D.L., Il caso
Lyssenko, Roma, Editori Riuniti, 1977). 66. Positions (19641975), Paris, Édi
tions Sociales, 1976, 173 pp. Comprende, oltre ad una Nota editoriale, i rm. 19, 34, 38, 48, 42, 63 (tr. it. L.A., Freud e Lacan, Roma, Editori Riuniti, 1977, a cura e
con Introduzione di Claudia Mancina) 67. La tran f ormación de la filosofia,
Granada, Propuesta, 1976, 46 pp. Conferenza tenuta alla Facoltà di Filosofia e Let
tere dell'Università di Granada il 26 marzo 1976. 68. Über Marx und Freud
(1976), in L.A., Ideologie und ideologische Staatsapparate, WestBerlin, VSA, 1977,
pp. 89107 (tr. it. in n. 75). 69. Anmerkung über die ideologischen Staats
apparate (1976), in L.A., Ideologie und ideologische Staatsapparate, cit., pp. 154
168. 70. 22ème congrès, Paris, Maspero, 1977, 71 pp. Conferenza tenuta alla
Sorbona il 16 dicembre 1976 su invito del « Cercle de philosophie de l'Union des
442 GIOVANNI MARI
étudiants communistes » (tr. it. parziale col titolo Il socialismo è la transizione, in
« Transizione », n, febbraio 1977). 71. Finalmente qualcosa di vitale si libera
dalla c[...]



da Ernesto De Martino, Perdita della presenza e crisi del cordoglio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...], 367; cfr. p. 281.

(19) P. Janet, L'état mentale des hystériques, 1931, p. 82.76

ERNESTO DE MARTINO

doglio è tale nella misura in cui spezza la « durata » della vita spirituale, pietrificandola in un « atomo psichico » che compromette la fluidità stessa della presenza, e che è fonte di inautenticità esistenziale. Relativamente più impegnata e complessa di quella del Janet è la teoria psicoanalitica del cordoglio, che fu inaugurala dal Freud nel suo scritto Tauer und Melancolìe. Il Freud volle scorgere un differenza fra il cordoglio e la melancolia per il fatto che « mentre nel cordoglio è il mondo ad essere povero e vuoto, nella melancolia lo è l’io stesso» (20). Una seconda differenza starebbe nel fatto che mentre il cordoglio si riferisce « alla perdita cosciente di un oggetto amato » la melancolia è in rapporto con una perdita «che si sottrae in qualche modo alla coscienza» (21). Ciò posto il lavoro compiuto dal lutto consisterebbe nel distacco della energia libidica dall’oggetto perduto, e nel reimpiego di tale energia per nuovi investimenti: ora il distacco e il reimpie[...]

[...]una impossibilità di fatto di continuare il rapporto con l’oggetto amato) costringe la libido ad abbandonare l’oggetto, e a ritirarsi nell’io: qui però, in mancanza di impiego, la libido toglie a suo oggetto l’io stesso, con la conseguenza che la perdita dell’oggetto si tramuta nella perdita nell’io, e che l’abbassamento e l’avvilimento dell’io sta in luogo dell’abbassamento e dell’avvilimento dell’oggetto perduto, dell’idolo infranto: come dice Freud « l’ombra dell’oggetto si estende sul soggetto » (23). La melancolia, al pari del cordoglio, svolge un lavoro per liberare la libido dal legame con l’oggetto amato, rendendola disponibile per nuovi impieghi: ma mentre nel cordoglio tale lavoro si svolge prevalentemente nella sfera della coscienza e mantiene la distinzione fra io e oggetto perduto, nella melancolia il processo di distruzione

(20) Freud, Ges. Schr., V, p. 538.

(21) Freud, Op. cit., 1. c.

(22) Freud, Op. cit., p. 537.

(23) Freud, Op. cit., p. 542.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

77

e di svalutazione si svolge nell’inconscio, finché le cariche libidiche, al termine rei processo, ridiventano libere dando luogo all’accesso di mania (24). Questa prima interpretazione del Freud subì successivamente alcune modificazioni, nel senso che le differenze fra cordoglio e malincolia furono in parte attenuate e in parte diversamente atteggiate. Fu osservato che anche nel cordoglio, al pari che nella melancolia, aveva luogo la identificazione con l’oggetto amato e perduto, come quando i sopravvissuti riproducono — nel gesto, nella inflessione della voce, nell’uso di determinate frasi e simili — particolarità anche minime del comportamento che già appartennero al defunto: tali identificazioni sono da interpretarsi come forme di consolazione della perdita patita, o anche come ut[...]

[...]rici che in generale restarono fuori dell’interesse dei psicoanalisti): qui la differenza fra cordoglio e melancolia sembra ancor più attenuarsi, perché quei rituali mostrano in larga misura le autoaccuse, le autoflagellazioni e le autopunizioni che caratterizzano il comportamento melancolico. D’altra parte le « vendette », le esplosioni di aggressività verso l’esterno, le orgie sessuali e alimentari che chiudono il periodo di lutto richia
(24) Freud, Op. cit., p. 552 sg.

(25) Freud, Ges. Schr., VI, p. 374. Cfr. K. Abraham, Obie\tsverlust und Introjek.' non in den normcden Trauer in abnormen psychischen Zustànden, in Versuch einer Entwicklungsgeschichte der Libido, 1924, pp. 22 sgg. e C. Musatti, Trattato di psicanalisi, 1950, II, p. 271.

(26) K. Abraham, op, cit., p. 27.78

ERNESTO DE MARTINO

mano la fase maniacale che segue a quella malancolica nella forma clinica della cosiddetta psicosi maniacadepressiva. Le affinità fra cordoglio primitivo (o antico) e il quadro clinico della melancolia spinsero Géza Roheim a tentare una nuova interpretazione del cordoglio [...]

[...]lancolico sono originariamente dirette a un’altra persona che ora è stata identificata con l’io, le autoaccuse e le autopunizioni che hanno luogo durante la crisi del cordoglio, e che si manifestano con particolare evidenza nei rituali del mondo primitivo e di quello antico, dovevano essere con tutta probabilità ricondotte allo stesso processo di identificazione (o di «introiezione »). A questo punto venne in soccorso del Roheim la famosa teoria freudiana dell’Urvater ucciso e divorato dai figli gelosi, misfatto che avrebbe inaugurato la storia dell’umanità. Avendo mangiato il padre, il conflitto esterno fu «interiorizzato» nei parricidi: « qualcosa in loro era divenuto padre », dando luogo a un conflitto endopsichico fra «io ideale» e «io attuale», e quindi a una fase di depressione melancolica, con relative autoaccuse e autoflagellazioni. Il conflitto fu sciolto mercé la sua proiezione all’esterno, cioè dando sfogo alle tendenze parricide che continuavano ad operare, ma volgendole a un oggetto surrogato, cioè al nemico, che era mangiato [...]

