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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Dei è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 639Analitici , di cui in selezione 19 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Franco Cagnetta, Inchiesta su Orgosolo. Parte prima: Orgosolo antica [e appunti di Ernesto De Martino sul pianto rituale sardo] in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 9 - 1 - numero 10

Brano: [...]parte da Nuoro sino ad Orgosolo per quasi 18 km. è una salita costante e impercettibile su un grande altopiano di granito, ondulato a fasce, a gobbe. Arrivati al paese di Mamojada, e quivi presa una mulat2

FRANCO CAGNETTA

tiera stretta e polverosa, rigirando per curve continue, che sono tutte nascoste e dominate da massi e da dirupi, solo qualche quercia secolare, verde vivo, interrompe il monotono biancogrigio della pietra, il caldo ocra dei terreni alluvionali, il verde cupo della macchia che su tutto impera.

Il paese di Orgosolo è disposto a mezza costa di una montagna bassa e orizzontale « su Lisogòni » e si eleva a 591 m. sul mare. A una svolta compare all’improvviso, misterioso, chiuso; visibile centro, e inconsapevole, di una vita non mutata da millenni, di uni antica, superstite civiltà.

È la più arcaica « città » di tutt’Italia, probabilmente di tutto il Mediterraneo.

Entrando per la via principale, che attraversa come un serpente tutto Orgosolo, l’abitato si stende in salite scoscese ed in ripide discese, attrav[...]

[...]oni, in cui si fa il fuoco. Nessun mobile, se non qualche banchetto di legno, basso, corto, da nani. Scendendo per una botola con una scala a pioli di legno, quasi sempre sconnessa, si accede ad una fossa inferiore, una specie di tana scavata nel granito, dove, qualche volta, dorme l’intera famiglia.

È la più antica forma di abitazione in muratura che si conosca e, con la sua pianta a focolare centrale, continua, con rudimentale sviluppo, uno dei tipi della casa preistorica europea.

Uscendo dai « fughiles », e riprendendo la via centrale, dopo un caos di altre case, al limite del paese, si trova uno spiazzo largo, quadrato, pieno di polvere e di pochi alberi, che, a strapiombo, si affaccia sulle campagne circostanti. Ricompare incombente, quasi dolce, eppur pauroso, il monte di Oliena che, nel percorso tra Nuoro e Orgosolo, di tanto in tanto, si era lasciato intravedere.

Questo è il paese, dall’esterno, ma quel che ancor più forse vi colpisce è la visione di uomini e di donne inconsueti. Nei giorni normali, ad un estraneo che ar[...]

[...] che ricordano le tavolette di Babilonia; l’altro, funereo, stretto alla vita e senza maniche, che rinchiude il primo.

Il pezzo più singolare di tutto il costume è, però, un rotolo di seta rigida, tessuta a grana grossa, di colore giallo scuro — una specie di papiro di antichi Egiziani — che si pone sul capo e si avvolge intorno al volto, sì che — come da una remota profondità — ne spuntano solo gli occhi, e il naso (1).

Malgrado l’insieme dei pezzi, così vario ed eterogeneo, la manifesta provenienza da così antiche civiltà, quel costume ha pure una

(1) Il prezzo medio dei singoli pezzi del costume è il seguente: sa vranella su sa ’ittu sa veste sa antalena sa ’ammisa su zippone sas palas su liunzu sa caretta su sacchittiddu s’aneddu issu lumene

sos butones

sa ’orona

sas iscarpas nieddas » » zelinas

gonna L. 2.000

primo grembiule » 10.000

secondo grembiule » 10.000

terzo grembiule » 15.000

la camicia » 2.000

primo giubbetto » 10.000

secondo giubbetto » 6.000

la benda » 15.000

zucchetto » 1.500

sottoveste » 1.500 Panello del nome (con iniziali)

gr. 50 d’oro » 15.000

i bottoni d’oro gr. 50 » 75.000

fermaglio d’oro »[...]

[...]trare nel paese, voi vi accorgerete che esso non è così esterno, non vi tradisce : esso è rivelatore, proietta un mondo locale.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Uno sguardo ad alcuni primi dati statistici sopra Orgosolo vi dà una fisionomia del paese che lascia trapelare certo, ma non certo intendere, quello che si nasconde nel fondo in quel mondo. Per conoscere Orgosolo bisogna conoscerà i suoi uomini, parlare con loro, comprenderli : essere amico dei cittadini di Orgosolo. Bisogna, soprattutto andare a cercarli mentre fanno i pastori in campagna, sapere le loro biografie, conoscere la storia antica e moderna del paese.

Per la scarsezza di fonti ufficiali, e non avendoli raccolti il Comune, i miei dati sono stati raccolti da pastori, in inchiesta privata.

Orgosolo ha, attualmente, una popolazione di circa 4312 abitanti, con una percentuale di uomini poco superiore alle donne, e 330 famiglie (2).

(2) TABELLA DELLA POPOLAZIONE DI ORGOSOLO

SECONDO ICENSIMENTI UFFICIALI DAL 1676 AL 1951

Stato sotto il quale si è evolto il censim[...]

[...]1

1901

1911

1921

1931

1936

1951

1188

1528

722

1256

2058

2077

2110

2009

1943

2174

2845

2988

2896

3062

3146

4251

599

750

897

1077

1010

1468

1466

589

778

859

1000

999

1594

1688

1830

2629

2959

3560

113

96

29

344 (fuegos) 487 ”

174 (fuochi) 530 ”

507

494

421

643

760

391

414

384

N.B. — l dati dei censimenti del «Regne de Sardeyna» (Corona di Aragona e di Castiglia) sono riportati dai documenti originali pubblicati integralmente in: Francesco8

FRANCO CAGNETTA

La maggior parte degli uomini esercitano, indiscriminatamente, il mestiere di pastori transumanti, seminomadi. Verso i primi di settembre — per il clima, e non possedendo pascoli privati — discendono nelle pianure circostanti — in Campidano, in Baronia, in Ogliastra, in Gallura — ad affittare pascoli da privati proprietari per tenere i propri greggi individuali di 50100 capi in media. Verso i primi di giugno — e se il clima[...]

[...]ino, birra, acquavite.

In tutto il paese non vi sono fogne (se non un solo condotto nella strada principale); vi è la luce elettrica, introdotta da non molto a 160 volt, da una impresa privata, ma non in tutte le case; vi è l’acqua in poche fontane pubbliche, ma non nelle case, o solo in pochissime; vi è 1 pubblico telefono.

Corridore, Storia documentata della popolazione di Sardegna (14791901). Carlo Clausen, Torino, 1902, pp. 330. I dati dei censimenti del « Regno di Sardegna », del « Regno d’Italia » e della « Repubblica Italiana » sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali. Quelli del 1951 sono ancora in elaborazione.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Gli istituti pubblici sono il Municipio, la Posta, 1 scuola con 5 classi elementari, 1 — incredibile — ambulatorio (l’acqua bollita per le iniezioni i clienti devono portarsela da casa); 1 chiesa e 12 cappelle, 1 cimitero.

Dei carabinieri e della polizia si dirà dopo.

In paese vi sono: 1 camion, 1 trattore, 5 motociclette, 10 biciclette; qualcuno ha la radio; cinema n[...]

[...] censimenti del « Regno di Sardegna », del « Regno d’Italia » e della « Repubblica Italiana » sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali. Quelli del 1951 sono ancora in elaborazione.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Gli istituti pubblici sono il Municipio, la Posta, 1 scuola con 5 classi elementari, 1 — incredibile — ambulatorio (l’acqua bollita per le iniezioni i clienti devono portarsela da casa); 1 chiesa e 12 cappelle, 1 cimitero.

Dei carabinieri e della polizia si dirà dopo.

In paese vi sono: 1 camion, 1 trattore, 5 motociclette, 10 biciclette; qualcuno ha la radio; cinema nessuno.

Se il paese sembra, a prima vista, un miserrimo paese — come tanti di Sardegna — esso è invece potenzialmente ricco, uno dei più ricchi di Sardegna.

Il territorio comunale è di 22.695 ha. di terreni — il secondo, per estensione, dopo Villagrande Strisaili, e Urzulei, di tutta la Sardegna. È importante qui rilevare in rapporto alla popolazione, ed è un indice impressionante, forse il più basso d’Italia, che la densità è di 13,5 ab. per km2.

La sua superficie territoriale, che raggiunge 40 km. circa di estensione nei punti più distanti, è tenuta quasi tutta a pascolo e a foresta.

I dati esatti della superficie tenuta a pascolo mancano. Si possono aggirare, per calcoli approssimativi sul 55 / 100 del totale. [...]

[...] non lo hanno voluto perché era basso. E un’altra volta

(3)

TABELLA DEL BESTIAME DI ORGOSOLO SECONDO I 2 SOLI CENSIMENTI UFFICIALI

Stato sotto il quale si è svolto il censimento

Regno d’Italia

o

Ss 81 <s

1908

1930

rt

P «

16.313

15.892

O

102

177

Asini

21

37

Muli

Bovini

1809

1235

Suini

4156

1935

Ovini

6424

9891

c

a,

rt

o

3801

2617

N.B. — I dati dei due censimenti sono riportati dalle relative pubblicazioni ufficiali del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio e dell’istituto Centrale di Statistica. Sono da ritenersi molto al di sotto del numero effettivo di bestiame esistente in Orgosolo se si tiene presente che qui è abitudine generale evitare la denunzia poiché si tiene in sospetto ogni operazione statale.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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che lo hanno arrestato. Perché gli hanno trovato un fucile qui vicino che non era il suo. Ha visto Nuoro solo nel carcere. Il Continente ? E chi lo conosce ? Non sa nemmeno che cosa è. Sta a pa[...]

[...]uest’inchiesta, assente dal paese — a quanto mi dicono — da 30 anni. La vita nelle campagne è, in Orgosolo, una vita a sé, staccata in certo senso dal paese: si svolge, a volte, quasi come su un altro pianeta, in un universo chiuso.

Ma nessuno, in Orgosolo, può completamente sottrarvisi.

Si può pensare che i casi da me citati siano unilaterali: che riguardano solo 3 o 4 vecchi e uomini che vivono in condizioni di eccezione. Quale è la vita dei pastori comuni, dei più giovani, dei pastori che vivono in condizioni medie? Quale è la vita di questi pastori di Orgosolo nelle campagne?

Chi non conosce, ad esempio, la classica montagna di Orgosolo — il Supramonte — nella quale ogni orgolese che eserciti la pastorizia più di una volta nella vita è costretto a soggiornare, a fare un’esperienza che non ha paragoni con il pastore di altri paesi, non può dire, in verità, di conoscere bene il paese di Orgosolo.

E conoscere a fondo il paesaggio, il territorio — conoscere, cioè, le condizioni naturali in cui si svolge la vita del pastore — è, in Orgosolo più che ovunque, condi[...]

[...]ue, condizione indispensabile per conoscere i pastori, per comprendere il paese.

Con la guida del pastore Salvatore Marotto, del barbiere Alberto Goddi, dello studente Domenichino Muscau, di Orgosolo, dal

1 al 3 luglio 1954 mi portavo per due giorni ed una notte sulla montagna del Supramonte.

Le possibilità di accesso al Supramonte, a dire il vero, sono alquanto particolari: da centinaia di anni il Supramonte è noto non solo per la vita dei pastori, ma come il covo dei banditi del paese. Raramente orma umana — si può dire — si posa sul suo suolo, se non è quella di orgolese spinto da bisogno di pascoli o da necessità di bandito; e, più raramente, di carabiniere che si spinge a perlustrare — assai di rado — e con paura e con rischio. Da centinaia di anni sul Supramonte si svolge la vita più segreta, più drammatica del paese: è come il tempio, l’Acropoli del vero uomo di Orgosolo, del pastore e del bandito.

La montagna del Supramonte, è una immensa catena ad altoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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piano — che è il prolungamento della montagna di Oliena — è pos[...]

[...]rosse quercie verdi, come sospesa in un’amosfera immobile, senza segno di vita; e, lontano, i monti dalla strana forma di buccina, per cui si chiamano il Corno di bue. A nord, si vede uno sterminato territorio deserto, pietroso, tormentato, con al centro la punta a cono del monte di Gonàri; accanto la precipite montagna di Oliena, con ai piedi la larga foresta, quasi vergine, di Murgugliai, nella quale il 1899, si scontrarono le più grandi bande dei latitanti di Sardegna (di Lovicu di Orgosolo) contro 200 carabinieri, poliziotti, soldati.

Ancora un poco e si sarà sulla tettoia dell’altopiano (quale sorpresa vi aspetta?).

A chi lo guardi la prima volta affacciandosi e quasi all’improvviso — l’altopiano si presenta sotto gli occhi come una catastrofica, una paurosa visione. È un mondo lunare, un mondo non umano.

Una lunga e stretta pianura, lunga circa 2030 km., colore di ossa, si stende sotto gli occhi con un paesaggio di asprezza, di drammaticità certo rara. Non vi è terra, probabilmente, che riesca a conservare così evidenti, c[...]

[...]o il sottosuolo deve essere forato in un sistema di ranali, di fiumi sotterranei, di grotte naturali. Si conosce il fiume di « Gorropu », che si inabissa di un tratto nella terra, con gorgoglìi paurosi, spumeggiando in una voragine, di cui non si vede il fondo, in onde nere. Si conoscono le grotte di « sa pruna » e di « capriles », nascoste da vegetazione nelle imboccature, ma nelle quali, penetrando a lume di rami di ginepro accesi come è l’uso dei pastori, si scoprono — come per incanto — stallatati, stalagmiti, frangie, panneggiamenti; e in esse corrono su argille rosse piccoli corsi d’acqua impetuosi; stanno immobili, dalle nere acque stagnanti, misteriosi laghetti. Non è difficile trovare nei più riposti cunicoli, nel più profondo delle rocce, cartuccie abbandonate, resti di ossa di sontuosi banchetti di banditi. Diecine di rivi sconosciuti, di grotte sconosciute si nascondono, probabilmente, nelle visceri della terra.

Una lunga e coraggiosa esplorazione e una indagine accurata potrebbero ricostruire la idrografia sotterranea del[...]

[...]e desertico, con gran calori diINCHIESTA SU ORGOSOLO

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giorno e freddi intensi la notte, in tutte le stagioni. Alcuni giorni di estate sono più freddi di quelli d’inverno, e viceversa. Raramente si deposita neve.

La vegetazione lungo i bordi dell’altopiano è molto scarsa, o quasi inesistente: macchia bassa, ginestre e arbusti di ginepro — ma dell’altezza quasi di un uomo — questi, con le radici affondate sulla nuda roccia e le braccia dei rami, secche, tese in alto come per disperazione.

Al centro dell’altopiano, invece — dove il calcare è più duro e resistente, e lo scolo delle acque ha trascinato anche argille — si distendono grandi, immense foreste con piante di quercia di leccio, quasi tutte, e dell’altezza di 2030 m.: foreste vergini, e inconsuete per uguale densità — probabilmente — in ogni altra regione di Europa, dalle quali, quasi, non meraviglierebbe veder spuntare un mostro preistorico. Fitti intrichi di rami — quasi simili a liane — e fogliame tutto distrutto dai bruchi, sono di tanto in tanto, interrotti solo d[...]

[...], dalle rupi si levano anche avvoltoi con volo lento, a grandi giri, in cerca di carogne, di carne marcia su cui affondare gli artigli, il becco; e solo il sibilo del vento ed il loro stridio di uccelli feroci — simile quasi a un fischio soprumano —interrompe, lacera il silenzio profondissimo.

Sulla terra, man mano che si avanza, piccoli ragni bianchi, a torme, ricoprono le rocce. In tutti i boschi, di inverno dormono i ghiri — cibo prelibato dei pastori — d’estate si arrampicano sulle piante, silenti. È il Supramonte, nelle foreste, anche la tana dei mufloni e dei cinghiali. Dei mufloni, i misteriosi ovini rossi dalle grandi corna, dal pelo corto e quasi senza coda, progenitori della18

FRANCO CAGNETTA

pecora; e dei piccoli cinghiali neri, poi bianchi, fortissimi, zannuti, progenitori del maiale. Corrono soli o in truppe guidate dal più forte, prosecutori di una vita zoologica già trasformata al piano e qui uguale identica da millenni, depositari dell’antico segreto della trasformazione della specie.

Qui tutto è estraneo, tetragono, insensibile ad ogni mondo di uomo.

Un Eden spaventevole!

Questo è il Supramonte, il più isolato territorio di Sardegna, il cuore dell’Orgolese, tutto avvolto nel mondo minerale, vegetale, animale; misterioso, oscuro come il territorio di un altro pianeta.

In esso [...]

[...]torio di un altro pianeta.

In esso vive il pastore di Orgosolo, il pastore medio, il pastore giovane: il pastore del 1954.

Quando inoltrandomi nel bosco avevo cercato — e quasi con disperazione — i primi segni, il primo volto di un uomo, mi ero trovato di fronte a indizi di una estrema, incredibile primitività.

Di tanto in tanto si trovavano piccole conche naturali, dovute all’erosione, coperte da una pietra : erano il solo segno umano, dei pastori che così conservano l’acqua delle pioggie dalla 'evaporazione solare, « sos presetos ». Bisogna sdraiarsi per terra, succhiare come le bestie.

Di tanto in tanto, nel bosco, vi erano mucchi di pietre rudimentali, per indicare la via, ad uso dei pastori.

Si sentiva lontano lo scampanio delle capre, delle pecore; ma non si vedeva un solo uomo.

Solo verso il centro, dopo 3 o 4 ore di cammino, avevo trovato le prime traccie di abitazioni, il primo segno vivo dei pastori.

Sono capanne di rami di quercia, secchi, bianchi, ammucchiati a cono — « sos pinnettos » — in forma simile a quella dei tucul africani. Seguono tutti una disposizione di più capanne, a semicircolo, con uno spiazzo nel centro, e attorno, quasi sempre, si levano grandi pietre quadrate di una antica città. Era il luogo dove sorgeva un abitato primitivo. E ancora il cerchio — 3000 anni fa come oggi — lo distingue. Di solito vi è vicina, sempre, una fonte: la vegetazione più intensa, più verde lo denuncia; ed è certo laINCHIESTA SU ORGOSOLO

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presenza dell’acqua la ragione di questa identica, immutata dislocazione.

