Brano: [...]». L'indicazione, da prendersi con la consueta precauzione, appare chiarificatrice; ci vengono, insomma, sottoposte le difficoltà di uno scrittore alla ricerca di un'originaria condizione di purezza, che gli consenta letture non strumentali, fruibili in sé, senza il continuo, paralizzante rimando al proprio mestiere. Eppure poco oltre, sempre dialogando con Nico Orengo, Calvino riconosce che gli è avvenuto una specie di « sdoppiamento » in Silas Flannery, uomo di grande fama per suoi romanzi eppure adesso improduttivo, preso, tra l'altro, dall'angoscioso dubbio se la sua supposta libertà non sia solo illusoria, e la sua macchina da scrivere non sia caduta in potere di extraterrestri (ma tra loro, camuffato, non c'è anche Giulio Einaudi?). L'ipotesi è accettabile, come plausibile è íl titolo dell'intervista, Calvino: Ludmilla sono io; solo che a questo punto sorge il dubbio di stare assecondando un gioco di specchi, di non riuscire, cioè, a raggiungere la condizione di lucidità e di estraneamento necessaria per capire il metodo e coglierne meg[...]
[...]ra, avventura narratologica a cui non sfugge lo stesso autore. Lo scrittore e il lettore, quindi, assumono sotto questa luce un'identità nuova. Come il « Padre dei Racconti », di età immemorabile, cieco e analfabeta, « fonte universale della materia narrativa », si confonde adesso con la leggenda e scompare fra i numerosi stratagemmi escogitati dall'ingegnoso Ermes Marana (enfant terrible, integrato dal sistema) per cedere il posto a tanti Silas Flannery, cosi i lettori perdono l'indeterminatezza dei vari Kublai Kan o Marco Polo per assumere una fisionomia piú precisa. Le difficoltà sempre crescenti, incontrate da uno scrittore come Calvino nello svolgere il proprio lavoro, appaiono colorarsi della storia presente e non tanto nei numerosi, immediati riferimenti alla cronaca sociale e politica, quanto nella natura stessa del linguaggio poetico qui utilizzato, attinto alle teorie della letterarietà oggi piú discusse, fino al punto che le parti del romanzo ascrivibili ad « una narrativa di affabulazione, movimentata ed inventiva » finiscono col [...]
[...]scrittore non una, ma tante soluzioni, tutti i propri possibili, poetici, sociologici, critici. $ precisamente in tal senso che l'opera acquista uno spessore memorialistico, di testimonianza storica, assai notevole; sono pochi, in effetti, i documenti che meglio colgono il significato del disorientamento di chi scrive, ma anche di chi legge perché il pubblico è cambiato, e con esso gli strumenti posseduti da un consumatore medio. L'intenzione di Flannery di portare a termine un libro che sia fatto solo di incipit, perché da un po' di tempo, ogni volta che si mette a scrivere un romanzo, questo s'esaurisce poco dopo l'inizio come se già vi avesse detto tutto quello che aveva da dire (p. 197); il commento del lettore che in ultimo ribadisce: « da un po' di tempo in qua tutto mi va storto: mi sembra che ormai al mondo esistano solo storie che restano in sospeso e si perdono per strada » (p. 259), non potrebbero riflettere meglio la mancanza di un obiettivo, prima di tutto politicosociale, di una mèta e di una strategia con cui lo scrittore e il [...]