[...]larne Klein ha ripreso il problema del cordoglio al di fuori delle istanze prevalentemente etnologiche che

(27) Geza Roheim, Nach dem Tode des Urvarter, in « Imago », IX (1923), pp. 83 sgg.PERDITA DELLA PRESENZA E CRISI DEL CORDOGLIO

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avevano indotto il Roheim a formulare la sua interpretazione. Per la Klein ogni lutto rinnova in generale il bisogno di restaurare dentro di sé la persona amata e perduta, così come avevano già detto il Freud e l’Abraham: ma al tempo stesso ogni lutto mette in pericolo gli oggetti amati per primi — in ultima analisi i « buoni genitori » — e pertanto obbliga a restaurare in sé anche il mondo interno, che sta perdendo il suo equilibrio e sta andando in rovina. Il cordoglio è un lavoro che provvede a questa duplice restaurazione: ma vi provvede riattivando e ripetendo — sebbene in diverse circostanze e con diverse manifestazioni — gli stessi processi maniacodepressivi che sono propri dell’epoca infantile. Il lavoro del cordoglio non riesce quando la persona non ha potuto stabilire nella sua infanzia [...]



da (Mito e civiltà moderna) Ernesto De Martino, Mito, scienze religiose e civiltà moderna in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...]orie religiose di Fuerbach e del materialismo storico, la scienza del mito e la storia comparate delle religiosi inaugurate da Max Mùller, la etnologia religiosa di un Tylor e di un Frazer, la psicologia del misticismo di un Janet o di un Leuba, la Vdikerpsycholologie del Wundt e la interpretazione sociologica della religione da parte del Durkheim e della sua scuola, la riduzione della religione e sublimazione della sessualità da parte del primo freudismo. Nei vari indirizzi di quest’epoca, per quanto diversi fra di loro per metodi e per risultati, si palesa la innegabile comune tendenza a non riconoscere al rapporto religioso una sua specifica e permanente funzione nella storia culturale deirumanità. In generale, consapevoli o non che ne fossero i singoli autori, la religione e il mito venivano ricondotti ad altro, erano « maschera » di qualche cosa d’altro : di esigenze filosofiche, scientifiche, estetiche, morali, di mondani bisogni proiettati nel sopramondo e nel sopramondo illusoriamente soddisfatti, di strutture economicosociali o ad[...]

[...]immediato del tutt’altro ambivalente nel risultato di inconsce motivazioni e nel movimento della coscienza verso il mondo dei valori razionali. R. Otto scorgeva molto bene l’aprirsi della coscienza religiosa verso i valori, ma non si chiedeva se anche il nucleo irrazionale del Sacro palesasse le sue « ragioni » in una prospettiva che tenesse conto delle motivazioni inconsce. Aveva luogo così una distorsione esattamente opposta a quella del primo freudismo, che tendeva a ridurre la religione a maschera della sessualità, il tutt’altro ambivalente ad una riattivazione dell’immagine infantile del padre, e i miti e i riti ad una sorta di nevrosi coatta collettiva: nel che si aveva certamente un tentativo di non restar paghi dell’irrazionalità del numinoso e di cercare una motivazione inconscia dei comportamenti irrazionali della vita religiosa, ma si finiva poi col perdere il piano cosciente e la qualità specifica della esperienza del sacro. Alla interpretazione freudiana della religione si poteva obiettare che la religione non è riducibile a m[...]

[...]à, il tutt’altro ambivalente ad una riattivazione dell’immagine infantile del padre, e i miti e i riti ad una sorta di nevrosi coatta collettiva: nel che si aveva certamente un tentativo di non restar paghi dell’irrazionalità del numinoso e di cercare una motivazione inconscia dei comportamenti irrazionali della vita religiosa, ma si finiva poi col perdere il piano cosciente e la qualità specifica della esperienza del sacro. Alla interpretazione freudiana della religione si poteva obiettare che la religione non è riducibile a maschera della sessualità per la stessa ragione che il Duomo di Colonia, ancorché sia fatto di pietre, non può essere valutato con i criteri della mineralogia (11): ma nei ri
(11) C. G. Jung, Wcmdlungen und Symbóle der Libido, in.Jahrbuch fùr Psychoanalytische un psychopatologische Forschung, III (1911), p. 126. Allo stesso modo il mitoMITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

11

guardi di R. Otto sussisteva la obiezione che la esperienza irrazionale del numinoso poteva per l’uomo di scienza riguadagnare coere[...]

[...]rettamente alla rivalutazione esistenziale del sacro, e in parte finirono col ricongiungersi in modo diretto con i risultati della indagine di R. Otto; ricongiungimento che mostra come il moto di convergenza verso tale rivalutazione investisse gradualmente anche quell’orientamento culturale che per le sue origini positivistiche sembrava il meno propenso a muoversi in questa direzione.

Tre anni dopo la pubblicazione di II Sacro, cioè nel 1920, Freud pubblicò la sua monografia « Al di là del principio del piacere » (12), che doveva segnare l’inizio di un nuovo corso del movimento psicoanalitico, e che racchiudeva notevoli possibilità ermeneutiche per una interpretazione del sacro e del mito che tenesse conto delle motivazioni inconsce, senza tuttavia incorrere nella riduzione della religione a sublimazione della sessualità. Nelle nevrosi traumatiche, su cui la gran copia di casi offerti dalla prima guerra mondiale aveva reso possibile il moltiplicarsi delle osservazioni cliniche, il malato tende a ripetere nella crisi l’episodio traumatiz[...]

[...]orso della vita onirica. D’altra parte la terapia psicoanalitica aveva messo in evidenza la tendenza del nevrotico a rivivere, nel corso del trattamento, gli episodi traumatizzanti del passato e a trasferirli nel presente, in una situazione in cui il medico analista sta al centro : di qui la necessità terapeutica di risolvere il transfert, riconducendo gli eventi rivissuti e ripetuti come attuali a ricordi di episodi appartenenti al passato. Ora Freud osservava che manifestazioni del genere, determinate dalla tendenza a ripetere un passato sgradevole, non potevano essere ricondotte al « principio del piacere », ma rendevano necessaria l’ipotesi di un istinto di morte, inteso come coazione al ritorno, all’eterno ritorno. In tal modo nei paesi di lingua tedesca, e nell’atmosfera della sconfitta militare, del crollo di due imperi e del conseguente smarrimento morale faceva inplatonico della caverna non è riducibile alla nostalgia dell’utero materno, anche se Platone ebbe — al pari degli altri mortali — fantasie di carattere sessuale: cfr. C. [...]

[...]edizione del Tramonto dellrOcadente dello Spengler, che inaugurava — come si è detto — la crisi dello storicismo tedesco, nel 1920 il fondatore della psicanalisi introduceva la coazione a ripetere e l’istinto di morte nella vita psichica individuale, accanto e oltre al « principio del piacere », che aveva sino allora dominato nella sua concezione teorica. Ma per quel che si attiene più strettamente al nostro argomento ritroviamo nella monografia freudiana l’accenno ad un caso che è di più diretto interesse per lo studioso della vita religiosa e del mito. Un bambino di diciotto mesi cui era stato dato un rocchetto, aveva con esso animato un giuoco che consisteva nel lanciare il rocchetto in modo da nasconderlo alla vista, per poi riprenderlo tirando il filo, e accompagnando con espressioni di disappunto lo scomparire del rocchetto e con espressioni di gioia il suo riapparire: tali espressioni erano le stesse di quelle impiegate dal bambino nella situazione reale quando la madre si assentava o tornava. Qui si ha dunque la ripetizione della s[...]