Qualche volta i pastori abitano ancora nei Nuraghi — nelle grandi torri coniche e mozzate [...]

[...]empre, una fonte: la vegetazione più intensa, più verde lo denuncia; ed è certo laINCHIESTA SU ORGOSOLO

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presenza dell’acqua la ragione di questa identica, immutata dislocazione.

Qualche volta i pastori abitano ancora nei Nuraghi — nelle grandi torri coniche e mozzate dell’antica civiltà della Sardegna —; ed i due Nuraghi del Supramonte — Nuraghe Mereu, e Nuraghe intro de patenti — portano sempre tracce di permanenza, di accampamento dei pastori.

In località « campu boariu » mi erano apparse di queste capanne e, all’improvviso, piccole pecore magre e macilente, grigiobianche. Di contro a noi ci erano venuti cani magri, affamati, ululanti, e non avevo inteso che fischi, urla acutissime, volare di sassi. La mia guida, Salvatore Marotto, aveva levato nell’aria un grido rauco, gutturale, e, come geni del bosco — inattesa apparizione — erano comparsi prima uno, poi due, i primi uomini del monte.

Due uomini di bassa statura, minore del normale, anziani, con facce scure e barba irsuta che da molti giorni non vedeva il rasoio, [...]

[...] pecora per letto, e mazze, e borse di pecora alle pareti.

Mi mettevano davanti tutto quello che avevano, in recipienti di sughero: pane; latte cagliato, formaggio di pecora; una borraccia di vino.

— Mangiate! — gridava uno minacciandomi con il coltello.20

FRANCO CAGNETTA

— Bevete! Mangiate! — gridavano tutti e mi riempivano le mani.

Dovevano essere così gli ospiti dell’antico mondo, così dissimili dai molli, corrotti Trimalcioni dei nostri tempi. Si è perso ovunque, se non in queste regioni, quel rapporto di banchetto di tribù in cui l’ospitante gode, tripudia nel veder mangiare il suo ospitato, si sazia con la sua fame poiché, una volta entrato in qualche modo nella tribù, lui e l’altro sono ormai come una unità comune, quasi un solo corpo.

— Quanto tempo restate al Supramonte?

— Sei, sette mesi. Da giugno a novembre.

— E l’inverno?

— Non si può stare. Ci stanno solo i disperati. Quelli che non trovano pascolo.

Vivevano in questo paese in condizioni più dure, più tristi dei pastori di ogni altra zona : i [...]

[...] gode, tripudia nel veder mangiare il suo ospitato, si sazia con la sua fame poiché, una volta entrato in qualche modo nella tribù, lui e l’altro sono ormai come una unità comune, quasi un solo corpo.

— Quanto tempo restate al Supramonte?

— Sei, sette mesi. Da giugno a novembre.

— E l’inverno?

— Non si può stare. Ci stanno solo i disperati. Quelli che non trovano pascolo.

Vivevano in questo paese in condizioni più dure, più tristi dei pastori di ogni altra zona : i più di essi, i piccoli e medi proprietari di gregge senza terre proprie (il novanta per cento del paese) andavano con quelle, d’inverno, in terre d’altri, cercate in concorrenza, a prezzi altissimi: magri pascoli in abbandono di secoli coperti solo di macchie magre, di scarsi corsi d’acqua. Quelli che non riuscivano a trovarli, perché arrivati troppo tardi o impossibilitati u pagare, scendevano con una marcia tragica a rubare gli altri pascoli, ad invadere campi e vigne, con rischio di fucilate, di carcere. Se non facevano questo dovevano starsene anche d’invern[...]

[...]n concorrenza, a prezzi altissimi: magri pascoli in abbandono di secoli coperti solo di macchie magre, di scarsi corsi d’acqua. Quelli che non riuscivano a trovarli, perché arrivati troppo tardi o impossibilitati u pagare, scendevano con una marcia tragica a rubare gli altri pascoli, ad invadere campi e vigne, con rischio di fucilate, di carcere. Se non facevano questo dovevano starsene anche d’inverno, in quel monte. Le pecore dovevano cercarsi dei rami o foglie di quercie, bere l’acqua appena scesa dal cielo, prima che scomparisse nel suolo. Pioveva di continuo, i venti soffiavano paurosi, il freddo scendeva sotto zero, qualche volta c’era neve. I pastori facevano quasi una vita da acquatici, si prendevano reumatismi, polmoniti e tisi. Se vi erano, qualche volta, con tutto il gregge si chiudevano in enormi quercie bucate, in grotte. Se non potevano, restavano all’aperto, bruciavano immense quercie, che con i venti bruciavano intere, e sotto la pioggia, in poco tempo.

— E l’estate?

— L’estate è un poco meglio. Ma vedete che bella [...]

[...]o, per un paio di scarpe, se vi ammalate...

Scuotevano la testa: — I soldi... Eh, i soldi!

Era come l’evocazione di una potenza straordinaria, un rito feticista. In quell’antica economia comune concepita tra le cose, vissuta di baratti per millenni, con il denaro entrava ora il mondo moderno, astratto, artificiale. Era il primo ingresso di uno Spirito22

FRANCO CAGNETTA

nelle cose. Il feticismo naturale si trasformava in un feticismo dei concetti.

— I soldi vanno tùtti al padrone della terra, aH’industriale del latte.

Mi ero messo a fare i loro bilanci personali. Da un lato segnavo la condizione del pastore, il numero delle pecore, la loro qualità; il ricavato del latte, della lana, della carne, degli agnelli. Un litro di latte al giorno in media, un chilo di lana all’anno in media, 1020 chili di carne in media per ogni bestia. Mostri animali per resistenza, però, animali preistorici. Dall’altro segnavo i fitti che pagavano all’anno per dieci, venti piccoli pascoli privati estivi, sempre pessimi, i fitti a capo che paga[...]

[...] per persona. Le entrate erano sempre incerte per l’andamento delle stagioni, per gli smarrimenti, gli azzoppamenti, la moria delle pecore; per il furto subito ad opera di volpi e di pastori. Per i più fortunati, dopo una così terribile vita di stenti, le entrate riuscivano a chiudersi a paro con le uscite; per i più ogni anno finiva con 50100 mila lire di deficit, con la vendita del gregge, per parte o per intero, con il sequestro delle bestie, dei mobili, della casa.

Erano costretti così, di tanto in tanto, a rubare qualche pecora per mangiarla, a rubare a loro simili, a poveri pastori. Era il prodotto della loro spietata situazione, del mondo del povero pastore.

Alcuni d’essi, per vivere, facevano malazioni abituali : i più do tati cercavano tra i più miseri, tra i disperati; li fornivnao di vitto, di vino, di armi e, quasi sempre, li mandavano a rubare le pecore tra gli altrui greggi. Qualche volta li dirigevano di persona, molte volte li mandavano soli di fronte alla vendetta dei derubati, all’arresto,. alla morte. Lottavano t[...]

[...]rla, a rubare a loro simili, a poveri pastori. Era il prodotto della loro spietata situazione, del mondo del povero pastore.

Alcuni d’essi, per vivere, facevano malazioni abituali : i più do tati cercavano tra i più miseri, tra i disperati; li fornivnao di vitto, di vino, di armi e, quasi sempre, li mandavano a rubare le pecore tra gli altrui greggi. Qualche volta li dirigevano di persona, molte volte li mandavano soli di fronte alla vendetta dei derubati, all’arresto,. alla morte. Lottavano tra di loro, qualche volta si facevano banditi. ,INCHIESTA SU ORGOSOLO

23

Una serie di piccoli malviventi, da centinaia e centinaia di anni, riempivano le campagne in numero crescente, dopo ogni cattiva annata, carestia o guerra.

Questi erano i « banditi » di Orgosolo, i terribili « briganti » di Orgosolo.

Erano briganti che lavoravano, dalla mattina alla sera, nel lavoro dei pastori. Ed il lavoro dei pastori è un lavoro che richiede forza e, al tempo stesso — più che non si creda — conoscenze e intelligenza.

Lungo e complesso è il lavoro del pastore.

Per prima cosa, il pastore deve sapere conoscere bene, capo per capo, il suo gregge : e conosce, in, verità, ogni singola pecora come un famigliare, poiché è il suo bene supremo.

Deve saperlo tenere ripartito con una divisione che è, quasi scientifica :

sa verve’e = la pecora in generale

su mass’ru = il montone

su mazzau = il montone castrato

su anzone verranile = l’agnello nato in primavera

su anzone verrile = l’agnel[...]

[...], può portarlo in tremende condizioni.

Andando a <( s’ussoria » il pascolo) per « tentare » (= guardare) le bestie, nel « tramudare » (= transumare) d’inverno in pianura, d’estate in montagna, il pastore deve sapere salvare le pecore dall’« ingrustiare » (= sparpagliarsi); da qualsiasi pericolo del suo
lo (inclinazione o frattura) delle erbe (guaste o velenose), delle acque (putrefatte o troppo impetuose), delle pioggie (scarse o eccessive), dei venti (troppo freddi o impetuosi), dei fulmini, delle volpi, dei ladri.

Quando a fine estate le pecore cominciano a « subare » (= andare in calore) egli deve sapere controllare — nei limiti del possibile — « su montau » (= la monta), per avere buon frutto. Deve sapere, nel caldo, fare « sa muriada » (= la partenza di notte) e « su muri ’ayu » (= la raccolta all’ombra).

Quando le pecore cominciano a figliare (da dicembre a marzo) comincia la grande fatica del pastore. Egli deve aiutarle. E dividere subito l’ovile:

su

cuile = l’ovile in generale

s’annile = ]a parte dell’ovile per gli agnelli

sa laghinza — la parte dell’ovile per le pecore c[...]

[...]qualche altro tipo di formaggio è fatto in Orgosolo: per esempio: «sa tavedda», che si ottiene lasciando due giorni la pasta in salamoia e poi mettendola ad asciugare al sole; e « su ’asu muidu » (= il formaggio con i vermi), che si ottiene non scolando dalla forma tutto il siero.

Si lavora molto formaggio d’estate.

Il burro e la ricotta si fabbricano poco in Orgosolo e poco si consumano.

Altri lavori attendono il pastore:

All'inizio dei calori: «su tusorghiu» (— la tosatura). E questa avviene come altrove, ma tosando la pecora sino alla pelle.

Di tanto in tanto necessita «sa mazzadura)) (la castrazione) che si fa, dopo legata la bestia, rompendo lo scroto con una mazza arroventata, o tagliandolo con un colpo di coltello.

L’« irgannare » (= la macellazione) avviene anche con una tecnica cruentemente primitiva. Legata la pecora o l’agnello bisoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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gna cc ispoiolare », colpire cioè con un colpo nella gola recidendo la carotide, sì che ne sgorghi una fontanella di sangue (il « fodiolu » latino).[...]

[...]asporto sono a carico del venditore.

13) La determinazione del prezzo è chiusa, preventivamente stabilita o aperta se si conviene quello di mercato.

14) Si paga ordinariamente ogni quindicina, anche mensilmente ».

E il prezzo, chiuso, lo fa sempre l’industriale. Mai il pastore.

Unico « vantaggio » nella vendita che fa il pastore è una caparra che anticipano i caseifici (che se ne va tutta, o quasi tutta, per il pagamento dell’affitto dei pascoli), in cambio di un certo numero di litri di latte preventivato che, se non è raggiunto per le cattive stagioni, il poco rendimento delle pecore ecc., e non è colmato (e Dio sa come) in denaro, comporta il sequestro parziale o totale del gregge, della casa, dei mobili ecc., da parte dei caseifici.

Insomma, secondo l’abituale considerazione orgolese: un contratto « capestro ».

Stanno male i pastori di Orgosolo, in tutte le loro categorie:

« Su mere » è proprietario di greggi e, quasi mai, proprietario di pascolo. Sottosta, generalmente, alla sorte del pastore: schiavo del proprietario di terra, schiavo delPindustriale del latte.

È consuetudine in Orgosolo che « su mere » affidi ^ del proprio gregge a « su cumpanzinu » che vi aggiunge y$ e tiene in cura tutto il gregge, per 3 o 5 anni. A questo termine tutto il nuovo gregge, diminuito o aumentato viene diviso a ì/2[...]

[...]e in cura tutto il gregge, per 3 o 5 anni. A questo termine tutto il nuovo gregge, diminuito o aumentato viene diviso a ì/2. La vita di « su cumpanzinu », per il lavoro diretto, è peggiore di quella di « su mere ».

Ma è « su terraccu » che sta peggio di tutti : prende un cappotto, un paio di scarpe all’ingaggio, 56 pecore a fine d’anno, o — oggi — 100400 lire giornaliere. Suo il lavoro più grave, sua la più grave privazione.

Questa la vita dei pastori del Supramonte, dei pastori medii, dei più giovani nelle campagne di Orgosolo. Paurosa per condizioni naturali, penosa per gravità di lavoro.

Per conoscerla sempre meglio bisogna, ora, scendere in paese.

su mere su cumpanzinu su terraccu

= il padrone = il socio = il servo.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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# * #

Il paese di Orgosolo presenta per l’etnologo un terreno di osservazione che, per primitività di strutture sociali e per manifestazioni di mentalità e cultura proprie solo alle civiltà primitive, è difficile trovare ancor oggi, forse, in qualsiasi altro paese d’Italia e d’Europa. Per una convergenza di motivi ambie[...]

[...]ne di quasi tutta la locale società. Questa, infatti, si può dire che, per quella propria organizzazione, sia arrestata, o quasi, soltanto alla famiglia: le forme sociali più sviluppate e superiori, che costituiscono invece la nostra società, lo Stato, sono quasi estranee o, solo adesso, iniziano ad intaccarla.

In tutte le terre in cui il suolo si sfrutta in modo primitivo,30

FRANCO CAGNETTA

solo a pascolo (come è il caso di Orgosolo e dei popoli su citati) la necessità economica di una sempre maggiore concentrazione di greggi al fine di ottenere, con gli scarsi frutti che se ne conseguono, almeno il minimo vitale per l’individuo e le sue associazioni, determina un allargamento particolare dell’organizzazione della famiglia.

L’ambiente economico autosufficiente, non necessitoso di scambio, che è proprio della pastorizia unilaterale, determina, altresì, una chiusura nella famiglia, rendendo difficile ogni suo sviluppo ed i rapporti con le forme superiori.

Tra queste due leggi, con continua alternanza, si muove tutta la vit[...]

[...]a maggior penetrazione e pressione dello Stato e, in particolare, della Chiesa, quella unione si può dire quasi scomparsa ovunque, sostituita dal matrimonio con sanzione civile o religiosa, e la stessa opinione pubblica è largamente trasformata, poiché si respinge e si condanna oggi quel primitivo istituto.

L’uomo e la donna, statalmente coniugati, costituiscono insieme una unità organica famigliare che si allarga e si sviluppa con la nascita dei figli. Ma, da questa, la famiglia di Orgosolo assume un carattere particolare, che è quello tipico, appunto, della « Grande Famiglia ».

La posizione dell’uomo, che adempie alla funzione economica principale di cercare i pascoli, di condurre i greggi, di trarne i frutti è, in essa, preminente. La posizione della donna, che adempieINCHIESTA SU ORGOSOLO

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alla funzione economica secondaria dei lavori di casa e dei lavori agricoli (orti) è, invece, subordinata.

Tenuto presente il valore economico inferiore della donna e la sua mancanza di iniziativa (la sua subordinazione) la verginità è particolarmente considerata dall’uomo nella scelta del matrimonio.

Con la nascita della prole i figli maschi e femmine rimangono con i genitori, e subordinati. La subordinazione tra i fratelli è a seconda dell’età, rispettando la primogenitura. La subordinazione delle sorelle è per i fratelli a seconda dell’età, e per le sorelle, poi, a seconda dell’età.

La scelta matrimoniale dei figli venuti in età di matrimo[...]

[...]a mancanza di iniziativa (la sua subordinazione) la verginità è particolarmente considerata dall’uomo nella scelta del matrimonio.

Con la nascita della prole i figli maschi e femmine rimangono con i genitori, e subordinati. La subordinazione tra i fratelli è a seconda dell’età, rispettando la primogenitura. La subordinazione delle sorelle è per i fratelli a seconda dell’età, e per le sorelle, poi, a seconda dell’età.

La scelta matrimoniale dei figli venuti in età di matrimonio avveniva, in Orgosolo, sino alla guerra 191518, ad opera dei genitori. Si promettevano i candidati, senza che si conoscessero, in una età che oscillava dagli 8 ai 15 anni. La bambina promessa doveva parlare abitualmente del suo futuro marito con il termine « su ziu ». La conoscenza tra i candidati avveniva, quasi sempre, solo all’atto del matrimonio. Questo uso però, oggi, pare totalmente scomparso: solo alcune donne mi hanno detto che, sia pure con il futuro consenso dei candidati, esso è vivo, ancora, in qualche famiglia.

Gon il matrimonio dei figli i maschi con la nuova moglie rimangono, in Orgosolo, generalmente nella casa dei genitori. Le donne vanno in casa del marito o, raramente, rimangono nella famiglia originaria.

Con la nascita dei nipoti anche questi rimangono nella casa dei nonni, e subordinati. La subordinazione dei nipoti è per il nonno, per il padre, per gli zii in ordine di età, per la madre, per i fratelli e cugini in ordine di età. Non risulta subordinazione propria, se non di rispetto, per la nonna, le zie, le sorelle, le cugine. La subordinazione delle nipoti è per il nonno, per il padre, per gli zii, fratelli e cugini in ordine d’età; per la madre, per le zie, sorelle e cugine in ordine di età.

Si viene, così, a costituire un grosso gruppo famigliare che va da 1030 individui, in media, a più di 100, che abitano una stessa casa o case attigue (ove possibile), con alla sommità il padre più anzia[...]

[...]bastanzaINCHIESTA SU ORGOSOLO

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uso di vino forte, di tipo « canonau » e di un caffè eccellentissimo ed offerto in ogni casa, tostato a perfezione. Si fanno di tanto in tanto, nelle feste, banchetti formidabili con interi agnelli e capretti bolliti od arrostiti, con « sa ’orda » (intestini di pecora arrestiti), con damigiane di vino, birra e in un’atmosfera da fastosi e grandi banchetti deH’antichità.

Ma è soprattutto nella educazione dei propri figli che il carattere arcaico e patriarcale della famiglia pastorale si manifesta a pieno. In generale, il piccolo orgolese va alla scuola pubblica per 2, 3 classi elementari, poi viene ritirato e messo subito in campagna: e qui dimentica tutto quello che ha imparato. L’analfabetismo in Orgosolo, ufficialmente, è nella proporzione del 6070 per cento, ma, tenuto conto di questo « ritorno all’analfabetismo » è del 9095 per cento, cioè quasi generale. La famiglia all’educazione pubblica, di cui diffida, preferisce una sua propria educazione famigliare: questa consiste solo nella educazio[...]

[...]i », o come compari di S. Giovanni. Anticamente esisteva in Orgosolo un rito di comparatico che consisteva nel mescolare il sangue fatto sgorgare appena dai due polsi. Ora questo è scomparso ed è rimasto solo il rito simbolico nello scambio di qualche regalo, secondo le possibilità, in grano, in pecore, in oro ed in bestiame. Al comparatico possono prendere parte gli uomini e le donne, ma divisi. I comparatici misti sono eccezionali. Le famiglie dei « compari » entrano a far parte l’una nell’altra come una sola e più estesa « grande famiglia ».

Le maggiori tra le « grandi famiglie » abbracciano un ventesimo, un decimo del paese, ed in alcuni periodi speciali, come i Cossu e i Cornine della famosa « disamistade », dal 1905 al 1926, quasi metà del paese.

Esse non si sciolgono se non con la morte, e, solo più modernamente, per dissidi vari economici, coniugali, politici, ecc.

L’elemento che contribuisce non già all’accrescimento e allargamento di questi grandi gruppi, bensì al loro restringimento e divisione discende, altrettanto, [...]

[...]e, solo più modernamente, per dissidi vari economici, coniugali, politici, ecc.

L’elemento che contribuisce non già all’accrescimento e allargamento di questi grandi gruppi, bensì al loro restringimento e divisione discende, altrettanto, in Orgosolo, dalla « grande famiglia ». Esso è insito nella distribuzione interna della ricchezza e nell’interna subordinazione.

I fratelli minori, i celibi, i giovani, le donne, con il corso degli anni, e dei secoli, vengono a costituire man mano una società patrimonialmente più povera e che, nella divisione del lavoro, adempie ài compiti più umili di subordinati. Di contro stanno i primogeniti, i padri anziani, e anche le donne che essi sposano, che vengono a costituire man mano una società più ricca e nei lavori privilegiata: i proprietari di greggi e i superiori.

Con l’estensione del processo, nei secoli, in tutti i gruppi di famiglia, questo viene a conformarsi con una partizione generale del paese in due «classi». La «classe» è, essenzialmente, il solo38

FRANCO CAGNETTA

elemento che[...]

[...]ibili differenze di vita, di vitto, di vestimento; allacciando qualche volta (per lusinga) un « comparizio » con il povero. Se il povero o servo dimostra però di comprendere la differenza sostanziale che intercorre tra di loro, se manifesta intelligenza, energia, spirito di indipendenza, il padrone o superiore scopre di colpo, allora, il suo disprezzo, comincia a sospettarlo come un nemico, come il futuro ladro delle sue greggi, delle sue terre, dei suoi averi; e apre le ostilità apertamente con l’oppressione, con la denunzia a torto o a ragione per ogni minimo fallo, con l’angheria, con rappresaglie, con l’omicidio.

La formazione di questa classe di « sos proprietarios » o « sos meres» o «sos prinzipales» è avvenuta ed avviene in OrgosoloINCHIESTA SU ORGOSOLO

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(come in tutta la Sardegna) in modo assai speciale: con la rapina di pecore altrui, con il furto, con l’appropriazione violenta di terreni comunali e delle terre più povere ed indifese tra le private, con l’usura, con l’abuso del potere, se detiene il Comune, con amici[...]

[...]ogni dato ufficiale) una tabella che indichi esattamente tutte le proprietà private delle terre (secondo la estensione e la qualità) e delle greggi (secondo il numero e la qualità), delle case di abitazione e negozi, del liquido ecc. I dati in mio possesso sono tutti empirici, e fornitimi dal contadino Pietro Bassu e da qualche altro pastore.

La proprietà più importante del paese, formatasi intorno al 1870, dopo le leggi nazionali di scorporo dei terreni comunali ed ecclesiastici, era quella di Diego Moro, rapinatore, usuraio, ladro di terre comunali e private, valutata all’atto della sua morte, il 1905, in 200.000 lire oro. Fu la causa prima di tutta la grande e sanguinosa « disamistade » (inimicizia) durata dal 1905 al 1927 in paese, che ho avuto modo di ricostruire analiticamente in un mio studio sulla rivista « Società » del settembre 1953 sotto il titolo « La disamistade di Orgosolo ». Da essa discendono oggi le più grandi proprietà di Orgosolo: dei Monni, dei Podda, dei Corraine, dei Moro. Una loro valutazione esatta non mi è st[...]

[...]inatore, usuraio, ladro di terre comunali e private, valutata all’atto della sua morte, il 1905, in 200.000 lire oro. Fu la causa prima di tutta la grande e sanguinosa « disamistade » (inimicizia) durata dal 1905 al 1927 in paese, che ho avuto modo di ricostruire analiticamente in un mio studio sulla rivista « Società » del settembre 1953 sotto il titolo « La disamistade di Orgosolo ». Da essa discendono oggi le più grandi proprietà di Orgosolo: dei Monni, dei Podda, dei Corraine, dei Moro. Una loro valutazione esatta non mi è stata possibile effettuare (ed è possibile solo, forse, ad enti statali). Ecco, intanto qualche dato approssimativo che posso fornire sulle più importanti:

Fratelli Podda: 800 pecore, 80 buoi, 18 cavalli, 220 capre, 230 h. di pascolo.

Corraine Nicolò : 200 pecore, 40 buoi, 5 cavalli, 104 h. di vigna e oliveto.

Moro Luigi: 450 pecore, 47 buoi, 2 cavalli, 183 h. di pascolo.

La famiglia Monni, discendente da Serafino, un prestatore di denari venuto da Dorgali, e composta oggi di 6 fratelli, suoi discendenti, con circa 50 figli, è quella che [...]

[...]80 buoi, 18 cavalli, 220 capre, 230 h. di pascolo.

Corraine Nicolò : 200 pecore, 40 buoi, 5 cavalli, 104 h. di vigna e oliveto.

Moro Luigi: 450 pecore, 47 buoi, 2 cavalli, 183 h. di pascolo.

La famiglia Monni, discendente da Serafino, un prestatore di denari venuto da Dorgali, e composta oggi di 6 fratelli, suoi discendenti, con circa 50 figli, è quella che possiede la proprietà più sviluppata di Orgosolo. Essa è costituita dalla catena dei negozi più importanti del paese, da case di abitazioni, da caserme di carabinieri, da terreni, da greggi, da denaro. Sin da quando si è installata40

FRANCO CAGNETTA

in Orgosolo questa famiglia, e quasi sempre, ha avuto nelle mani

il Comune e l’Ambulatorio, influente presso il clero e le autorità di polizia, contando oggi, tra i suoi componenti, un senatore d.c. (il solo deputato italiano nato in Orgosolo ma vissuto sempre fuori): l’avv. Antonio Monni.

Una poesia popolare assai diffusa nel paese, e che qui pubblico solo per documentare lo stato d’animo popolare nei riguardi di una[...]

[...] diffusa nel paese, e che qui pubblico solo per documentare lo stato d’animo popolare nei riguardi di una parte di questa famiglia, dice:

A ti descriere sa gente villana Seminatrice de sos curantismu Suni in bidda sa razza Monniana Cun su podere dà s’istriccinismu E sun gontrade su comunismu Cun sa democrazia cristiana Chi sfruttana e cundennana e confinana Chi furana e chi occhini e rapinnana (4).

La tronfia arroganza della classe sociale dei proprietari e signori di Orgosolo ho avuto modo io stesso di sperimentare direttamente, allorché, nel corso della mia inchiesta, per evitare la rivelazione di verità, alcuni di loro hanno osato farmi minacce di morte, se non sgombravo, minacce che hanno avuto il solo effetto di dimostrarli tra i più incivili e i più disprezzabili gruppi sociali di Sardegna.

La classe di « sos poveros » o « sos terraccos » ha, nei riguardi della classe superiore un atteggiamento anche troppo paziente, controllato, seppur astioso e, direi, invidioso.

In fondo a ciò sta la opinione primitiva che, poiché il[...]

[...]per un caso qualsiasi, andare all’elemosina; che per la sola povertà è accusato da tutto il paese, e quasi sempre, di dabbennaggine, di inettitudine, di poltroneria, è sempre un uomo disposto ad ogni delitto, ad ogni malazione pur di liberarsi. L’aspirazione generale — come in tutte le società di pastori — è, in fondo quella di diventare ricco e superiore.

Cova però nel sangue di questi diseredati il ricordo cocente delle pecore, delle terre, dei denari loro rubati o sottratti con inganno dai ricchi; cova il ricordo delle umiliazioni, delle sofferenze, dei lutti subiti in passato; cova il presente di una vita tristissima e grama che debbono sopportare. Di tanto in tanto, e molto spesso, essi si ricordano di essere sensibili, ostili, ribelli a una ingiustizia immeritata, a una crudele sopraffazione.

La lotta contro il ricco e l’uomo di migliore condizione si svolge, così, in modo aperto o nascosto, con il furto di pecore, con gli sgarrettamenti, con il furto nelle campagne, con la loro devastazione, con il ricatto, con il sequestro, con l’omicidio.

Assai di recente, dall’ultimo dopoguerra, tutta la lotta tra le due classi è andata assumend[...]

[...]istica che contribuisce a sottolineare solo questo aspetto del paese, a spargerne il terrore, ed è raro che non si aggiunga sempre al nome del paese l’aggettivo «maledetto» o non si consigli, accuratamente, di evitarlo. Quasi in tutta la Sardegna sono pochi i sardi che vi abbian messo piede, senza alcun impegno che li costringesse, e meno ancora quelli che ne parlino senza una paura esagerata o che non preferiscano tacerne. Quasi tutti i pastori dei paesi confinanti, solo a fare il nome di Orgosolo, non riescono a nascondere un gesto di sgomento, di timore, ed il pastore orgolese sino al secolo scorso (come riferisce, ad es., l’abate Angius) era talmente temuto dai pastori delle pianure in cui svernava che questi credevano incontrandolo, addirittura, che fosse sicuro presagio di tempesta atmosferica.

La situazione criminale, in verità, in Orgosolo non è normale : da molti anni è oramai il solo paese della Sardegna in cui si può dire che esistono come « istituti sociali » veri e propri la « vendetta » e la « bardana ». Se esistesse una[...]

[...]uti sociali » veri e propri la « vendetta » e la « bardana ». Se esistesse una statistica degli omicidi, ferimenti, conflitti, ricatti, sequestri di persona, grassazioni, e di reati come furto di pecore, sgarrettamenti, furti di campagna, distruzioni di viti e colture, incendi di boschi ecc., probabilmente Orgosolo (almeno in rapporto a questi due « istituti » che li originano) sarebbe quasi ogni anno in testa ai paesi di Sardegna. Da uno studio dei giornali sardi dal 1901 al 1954 (e con l’approssimazione possibile), ho rilevato che in Orgosolo (e specie nei mesi caldi che coincidono con la presenza della popolazione dei pastori), si verificano un omicidio in media ogni due mesi (6 all’anno) con un minimo mensile di 0 ed un massimo di 8, anche 23 in un giorno, per una percentuale annua di 1 ucciso su 600 abitanti. I reati agrari commessi da orgolesi (e specie nei mesi freddi nelle pianure in cuiINCHIESTA SU ORGOSOLO

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discendono), si verificano con una media di 1 alla settimana (52 all’anno), con un minimo di 0 ed un massimo di 12, ma anche 510 in un giorno e di gravità eccezionale (come distruzioni di interi greggi, campi, boschi) ecc., per una percentuale annua di

1 reato su ogni 80 abitanti. E s[...]

[...] basi ultime ed essenziali della storia di queste società.

10 non credo che il problema possa essere mai risolto dallo studioso che lo guardi da un punto di vista statico della «odierna» economia. Poiché la spiegazione si può trovare solo, a mio parere, in una economia (struttura e cultura) che c’è stata e non si vede in Orgosolo se non in numerosi e reperibili elementi che sono sopravvissuti e come incastrati nell’attuale « ciclo culturale » dei pastori

o della « grande famiglia ».

Si tratta di mettere in luce struttura e culture di un « ciclo » precedente: e ciò è desumibile soltanto, oggi, da uno studio della mentalità e del carattere degli orgolesi (le soprastrutture sono le più lente a trasformarsi), dal soccorso di notizie archeologiche e storiche sul paese, e dallo studio di ancor esistenti, fondamentali ma apparentemente secondari istituti locali.

11 pastore di Orgosolo, se lo si osserva attentamente, è certa44

FRANCO CAGNETTA

mente diverso da quello di tutti i vicini paesi. Il pastore di questi o il pastore tr[...]

[...] intelligenza tarda e mansueto. Il pastore orgolese invece, in generale, è un individuo più associativo, più individuale, fondamentalmente guerriero ed aggressivo, insofferente, coraggioso, di intelligenza astuta e crudele. Questi caratteri lo fanno assomigliare, certamente, ai popoli di un « ciclo » precedente a quello pastorale (al più antico che si conosca in tutta la storia dell’Europa), il « ciclo culturale » che l’etnologia classica chiama dei « cacciatori e raccoglitori » o delle « orde ».

Molti dati di osservazione storica e sulla mentalità e il carattere posso qui avanzare per convalidare questa tesi, ma, soprattutto, varrà a convincere il lettore uno studio dei due principali e particolari istituti sociali del paese, e cioè la « vendetta » e la razzia.

Si tenga conto, innanzitutto, che Orgosolo, tra tutti i paesi della Barbagia, è ancora oggi il solo che conservi nel proprio territorio foreste quasi vergini, e sterminate, a differenza di tutti i paesi vicini che nel secolo scorso (come in tutta la Sardegna) ne sono stati spogliati da una speculazione privata.

La selvaggina (diminuita fortemente in tutta la Barbagia) è più facile a trovarsi ancor oggi nel territorio di Orgosolo, e specie per razze zoologiche preistoriche, come i mufloni.

Nel[...]

[...]anni, tra balzi, dirupi, precipizi. I primi cavalieri di Sardegna.

L’amore quasi incredibile che l’orgolese porta per le armi, qualsiasi genere di armi, può essere un segno, ancora, della origine antichissima e lunghissima, da un popolo in eminenza di bellicosi cacciatori. Imbracciando il fucile oggi, come ieri la clava e l’arco con le frecce; l’orgolese sembra nato in quella positura.

I migliori tiratori sardi — e ne fa fede la tradizione dei banditi

— discendono da Orgosolo.

Un altro elemento che potrebbe denunciare l’origine orgolese dai «cacciatori» è la generale crudeltà che essi dimostrano contro gli animali o gli uomini che lottano. Ho assistito, per esempio, all’uccisione di una pecora, ed ho avuta la netta impressione che il colpo inferto per la morte non è certo quello del pastore, dell’ex padrone della bestia, ma, piuttosto, quello del nemico, del cacciatore.

La crudeltà degli orgolesi per i cani, per es., è innaturale in un paese di pastori. Uno dei giochi infantili, ed adulti, degli orgolesi, è per es. quello [...]

[...]’origine orgolese dai «cacciatori» è la generale crudeltà che essi dimostrano contro gli animali o gli uomini che lottano. Ho assistito, per esempio, all’uccisione di una pecora, ed ho avuta la netta impressione che il colpo inferto per la morte non è certo quello del pastore, dell’ex padrone della bestia, ma, piuttosto, quello del nemico, del cacciatore.

La crudeltà degli orgolesi per i cani, per es., è innaturale in un paese di pastori. Uno dei giochi infantili, ed adulti, degli orgolesi, è per es. quello della gratuita lapidazione di un cane, non sino alla ^ morte; ancora peggio, quello del suo completo spellamento sì che poi se ne scappi, ancora per poco, vivo; dopodiché succede, abitualmente, una vera orgia di fischi, di urla micidiali. Questa stessa crudeltà di cacciatori si può riscontrare, con evidenza, nella tortura, nell’omicidio, nello scempio di cadaveri. Da tale crudeltà, approfondita dalla macellazione nella società dei pastori, discende il carattere alquanto sanguinario, l’abitudine frequente al sangue.

Poiché il cic[...]

[...], è per es. quello della gratuita lapidazione di un cane, non sino alla ^ morte; ancora peggio, quello del suo completo spellamento sì che poi se ne scappi, ancora per poco, vivo; dopodiché succede, abitualmente, una vera orgia di fischi, di urla micidiali. Questa stessa crudeltà di cacciatori si può riscontrare, con evidenza, nella tortura, nell’omicidio, nello scempio di cadaveri. Da tale crudeltà, approfondita dalla macellazione nella società dei pastori, discende il carattere alquanto sanguinario, l’abitudine frequente al sangue.

Poiché il ciclo culturale dei « cacciatori » si accompagna sempre, o quasi sempre, con una attività specifica di « raccoglitori » vale qui citare un importante ed ancor esistente istituto che ha una forte sopravvivenza in Orgosolo (già diffuso in tutta la Sardegna) che è, esattamente, quello dell’« Ademprivio ».

L’« Ademprivio », il quale è un uso civico locale così diffuso e tenace che dai tempi della legislazione aragonese (1325) sino alle leggi italiane di abolizione (186577) era stato codificato come « diritto », è l’abitudine di tutto il paese di riunirsi per andare nei boschi, gratuitamente e senza ostacolo (ora [...]

[...]esidui culturali che potrebbero certificarne quella origine.