[...]are e tornare secondo una vicenda che il bambino governava mediante il filo del rocchetto. Aveva luogo così una forma di ripetizione di tipo diverso dalla ripetizione coatta e irrisolvente nelle nevrosi traumatiche, poiché nel giuoco del rocchetto si ha una ripetizione attiva che mira alla riappropriazione e alla risoluzione dell’episodio traumatizzante. La coazione a ripetere e l’istinto di morte, quali erano stati definiti nella monografia del Freud, sollevarono nelPambito del movimento psicoanalitico una vivace polemica (13): qui però basterà mettere in evidenza come il ritorno del passato acquistava due significati nettamente diversi a se
(13) Per questa polemica si vedano i rinvii bibliografici contenuti in O. Fenichel, Trattato di Psicoanalisi, trad. it. di C. Gastaldi, Roma 1951, pp. 57, 138, 608 sgg.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

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conda che si trattasse di ripetizione coatta e cifrata nel sintomo morboso

o di ripetizione attiva e risolvente mediante un simbolismo aperto della rappresentazione e del comportam[...]

[...]to dell età prepsicoanalitica, ma soffre del pari in seguito ad un trauma patito nella propria durata temporale; un trauma sopravvenuto nell’illud tempus primordiale dell’infanzia, dimenticato, o, più esattamente, mai pervenuto alla coscienza. La guarigione consiste nel ‘tornare indietro’, rifacendo il cammino in senso inverso, in modo da riattualizzare la crisi, da rivivere il traumatismo psichico e dà integrarlo nella coscienza... L’impresa di Freud era audace: introduceva il tempo e la storia in una categoria di fatti che venivano accostati, prima di lui, dall’esterno, un

r

(18) M. Eliade, Le mythe de Véternel retour, 1949, passim.MITO, SCIENZE RELIGIOSE E CIVILTÀ MODERNA

15

po’ come il naturalista considera il suo oggetto. Soprattutto una scoperta di Freud ha avuto conseguenze considerevoli, cioè quella che esiste per l’uomo un’epoca primordiale in cui tutto si decide: la primissima infanzia, e che la storia di questa infanzia è esemplare per il resto della vita » (19).

La tematica di Le mythe de l’éternel retour di M. Eliade ha avuto una singolare fortuna in Francia nell’ultima decennio, ed anche in domini lontani dalle scienze religiose come tali: così p. es. Robert Volmat non ha esitato recentemente ad interpretare i disegni di un malato mentale secondo i criteri ermeneutici offerti dalPEliade:

M. Eliade ci mostra come l’uomo delle civ[...]

[...]one coatta della scena traumatica, ripetizione riappropriatrice nel giuoco e ripetizione rituale di un mito primordiale:

Quale può essere la funzione, la virtù, della ripetizione (di un evento numinoso) ? Con tutte le riserve che comporta un paragone del genere, è possibile chiedere alla psicanalisi la risposta a questa domanda, poiché può trattarsi in questo caso di un fenomeno che appartiene al meccanismo più generale dd pensiero simbolico. Freud, in effetti, si era trovato dinanzi a un problema simile a proposito di una osservazione particolare che lo aveva condotto a riflettere sul significato della ripetizione. Egli cita a questo proposito l’esempio di un bambino che si abbandonava al singolare giuoco di far scomparire un oggetto nascondendolo alla vista. Con questo atto, che ripeteva spesso, il bambino voleva mimare l’allontarsi della madre, per lui molto penoso... Freud si chiese quale poteva essere la funzione della ripetizione, agita

0 sognata, di un evento traumatico, e concluse che la ripetizione consentiva di padroneggiare tale evento, dando al soggetto rimpressione di produrlo da sé, in luogo di subirlo passivamente. ...Trasferiamo questa spiegazione, mutatis mutandis, sul terreno dei fatti che abbiamo preso in considerazione. Il primitivo... cerca di chiudersi in un sistema di regole che sia atto a definire per lui una condizione umana senza angoscia; cerca per così dire di chiudersi in un ideale di inerzia. Certamente la varietà delle situazioni c[...]

[...]sse, soprattutto dopo la prima guerra mondiale, una crisi che doveva esercitare una notevole influenza diretta nel campo delle scienze religiose. Noi possiamo considerare tale crisi, che si ricollega all’indirizzo di Jung e della sua scuola, da diversi punti di vista. Ma da quello che qui ci interessa l’junghismo appare, in primo luogo, un nuovo apprezzamento del significato e della funzione del simbolo: il quale non è più interpretato, come nel freudismo ortodosso, una semplice maschera del passato ritornante in modo irriconoscibile e irrisolvente, ma si configura come un ponte per un verso rivolto al passato che rischia di tornare nella estraneità e nella servitù del sintomo nevrotico, e per l’altro verso orientato verso la realizzazione di valori culturali di cui è il presentimento, la prefigurazione e il dinamico dischiudersi. In rapporto a questo diverso apprezzamento, mentre nella prospettiva del22

ERNESTO DE MARTINO

freudismo ortodosso si trattava di smascherare la maschera simbolica, e di ridurla alla situazione primordiale [...]

[...]el passato ritornante in modo irriconoscibile e irrisolvente, ma si configura come un ponte per un verso rivolto al passato che rischia di tornare nella estraneità e nella servitù del sintomo nevrotico, e per l’altro verso orientato verso la realizzazione di valori culturali di cui è il presentimento, la prefigurazione e il dinamico dischiudersi. In rapporto a questo diverso apprezzamento, mentre nella prospettiva del22

ERNESTO DE MARTINO

freudismo ortodosso si trattava di smascherare la maschera simbolica, e di ridurla alla situazione primordiale storica di cui era, appunto, la «maschera», nella prospettiva dell’junghismo la riduzione smascheratrice non era più sufficiente sia rispetto alla interpretazione teorica che alla pratica terapeutica, ma si faceva valere l’esigenza di aiutare il malato a convertire i suoi simboli da chiusi in aperti, da cifrati in dichiarativi di una più compiuta realizzazione di sé, da estranei e servili in culturalmente integrati: cioè, in ultima istanza, i simboli si configuravano come vie di accesso al[...]

[...]consentì di realizzare la collaborazione « da lunghi anni attesa » (38). Questa « intesa » che si va progressivamente stabilendo fra junghismo e mondo cattolico è giustificata dal fatto che effettivamente lo Jung negli ultimi decenni si è reso sempre più largamente partecipe del movimento di rivalutazione esistenziale della religione. Colui che fu già nel 1902 discepolo di Pierre Janet alla Salpetrière, e che dal 1907 al 1913 fu collaboratore di Freud condividendone sostanzialmente la valutazione negativa della religione, fu indotto successivamente a modificare profondamente il proprio punto di vista. Dalla religione ricondotta in parte ad una sublimazione della sessualità infantile e in parte ad una sorta di nevrosi collettiva, Jung si aprì gradualmente al riconoscimento del valore storicoculturale della vita religiosa, pur continuando a considerarla come stadio superabile della evoluzione individuale o collettiva verso la autonomia morale: successivamente la religione gli si configurò non più come una fase preparatoria, ma come il corona[...]