Ma per indicare i caratteri probanti (e non soltanto ipotetici come i precedenti) di una origine dai cacciatori e raccoglitori (ciò che serve a chiarire il problema specifico strutturale e culturale della « turbolenza » di Orgosolo) vale qui studiare soprattutto e innanzitutto l’istituto della « vendetta », negli innesti e nelle proprie forme che ha preso nella società contemporanea dei pastori o nell’attuale ciclo culturale della « grande famiglia ».

L’istituto della vendetta, più che ogni altro, ha reso celebre Orgosolo negli ultimi anni non solo in tutt’Italia, ma in tutt’Europa. Per il numero dei reati ad essa connessi, e per la continuità e spettacolarità che essi presentano, si deve ritenere che, in questo settore, Orgosolo rappresenti, oggi, il più importante paese di tutt’Europa.

L’istituto della « vendetta », ben intesi, assai diffuso tra popolazioni a struttura economica e culturale primitiva in tutto il mondo, è stato largamente studiato per singole zone e codificato nei lineamenti generali dall’etnologia. Ma una ricerca sulla « vendetta » in Orgosolo non è stata neppur tentata (se non in articoli giornalistici), sebbene l’importanza del paese risulti a prima vista, ed una a[...]

[...] ad una spiegazione religiosa, ad una « ideologia » staccata da ogni particolare società. Il problema è rimasto « astratto » : si fa ricorso a un « uomo » uguale

o valido per ogni società, a un uomo « eterno ».

Io credo che la soluzione del problema della « origine » o « necessità » della vendetta si possa invece collegare ad una particolare società economica e ad un particolare periodo storico dell’umanità: al ciclo definito in etnologia «dei cacciatori e raccoglitori».

È nota in etnologia la importanza decisiva che in tutte le società primitive ha la estensione o generalizzazione dell’« esperienza fondamentale », del lavoro principale in una singola e delimitata unità economica e sociale.50

FRANCO CAGNETTA

Il momento fondamentale per il ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » è la caccia, la lotta tra l’uomo e la bestia; una lotta fondamentale che coincide, altrettanto, con un momento generale, quale il momento del rischio della esistenza, della vita di fronte alla morte.

La connessione ideologica tra la caccia e la « vendetta » potrebbe, probabilmente, essersi generata in questo modo:

Il cacciatore vedendo in tutto il suo mondo che se si perde sangue, di uomo o di bestia, si perde la vita, ritiene, in modo primitivo, che il sangue è l’elemento fondamentale della vita, del mondo. Nel corso della sua esistenza il cacciatore trova[...]

[...]secondo la generalizzazione propria del primitivo — conduce alla applicazione generale anche nella sola società umana, ai rapporti tra soli uomini, nella lotta tra uomo e uomo. Si ingenera la « vendetta ».

La « vendetta », nasce e non può nascere che da una società di cacciatori; la sua estensione può avvenire solo quando questa attività sia preminente: cioè in un «ciclo culturale» di cacciatori che è, appunto, noto all’etnologia come « ciclo dei cacciatori e raccoglitori ».

Rimane il problema della sua persistenza in un qualsiasi ciclo che gli si sostituisca, e, per esempio, nel ciclo dei pastori della « grande famiglia », nel quale l’« esperienza fondamentale », il lavoro principale non è più, certamente, la caccia ma la domesticazione e l’allevamento.INCHIESTA SU ORGOSOLO

51

Secondo gli studi del Mòdlig, Schmidt, Montandon, Menghin, è nota la tendenza, suffragata da numeroso materiale, a far discendere il ciclo dei pastori della « grande famiglia » da un precedente ciclo di « cacciatori e raccoglitori ».

Con la cattura dell’animale (un momento fondamentale della caccia oltre l’uccisione), nel ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » si viene ad introdurre gradualmente un’altra esperienza importante: ila domesticazione, poi l’allevamento. Il momento di passaggio da questo primo ciclo al secondo, lungo a yolte per millenni, non è certo ricostruibile, né si può dire che esso sia originato od importato. Rimane però un forte legame tra il ciclo dei « cacciatori e raccoglitori » e quello dei pastori; e la stessa cultura di questi, specialmente nella «grande famiglia», viene molto influenzata.

Sebbene si sia passati dalla lotta cruenta alla domesticazione e aH’allevamento, rimane pur sempre come « esperienza fondamentale », lavoro principale del nuovo ciclo, il rapporto tra l’uomo e la bestia. Un momento subordinato di questo, ma importantissimo, e residuo di quel ciclo precedente, è ancora quella pur sempre cruenta lotta che è l’uccisione dell’animale domesticato e allevato, la macellazione della pecora. Il generale ambiente ideologico proprio della società dei cacciatori, il [...]

[...]alla lotta cruenta alla domesticazione e aH’allevamento, rimane pur sempre come « esperienza fondamentale », lavoro principale del nuovo ciclo, il rapporto tra l’uomo e la bestia. Un momento subordinato di questo, ma importantissimo, e residuo di quel ciclo precedente, è ancora quella pur sempre cruenta lotta che è l’uccisione dell’animale domesticato e allevato, la macellazione della pecora. Il generale ambiente ideologico proprio della società dei cacciatori, il cui elemento fondamentale è il « sangue », con la formazione della società dei pastori in una famiglia sempre più forte che si riconosce legata per elemento fondamentale col « sangue », viene qui ribadito e, per questo verso, rafforzato.

Dove, come quasi sempre avviene, la coesistenza dei due diversi cicli permane e una società di cacciatori nell’insieme mantiene un peso consistente rispetto alla società dei pastori, la cultura generale del primo ciclo ha fortissime possibilità, certamente, di persistere.

Per il caso di Orgosolo queste leggi mi pare che possano benissimo essere comprovate. La società di Orgosolo, società antichissima di pastori e di cacciatori sopravvissuti sino al secolo scorso, presenta per i suoi caratteri strutturali e culturali tutte le condizioni per l’esercizio della « vendetta ».

E più la società è chiusa in grossi gruppi (« grandi famiglie »)52

FRANCO CAGNETTA

e la mentalità o cultura si limita nel circolo ristretto e primitivo che ne discende, più la « vend[...]

[...] culturali tutte le condizioni per l’esercizio della « vendetta ».

E più la società è chiusa in grossi gruppi (« grandi famiglie »)52

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e la mentalità o cultura si limita nel circolo ristretto e primitivo che ne discende, più la « vendetta » ha motivò di divampare ed incendiare in tutto il paese come legge generale interna della società. Diviene allora « disamistade » (inimicizia).

Una osservazione attenta ed analitica dei modi propri, passati e presenti, della « vendetta » in Orgosolo ci permette da un lato di ricavare preziosi elementi che comprovano l’esistenza di una mentalità o cultura (di un’« anima ») primitiva, per dirla con Levi Bruhl; e, dall’altro, di individuare in essa un uso così largo, che si è venuto a profilare con un vero e proprio « codice » o « diritto consuetudinario » locale ed una vera e propria prassi giuridica o « procedura consuetudinaria » locale.

È interessante notare per la datazione dell’istituto della « vendetta » in Orgosolo che esso si può far risalire con la massima certezza[...]

[...] che richiamano l’« onore », il « prestigio ». Avendole riferite ad anziani e soprattutto ai giovani le ho viste quasi sempre derise come « stupidaggini di vecchi » ma, persino tra i più scettici, ho sempre trovato di fronte ad esse una certa sospensione e, in qualche caso, persino un dubitoso riaffiorare di quell’antica superstizione.

La « vendetta » come istituto giuridico si presenta, innanzitutto, in Orgosolo con una confusione e simbiosi dei tre poteri legislativo, amministrativo ed esecutivo, e con una confusione e simbiosi di diritto privato e pubblico, come avviene in ogni « diritto » barbarico.

Dedurrò ora da numerosissimi casi concreti di « vendetta » da me studiati nella cronaca di Orgosolo una generalizzazione o tipizzazione, non indicando ogni volta, ovviamente, i lunghi casi particolari, poiché quello che qui interessa è in generale la legge del movimento. Per una idea concreta del movimento di una « vendetta » in Orgosolo rimando il lettore al mio citato studio sulla famosa «vendetta» tra i Cossu e i Corraine durata [...]

[...]i famiglie » implicate (i congiunti più prossimi, i famigliati, gli affiliati come compari amici, ecc.) dall’età puberale sino a tarda vecchiaia. La limitazione al solo mondo maschile (non ho notizie di « vendette » eseguite da donne) discende certamente dall’essersi l’istituto originato in ima società di cacciatori, e cioè una società già organizzata in una divisione di lavoro maschile e femminile, riprodotta e ribadita nella successiva società dei pastori.

Secondo il modo della « vendetta » riscontrabile in tutte le forme di società divise in grandi gruppi « di sangue » a questa partecipano tutti gli interessati con una « solidarietà attiva » (colpire il responsabile o uno del suo gruppo) ed una « solidarietà passiva » (accettare la responsabilità del colpevole in tutto il gruppo da cui sia uscito).

I moventi della « vendetta » sono in Orgosolo, legati come ovunque ad un danno «economico», in primo luogo quelli primari o «naturali» di versamento di sangue umano vero e proprio (omicidio e ferimento); in secondo luogo quelli second[...]

[...]r un reato minore, il furto di pecore, viene eseguito con i modi propri primitivi che sono codificati nella «Carta de Logu»: il danneggiato o chi per lui va a cercare il sospettato, lo interroga, porta testimoni a carico, ascolta testimoni a discarico ed ha diritto ad una perquisizione in casa o nell’ovile. Se qui si rinviene indizio o corpo di reato e il sospettato o il padrone della casa e dell’ovile non sanno giustificarsi e non fanno il nome dei colpevoli vengono « ipso facto » ritenuti per colpevoli.56

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Al momento dell’indagine segue quello del « giudizio ».

L’amministratore del processo, il protagonista, secondo un antico uso codificato ancora nella « Carta de Logu » non è generalmente uno solo ma abitualmente un piccolo consesso. Di esso fanno parte l’individuo maggiormente danneggiato cui si uniscono famigliari, compari, amici, che svolgono una o più discussioni sull’entità del reato, sulla colpevolezza del sospetto, sul modo di punire. Una sentenza viene emessa dall’individuo maggiormente colpito o dal m[...]

[...]o, sul modo di punire. Una sentenza viene emessa dall’individuo maggiormente colpito o dal membro più autorevole del consesso con il consenso di tutti gli altri.

Indicherò qui, dapprima, quel tipo di sentenza che si chiude sempre con la decisione di uno spargimento di sangue. Per i reati minori viene di solito stabilito che si cominci con mio spargimento di sangue animale, sgozzamento di pecore o sgarrettamento più abitualmente (e cioè taglio dei tendini di una gamba, così che l’animale diventi inservibile). Per i reati più gravi — e sempre per l’omicidio — viene abitualmente comminata sentenza capitale.

L’imputato non viene ammesso al giudizio e, tenuto all’oscuro, non gli si dà la possibilità di difendersi, adducendo prove, testimoni e avvocati rudimentali.

Esiste però in Orgosolo una sorta di « citazione » che consiste in alcuni segni simbolici premonitori, legati in generale a una simbologia di sangue, come lo sgozzamento o lo sgarrettamento di una pecora davanti alla casa od all’ovile di chi ha offeso, la deposizione, quivi[...]

[...]mente si usa oggi il mitra ma, indifferentemente, anche il fucile, poco la rivoltella, la scure, il pugnale, la pietra, le mani per strangolare. Assai diffuso è l’omicidio operato precipitando il giustiziato in un pozzo o in una nurra, sì che al tempo stesso, ne scompaia il cadavere. Sconosciuto, invece, è l’omicidio per avvelenamento.

L’audacia orgolese nell’uccidere sulla pubblica piazza, davanti alla casa sulla strada, davanti alla caserma dei carabinieri ecc. ha una fama in tutta la Sardegna. L’omicidio avviene però sempre in modo tenebroso e non conosco casi di omicidi avvenuti dopo rissa

o colluttazione a viso aperto. La capacità di sparire degli assassini di Orgosolo ha altrettanto, in tutta la Sardegna, larga fama.

Si può dire che al delitto segua sempre P« esemplarità ». Il cadavere viene abbandonato, generalmente, in luogo visibile o trascinato, a volte, davanti alla casa, né si tralascia mai di lasciargli qualche sfregio, mutilazione o scempio visibile. Per quanto si possa sostenere l’influenza in questo delle leggi s[...]

[...]

Quando ad Orgosolo si uccide si ha l’impressione che sia stata eseguita una sentenza capitale. E l’omicida può sparire in mezzo alla gente e quasi confondere la sua responsabilità in una responsabilità più larga e più profonda. Dopo queste esecuzioni il paese rimane generalmente tranquillo e non è per timore di rappresaglie e tanto meno per « omertà » (che è un termine esterno) che cadeINCHIESTA. SU ORGOSOLO

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nel silenzio anche l’eco dei misfatti. È piuttosto, e solamente, l’antichissima « legge » di Orgosolo.

Il vecchio principio primitivo che la vendetta è inestinguibile (quello appunto che conduce all’assassinio) è però attenuato anche in Orgosolo da qualche principio che la considera estinguibile (e così conduce a punizioni « minori »).

In generale si possono dire aumentate le vendette « minori » o

lo spargimento di sangue « secondario » che si ha con lo sgozzamento e sgarrettamento di pecore. Questo reato, che non ha pari in tutta Italia per estensione, è un vero flagello della economia orgolese, come ieri lo er[...]

[...] pecuniarie. È questo il caso, per es. delle celebri « paghes » tra i Cossu e i Cornine, dopo 22 anni di lotta accanita e sanguinosa, che riuscirono a conciliarsi ed a por termine alla grande « disamistade ».

La composizione in danaro, propria ancora del medioevo, trova però il suo fondamento e la sua possibilità in una composizione « simbolica » della vendetta. Questo aspetto è da ricondursi invece, e solamente, alla mentalità e alla cultura dei primitivi.

Il modo più tipico di questa conciliazione nel paese è il matrimonio tra un uomo del gruppo dell’ucciso ed una donna del gruppo dell’uccisore. Il versamento di sangue verginale presenta il carattere di riscatto simbolico del sangue versato nel precedente omicidio.

Un altro elemento arcaico di analoga compensazione è il versamento del sangue di pecore e di capre, uccise davanti a tutti nei banchetti che si tengono sempre in Orgosolo in occasione di « paghes ». Anche qui lo spargimento di sangue animale ha il valore di riscatto simbolico del sangue versato in tutte le precedent[...]

[...]ti di polizia, libri di viaggiatori ecc.

In tutto il mondo sono conosciuti popoli consimili come, per es., nell’antichità i Germani i Celti, i Baleari, i Pannoni, gli Sciti i Parti ecc.; nell’epoca medioevale gli Unni, i Vandali ecc.; nella epoca contemporanea i Berberi, i Beduini, gli Arabi ecc.; ma l’esistenza ancor oggi di popoli predoni nel territorio italiano è una sorpresa per la maggior parte degli italiani.

E, in verità, l’attività dei predoni di Barbagia (limitata oggi soprattutto al paese di Orgosolo) costituisce per le popolazioni confinanti (Fonni, Urzulei Oliena, Villagrande ecc.) e per quelle delle pianure in cui scendono in transumanza (Campidani, Baronia, Ogliastra, Gallura ecc.) uno dei problemi più gravi come è tra i più gravi della economia di Sardegna.

Uno studio attento ed analitico delle forme e dei modi della « bardana » o razzia orgolese può permettere di mettere in evidenza elementi speciali che si devono far risalire non alla struttura economica e sociale del ciclo odierno della « grande famiglia », ma piuttosto a quello del ciclo anteriore dei « cacciatori e raccoglitori ». Al tempo stesso, può porre in rilievo che la serie dei reati connessi non possono catalogarsi tranquillamente tra quelli di « delinquenza comune » : furto, abigeato, grassazione ecc.

La larghezza e l’intensità dell’esercizio della « bardana » devono farla ritenere invece, e piuttosto, un « istituto » sociale discendente dalle origini e sopravvissuto in questo paese.

Alla « bardana », innanzitutto — e questo elemento sorprende chi si avvicini al problema — prendono parte quasi sempre non delinquenti comuni ed elementi abnormi dalla società riuniti inINCHIESTA SU ORGOSOLO

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« associazioni a delinquere », come avviene generalmente in t[...]

[...]le a tarda vecchiaia), e di ogni mestiere, famiglia e classe sociale.

I modi di costituire la associazione per la « bardana », tenuto presente il criterio generale di una scelta per capacità naturale ed esperienza, avvengono, di volta in volta, in Orgosolo, in due modi particolari: questi corrispondono, in grandi linee, ai due modi particolari delle due grandi e rudimentali classi sociali del paese.

II primo modo (che è quasi sempre quello dei « poveri » organizzati in (( bardana » per arricchirsi alle spalle di un <( ricco ») è per <( invito »: il promotore o i promotori invitano i prescelti, generalmente tra i parenti e amici; ognuno provvede per sé alle necessità di armamento, vitto, mezzo di trasporto; non esiste un vero e proprio capo o si elegge il più anziano, più capace, ed esperto; il bottino viene diviso in parti uguali o anche proporzionale all’importanza dei membri.

Il secondo modo (che è quasi sempre quello dei « ricchi » organizzati in « bardana » per aumentare il proprio patrimonio alle spalle di un altro « ricco ») è per « arruolamento » : il promotore

o i promotori provvedono direttamente, e più generalmente attraverso un loro delegato o più delegati, ad invitare ed arruolare i prescelti, generalmente tra parenti od amici dei delegati. Forni scono Parmamento, il vitto, qualche genere voluttuario come vino e tabacco e sempre, o quasi sempre, una quota fissa di ingaggio,64

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salario del delitto; il bottino va al promotore o ai promotori con percentuale al delegato o ai delegati e, qualche volta, con un premio a tutti gli arruolati, uguale o proporzionale alla parte avuta.

L’organizzazione di rapine da parte di «ricchi» è la «bardana» abituale: si può dire che la «bardana» è la via maestra della formazione della proprietà.

Questo fatto è stato più volte documentato.