[...]sistematico. Forse la formulazione teorica più impegnata è quella tentata da Clyde Kluckhohn in una monografia apparsa in The Harward Theological Review (48). L’autore polemizza con la tendenza prevalente nel secolo decimonono di considerare i miti indipendentemente dai rituali corrispondenti e dai loro concreti nessi esistenziali, e al tempo stesso rimprovera le interpretazioni psicoanalitiche della prima maniera (Abraham, Rank, Reik, lo stesso Freud) di non aver dato rilievo alla funzione sociale dei simboli miticorituali. Secondo l’autore, il rapporto fra mito e rito è quello di una dinamica interrelazione, e né la teoria dell’origine del mito dal rito, né quella opposta della origine del rito dal mito possono considerarsi pertinenti. In concreto lo studio di determinate società pone in rilievo uno stesso rito e può comportare più orizzonti mitici di autenticazione e di esplicazione, e che i rituali si modificano, acquistano nuovi significati e si trasformano profondamente nella loro struttura in rap
(46) Myth and RituaL 1933, p. 2 c 4[...]

[...] l’impegno religioso. Questa più ampia prospettiva offre almeno la possibilità di riguadagnare, al di là dell’irrazionale del numinoso vissuto immediatamente dal credente, una più profonda razionalità della vita religiosa come fatto culturale, cioè una regola della sua genesi, della sua struttura e della sua funzione nel quadro di date condizioni storiche dell’individuo e della società. La psicanalisi si mise appunto per questa via, ma col primo freudismo non andò al di là di una infelice riduzione della vita religiosa e del mito alla sessualità « sublimata », lasciando così nell’ombra proprio ciò che più importava, e cioè la qualità specifica e la funzione dinamica dei simboli miticorituali nella concretezza delle singole civiltà religiose. Sotto la spinta della psicanalisi fu tuttavia scoperta la omologia fra la rivissuta iterazione rituale di un mito delle origini e la abreazione nel corso della terapia psicanalistica, e fu dallo stesso Freud abbozzata una distinzione fra la « coazione a ripetere » e l’attiva ripetizione del giuoco e de[...]

[...]della vita religiosa e del mito alla sessualità « sublimata », lasciando così nell’ombra proprio ciò che più importava, e cioè la qualità specifica e la funzione dinamica dei simboli miticorituali nella concretezza delle singole civiltà religiose. Sotto la spinta della psicanalisi fu tuttavia scoperta la omologia fra la rivissuta iterazione rituale di un mito delle origini e la abreazione nel corso della terapia psicanalistica, e fu dallo stesso Freud abbozzata una distinzione fra la « coazione a ripetere » e l’attiva ripetizione del giuoco e del rito. Ma fu soprattutto merito dello Jung l’aver messo in rilievo il dinamismo del « simbolo », e cioè il suo carattere di ponte che dischiude il passaggio dalla crisi alla reintegrazione, dal passato che torna in modo cifrato e irrelativo al presente che nella decisione responsabile determina il passato e il futuro, dal sintomo chiuso, isolante, e passivamente subito all’apertura verso il mondo dei valori culturali. Tuttavia nel corso della travagliata vicenda del pensiero dello Jung si riscontra[...]

[...]a maschera irriconoscibile del sintomo nevrotico o psicotico. Appunto per questo il tutt’altro ambivalente si articola nella ripetizione rituale di un mito: le varie crisi individuali ricorrenti in un dato regime di esistenza sono tolte dal loro isolamento individualistico e trattate in forma socializzata e istituzionale mediante modelli di risoluzione che attuano la reintegrazione delle alienazioni e la pedagogia del mondo dei valori. L’esempio freudiano della « madrerocchetto », fatta scomparire e tornare dal bambino, illustra molto bene questo momento ierogenetico : solo che nell’esempio freudiano si tratta di un angustissimo simbolo infantile, ad uso strettamente individuale, e quindi privo della complessa vita culturale che la socializzazione e la istituzionalizzazione comportano. Il grande tema mitico del « nume che scompare e che torna », e che nel rito è fatto scomparire e tornare, costituisce invece nelle civiltà del mondo antico un esempio di simbolo religioso collettivo, nel quale trovano un orizzonte di arresto e di ripresa, di controllo e di risoluzione,

i momenti critici connessi al ritmo stagionale della vegetazione, all’invecchiare e al morire del re e alle crisi de[...]



da Recensione di Remo Ceserani su Francesco Orlando, freudiano del «misanthrope» e due scritti teorici, Torino, Einaudi, 1979, pp. 248 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: RECENSIONI
FRANCESCO ORLANDO, Lettura freudiana del « Misanthrope » e due scritti teorici, Torino, Einaudi, 1979, pp. 248.
Questo è il terzo libro di Orlando, su una stessa linea di ricerca. Prima c'è stata la Lettura freudiana della « Phèdre » (1971), poi, come prima riflessione teorica sulla esperienza interpretativa compiuta, Per una teoria freudiana della letteratura (1973). Questo nuovo libro ha al centro una nuova esperienza interpretativa, su un'opera letteraria di genere diverso, la Lettura freudiana del «Misanthrope ». La precede, sotto forma di Introduzione, l'ampia intervista su Psicanalisi e letteratura pubblicata nello « Yearbook of Italian Studies » di Montreal del 197375: non piú solo riflessioni dell'autore, ma confronto con le domande di chiarimento, gli stimoli e i dubbi di due fini studiosi di teoria letteraria come Antonio D'Andrea e Dante Della Terza (si tenga presente che all'intervista originaria sono qui aggiunte alcune interessanti integrazioni). Segue, sotto forma di Appendice, la risposta che Orlando diede, con il titolo Su teoria della letteratura e divisione del l[...]

[...]eoria economicosociale, in quelli della linguistica e della semiotica, in quelli dell'antropologia culturale e della psicanalisi.
Ma devo anche dire che quella compiuta nel campo della psicanalisi si è pre
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sentata, a mio parere, come l'operazione piú rischiosa e difficile. Rischiosa perché gli esempi di applicazione alla letteratura di concetti psicanalitici sono sin troppi e sin troppo facili (e lo sono già quelli dello stesso Freud e della sua prima cerchia di discepoli); difficile perché la confusione concettuale e metodologica, di proposte e di scuole, all'interno dell'ampia sfera culturale che è riconducibile alla psicanalisi e che va dai programmi ristretti della pura pratica medica a quelli dilatati della teoria della civiltà, è molto forte e semmai negli ultimi anni si è fatta ancora piú forte (se ne ha un'ultima testimonianza, parziale, nelle interviste a psicanalisti pubblicate nei primi nove numeri del mensile fiorentino « Librioggi »).
In questa situazione, il lavoro di Orlando è stato straordinariamente util[...]

[...]icostruire degli ipotetici e immaginari contenuti simbolici che affiorerebbero, come un secondo linguaggio, nell'opera letteraria. (Una divertente parodia di possibili applicazioni di questo metodo al Misanthrope si legge in questo libro, alle pp. 21920, con dispiegamento di quella simbologia sessuale — o di quell'estetica dell'osceno — che nel resto del libro è rigorosamente assente, forse con sorpresa di chi altro non si aspetta da una critica freudiana.)
La lettura di Freud è fatta cosi in modo selettivo (privilegiando gli scritti sulla formazione e sul funzionamento del linguaggio, come il Motto di spirito o il denso, straordinario saggio su Der Sandmann di Hoffmann) e anche in modo intensivo, concentrandosi su alcuni concetti, sviluppandoli e anche riformulandoli. E il caso del concetto freudiano, che diviene fondamentale nella teoria di Orlando, di « formazione di compromesso » e che è da lui usato per descrivere i processi attraverso cui l'inconscio riesce a esprimersi nel linguaggio letterario, grazie alla sua forte carica di figuralità, i processi cioè di compromesso « fra rispetto del senso e piacere di trasgredirlo, fra gioco coi significanti e rimpasto dei significati » (p. 9). È anche il caso, che ha suscitato discussioni, della formula freudiana « il ritorno del rimosso » che Orlando ha trasformato, tenendo conto del posto che la letteratura ha, pur nei modi suoi specific[...]

[...]viene fondamentale nella teoria di Orlando, di « formazione di compromesso » e che è da lui usato per descrivere i processi attraverso cui l'inconscio riesce a esprimersi nel linguaggio letterario, grazie alla sua forte carica di figuralità, i processi cioè di compromesso « fra rispetto del senso e piacere di trasgredirlo, fra gioco coi significanti e rimpasto dei significati » (p. 9). È anche il caso, che ha suscitato discussioni, della formula freudiana « il ritorno del rimosso » che Orlando ha trasformato, tenendo conto del posto che la letteratura ha, pur nei modi suoi specifici, nella comunicazione sociale, in « il ritorno del represso » (su questo punto egli dà chiarimento qui sia nell'Introduzione, alle pp. 520, sia nella risposta a Benevelli, alle pp. 2434). Un filtro rigoroso è applicato anche alle proposte di Lacan, presenti certo sia nel saggio sulla Phèdre sia in questo sul Misanthrope, ma anche sottoposte a un severo vaglio critico e respinte nelle loro aspirazioni astoriche e universalistiche (per esempio, alle pp. 108, 151, [...]

[...]evero vaglio critico e respinte nelle loro aspirazioni astoriche e universalistiche (per esempio, alle pp. 108, 151, 21620, 231244). Un'indicazione nuova e interessante, inoltre, si trova nell'integrazione all'intervista del 1977 e nelle note a questo volume: il rimando al grosso lavoro dello psicanalista cileno Ignacio Matte Blanco, che ha concentrato i suoi interessi e utilizzato la sua preparazione logicomatematica nello studio dell'inconscio freudiano, della sua estraneità a ogni topografia spaziotemporale e a ogni logica fondata sul principio di contraddizione, ma anche dei suoi rapporti dinamici con i processi mentali consci (I. Matte Blanco, The Unconscious as Infinite Sets. An Essay in BiLogic, London, Duckworth, 1975).
Quello che fa, secondo me, di Orlando una guida sicura e preziosa nella difficile
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esplorazione del terreno comune fra psicanalisi e letteratura è non solo la qualità, sempre molto alta, dei suoi esperimenti pratici di lettura, ma anche la convergenza
e spesso l'omogeneità fra le proposte teoriche [...]

[...]omogeneità fra le proposte teoriche che egli avanza e altre proposte teoriche a cui mi pare che siano giunti altri studiosi, muovendo lungo altre strade e su altri terreni di specializzazione (come la sociologia marxista, l'antropologia culturale, la linguistica e l'ermeneutica).
Per quanto riguarda le analisi dei testi, mi pare che quella qui condotta del Misanthrope sia brillante e convincente. Il Modello interpretativo, ricavato dal libro di Freud sui Motti di spirito e applicato in precedenza alla tragedia, viene ora applicato a una commedia, e questo dovrebbe, essendo il modello nato in rapporto con una teoria del comico, facilitare le cose. La coppia contrappositiva repressione/represso diviene cosí, coerentemente, la coppia comicità/witz. A complicare, ma anche a chiarire le cose sta il fatto che la commedia in esame è una « commedia » molto speciale
e Orlando, al quale per la verità non interessano molto i discorsi sui generi, né quelli puri né quelli misti, ne mette tuttavia in rilievo tutti i caratteri peculiari. Alceste, il pr[...]

[...]piegazione che l'amore di Alceste si rivolge a Célimène non benché essa sia una coquette ma proprio perché essa lo è l'acribia critica di Orlando fa le sue prove migliori. Attraverso l'interpretazione del sistema dei personaggi e l'attentissima schedatura dei temi ricorrenti, egli giunge a identificare un tema di fondo della commedia, che sta alle radici dell'ambiguità del personaggio, quello dell'invidia narcisistica. Questa radice psicologica, freudiana e lacaniana, per sua natura contraddittoria è non solo generatrice di tutte le tensioni interne del testo, ma anche la spiegazione delle reazioni cosí contrastanti
e addirittura contrapposte dei suoi destinatari storici e delle successive generazioni di spettatori e di critici. In tutta l'analisi Orlando non dimentica mai né la testualità della commedia né la sua storicità. Basta fare un confronto tra il modo in cui egli utilizza, restando fermo al testo e alla sua storicità, una pagina di Freud sul narcisismo (pp. 1368) e una di Marx sulle « robinsonate » del Settecento (pp. 1569), con [...]

[...]non solo generatrice di tutte le tensioni interne del testo, ma anche la spiegazione delle reazioni cosí contrastanti
e addirittura contrapposte dei suoi destinatari storici e delle successive generazioni di spettatori e di critici. In tutta l'analisi Orlando non dimentica mai né la testualità della commedia né la sua storicità. Basta fare un confronto tra il modo in cui egli utilizza, restando fermo al testo e alla sua storicità, una pagina di Freud sul narcisismo (pp. 1368) e una di Marx sulle « robinsonate » del Settecento (pp. 1569), con il modo in cui Arnold Hauser, in un libro che pure ha molti meriti (Il Manierismo. La crisi del Rinascimento e l'origine dell'arte moderna, Torino, Einaudi, 19672; prima edizione tedesca 1964) combina insieme Freud e Marx per definire « il narcisismo come psicologia dell'alienazione » o per spiegare « la nascita dell'umorismo » e poi applica tali concetti ai piú vari testi, dal Don Chisciotte all'Adone al Don Giovanni a varie opere di pittori manieristi. Si avranno di fronte due modelli di metodo: da una parte l'analisi testuale e storica, dall'altra la libera e inverificata utilizzazione di categorie sociologiche.
Per quanto riguarda le proposte teoriche, mi pare che quella piú interessante, anche perché riformula in termini psicanalitici e linguistici un concetto che comincia a circolare anche fra i [...]

[...]sa letteratura (è accaduto con Benjamin, Auerbach, Spitzer, Lukács e molti altri). Da noi l'interesse, nella discussione critica,
mi pare che sia stato notevole, ma le applicazioni e le verifiche concrete non sono state per ora numerose. (Orlando ricorda, nell'Introduzione, pp. 389, quelle di Siti, Paduano, Zatti e Fiorentino.)
Per questo mi pare opportuno offrire qui un nuovo esempio di applicazione, che non può essere naturalmente la lettura freudiana di un testo — non ci sarebbe spazio per essa in una recensione — ma un'ipotesi di lettura, che potrebbe diventare freudiana: dell'Aminta di Tasso. Indico schematicamente alcuni punti da cui potrebbe partire e svilupparsi l'analisi.
1. I testi teatrali presentano un problema filologico particolare: ogni loro messa in scena è in realtà un'edizione e rappresenta un incontro tra la volontà dell'autore, le esigenze pratiche della compagnia, l'occasione particolare in cui viene allestito lo spettacolo, il rapporto con un pubblico delimitato e preciso. Ricostruire un testo — come ha fatto egregiamente per l'Aminta Bortolo Tommaso Sozzi —, cercando di risalire all'edizione a stampa o alla redazione manoscritta che me[...]