I proprietari di Olie[...]

[...]sì scrivevano in petizione al Parlamento : « i delinquenti sono tra le persone tenute per buone e per condotta e per posizione sociale... meriterebbe la sua seria attenzione il sapere che questi individui così riuniti ad hoc non sono banditi né persone miserabili, ma tra i più influenti e superiori ad ogni sospetto (9) ». Il Procuratore del Re, a Nuoro, Sisini, il 1899 così scriveva nella relazione riassuntiva dell’anno giudiziario: « Gran parte dei delitti è opera di persone che non basiscono nella miseria, sibbene di gente più o meno abbiente. Solo il povero ed il pezzente spesse volte cala nella rete della giustizia e ne riporta la meritata pena, ma i grossi delinquenti che hanno agio e modo riescono ad eluderla. I furti più grossi si commettono col concorso di molti, e quelli che ne sono la mente e l’anima trovano il modo di mostrarsi al pubblico al momento che il reato viene consumato.... Il numero stragrande dei furti non potrebbe avere luogo senza l’aiuto di coloro che con biechi fini vogliono arricchirsi senza badare ai mezzi, e [...]

[...]ne che non basiscono nella miseria, sibbene di gente più o meno abbiente. Solo il povero ed il pezzente spesse volte cala nella rete della giustizia e ne riporta la meritata pena, ma i grossi delinquenti che hanno agio e modo riescono ad eluderla. I furti più grossi si commettono col concorso di molti, e quelli che ne sono la mente e l’anima trovano il modo di mostrarsi al pubblico al momento che il reato viene consumato.... Il numero stragrande dei furti non potrebbe avere luogo senza l’aiuto di coloro che con biechi fini vogliono arricchirsi senza badare ai mezzi, e costoro non li troviamo tra i poveri, ma sibbene tra coloro che del furto non hanno bisogno per vivere, tra gli agiati» (10). Il colonnello On. PaisSerra il 1896 nella inchiesta parlamentare da lui condotta sulle condizioni della p. s. in Sardegna per incarico di Crispi, così scriveva: «Non è raro il caso che partecipino a rapine agiati pastori, e spesso ve ne ha di coloro che seguitano i loro affari, resi più prosperi dal bottino ricavato in siffatte

(9) Avv. G. M. LeiS[...]

[...]abili. Se la volontà iniqua che li dirige non trovasse questo facile strumento di sua nequizie non potrebbe con tanta frequenza manifestarsi in orribili fatti » (12). Poiché per compiere la « bardana » occorre sempre qualcuno che conosca le persone da rapinare, le sue abitudini, i luoghi, in generale si deve ritenere che partecipano soprattutto ad essa i « servi », servi pastori o servi di casa.

Per quanto riguarda i rapporti generali interni dei componenti una « bardana », se si esclude il caso di quelle, e specialmente dei « poveri », nella quale tra tutti i membri esiste una uguaglianza, si deve ritenere che abitualmente esiste un capo con potere, qualche volta, di vita o di morte sui dipendenti. L’organizzazione, in generale, è strettamente gerarchica, quasi militare: in alcune «bardane » i componenti son indicati, persino, da un numero progressivo.

L’armamento della « bardana », sia quello rudimentale e improvvisato della « bardana » dei poveri, sia quello organizzato della « bardana » dei ricchi, è composto non solo di armi di fortuna (pugnali, schioppi, rivoltelle, fucili) ma di tutte le armi più moderne ed oggi, in generale, mitra. La provenienza dell’armamento è varia : frutto di « bardane » precedenti, di depositi abbandonati di munizioni (specie dopo le guerre), di armi riportate da reduci, di acquisto da militari (spesso sardi, parenti e amici) che incautamente o criminosamente le vendono. La frequenza di armi di dotazione regolare tra carabinieri, polizia, esercito, tra autori di « bardane » sono una prova di questo mercato.

La « bardana » si organizza, in generale, [...]

[...]ogo. I mezzi di trasporto,

(11) Relazione d’inchiesta sulle condizioni economiche e della sicurezza pubblica in Sardegna promossa con Decreto ministerale del 12 dicembre 1894. Tip. della Camera <iei Deputati, Roma, 1896, pp. 51.

(12) Ib. p. 74.66

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oltre le gambe od il cavallo, come anticamente, sono tutti quelli moderni che si trovano di volta in volta: treno, auto, bicicletta, motocicletta. La capacità di spostamento dei predoni orgolesi a marce forzate, con tempi da corse a cronometro, è quasi incredibile.

I partecipanti alla « bardana » vanno da 2 a tutto il paese, con una media di 1050 per volta.

Le « bardaqe » si fanno a viso aperto o mascherato.

I ripi di impresa che compie l’associazione della « bardana » sono divisibili in imprese contro individui ed in imprese contro collettività. Una seconda ripartizione si può fare per le imprese contro luoghi di dimora e per imprese sulle strade.

Le imprese contro individui sono rivolte, in generale, contro « ricchi » locali. Secondo una mentalità primi[...]

[...]bardana » sono divisibili in imprese contro individui ed in imprese contro collettività. Una seconda ripartizione si può fare per le imprese contro luoghi di dimora e per imprese sulle strade.

Le imprese contro individui sono rivolte, in generale, contro « ricchi » locali. Secondo una mentalità primitiva (che va sempre più scomparendo) sono rare le imprese contro uno « straniero ».

Il ricco colpito può essere orgolese ma, più generalmente, dei paesi vicini. È più facile, naturalmente, nel paese esser individuati come colpevoli, e, oltre a ciò, è più facile non essere riconosciuti e sparire dal territorio vicino. I reati contro individui condotti in luogo di dimora, sono, in generale, furto di pecore (il più diffuso e un vero flagello), di prodotti agricoli, di denaro, di valori, con assalto allo ovile o all’abitazione; ed il sequestro di persona a fine di ricatto. E ancora sgarrettamenti, e danni e incendi a colture ed alberi. I reati contro individui, condotti sulla strada, sono la gassazione del passante isolato, dal pastore al s[...]

[...]ro collettività sono (o erano) rivolte contro un comune vicino o contro enti privati o statali.

I reati contro un comune vicino sono (o erano) la lotta per il possesso di territorio di pascolo e il saccheggio di tutte le case.

Dal medioevo le lotte per il possesso di territorio di pascolo è stata, con continuità, una delle forme più gravi e più famose di « bardana ». Le lotte contro il comune di Locoe, ad es., sono vive tuttora nel ricordo dei vecchi orgolesi. L’intero paese, armato, a piedi e a cavallo, scendeva a torme per battersi ogni tanto con quello di Locoe in vere e proprie battaglie. Il territorio, a poco a poco conquistato dagli orgolesi, era militarmente presidiato, e si accendevanoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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continuamente conflitti con diecine e diecine di morti. Dopo tanto sangue, il 1845 Locoe veniva completamente spopolata e distrutta e la tradizione vuole che ciò sia avvenuto per avvelenamento di tutte le acque ad opera di orgolesi.

Il saccheggio di tutte le case di un vicino paese, è uno dei feno meni più im[...]

[...]e e proprie battaglie. Il territorio, a poco a poco conquistato dagli orgolesi, era militarmente presidiato, e si accendevanoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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continuamente conflitti con diecine e diecine di morti. Dopo tanto sangue, il 1845 Locoe veniva completamente spopolata e distrutta e la tradizione vuole che ciò sia avvenuto per avvelenamento di tutte le acque ad opera di orgolesi.

Il saccheggio di tutte le case di un vicino paese, è uno dei feno meni più impressionati della storia di Sardegna. Per darne un esempio vivo darò qui la descrizione di uno assai celebre compiuto in Tortoli il 13 novembre 1894, che contiene tutti gli elementi di questa forma classica di « bardana ».

A mezzanotte, da 100 a 500 grassatori orgolesi a cavallo, armati di moschetti, erano penetrati, silenziosi, in quel paese. Circondata la caserma dei carabinieri, e dispostisi nelle vie in modo da poter controllare tutte le case, avevano cominciato a sparare contro le finestre, cacciando urla acutissime per intimidazione. Dalla caserma de} carabinieri avevano risposto al fuoco con due o tre fucilate e, allora, un gruppo di orgolesi, entrato con la forza, aveva massacrato i pochi uomini di guarnigione. Numerosi grassatori e bande, sfondate con ascie e mazze tutte le porte, erano entrati in ogni casa svaligiando e compiendo ferimenti ed uccisioni. Solo le donne, non una esclusa, venivano rispettate.

Nella casa del proprietario Pau, fratel[...]

[...]er qualsiasi eventualità. Era stato ucciso un servo, non si sa se perché aveva tentato di difendere i beni del padrone, o per eliminare un complice o testimoni pericolosi. Compiuto il furto, come per incanto i grassatori erano scomparsi dal paese. Il sindaco di Tortoli e altri 2 o 3 uomini usciti dalle case, erano usciti qualche ora dopo nelle campagne e qui avevano rinvenuto il cadavere di un grassatore, morto per ferite ricevute dalle fucilate dei carabinieri: aveva fattezze signorili, mani bianche e fini, era completamente spogliato, e con la testa staccata e asportata dal busto, che i suoi compagni avevano portato con loro per evitare il ri68

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conoscimento. Nessuno dei grassatori è stato poi mai identificato.

Diecine e diecine di simili « bardane » hanno subito dagli orgolesi quasi tutti i paesi vicini e, seppur in questa forma si possano dire scomparse, (ma da poco), il ricordo dei grandi predoni di Orgosolo rimane tra tutti quegli abitanti.

Da qualche anno rapine simili sisvolgono, di tanto in tanto, solo contro qualche casa o qualche gruppo isolato di case, e le grandi « bardane » contro i paesi vicini, si svolgono, e sempre meno in vero, soprattutto nelle campagne con furto di intere greggi, di torme di buoi, di mandrie di capre, di branchi di porci.

I reati contro enti pubblici, in generale statali, si svolgono tuttora in luogo di dimora e sulle strade.

In antico era celebre, ad esempio, la « calata » dei predoni di Orgosolo nelle saline di Oristano, dove e[...]

[...] sisvolgono, di tanto in tanto, solo contro qualche casa o qualche gruppo isolato di case, e le grandi « bardane » contro i paesi vicini, si svolgono, e sempre meno in vero, soprattutto nelle campagne con furto di intere greggi, di torme di buoi, di mandrie di capre, di branchi di porci.

I reati contro enti pubblici, in generale statali, si svolgono tuttora in luogo di dimora e sulle strade.

In antico era celebre, ad esempio, la « calata » dei predoni di Orgosolo nelle saline di Oristano, dove essi si fornivano di sale per fabbricare i formaggi.

Non si ricordano assalti alle Banche, perché Banche non ve ne sono. Una rapina tradizionale, e tuttora frequente, è, invece, contro gli Uffici postali.

La più audace e frequente « bardana » è fatta contro caserme di carabinieri, di p. s., a fine di « vendette » e per svaligiarne gli stipendi.

Le « bardane » più frequenti sono oggi sulle strade.

L’assalto ai treni, al treno CagliariArbatax, con svaligiamento di tutti i viaggiatori, è avvenuto ancora, l’ultima volta, il 1922.

L[...]

[...]te la corriera, svaligiarla durante la corsa e quindi scendere senza provocare alcun ritardo.

L’assalto di macchine che conducono le paghe di operai è statoINCHIESTA SU ORGOSOLO

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frequente dopo la guerra. L’ultima « strage » di Villagrande ne è un esempio grave.

Le stesse macchine di carabinieri e di p. s. se portano paghe vengono fermate e sono assaltate. L’ultima strage di « sa verula » ne è una prova.

L’abilità di scomparire dei predoni, senza lasciar traccia, in un territorio che totalmente li favorisce, la velocità con cui riescono, veri e propri fulmini, a ritornare a casa, è incredibile

E non vi è caso, o quasi alcuno, in cui trapeli qualche cosa.

Se non vi è spia, se non vi è conflitto accidentale, fortuito, si può tener fede a LeiSpano, già capo della Magistratura in Sardegna che scrive : « per esperienza personale posso dire essere rarissimo il caso che un malfattore sia scoperto e assicurato alla Giustizia ».

Le cronache delle « bardane » (che richiederebbero una intera biblioteca), il loro sviluppo [...]

[...]dire essere rarissimo il caso che un malfattore sia scoperto e assicurato alla Giustizia ».

Le cronache delle « bardane » (che richiederebbero una intera biblioteca), il loro sviluppo continuo non « straordinario » portano ad alcune conclusioni generali. Scrive, ad es., il PaisSera nella su citata inchiesta, a proposito della « bardana » : « Si avverta che nella sua esecuzione ha un colore di impresa guerresca che si riattacca alle tradizioni dei popoli primitivi della Sardegna » (13).

Se non si tiene presente questo carattere normale, (seppur per noi « straordinario ») si rischia di non comprendere una situazione locale che non può essere se non quella che è: non si può affrontare concretamente la soluzione del problema.

Un fenomeno singolare su cui bisogna rivolgere l’attenzione è che l’abitante di Orgosolo, il pastore, il componente della « grande famiglia », che, come tale, dovrebbe avere il carattere di uomo prudente, sospettoso, chiuso nella famiglia, proprio e quasi solo in queste imprese rischiose, pericolose quanto mai,[...]

[...]cuparono il territorio ».

Non possiamo pertanto parlare di « orda » nello stadio culturale presente degli orgolesi né possiamo dire — mancando qualsiasi residuo di quell’elemento ideologico decisivo, determinante — che essi in antico, già « cacciatori e raccoglitori » costituissero anche « orde » vere e proprie. Ce lo fanno pensare però gli attributi secondari, le «forme strutturali» e, specialmente, nell’istituto della « bardana ».

L’orda dei razziatori, degli antichi cacciatori seminomadi, potrebbe essere stata la antica radice sociale oggi sparita e non ricostruibile — di questa popolazione singolarissima tra tutti i vicini

(14) lb. p. 51..INCHIESTA SU ORGOSOLO

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e consimili paesi di pastori, che, prima di Orgosolo hanno raggiunto un progresso superiore.

Quali siano le ragioni della conservazione in Orgosolo di questi residui di arcaici elementi strutturali e culturali che non discendono dalla struttura economica e dalla cultura presente vedremo chiaramente, nella seconda parte di questa inchiesta, analizzando i ra[...]

[...] prima occasione il lamento da recitare, adattandolo con opportune modificazioni in analoghe situazioni (figlia al padre, moglie al marito, e così via). Così, p. es., tutti i lamenti della famosa lamentatrice Bannedda Corraine furono a suo tempo raccolti dalle nipoti Pauledda e Pippina. Gli uomini non partecipano al lamento,* anzi esistono forme parodistiche maschili del lamento femminile. In sostanza il cordoglio comporta una sorta di divisione dei compiti: le donne eseguono il cordoglio attraverso T attitu che in Orgosolo è molto spesso legato alla esortazione alla vendetta; gli uomini eseguono la vendetta che fa parte integrante del cordoglio ed è il modo maschile di esprimerlo. Un esempio caratteristico di attitu di vendetta può essere il seguente:

Ohi fizos meos caros pranghidelu ’e tottu leades s’iscupeta chi b’ana a babbu mortu

(O figli miei cari, piangetelo tutti, prendete il fucile, che vi hanno ucciso babbo). Oppure:

Sas lacrimas a nois lassade a bois su piantu non cumbenit.

Sa mancia chi hat fattu a s’eridade solu [...]

[...]ti veda col congedo. Se hai fratelli o sorelle in città non possa tornare. Se hai sorelle e fratelli non possa tornare in città. Se hai preso penna non possa tornare in Sardegna. Se hai preso ferma non possa tornare in caserma. Se hai preso calamaio non possa tornare al quartiere. Fratello mio Michele, di lusso carta. La ho ora nel campo rotta, questa carta di lusso).

La chiesa in Sardegna ha combattuto il lamento, come ne fanno fede i canoni dei concili diocesani. Negli stessi lamenti si ritrova talora una eco di questa lòtta, poiché in dati casi la resistenza dei preti a seguire il loro ufficio ha dato argomento alla lamentatrice di esprimere il suo disappunto.

A Orgosolo qualche anno fa un corteo funebre aveva luogo, accompagnato dal lamento tradizionale: il parroco volle impedire alle lamentatrici di assolvere il loro compito e, allora, una di esseINCHIESTA SU ORGOSOLO

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conclusali suo lamento con questi quattro versi che sono ancora ricordati :

Si ischiada su dolore pranghiada su Rettore si su dolore ischiada su Rettore pranghiada.

(Se provasse dolore attiterebbe il parroco, se il dolore provasse, il parroco attiterebbe).

Il tes[...]

[...] Su tenore. Non si può dimenticare, inoltre, che ad Orgosolo questi canti servivano quale eccitazione ed incitamento alla « bardana », come tuttora, servono larINCHIESTA SU ORGOSOLO

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gamente a popolazioni dell’Africa per intraprendere la guerra. Le voci di Su tenore sono caratterizzate da sedimentazioni e imitazioni naturalistiche: è rintracciabile infatti una affinità tra i comandi che

i pastori usano per gli armenti e la dimensione dei loro canti : la identità sia di forma che di struttura (voce strozzata e singhiozzata; in più, qualche volta, urla, fischi, strappi di voce o « glissando » che interrompono Su tenore). Un’altra identità può trovarsi nella imitazione di versi propri del mondo animale (belati, muggiti, campanacci, ecc.). I tre cantori, seduti o in piedi, cantano anch’essi come Sa boghe, in uno stato quasi di assoluta immobilità, se si eccettua, qualche volta, il portamento di una delle due mani sulla guancia, tra l’orecchio e la bocca, per cassa armonica, o, come essi dicono, per « sentire » meglio la voce.

[...]