[...]a » 145, 1968, pp. 3852);
b) nello stabilire l'alternativa fra la tragedia che l'Aminta non è ma dovrebbe essere e la favola pastorale che è costretta a essere (un'alternativa in qualche modo parallela a quella posta da Fubini fra la « tragedia » della Gerusalemme e l'« intermedio » dell'Aminta) De Angelis non esplora a sufficienza le caratteristiche intrinseche della favola pastorale, una forma (che possiamo forse, adattando la terminologia di Freud e Orlando a un intero genere letterario, giungere a chiamare « forma di compromesso ») nella quale si realizza un particolare modo letterario, quello « pastorale », come è stato ben messo in rilievo da alcuni studiosi (dei quali, per brevità, ricordo solo Leo Marx, The Machine in the Garden. Technology and the pastoral Ideal in America, New York, Oxford University Press, 1974);
c) nei suoi rinvii a precise caratteristiche della storicità del testo, e allo spessore culturale e sociale in cui esso si inserisce, usa formule storiografiche troppo generiche, come « clima della Controriforma » e s[...]



da (Mito e civiltà moderna) Diego Carpitella, I «primitivi» e la musica contemporanea in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 3 - 1 - numero 37

Brano: [...] alcune caratteristiche del linguaggio musicale dei primitivi (scale, ritmo, polifonia, strumenti, ecc.) e quindi del linguaggio contemporaneo, per stabilire in che misura la musica primitiva sia entrata in forma diretta o mediata nell'esperienza musicale contemporanea. Ma non può limitarsi a questo: l'analisi comporta anche l'esame di alcuni aspetti psicologici e umani dei « primitivi » in relazione ad alcune ragioni della musica contemporanea: Freud, Jung, Aldrich, Adler, Malinowski, LévyBruhl, hanno più volte e in diverse occasioni sottolineato i rapporti tra « mente primitiva e civiltà moderna » (5) nel cui ambito rientrerebbe naturalmente anche la musica contemporanea.
In tal senso un'analisi del « primitivo » assume un valore notevole: sia perché data l'asemanticità dell'espressione musicale il valore dei « simboli » prende più rilievo; sia perché attraverso l'esame di alcuni dati sociologici, psicologici, etnologici, è possibile arrivare all'esplicazio ne di alcuni motivi della musica contemporanea. Uno studio, comunque, che va con[...]

[...] primitivo » nella musica contemporanea sono automaticamente escluse le esperienze folkloriche romantiche (le cui determinanti storiche sono state, in gran parte, di carattere nazionalepolitico), e per distinguere, nella musica popolare, l'utilizzazione organica (a cui appartengono Bartók, Janacek, ecc.) da quella meccanica (cioè della « citazione » su una struttura lessicale definita) (6). Eguale distinzione è necessario fare nella
(4) Cfr. S. FREUD, Totem e Tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici. (Ed. it. Bari, Laterza, 1953).
(5) Cfr. Cu. R. ALDRICH, Mente primitiva e civiltà moderna (ed. it. Torino, Einaudi, 1949; C. G. JUNG, L'Io e l'inconscio (ed. it. Torino, Einaudi, 19481954); L. LÉVYBRUHL, L'anima primitiva (ed. it. Torino, Einaudi, 1948); B. MALINOWSKI, Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi (id. 1950).
(6) Cfr. B. BART6K, Scritti sulla musica popolare (ed it. Torino, Einaudi, 1955); e Tn. W. AnoRNo, Philosophie der neuen Musik (Tübingen, 1949). Trad. It. di G. Manzoni (Torino, Einaudi, [...]

[...]me Bovary non prende posizione. L'orrore viene osservato con un certo compiacimento, non trasfigurato, ma rappresentato senza mitigazioni... » (12).
Ancora sulla struttura di alcuni passi del Sacre:
p. 150 ... « A volte si tratta di una scelta limitata dai dodici suoni, all'incirca come nella pentatonia, quasi che gli altri suoni fossero un tabù e non potessero esser toccati: si può ben pensare, nel caso del Sacre, a quel délire de toucher che Freud riconduce al tabù dell'incesto... ».
Da questo senso di tabù deriva « una certa torbidità sia nel colorito generale che nei singoli caratteri musicali
Ed ecco che l'Adorno passa gradualmente dal primitivismo generico ad un più preciso primitivismo psicologico:
p. 159 ...« Egli esaspera talmente la tensione tra arcaico e moderno che rigetta, per amore dell'autenticità arcaica, il mondo primitivo inteso come principio stilistico: delle sue opere principali solo le Noces accolgono ancora una volta il folklore, con formulazioni assai meno arrendevoli che nel Sacre. Strawinsky scava in cerca de[...]

[...]mo psicologico:
p. 159 ...« Egli esaspera talmente la tensione tra arcaico e moderno che rigetta, per amore dell'autenticità arcaica, il mondo primitivo inteso come principio stilistico: delle sue opere principali solo le Noces accolgono ancora una volta il folklore, con formulazioni assai meno arrendevoli che nel Sacre. Strawinsky scava in cerca dell'autenticità nella compagine stessa e nel disfacimento del mondo di immagini dell'arte moderna. Freud ha insegnato che esiste una connessione tra la vita psichica del selvaggi e dei neurotici (13): orbene il compositore disdegna i selvaggi e si attiene a
(12) Così prosegue Adorno: « Il Sacre non si sarebbe potuto eseguire nel terzo Reich dalle innumerevoli vittime umane: e chiunque osava ammettere direttamente nell'ideologia la barbarie della prassi, cadeva in disgrazia. La barbarie tedesca — era forse stata questa l'idea di Nietzsche — avrebbe, senza menzogne, sradicato insieme con l'ideologia, la barbarie stessa. Nonostante ciò l'affinità del Sacre con il suo modello é incontestabile, e co[...]

[...]ostante ciò l'affinità del Sacre con il suo modello é incontestabile, e così il suo gauguinismo, le simpatie del suo autore che, come riferisce Cocteau, sbalordiva i giocatori di Montecarlo mettendosi i gioielli di un sovrano negro » (Le coq et l'Arlequin, op. cit.). Sulla degenerazione del primitivismo in barbarie cfr. l'introdu clone di R. Bianchi Bandinelli a Frobenius, Storia delle civiltà africane (Torino, Einaudi, 1958, 2a ediz.).
(13) S. FREUD, Totem e tabù, op. cit.
118 DIEGO CARPITELLA
ciò di cui l'esperienza dell'arte moderna è sicura, cioè a quell'arcaicità che costituisce lo strato profondo dell'individuo e che si affaccia nuovamente nella sua decomposizione, incontraffatto e attuale. Le opere che stanno tra il Sacre e la virata neoclassica imitano il gesto della regressione, tipico della dissociazione dell'identità individuale, e se ne aspettano un'autenticità in senso collettivo. L'affinità veramente stretta di questa tendenza con la teoria di C. G. Jung (14), di cui probabilmente il compositore non sapeva nulla, è lampant[...]