[...]rumentale ma su musica vocale, cioè sulla poesia cantata: « su tenore ». Gli scarti ritmici di questo nel caso specifico del ballo (secondo le osservazioni che mi fornisce l’amico Carpitella ascoltando le registrazioni da me effettuate) sono qui più evidenti e si passa, attraverso una vivace accelerazione, da un ritmo di80

FRANCO CAGNETTA

ottava ad un ritmo di quarta —t — j. E il ritmo è sottolineato,

molto spesso, dal battito sincrono dei piedi, interrotto da grida, fischi, interiezioni. L’unione di poesia, musica e danza risale alle più antiche manifestazioni culturali che si conoscano, diffuso tra tutti

i popoli primitivi e, altrettanto, dell’antichità. Il ballo dell’antica Grecia, per es., non doveva essere dissimile come ci testimonia l’Iliade (cap. XVIII, scudo di Achille). E così era altrettanto il ballo dell’antica Roma se si tiene conto della testimonianza dell’Eneide (VI, 664):

Pars pedibus plaudunt choreas et carmina dicunt...

# * #

Chi ricerchi qualche notizia sulla origine, sulla storia antica, medioeva[...]

[...]onosciuto attraverso cronache di giornali e di qualche rivista solo per truculenti fatti di sangue, per i « briganti ». Esiste, probabilmente, più letteratura per qualche paese africano.

Posso, intanto, qui fornire le notizie da me raccolte in 4 anni in biblioteche pubbliche e private, in archivi di quasi tutt’Italia.

Origini

L’origine delle popolazioni di Orgosolo (come, in generale, di quelle di tutta la Barbagia) si perde nella notte dei tempi. Si può ritenere ipoteticamente, sulla scorta delle notizie storiche generali eINCHIESTA SU ORGOSOLO

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sugli elementi su ricavati dalle ricerche di etnologia, che potrebbe trattarsi di popoli venuti dall’Asia attraverso l’Africa, e per terra, quando '"Cioè la Sardegna, nel paleolitico, con le Baleari ed il Marocco formava un solo continente: la Tirrenide.

Storia antica. (Epoca nuragica e romana)

L’estensione di tutto il territorio di Orgosolo è disseminata da monumenti primitivi, tipici della prima civiltà della Sardegna, e databili, di volta in volta, in un ciclo che va d[...]

[...]so e chiuso, in testa, ad abside) di destinazione cemeteriale; di datazione incerta, in loc. : Gorthine.

I « Nuraghi » di Orgosolo (cioè le classiche torri mozze e circolari di tutta la civiltà protosarda) di destinazione ad abitatofortezza per famiglie e tribù di pastori; di datazione dall’VIII al

III sec. a.C., sono 22, in loc.: Ilole, Donori, Ruju, Dovilinò, Dulivìli, Funtana fritta, Larthiò, Des’ena, Sirilò, Talasuniai, Maninturtiò, Ilodèi, Lopàna, Olài, Delàcana, Su puthu, Orghe, Filihaì, Gortòthihe, Manurriè; e Mereu e Intro de patenti (al Supramonte). Sono, in generale, in stato di rovina ed abbattuti da pastori.

I meglio conservati sono i primi citati.

Non si sono trovati bronzetti.

Ruderi e oggetti preistorici imprecisati, e ora dispersi, si sono trovati in 14 località: Funtana bona, Isteòne, Pihisòne, Sònnoro, Donianìcaru, Intro ’e montes, Alasennora, Biduni, Susùni, Sgirghinnàri, Conca de furru, Luiliè, e Presèttu tortu e Mereu (al Supramonte).

II ritrovamento più importante di abitato primitivo — e il82

[...]

[...] un complesso cemeteriale di <j Domus de janas ». Potrebbe, perciò, essere stato un altro luogo di culto.

Per l’epoca romana, alcuni oggetti e monete, oggi dispersi, si sono trovati solo, oltre che nella cit. località di Orulu, nella loc. Galanòli.

(15) Notizie degli scavi di antichità comunicate alla Regia Accademia Nazionale det Lincei, ecc.; 1932, voi. Vili f., pp. 52836.INCHIESTA SU ORGOSOLO 83

V \ ....

Storia medioevale. (Epoca dei Giudicati e spagnola)

Il primo documento scritto in cui si ricordi Orgosolo — ed il solo per tutto il periodo del regno dei Giudici sardi, nell’alto medioevo, è l’atto di pace stipulato tra Eleonora, Giudichessa di Arborea e Don Giovanni, Re di Aragona, il 24 gennaio 1388, pubblicato nel « Codice Diplomatico di Sardegna » di Pasquale Tola. In questo documento, firmato da tutti i Comuni del Giudicato di Arborea, tra i firmatari risultano per la «villa» di Orgosolo tali Mariano Murgia, « Majore » (e cioè capo della polizia); Petto de Cori, Joanne de Ferrari, Petro Merguis, Mariano Pina « jurati » (suoi aiutanti); Petro de Oscheri, Oguitto de Martis, Petto Seche, Arcocho Lafra e Joanne Sio « habitantes » (abitanti), [...]

[...]o. Con spigolature storiche sul paese a cura del Parroco Sac. Don Francesco Lai. Tip. Ortobene, Nuoro, 1953, pp. 1820.

(22) Storia letteraria di Sardegna del cav. D. Giovanni Siotto Pintor, ecc. Tip. Timon, Cagliari, 1844, voi. Ili, pp. 496, nota l.INCHIESTA SU ORGOSOLO

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Triei e poi « nella Corte Romana », autore di una traduzione dall’italiano al sardo di un libro apologetico di vite di 45 Sante Vergini e Martiri di autore anonimo e dei PP. Ant. Galloniu e Villegas (23), oltre che di « canzoni manoscritte » andate « perdute » (24).

Da quella traduzione si può supporre anche un certo lavorio di adeguamento della Chiesa al dialetto locale, secondo i principi prescritti nel Concilio di Trento per una maggiore penetrazione tra le plebi rustiche.

Il 1799 Orgosolo compare citata nella Bolla del papa Pio VI: « Eam inter ceteras » del 21 luglio, con la quale si istituiva la nuova Diocesi di NuoroGaltelly, di cui il paese faceva parte come Rettoria (25).

Dal padre BrescianiBorsa S.J., nella celebre opera « Dei costumi dell’i[...]

[...]porre anche un certo lavorio di adeguamento della Chiesa al dialetto locale, secondo i principi prescritti nel Concilio di Trento per una maggiore penetrazione tra le plebi rustiche.

Il 1799 Orgosolo compare citata nella Bolla del papa Pio VI: « Eam inter ceteras » del 21 luglio, con la quale si istituiva la nuova Diocesi di NuoroGaltelly, di cui il paese faceva parte come Rettoria (25).

Dal padre BrescianiBorsa S.J., nella celebre opera « Dei costumi dell’isola di Sardegna » si ha notizia su Orgosolo che : « I Gesuiti che avevan stanza in Oliena visitarono quel popolo in sullo scorcio del sec. XVII e con la santa parola il mansuefecero; ma, cessati i Padri, tornò all’antica rustichezza. Lasciaron essi tuttavia di sé orma indelebile, poiché, introdotti per opera loro i gelsi e i bachi da seta, in quella grossa terra le donne del villaggio vi tesson drappi » (26).

(23) Legendariu ( de Santas / Virgines, et Martires / de lesu Christu / hue fi contennen exemplos admirabiles, necessarios ad ogni forte de persones, qui pretenden falv[...]

[...]II. Constitutiones, Litteras in forma brevis, Epistolas ad Principes, Viros et alios atque Allocutiones complcctens. Tomus sextus. Pars I. Pii VI continens pontificatum ab anno primo usque ad octavum. Prati. In Typographia aldina. MDCCCXLVII. Doc. CCXIX. Revocatio unionis decretae ab Alexandro VI ecclesiae calaritanae et galtellinensis, cum declaratione, et ampliamone diocesum (Dat. die 21 junii 1779. Anno V). Paragrafi 3 e 6, pp. 59495.

(26) Dei costumi dell'isola di Sardegna comparati cogli antichissimi popoli orientali per Antonio Bresciani d.C.d.G. All’Uffizio della Civiltà Cattolica, Napoli. Voi. II, pp. 113. Il Bresciani, Visitatore della C.d.G. in Sardegna, non fu però ad Orgosolo.86

FRANCO CAGNETTA

Storia moderna. (Epoca piemontese e italiana)

Solo dal principio del secolo scorso cominciano ad aversi su Orgosolo notizie meno estrinseche.

11 primo scrittore su cose del paese è il generale Alberto Fer rero della Marmora che, nel suo Itinéraire de l’tle de Sardaigne. cita un episodio avvenuto in Orgosolo, in data imp[...]

[...]uto da loro con più di dodici fucili puntati sulla mia persona, con ingiunzione di non fare un passo verso tali uomini disposti in atteggiamento così poco ospitale e, ancor meno, bendisposto; infine, dopo molti discorsi ed una infinità di questioni sul vero scopo del mio viaggio tra di loro — che era solo quello di portarmi sulla cima del Monte Novo con i miei strumenti geodesici — fui ricevuto in modo più cortese; ciò che significa che le punte dei fucili diretti contro di me si abbassarono; ma questa cortesia non era scevra da un certo sentimento di sospetto sul vero oggetto della mia visita.

Bisogna dire che i banditi di Orgosolo sono, in generale, della peggiore specie; sono continuamente in guardia contro la forza armata che vorrebbe sorprenderli in quei ripari quasi inaccessibili, dove si rifugiano dopo aver fatto le loro rapine; queste rapine consistono quasi tutte in furti di bestiame e, qualche volta, rubano ai proprietari dei villaggi vicini — di cui sono il terrore — greggi intere e gli stessi buoi da lavoro » (27).

L’ab[...]

[...]a questa cortesia non era scevra da un certo sentimento di sospetto sul vero oggetto della mia visita.

Bisogna dire che i banditi di Orgosolo sono, in generale, della peggiore specie; sono continuamente in guardia contro la forza armata che vorrebbe sorprenderli in quei ripari quasi inaccessibili, dove si rifugiano dopo aver fatto le loro rapine; queste rapine consistono quasi tutte in furti di bestiame e, qualche volta, rubano ai proprietari dei villaggi vicini — di cui sono il terrore — greggi intere e gli stessi buoi da lavoro » (27).

L’abate Vittorio Angius di Cagliari (17971862), nel Dizionario geograficostoricostatisticocommerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, compilato dal prof. Goffredo Casalis, il 1843, voce:

(27) Itinéraire de Vile de Sardaigne pour faire suite au Voyage en cette contrèc par le Conte Albert de La Marmora, ci devant Commandant Militaire de Vile de Sardaigne, Làeutenant generai, Sénateur du Royaume etc. Chez les frères Bocca libraire du Roi. Turin, 1862, voi. I, pp. 41920. La traduzione è mia.[...]

[...]sempio se ad un orgolese, anche in tempo di bisogno, si faccia una offerta per uno spergiuro, egli rigetterà la promessa con nobile indignazione; e se facciasi gran promessa per persuaderlo ad una perfidia, egli risponderà con ira. Tra molti prezzolati che servon di guida e di spia per gli arresti non credo che si possa nominare un solo orgolese.

A bene studiarli si conosce in essi un ottimo fondo e, quando sieno ben educati, diventeranno uno dei popoli più generosi.

Or sono in via di miglioramento e molti già cominciano a studiar sull’agricoltura » (29).

Un documento importante, che ci dà un quadro vivo e pittore
(28) Op. cit., voi. XIII, pp. 23541.

(29) lb., voi. XII, pp. 658.88

FRANCO CAGNETTA

sco della situazione del paese di Orgosolo nel 1847, ci è dato dal padre Bresciani nella già cit. sua opera :

« Ecci nel più montagnoso ed aspro sito della Barbagia, nel popoloso villaggio d’Orgozzolo, ove le genti vivon sequestrate dalle circostanti ville, uomini selvatici e crudi, che campan di ratto, e stanno a guardia [...]

[...]ossiam rapirne alcun centinaio, soccorriamo almeno in parte alla giustizia distributiva.

L’Arcivescovo mostrò loro questa esser logica da Beduini di Arabia, e da corsali di mare, e non da cristiani.

Costoro potrebbero anzi tener cattedra di ComuniSmo in certe università d’Europa...

Ma, per venire al proposito nostro, Monsignore vide a sua gran meraviglia quel popolo così strabocchevolmente unto, che il grasso stillava loro dalle ciocche dei capelli e dai lucignoli della barba in guisa che scorreva giù per le spalle ed il petto. E le donne gocciolavano dalle trecce, e aveane sì unta la faccia, che il viso luccicava loro, e il grasso colava per gli orecchi e pel mento giù nel seno, di che la finissima camicia era tutta inzuppata; e i pepli ch’avean di seta bellissimi e grandi, eran conditi di grasso per modo che traspareano e brillavano al sole come oro. L’Arcivescovo richiese i preti del villaggio che nuova fosse questa; e gli venne risposto: essere immemorabile usanza di lor antenati, ché, nei dì delle sacre feste e nozze e di b[...]

[...]ndannati: 3 per reato contro le persone e 5 contro la proprietà; 10 ammoniti, 2 sotto sorveglianza,

12 oziosi e vagabondi, 108 sospetti di furto, 23 sospetti di grassazione, ricetto a banditi e propensi a delitti).

2) Una « Nota intorno ai banditi arrestati o da arrestare » del 4 aprile 1869 (Vedele Antonio di anni 40, imputato di grassazione, arrestato il 12569 su mandato di cattura del Giudice Istruttore di Nuoro).

3) Una « Statistica dei banditi che tuttora scorrazzano nel circondario » senza data (Moro Giovanni di anni 50, imputato di grassazioni, rivolte all’Arma, omicidi, bandito dal 1844; Succu Giuseppe di anni 44, imputato di grassazione e rivolta all’Arma, bandito dal 1853; e Pisanu Francesco di anni 55, imputato di un omicidio consumato, due mancati, due grassazioni e rivolta all’Arma, bandito dal 1838).

La storia di Orgosolo si chiude il secolo scorso con una rivalità di vendetta o « disamistade » tra le famiglie Mesina e Pisanu che oggi è impossibile ricostruire, come ho tentato di fare, per mancanza di exprotagon[...]

[...]14.

(31) Inventano del R. Archivio di Stato di Cagliari e notizie delle carte conservate nei più notevoli Archivi Comunali, Vescovili e Capitolari della Sardegna. Pietro Vatdés, Cagliari, 1902, pp. 176.INCHIESTA SU ORGOSOLO 9!

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secolo, con l’altra rivalità di vendetta o « disamistade » tra i Gossu e i Corraine che ho analiticamente ricostruita nel già cit. saggio sulla rivista « Società ».

Esistono anche nel Museo storico dell’Arma dei Carabinieri in Roma (piazza Risorgimento) «verbali» di conflitto a fuoco, nell’Archivio, ed « Armi ed oggetti sequestrati a banditi » di Orgosolo, nelle vetrine. Sono un soccorso alla storia di Orgosolo.

Per l’intensissimo periodo di banditismo 18821899 si conserva

il Verbale del conflitto a fuoco avvenuto nella foresta di Murgugliai

il 10 luglio 1899, nel quale caddero i famosi fratelli Elias e Giacomo SerraSanna di Nuoro, e riuscì ad evadere il famoso Giuseppe Lovicu di Orgosolo.

Per il periodo della « disamistade » ho pubblicato nel cit. saggio il Verbale del conflitto avvenuto[...]

[...]buona riproduzione della carta è in : Istituto Geografico Militare. Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzione di carte generali e regionali d’Italia dal sec. XIV al XVII, raccolte e illustrate da Roberto Almagià, Firenze, coi tipi dell’istituto Geografico Militare, 1929, tav. LV.

Su di questa si attenne Egnazio Danti, sul cui disegno il fratello Antonio Danti dipingeva il 1589 la carta di :

2) Sardegna. Galleria delle Carte Geografiche dei Musei Vaticani in Roma.92

FRANCO CAGNETTA

e ziu Carlo Floris detto Anzelu Zudeu. Ho raccolto queste due biografie dalla viva voce dei protagonisti, trascrivendone fedelmente il racconto parola per parola. L’ho ricomposto, naturalmente, dall’iniziale disordine, e, trasportandolo in italiano, ho cercato di mantenermi ligio agli originali modi sintattici ed al gergo orgolese. Tra tutti i 15 o 20 vecchi che ho interpellato nel paese questi due principalmente mi sembra che riescano a dare un’idea larga, abbastanza completa, di quella che era la straordinaria vita in Orgosolo 4050 anni fa.

Il primo di essi, il vecchio ziu Marrosu, ladro di pecore, quasi

La posizione di Orgosolo ha la stessa aberrazione che nella carta di Ro[...]

[...]de:

5) L}ltalia di Matteo Greuter. Stampa veneta del 1657. Sardegna (foglio 10) cm. 208x114, riprodotta nel cit. Mon. It. Cart.

Pure al Magini si attiene Vincenzo Coronelli nel suo celebre: Ìsolario descrittivo geografico histonco sacro profano antico moderno politico naturale e pratico ecc. Tomo II delVAtlante veneto, opera e studio del P. Maestro Vincenzo Coronelli, Min. Conv. Cosmografo della Serenissima Repubblica di Venezia e Principe dei Geografi. A spese dell’Autore M.DC.LXXXX.VI. Nella carta:

6) Isola e Regno di Sardegna soggetta al Re di Spagna ecc. Alle pp. 102103.

7) Le Royaume de Sardaigne dressé sur Ics cartes manu scripte s levées dans le Payt par les ingégnieurs piemontois a Paris. (A Messieurs de TAcademie Royale des Sciences). Colloca Orgosolo nell’cc Incontrada di Orani » a confine con il « Judicato di Ulliastro ».

8) Nuova Carta dell’isola e Regno di Sardegna. Opera del R. P. Tommaso Napoli delle Scuole pie colleggiate dell’Università di Cagliari e del cav. Rizzi Zannoni del Buro topografo della guerra p[...]



da Giovanni Testori, Il Fabbricone in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...] dappertutto terra e carte, polvere e immondizie.
Anche il fabbricane, tagliato in due dall'ombra d'una nube e da uno degli ultimi raggi di sole, si mise subito in allarme; persiane che sbattevano; panni, camicie e mutande che s'agitavano sui fili; un gran chiudersi di finestre; un gran trafficar sui ballatoi e contro le ringhiere; « vieni dentro! Sù, sù, che arriva la fine del mondo! »; parole, grida, urli e bestemmie; contro la cinta, la fila dei pioppi si agitava intanto da una parte e dall'altra.
Allora dall'estremo della periferia, dove le ultime case cedevano alle cascine o si perdevan nei campi, tra il brontolio dei primi tuoni, parti la scarica dei razzi antigrandine; cannonate che salivano veloci ed esplodevan poi con un sibilo nel niente; una a destra e una a sinistra; una ad est e una a ovest.
«Avanti! Tirate! Tirate sù razzi, bombe, madonne e anticristi! Sù, sù che poi ci chiuderanno tutti in manicomio! Ecco a cosa porta il vostro progresso! Come se non ci avesse già pensato 14 guerra a rovinarci i nervi! » — gridò, senza saper a chi, la Redenta mentre spalancava la finestra per prender il pezzo di fesa che, involto in un po' di carta, se ne stava sul davanzale; un'occhiata, ma non più di quella, alle luci che saettavand verso sud,[...]

[...]ciavano, parte sul davanzale, parte sui vetri, più che pietà, la. Redenta provava una specie di rabbioso rancore; insomma, adesso, nemmeno il cielo, nemmeno quello, era più in grado di ribellarsi! Ma allora meglio il diluvio, meglio la fine del mondo. Perché vista la strada su cui s'era messa, dove poteva finire l'umanità se non in una casa di cura? Una « Villa Fiorita » grande quanto bastava per farci star dentro il mondo intero; e loro, quelli dei governi, dei razzi, dei dischi e delle bombe, per primi!
Un ciac; un breve silenzio; poi un altro ciac; come se, invece che di gocce d'acqua, si trattasse di mosche che una mano scagliava da chissà dove perché andassero a schiacciarsi sulla terra.
La minestra da fare; il pezzo di fesa da battere... La Redenta lo guardò un'altra volta starsene li, sul tavolo, e un'altra volta avverti la sensazione di paura e di schifo che sempre provava davanti alla carne in genere e alla polleria in particolare: « carne a mezzogiorno e carne alla sera — si disse — Sempre carne 'sto scapolo d'uno scapolo! Come se non sapesse che me[...]

[...]scapolo d'uno scapolo! Come se non sapesse che metà della gente, a furia di arteriosclerosi e pressione alta va a finire a morir d'infarto! Coi duecento e più che ha! »
Lo scapolo era il fratello, quello con cui aveva vissuto fin li e con cui avrebbe forse vissuto fin alla fine; perché l'idea che il Luigi si decidesse a prender moglie alla bell'età di quarantacinque anni, non riusciva a persuaderla; questo anche se di tanto in tanto l'argomento dei loro discorsi cadeva proprio sulla relazione che il fratello, già da quattro anni, aveva con la sarta. Una sarta per po
IL FABBRICONE 71
vera gente, naturalmente; anche se poi faceva di tutto per mettersi alla moda, copiando e ricopiando i figurini di cui eran piene le riviste che comprava; « Grazia »; « Foemina »; e certe volte « Vogue »; dato che, come diceva, anche il gusto delle operaie adesso si volta verso Parigi.
Quella della carne alla sera, era una delle tante abitudini del fratello che la Redenta non riusciva a giustificare; tanto più che, lei come lei, faticava già molto a manda[...]

[...]sto aperto sul tavolo, lá dove la sua matita aveva tracciato con timido impaccio le prime file di segni.
« Guarda il coraggio che ha il Tino! E si che è minore... »
Il Tino, maschio unico tra i molti Borgonuovo di via Aldini, era infatti uscito di casa alle prime avvisaglie del temporale; a squarciagola aveva chiamato sul suo piano il Franchino, sul piano di sotto l'Enrico; poi, precipitando per le scale, era sceso giù e s'era appostato in uno dei due ingressi del casone, preso come gli amici dalla lotta tra terra e cielo cui avrebbe assistito; e in quel punto scalpitando come un cavallo si trovava quando a quel lampo ne segui un secondo, ancor più lungo e spettrale.
«Avanti! Giù! — gridò allora preso da una gioia eccitata e incosciente — Giù! ».
Al fronte albanese, all'Andrea, a tutti quei colpi, (una scarica di mitra, le avevan detto) a tutto quel sangue, a tutto quel tirarsi, soffrire e chiamare, lei non avrebbe dovuto pensarci neppur quando le capitava di veder dei film che, di guerra, di morti e di massacri, parlavan dal princip[...]

[...]avrebbe assistito; e in quel punto scalpitando come un cavallo si trovava quando a quel lampo ne segui un secondo, ancor più lungo e spettrale.
«Avanti! Giù! — gridò allora preso da una gioia eccitata e incosciente — Giù! ».
Al fronte albanese, all'Andrea, a tutti quei colpi, (una scarica di mitra, le avevan detto) a tutto quel sangue, a tutto quel tirarsi, soffrire e chiamare, lei non avrebbe dovuto pensarci neppur quando le capitava di veder dei film che, di guerra, di morti e di massacri, parlavan dal principio alla fine; neppur quando di guerra, di morti e di massacri le parlava la televisione del bar di Via Zoagli o quella, che una sera andava e tre no, dei Meroni. E men che meno, quando, a furia di girarsi attorno, volente o nolente, l'occhio fi
IL FABBRICONE 73
niva col caderle sulla fotografia; non quella che l'Andrea le aveva mandato dal fronte, perché quella tra lacrime e bestemmie lei l'aveva ridotta in pezzi poche ore dopo aver avuto la notizia; ma quella fatta tre o quattro mesi prima del richiamo; quella che lo rappresentava negli abiti borghesi, negli abiti della gente libera e civile, ecco. Perché, delle divise, degli elmetti, delle fasce, degli scarponi e di tutto quell'armamentario, lei non voleva vedersi attorno neppur più l'ombr[...]

[...]e nelle altre stanze gli inquilini si dicevan quasi tutti che gli antigrandine sarebbero riusciti un'altra volta a fermar la tempesta, il vento ricominciò a sollevarsi attorno più forte e più distruttore di prima: carte, foglie, pezzi di rame e nugoli di polvere si alzaron allora da ogni parte, scontrandosi e mescolandosi tra loro, mentre le persiane ripresero a sbattere contro i muri e le piante a scricchiolare e a piegarsi.
« 'Sti delinquenti dei padron di casa! » — fece la Schieppati, anche se lei per prima sapeva come, non tanto di padroni si trattasse, quanto d'un consorzio, e d'un consorzio creato a scopi benefici e pii.
« Fosse per loro di questa casa non ci sarebbe più in piedi un mattone! ».
Magra, gli occhi fuor dalla testa, come se i sette figli, prima col latte, poi col resto, l'avessero tutta asciugata, la Schiepp< <i continuava a piegare e ripiegare, un piano sotto la Redenta, quel che di volta in volta finiva di stirare; mutande, camicie, maglie e fazzoletti; e intanto che piegava e metteva da una parte, imprecava a voc[...]

[...]scroscio improvviso; nuove zaffate di aria; mulinelli di foglie; gocce, terra e immondizie.
Sull'ingresso il Tino, il Franchino e l'Enrico saltavano presi dall'emozione; ad ogni lampo che s'apriva nel buio delle nubi, era come se una vipera li mordesse alle caviglie, allora, tra gioia, paura e piacere uno gridava, l'altro imprecava e l'altro ancora aizzava la tempesta a raddoppiar la sua furia.
Intanto, dentro il biancore ingiallito e consunto dei lenzuoli, il vecchio Oliva continuava a guardar immobile oltre la finestra; ma era come se non vedesse niente. La lunga, leggendaria malattia (era infermo da più di sei anni) l'aveva fatto chiamar da tutti gli inquilini: la nostra mummia. Come altri, già diffusi o sul punto d'esserlo, a trovar quel soprannome era stata la Redenta; una volta che la madre del Luciano le aveva detto come non fosse riuscita
76 GIOVANNI TESTORI
a chiuder occhio tutta la notte per via dei lamenti che, dalla stanza attigua, il malato non aveva smesso un sol momento di emettere, lei aveva esclamato: « Oh, madonna, [...]

[...]o Oliva continuava a guardar immobile oltre la finestra; ma era come se non vedesse niente. La lunga, leggendaria malattia (era infermo da più di sei anni) l'aveva fatto chiamar da tutti gli inquilini: la nostra mummia. Come altri, già diffusi o sul punto d'esserlo, a trovar quel soprannome era stata la Redenta; una volta che la madre del Luciano le aveva detto come non fosse riuscita
76 GIOVANNI TESTORI
a chiuder occhio tutta la notte per via dei lamenti che, dalla stanza attigua, il malato non aveva smesso un sol momento di emettere, lei aveva esclamato: « Oh, madonna, quella povera mummia! Il giorno che decide d'andare, sarà sempre tardi... »; da allora il soprannome aveva guadagnato tutti ed era arrivato fin dentro la casa degli Oliva, anzi fin al letto del malato, il quale ne aveva sorriso, quasi fosse stato sicuro che avrebbero cosí dovuto averne di pazienza, quelli che nella casa non aspettavan altro che la sua fine!
In verità in quel momento non è che non vedesse niente; malgrado l'età, ottantadue anni, la vista l'aveva infatt[...]

[...]n quanto dovevan passare al Circolino, alla sede cioè del partito, per le misure da prendere circa l'incidente del giorno prima.
« Quegli anticristi! — fece allora il vecchio, mentre sulla testa gli scoppiava un altro tuono — Cosa aspetta domineddio a bruciarli tutti? ».
L'incidente del giorno prima riguardava alcuni manifesti che il nipote, con altri compagni di partito, aveva incollato sui muri del fabbricone casi come su quelli delle case e dei casoni circonvicini, e che la mattina s'eran trovati strappati e impiastrati di fango e di merda; su uno anzi, quasi avessero intinto il dito non in quella mistione, ma nell'inchiostro, avevan scritto in lungo e in largo:
« Fascisti! Preti! Traditori degli operai! »
« E' chiaro — aveva commentato la nuora — siccome vivono nella merda, anche per scrivere adoprano merda ».
Allora quel sollievo mancato si tramutò in lui nell'orgoglio di saper che il ritardo del nipote e del figlio era motivato da quella che lui chiamava la causa; la gran causa anzi, della sua famiglia, in particolare, e di tu[...]

[...] volta alla finestra e seguiva lo scrosciar dell'acqua che il vento flagellava senza carità, come se l'intero universo stesse per disfarsi; e lo seguiva con la speranza e col desiderio di poter scorgere nel mezzo, qualche goccia talmente grossa e pesante da non esser più pioggia, ma finalmente grandine, tempesta.
« Parole, improperi, bestemmie... — continuò a pensare, men
A
7e GIOVANNI TESTORI
tre la faccia le veniva rischiarata dai bagliori dei lampi — E per cosa? Per un po' di merda su un manifesto...; «siete stati di certo voi! »; « ah, perché noi saremmo così scemi da venir a fare queste cose, qui, in casa nostra? »; « e allora? »; « è la gente! E' l'odio che han tutti per voi che vi siete venduti ai preti e ai padroni! »; «e voialtri, allora? Dei senzapatria! Dei senzadio! Ecco cosa siete! Dei venduti all'inferno! »; un po' che questo tempo va avanti — comment() allora la Redenta — e me la contate dove andran a finire i vostri manifesti! »; spiaccicati per terra o contro i legni che, nell'orto, sostenevan le piantine dei pomodori, alcuni pezzi di carta si mostravan infatti, qua e lá, pronti a farsi definitivamente distruggere dalla furia dell'acqua e del vento.
Appena capi che il temporale accennava a riprendere, la Schieppati usci da casa, s'affacciò alle scale e cominciò a gridare: « Enrico! Enrico! Vieni sù. Vieni sù che il temporale torna indietro! ». Ma non aveva ancor finito che dal cardine, attorno a cui aveva girato infinite volte, una persiana, staccandosi, precipitò dalla cucina dei Consonni sull'ingresso.
« Aiuto! — urlaron allora i ragazzi, rifugiandosi inorriditi nell'interno — Aiuto! »
«Cosa [...]

[...]rta si mostravan infatti, qua e lá, pronti a farsi definitivamente distruggere dalla furia dell'acqua e del vento.
Appena capi che il temporale accennava a riprendere, la Schieppati usci da casa, s'affacciò alle scale e cominciò a gridare: « Enrico! Enrico! Vieni sù. Vieni sù che il temporale torna indietro! ». Ma non aveva ancor finito che dal cardine, attorno a cui aveva girato infinite volte, una persiana, staccandosi, precipitò dalla cucina dei Consonni sull'ingresso.
« Aiuto! — urlaron allora i ragazzi, rifugiandosi inorriditi nell'interno — Aiuto! »
«Cosa c'è? — gridò dall'alto la Schieppati — Enrico? Cosa c'è?»
« E' venuto giù un pezzo di casa! » — fece dal basso l'Enrico, preso dal terrore.
«Cosa? »
Dalla sua porta era uscita intanto anche l'Enrica e, sporgendosi dalla ringhiera, chiedeva anche lei, con voce eccitata, cosa mai fosse successo.
« E' venuto giù un pezzo di casa! »
cc Un pezzo di casa? E come? E da che parte? »
« No! Niente paura! — intervenne a quel punto il Tino, che aveva trovato il coraggio di tornar fuo[...]

[...]sta volta per sempre; nell'aria ci fu allora una lunga pausa di sospensione e d'attesa, quasi che le opposte forze stessero prendendo tra di loro una decisione o un accordo; poi, piano piano, la tensione si rallentò.
« Anche per oggi è finita! » — si disse allora la Redenta — « L'han vinta un'altra volta loro, 'sti maiali! »
Nello stesso istante il vecchio Oliva tentò di distender le gambe altrimenti da come fin li le aveva tenute, ma la fitta dei dolori lo costrinse a fermarsi a metà: bisognava proprio aver pazienza; bisognava proprio aspettar l'arrivo del figlio e del nipote. Se dunque quel giorno non poteva concedersi neppur il solo, magro sollievo che la vita gli aveva lasciato, quello cioè di cambiar posizione, sapeva chi ringraziare; « quegli anticristi, quei venduti del P.C.! ».
A quell'invettiva, pronunciata nella mente come se venisse gridata dalle labbra, il corpo del vecchio si tese tutto; i pugni si strinsero e, dentro la destra, le grane del rosario scricchiolarono quasi
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stessero per spezzarsi. Allor[...]

[...]pronunciata nella mente come se venisse gridata dalle labbra, il corpo del vecchio si tese tutto; i pugni si strinsero e, dentro la destra, le grane del rosario scricchiolarono quasi
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stessero per spezzarsi. Allora, di colpo, le sue orecchie risentirono, parola per parola, come se venisse dal fondo d'una tromba, la descrizione che, figlio, nuora e nipote gli avevan fatto del gran scempio e i suoi occhi rividero tutti i pezzi dei manifesti cader giù, imbrattati di macchie, oscenità e bestemmie, come brandelli di carne che penzolassero da un crocefisso.
I Villa, quelli che formavan il tenebroso focolaio di male che serpeggiava per tutta la casa! Loro, quelli che, l'avessero visto passar per le strade, avrebbero sputato addosso anche a Gesù Cristo! Quelli, per i quali tutto il dafare consisteva nel maledire, nell'odiare e nel pensar al sangue.
Così, mentre l'accendersi e spegnersi intermittente delle lampadine, indicava che nel fabbricone la luce sarebbe presto tornata, l'Oliva cominciò a farsi passar nella testa tutt[...]

[...]sso invece i bambini, cui da ultimo s'eran aggregati il Remigio e l'Aldino, avevan cominciato a prender atto, pezzo per pezzo, delle devastazioni che il temporale aveva provocato; piante di fiori, cespi d'insalata, pianticine di pomodori, pianticine di patate e file di carote, tutto era stato spiaccicato, divelto, e fin portato lontano; e su tutto si vedevan frammenti di giornali, di manifesti e di carte. Malgrado però s'affannassero a cercarli, dei chicchi di grandine non riusciron a trovare neppur l'ombra. Il Tina allora tornò verso i resti della persiana e, chiamando in aiuto gli amici, tentò di rimuoverli; 'visto che non ne valeva la pena, guardò in su, verso il davanzale, per veder cosa, nel precipitar a terra, la persiana avesse portato via; poi gridò:
« Guardate, ne ha fatto venir giù più di mezzo... ».
Il davanzale si mostrava infatti sfracellato per un buon terzo; sull'alto dello stipite poi, un buco, ben piú grande di quelli che i mitragliamenti aerei avevan lasciato su tutta quanta la facciata, si mostrava così aperto da par[...]

[...] la grande forma dell'arcobaleno.
« Guarda! » — disse la nuora dell'Oliva, quando esso si fu tutto disegnato nel cielo.
Il vecchio rispose con un:
« Cosa? » — poi, senza aspettar altro voltò gli occhi verso la finestra e, per chissà quale volta nella vita, vide il segno della tranquillitá e della pace attraversar tutto quanto i vetri: allora si sforzò di sorridere e di dimenticar i Villa, lo scempio che quegli sciagurati del P.C. avevan fatto dei manifesti, i brandelli, il fango, la terra, Satana e la merda.
« Scommetto che quelli di sii stan pensando che é il padreterno... » — fece la Redenta, riportando gli occhi rabbiosi dalla finestra sul tavolo — « Figurarsi! — aggiunse, mentre rovesciava piselli, pezzi di patate, sedano e carote nella pentola piena d'acqua. — Ma se al padreterno interessassero veramente i casi nostri, avrebbe lasciato diluviare e diluviare fino a pulirci di tutte le rogne che abbiamo addosso! Così, invece... ».
Così, invece, col progressivo ritirarsi delle nubi, anche quest'ultima spruzzatina d'acqua cominciò [...]