[...]azione senza piú alcuno sfogo, irretita nel controllo totale di un campo sonoro che sfugge ormai alla stessa percezione sensibile e che il progresso totalitario della tecnica acustica rende sempre più incontrollabile, l'autoestinzione del soggetto (come già nello Strawinsky del Sacre, che pur tuttavia violentava ancora un materiale « storico ») porterebbe dunque alla materia originaria? (pp. XXIVXXV).
A cui, aggiungiamo noi, fa eco la chiusa di Freud in Totem e tabe (Il ritorno del totemismo nell'infanzia):
p. 177 ... « Certamente, tanto nei selvaggi come nei nevrotici, non ci sono quelle divisioni nette tra pensiero ed azione che sono in noi. Solamente il nevrotico è inibito nell'azione, in lui il pensiero è il vero surrogato dell'azione. L'uomo primitivo non ha questa inibizione, il suo pensiero si trasforma senz'altro in azione, l'azione è per lui piuttosto un surrogato del pensiero e perciò ritengo, pur senza garantire l'assoluta esattezza della mia asserzione, che nel caso in discussione si possa ben dire che: « In principio era l'a[...]



da Theodor Wiesengrand Adorno, Aldous Huxley e l'utopia [traduzione di Elèmire Zolla] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]anni trascorsi dall'uscita del libro hanno permesso di verificare anche più di quanta fosse necessario: minimi orrori, come le prove per l'assunzione dei ragazzi d'ascensore, che selezionano i più sciocchi, o visioni raccapriccianti come la svalutazione razionale del cadavere. Il bravo new world è un unico campo di concentramento che si crede un paradiso non essendoci nulla da contrapporgli. Se, a seguire la dottrina della Psicologia di massa di Freud, il panico é quella condizione nella quale crollano delle potenti identificazioni collettive e le energie istintive liberate si convertono in subitanea angoscia, allora l'individuo colto dal panico sarà in grado di innervare ciò che di oscuro sta alla base dell'identificazione collettiva: la falsa coscienza dei singoli i quali, privi di una vera e verificabile solidarietà, legati ciecamente a immagini del potere, si credono d'accordo con una Totalità che li soffoca con la sua ubiquità.
Huxley é esente da quell'assennatezza folle che riesce a ricavare perfino dal peggio il solito « non é poi [...]

[...]lo preserva. La fuga dal mondo porta nella colonia nudista, dove anche il sesso verrà estirpato scoprendolo. Nonostante lo sforzo di dipingere il mondo selvaggio rimasto dietro all'assoluta cultura di massa, che in Brave New World appare come relitto dell'umano, come
ALDOUS HUXLEY E L'UTOPIA 105
ripugnante e folle, si fanno tuttavia sentire degli impulsi reazionari. Fra le figure moderne contra le quali viene scagliato l'anatema si trova anche Freud, che in un certo passo viene equiparato a Ford, ridotto a mero efficiency expert della vita interiore. Un dileggio troppo bonariamente filisteo lo colpisce quando si dice che scopri per primo « the appalling dangers of family life ». Ma in effetti egli scopri proprio questo: la giustizia storica sta dalla sua: la critica della famiglia come agente.. dell'oppressione, proprio dell'opposizione inglese fin da Samuel Butler, é sorta nello stesso momento in cui la famiglia insieme con la sua base economica ha perduto l'ultima parvenza del diritto di determinare lo sviluppo degli uomini e si é tras[...]

[...]fin da Samuel Butler, é sorta nello stesso momento in cui la famiglia insieme con la sua base economica ha perduto l'ultima parvenza del diritto di determinare lo sviluppo degli uomini e si é trasformata in quell'irrazionalità neutralizzata che Huxley nell'ambito della religione tradizionale chiama per nome con forza tagliente. Di fronte alla tolleranza della sessualità che egli attribuisce al mondo del futuro (con una completa incomprensione di Freud, che restò attaccato fin troppo ortodossamente alla repressione come fine educativo) Huxley si schiera con coloro che accusano l'era industriale non tanto di disumanità quanto di decadenza dei costumi. L'abissale interro ativö dialettico: se sia possibile soltanto tanta t e icrtá quanti diZaranjirraiikére, viene risolto affermativamente dal romanzo e serve da scusa `per la sopravvivenza di detail— divieti, come se mai la felicità che sorge dalla violazione dei tabù potesse legittimare i tabù, che sono al mondo non per procurare la felicità ma per respingerla. Le orgie comunitarie che avvengon[...]

[...]f mine, why was I decanted ?... There ain't no Bottle in all the world Like that dear Bottle of mine ».
La ribellione del « selvaggio » contro l'amata non é quindi tanto la protesta, come si vorrebbe, della pura natura umana contro la fredda protervia della moda, poiché la giustizia poetica lo rappresenta come un'aggressione di neurotico, la cui spasmodica purezza ha per motivo l'omosessualità repressa, . come potrebbe dimostrare il maltrattato Freud.
Il selvaggio ingiuria la puttana come l'ipocrita che trema di furore contro ciò che si deve inibire; mettendolo dalla parte dell'iniquità Huxley si allontana dalla critica della società. L'unico vero rappresentante della critica nel romanzo é l'alfa plus Bernard Marx il quale si rivolta contro il proprio conditioning, una caricatura scetticamente compassionevole di ebreo. Huxley sa che gli ebrei in quanto non perfettamente adattati vengono perseguitati e che quindi la loro coscienza si spinge oltre il sistema sociale; egli non mette in dubbio l'autenticità dell'acume critico di Bernard, ma [...]



da Recensione di Maria Luisa Vecchi su Cesare Musatti, Il pronipote di Giulio Cesare, Mondadori, 1979, pp. 264 in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...] il proprio padre, per esempio, che si manifesta nell'accanimento furibondo e quasi omicida con cui si impegna per vincerlo nel gioco degli scacchi.
L'analisi coinvolge anche l'opera stessa: « Sono, le mie, pagine di un laico che si rifiuta di credere »; l'autore, infatti, si rivela programmaticamente dubbioso e non esita a mettere continuamente in discussione ogni cosa a partire proprio dalla psicoanalisi. Vittima designata di questa pratica è Freud dal quale Musatti prende ufficialmente le distanze invertendo le parti: l'allievo ha fatto sdraiare il maestro sul lettino del suo studio, l'esito della seduta è una emancipazione definitiva, un congedo. Il dubbio, ed è ciò che all'autore sta particolarmente a cuore, si presta come efficace garanzia contro gli agguati del dogmatismo perché consente di formulare riserve, di dissacrare idoli, di minare mitologie, di smascherare luoghi comuni promuovendo il libero esercizio delle facoltà critiche. In una prospettiva di questo genere si giustifica anche lo schema dialogico di cui l'autore si serv[...]

[...]a cuore, si presta come efficace garanzia contro gli agguati del dogmatismo perché consente di formulare riserve, di dissacrare idoli, di minare mitologie, di smascherare luoghi comuni promuovendo il libero esercizio delle facoltà critiche. In una prospettiva di questo genere si giustifica anche lo schema dialogico di cui l'autore si serve quasi costantemente, derivato, secondo quanto si afferma nella prefazione, non dal modello platonico ma dal Freud del Problema dell'analisi da parte dei non medici anche se, forse, non è completamente lecito escludere che questa scelta sia stata almeno in parte determinata dalla solida matrice culturale classica del letteratissimo Musatti. In ogni caso è questo lo « schema ideale per sviluppare un pensiero che è dialogico e dialettico ».
Si procede fra conversazioni brevi e incisive con interlocutori diversi per estrazione sociale, per cultura, per esperienza linguistica. Non importa nemmeno che l'interlocutore sia sempre realisticamente plausibile e può accadere di vedersi trasformare sotto gli occhi i[...]

[...]re, secondo quanto egli stesso afferma, lo consente, ma soprattutto lo consente la sua credibilità di scienziato e di scrittore.
Questi dialoghi, ben lungi dal sottrarre dignità alla sua figura « pubblica », la arricchiscono di una nuova, anche se non completamente sconosciuta, veste letteraria. Alcuni fra questi scritti già si conoscevano; su queste stesse pagine, tempo addietro, Musatti faceva esplicito riferimento alla genesi del dialogo con Freud, « composto qualche tempo fa per ischerzo », ma la nuova edizione consente di cogliere appieno il progetto unico al quale tutti rispondono: l'indagine critica sulla realtà umana attraverso l'uso dello strumento psicoanalitico che offre, affidato alle mani di questo scrittore, effettive garanzie di veridicità, di competenza metodologica (è Musatti ad affermare, stizzendosi non del tutto a torto, che « qualsiasi primovenuto oggi si proclama psicoanalista, o può dirsi socialista. E in tal modo è possibile attribuire a socialisti
e psicoanalisti ogni genere di sciocchezze »).
L'altro fondamenta[...]

[...]rticante e comico. Non è difficile leggere queste ventisei composizioni come le diverse scene di un'unica commedia di cui Musatti è il mattatore che può tutto, anche risolvere in risata una situazione difficile, anche trasformare in aneddoto pungente l'illustrazione di un caso clinico grave, anche divulgare in modo accattivante un'esperienza di vita e di studio piuttosto complessa. « Del resto », sono parole di un pronipote di Giulio Cesare e di Freud, « certi atteggiamenti, anche se comici, possono raggiungere il loro scopo ». E in un libro come questo è difficile che certe affermazioni sfuggano per caso.
MARIA LUISA VECCHI
PATRICK BOYDE, Retorica e stile nella lirica di Dante, a cura di C. CALENDA, Napoli, Liguori, 1979, pp. 431.
Che dall'originale Dante's Style in his Lyric Poetry si sia trascorsi nell'edizione italiana (che esce a otto anni di distanza da quella di Cambridge) al piú accattivante — ed attuale — Retorica e stile è, forse, segno del malvezzo tutto nostrano di rincorrere, almeno terminologicamente, mode letterarie e non[...]



da Georg Lukacs, Problemi della coesistenza culturale in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1964 - 7 - 1 - numero 69

Brano: [...]ideologia del Socialismo possa essere (c spiritualmente» distrutta anche senza studiarne le fonti più importanti, che contro di essa non si osservino le regole della correttezza scientifica e letteraria, che si possa polemizzare con essa falsificandone le citazioni, defor
18 GEORG LUKACS
mandone i concetti, tacendo o inventando fatti. Per rifarmi ancora una volta a esperienze personali, Adorno mi rimproverò
di aver trattato semplicisticamente Freud da fascista nel mio
libro La distruzione della ragione, sebbene, conforme agli obbiettivi di quell'opera, io non avessi in essa esaminato né criti
cato le teorie di Freud. Se qui respingiamo questi metodi di lotta
letteraria, in primo luogo lo facciamo non per motivi di correttezza letteraria — per quanta 'anche questa sia importante —
ma perché una vera 'lotta tra concezioni del mondo, che scaturisce di necessità dalla coesistenza culturale, viene resa obbiettivamente impossibile da questo metodo di concepire l'avversario in modo volgarmente monolitico.
La concezione monolitica é cieca tanto di fronte allo sviluppo ineguale dei differenti campi di cultura quanto alle controversie reali all'interno di un sistema particolare. Soltanto respingendola si può ar[...]

[...] occidentale, il superamento del giudizio culturale monolitico si concentra intorno alla comprensione della vera essenza della d'ottrina e del metodo marxisti. Indubbiamente, anche su questo terreno sono in atto tentativi che dimostrano una onesta volontà di comprendere, anche se ancor oggi sono,. com'è naturale, sporadici e per lo più assenti negli ideologi più influenti. Tuttavia é sintomatico e significativo che mentre alcuni decenni or sono ifreudiani cc di sinistra » cercavano di correggere Marx,con iniezioni di teorie del loro maestro, oggi invece assistiamo al tentativo di rendere attuale Freud integrandolo con Marx. Fenomeni analoghi sono visibili anche in altri campi anche se, senza dubbio, attualmente sono assai scarsi; infatti, domina an. cora quella compiaciuta ignoranza alla quale abbiamo già accennato. Ma non si deve dedurne che l'impostazione dei problemi sia sempre ed esclusivamente monolitica, giacché contrasti esistono ovunque in tutti i problemi; ad alcuni abbiamo accennato nell'ultima parte.
Se la coesistenza economica e politica continuerà a progredire, questo processo di differenziazione, e con esso la presa di posizione differenziata, dall'assimilazione di certe teo[...]



da Giuseppe Bevilacqua, Varietà e documenti. Dalla valle di Giosafat: Elias Canetti in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - maggio - 31 - numero 3

Brano: [...]ntingenti, e tanto meno revocabili. La storia non aveva voltato pagina, curiosa di vedere il seguito; aveva solennemente chiuso il libro.
E cosí i Musil, i Roth, i Broch si disponevano davanti a questo grande paesaggio non piú in fuga, per ritrarlo bloccato nel suo crepuscolo con tutta la calma che richiede la grande epica. Del resto, in quegli anni, Jenseits (`al di là')
328 VARIETÀ E DOCUMENTI
diventava una parola chiave anche nell'opera di Freud. Al di là degli istinti vitali su cui le prime ricerche avevano gettato una viva luce, montava la zona d'ombra dell'istinto di morte, dell'immobilità che si manifesta come ripetizione.
Ad una produttiva consapevolezza di questo stato Canetti arriva per contrasto. Nel 1928 e '29 egli compie due lunghi soggiorni a Berlino, chiamatovi da un giovane editore di sinistra destinato a diventare famoso: Wieland Herzfelde. Per suo tramite Canetti entra nel vortice della ribollente vita culturale berlinese, frequentando George Grosz, Isaak Babel e Bertolt Brecht, il quale lo dileggia per il suo `alto s[...]

[...]interessante, è sconvolgente; ed è il contrario di Vienna: qui, nelle vocianti conventicole, nei caffé, nei teatri, si affrontano animosamente i problemi del giorno e si specula sul futuro, l'interesse politico non è retrospettivo; e anche la nuova morale viene, non analizzata, ma quotidianamente messa in pratica, con grande scandalo del giovane puritano Canetti. « Qui — scriverà egli piú tardi — tutto era possibile, tutto accadeva; la Vienna di Freud, dove di tante cose ci si limitava a parlare, appariva in confronto verbosa ed innocua ».
Attratto ma anche atterrito, Canetti alla fine opta per la stasi meditativa della Vienna postasburgica, ritorna alla sua tranquilla camera ammobiliata, un po' fuori città, di fronte al colle su cui si distende lo sterminato manicomio di Steinhof. Ma il trauma berlinese, e la scelta che esso provoca, mette in moto e indirizza una vocazione prima incerta. « Un giorno mi venne l'idea che non si poteva piú rappresentare il mondo come in romanzi precedenti, per cosi dire dal punto di vista di un solo scritto[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Freud, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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