[...] muoversi dai rifugi, dovevan aver atteso tutti che il temporale fosse finito: prima gli Oliva, figlio e nipote; poi la Riboldi, la Riboldi madre; dopo ancora
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il Riboldi figlio; quindi la fila interminabile degli Schieppati, la famiglia più numerosa del fabbricone, talmente numerosa, anzi, da domandarsi come facessero a vivere tutti e nove in quella specie di stanza che avevano, la più umida, senza luce e senz'aria della casa; dei buchi ecco, non delle stanze; dietro di loro, la sorella del Luciano, quella che lavorava alla S.I.R.C.A. e che, in definitiva, era una delle poche donne del fabbricone con cui senza scambiar parola, riusciva a esser quasi sempre d'accordo; poi il Luigi, almeno se non era andato anche quella sera dalla sarta; e alla fine, dopo tutti gli altri, ma così, senza nessun orario, perché il lavoro lui lo trovava nei momenti più strampalati, il Luciano, quel povero bastando d'un boy, verso il quale tuttavia, assieme alla ripugnanza, una certa simpatia non é che lei non la sentisse...
Una mano appoggi[...]

[...], in casa? Cosa servirà, dopo, tutta la vostra pietà? Buoni sì, ma coglioni no. E a me pare che con quellilà... ».
Non era certamente questo l'avvio desiderato per la conversazione che pure avrebbe dovuto svolgersi fra i tre Oliva; visto anzi
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quel tono, figlio e nipote ebbero quasi paura a cominciarla; la decisione, infatti, cui eran pervenuti nella seduta svoltasi al Circolino dalle sei alle sette e mezza, era che, al gesto dei rivali, bisognasse risponder si con fermezza, ma il più civilmente possibile.
«E allora cos'avete deciso? Su, avanti, cos'avete combinato? » — fece il vecchio, dopo un lungo silenzio d'attesa. Figlio e nipote si guardaron in faccia un momenta, quindi il primo fece al secondo:
« Spiegaglielo tu, Luigi; tu sei più pratico... ».
« Non è stato facile — fece il Luigi, mentre con un certo imbarazzo passava e ripassava le dita sui riccioli dell'acquasantiera che se ne stava appesa proprio sopra il comodino — Ognuno aveva da dir la sua... ».
« Naturalmente certi volevano rispondere con gli stessi[...]

[...]rie e il loro marcio! Quando poi tocca a noi, allora civiltà, bontà, carità... Si, altro che bontà, civiltà e carità, vigliaccheria! Vigliaccheria, che un giorno o l'altro potrebbero rinfacciarci tutti, preti e non preti! Vigliaccheria e, insieme, paura! Paura di prender una decisione che li sistemi una volta per sempre. Già, ma voi — fece, dopo essersi liberato da quel grumo di catarro, sputando in un fazzoletto che rimise subito sotto la pigna dei cuscini — che colpa potete avere, voi? E' il governo che ha colpa; il governo che sta diventando sempre piú molle! Fosse fatto di donne avrebbe piú decisione! »
« Ascolta un momento, nonno. Siccome la denuncia non si poteva fare... ».
« Abbiamo parlato, discusso... — intervenne a quel punto l'Oliva padre — Non crederai che non si sia pensato d'usar le maniere forti... Ma, ammesso che d'usarle fosse sembrato il caso, cos'avremmo ottenuto? Niente, se non di scender anche noi al loro livello e perder quel che, in definitiva, è il nostro carattere ».
« La galera; ecco quello che ci voleva — co[...]

[...]iere forti... Ma, ammesso che d'usarle fosse sembrato il caso, cos'avremmo ottenuto? Niente, se non di scender anche noi al loro livello e perder quel che, in definitiva, è il nostro carattere ».
« La galera; ecco quello che ci voleva — cominciò a borbottar il vecchio — La galera... » — ma lo borbottò talmente piano da far credere che, o avesse paura d'esagerare, o volesse tener tutta per sé la goia con cui la fantasia gli mise davanti la scena dei Villa ch, ammanettati, la testa bassa, se ne uscivano, uno dietro l'altro, dal fabbricone; e che ci sputassero sopra tutti, santo dio! Perché poi, quand'è il momento, la religione la si deve difendere con le spade e le forche! Se la si vuol difendere!
« Insomma, ho capito: abbiam fatto i conigli un'altra volta; un'altra volta, un altro manifesto. E' vero che è cosí? Un altro manifesto che proclami a tutti quel che loro han fatto; un altro manifesto dove, a un certo punto, dovrebbe esserci scritto merda e merda invece, la nostra democrazia, non ci permette di scriverlo. E', o non è così? »
«[...]

[...]desso il Carlo aveva in mano una forchetta e la fissava unta e sporca come era; quando poi l'ebbe rimessa sul tavolo, aggiunse — E a me, tanto per dir tutto, non é che faccia molto piacere che l'Antonio, con la scusa della box, ci giri in mezzo, a tutti quei delinquenti... ».
« Ma l'Antonio lo fa perché é necessario » — disse la madre.
« Sarà! Ma non vorrei che con le loro sirene lo rammollissero ancor più di quel che é. Non sembra neanche più dei nostri! — ribatté il Carlo subito dopo — Si, si, l'orgoglio d'esser campione, l'orgoglio d'esser primo... Figurarsi se queste cose non le capisco! Ma non vorrei che per quello facesse passar in seconda linea l'altro orgoglio, quello d'esser uno di noi, un operaio; e un operaio che suda e fa fatica dalla mattina alla sera. Provate a domandargli se, tra un match e una riunione al Circolo, sceglie la riunione. E poi, quel che m'impressiona, son le maniere che gli son venute... ».
La discussione, avviatasi per invito del padre, sulla esibizione
IL FABBRICONE 91
che, di miliardi, piaceri e luss[...]

[...]arlargli ».
«Ma non è meglio aspettare? » — intervenne la madre.
« Aspettar, cosa ? » — fece la Liberata.
« Aspettare — spiegò la madre — che abbia fatto davvero qualcosa o che per lo meno qualcosa abbia detto ».
« Ah, perché secondo te, tuo figlio, se sta per affogare, aspetti ad avvisarlo quand'è già sotto? ».
« Ma chi sta per affogare ? ».
«Lui! ».
« E se lo dice il Carlo... » — fece la Liberata alzandosi dal tavolo per portar la pigna dei piatti sul ripiano del lavandino.
« Sarà diventato un nuovo Togliatti, lui! » — brontolò la madre.
« E chi parla di Togliatti? Solo che certe cose il Carlo le capisce meglio di noi tutti messi insieme ».
IL FABBRICONE 93
«Anche per quel che riguarda la storia dei manifesti? » — ribatté la madre.
« Soprattutto per quello » — fece la Liberata.
« E se è per quello — fece il Carlo, puntando di colpo il pugno sul tavolo — sarei disposto a prender il purgante pur di riempirli un'altra volta di merda, i manifesti di quei traditori ».
Dopo quel battibecco, duro e violento, ci fu un lungo silenzio; quindi il padre, tentando di ricominciar la discussione, disse:
« A sentir voi, sembra che io non esista nemmeno. Dico io, con tutta l'esperienza che ho. Perché, cari miei, quando a esser dei nostri, o per lo meno a non esser dei loro, voleva dire il confino o l[...]

[...]rata.
« E se è per quello — fece il Carlo, puntando di colpo il pugno sul tavolo — sarei disposto a prender il purgante pur di riempirli un'altra volta di merda, i manifesti di quei traditori ».
Dopo quel battibecco, duro e violento, ci fu un lungo silenzio; quindi il padre, tentando di ricominciar la discussione, disse:
« A sentir voi, sembra che io non esista nemmeno. Dico io, con tutta l'esperienza che ho. Perché, cari miei, quando a esser dei nostri, o per lo meno a non esser dei loro, voleva dire il confino o la galera, voi vi facevate addosso la
A quelle parole la Liberata, che ormai aveva finito di sparecchiare e stava aprendo il rubinetto del lavandino, si voltò verso il Carlo e lo guardò per riceverne l'imbeccata; come vide che il fratello le faceva segno di star calma, diede un colpo di gomito al gruppo delle posate che tinnì acuto e sinistro; quindi, dopo quel breve sfogo di cui aveva avuto un bisogno assoluto, si rimise, senza dir niente, al lavoro.
«Perché, infine, tu cos'hai saputo di preciso? — disse il padre al figlio, che stava aprendosi davanti ii gior[...]

[...] s'alzò dal suo posto e andò anche lei verso il lavandino, pronta a ricevere, uno per uno, i piatti, le fondine e i bicchieri che la figlia le avrebbe passato perché li asciugasse; e così facendo, ripensò, come sempre faceva in quei casi, a quando il marito le aveva gridato il giorno in cui avevan dovuto decidere il nome da dare al primogenito: « Antonio? — aveva gridato — E perché, Antonio? Perché si chiamava così tuo fratello? Ma, a me, i nomi dei santi non piacciono... ». Viste, però, le sue insistenze, il marito aveva finito con l'arrendersi: « se proprio tu ci tieni, ecco, chiamiamolo Antonio; ma ho paura che quel nome non gli porterà fortuna... ». In quel modo i due successivi sui quali lei non aveva piú osato avanzar proposte, eran stati chiamati, uno Carlo, non per il
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GIOVANNI TESTORI

santo, ma per l'autore del « Capitale » e l'altra Liberata, perché in quegli anni l'Italia libera non era: un nome che, nelle loro intenzioni, doveva dunque esser di speranza, insieme che di ribellione.
« I nervi, si, i nervi! E ho tu[...]

[...]po' d'insalata e due bicchieri di vino, per il Luigi; una fondina di minestra, l'insalata, acqua vichy con spremuto dentro mezzo limone, per lei; e adesso il caffè borbottava nella macchinetta.
« Con 'sti razzi qui, che non lascian sfogare mai il tempo! — aggiunse — Mai! » — ripeté.
« Ma cerca di ragionare, Redenta! Cosa vuoi, che per far piacere a te lascino andar in niente i raccolti ? ».
« Ah, già, come se i raccolti fossero più importanti dei cristiani? Quando poi s'è_visto e si vede in che conto ci tengono! Come mosche ci ammazzano! Ma andiamo, va', andiamo, che la suonata, com'è, ormai l'ho capita, e bene anche! ».
Il Luigi che quella sera aveva in animo di parlar alla sorella il più quietamente possibile, in quanto il discorso avrebbe dovuto cadere sulla decisione che aveva preso di sposarsi di li a un mese, un mese e mezzo, si sentiva imbarazzato; abbastanza deciso su tutto il resto, egli soffriva nei confronti della Redenta d'uno strano complesso e benché fosse certo che, una sistemazione matrimoniale, dopo la fine che l'And[...]

[...]izza alla vergogna, al vizio e alla galera!
Non che arrivasse a maledir i figli; era se stessa che malediva e lui, il marito che, pazienza avesse avuto la prospettiva di mi
loo GIOVANNI TESTORI
gliorar la posizione! Invece, no, niente; muratore era, quando ave van avuto il primo; muratore aveva continuato ad essere quando avevan avuto l'ultimo; e muratore sarebbe restato fin a quando le forze l'avessero sorretto.
D'altronde col Sandrino, che dei sette era il secondo, pareva che tutto e tutti si fossero accordati per spingerlo sulla strada su cui s'era messo; strada che in un primo tempo lei aveva solo subodorato, ma che ora, da quando il fratello le aveva dato la bella notizia d'averlo visto con uno di quei tali, conosceva con certezza.
« Si sbaglia e si sbaglia di grosso; il mio Luciano che il suo Sandrino esiste lo sa, giusto perché lo vede qui, per il resto, se propria vuol sfogarsi, vada a prendersela coi delinquenti del Parco, perché é lá che m'han detto che gira, e di notte e di giorno... ».
« Giá, perché il suo Luciano bazzi[...]

[...] ma che ora, da quando il fratello le aveva dato la bella notizia d'averlo visto con uno di quei tali, conosceva con certezza.
« Si sbaglia e si sbaglia di grosso; il mio Luciano che il suo Sandrino esiste lo sa, giusto perché lo vede qui, per il resto, se propria vuol sfogarsi, vada a prendersela coi delinquenti del Parco, perché é lá che m'han detto che gira, e di notte e di giorno... ».
« Giá, perché il suo Luciano bazzicherà invece le case dei re e dei principi! ».
Adesso il colloquia di poco prima tornava alla mente della Schieppati così, a pezzi, e non per dimostrarle quanta ragione avesse avuto nel pensar che, a iniziare il figlio su quella strada, fosse stato il Cornini, quanto l'abiezione cui il figlio era giunto. Diciassette anni, diciassette appena compiuti e già così!
Tuttavia, arrivata a quel punto, cosa poteva fare?
Toglierlo da quella strada, se il destino pareva far apposta a non permettergli di trovar un posto che era un posto? E poi; quando uno ha lazzaronato o s'è arrangiato in quella maniera o addirittura ha trovato, come[...]

[...]r indietro le maniche e a lavorare ?
Mentre l'ago passava e ripassava, ora di qua, ora di lá, lungo la trama della maglia più gialliccia che bianca, in modo che il buco apertosi nella parte più bassa restasse chiuso il più tempo possibile, la Schieppati si chiedeva come avesse potuto metter al mondo un figlio così diverso dagli altri; perché gli altri, se ci pensava... Magari diversi eran anche loro, ma diversi per quel che riguardava il colore dei capelli e degli occhi, il carattere e la forma della faccia, perché per il resto...
Ed ora, eccoli lá, buttati giù tutti e sei, a dormire: quattro
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nella prima stanza, con un posto vuoto; vuoto perché, naturalmente, il Sandrino non era ancor tornato... No, era meglio, meglio che non pensasse dove e con chi adesso si trovava, perché se si fosse lasciata andare a quei pensieri... Quel giorno poi, col temporale che c'era stato!
« Figurati Edvige se avrei il coraggio di venir qui a dirti una cosa come questa, quando non ne fossi più che sicuro! L'ho visto io, coi miei occhi, [...]

[...]darle qualcosa di sempre diverso e particolare. Questo, a parte il conquibus nudo e crudo che, di tanto in tanto, doveva lasciarle sul tavolo. Affari suoi; e, per quelle cose li, una volta che contento era lui, contenti eran poi tutti.
Ma l'offesa di sentirsi dire che, per tirar insieme quanto occorreva all'affitto e al riscaldamento, lei poteva anche andar lá, ad aiutar due o tre ore al giorno, la sua bella Margherita o se no, farsi dar da lei dei lavori che poteva poi confezionar li, in casa; quell'offesa come mandarla giù?
Idea della sarta anche quella; poteva giurarlo. Si, ma allora, avrebbero avuto un bell'aspettare tutt'e due che lei scendesse a un simile disonore! Piuttosto che quello, avrebbe fatto la sguattera! E la sguattera in una latrina!
Il rumore sordo e ovattato d'una macchina che cominciava a brontolar giù nella strada, colpi la Redenta in quei pensieri, tanto che li per li non si senti in grado di dirsi se era la stessa di prima che, esaurito lo scopo, se ne partiva o invece una che arrivava proprio in quel momento.
[...]

[...]i di palestra e i loro capi! Ma tu ti dimentichi chi sei,
da che famiglia vieni fuori e che idee hanno tuo padre, tua madre
e tua sorella ».
« Non mi dimentico di niente ».
« No ? E allora spiegami perché non ti fai più vedere al Cir
cola... ».
« Perché ho altro da fare ».
« Lo vedi? ».
« Ma cosa vuoi che veda! E poi, senti, la fai tu la vita che vuoi?
SI? E io faccio quella che voglio io. Non sarà anche la tua, una
libertà come quella dei preti ».
«
Antonio! » — fece il Carlo alzando di colpo la voce.
« Ascolta, va'; lasciamo dormire chi dorme e andiamocene a letto anche noi; che se proprio vuoi, di questa faccenda potremo parlar con più comodo un'altra volta... » .
« No, ne parliamo adesso! ».
« E allora parla. Ma, se é possibile, senza gridare ».
« Ecco; senza gridare » — fece la madre, aprendo di colpo la porta e intervenendo inaspettata ma decisa nella conversazione.
« La vedi, la vedi chi è la tua protettrice ? — gridò il Carlo preso di contropiede da quell'improvviso intervento; poi, rivolgendosi alla madre — Non [...]

[...]a sola e convien passarla il meglio possibile... ».
« E allora, giù corruzioni, giù tradimenti! ».
« Ma chi corrompe ? Chi tradisce ? ».
« Voglio sperare che saprai cosa dicono intorno di quel porco del tua presidente... ».
« E allora? ».
« Allora, allora! » — ribatté il Carlo.
«E poi — incalzò l'Antonio, senza lasciar respiro — non potrai pretendere che tutti si divertano a strappar manifesti ».
« Antonio! — urlò il Carlo — Con la storia dei manifesti é ora di finirla! Ho detto anche a lei che, se é necessario, son disposto a rifar la stessa cosa per tutta la vita. Perché, io, ricordati, io non sono come te; io alle mie idee e alle idee che m'ha insegnato mio padre ci credo e ci credo fino al sangue! ».
In quel momento sul vuoto della porta che la madre aveva lasciata aperta apparve, per restarvi immobile e dura, la Liberata; più bianca della camicia, gli zigomi tesi e gli occhi fissi, essa guardò per un attimo l'Antonio, poi disse:
« E' vero: fin al sangue ».
Quando, alla fermata di largo Boccioni, il Sandrino scese dal tram,[...]

[...]l tram, l'una e mezza era già passata e il fetore che veniva dal Pero, mescolandosi all'umidità, aveva reso l'aria irrespirabile; salutati in fretta e furia i due amici con cui, prima e dopo il temporale, aveva girovagato per il Parco, il ragazzo prese a camminar subito verso casa, pieno d'una stanchezza e d'uno stordimento contro cui poco poteva quel che pure aveva li, in tasca, e che gli assicurava oltre ai pasti per un giorno o due, il cambio dei calzoni, giusto come quelli che, verso sera, aveva visto al Carrobbio, nelle vetrine dell'« Araldo ».
Quando poi, percorsa Via Aldini, arrivò al fabbricone, trovò sull'ingresso la Candida che stava baciandosi con uno di cui non
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gli fu possibile veder niente; poiché al rumore dei suoi passi lo sconosciuto si girò subito, mostrando cosí solamente la schiena. Tl Sandrino guardò per un attimo la moto che se ne stava ferma dietro i due, poi riprese a camminare, riuscendo a sentir a malapena la Vaghi che, a voce non molto bassa, diceva:
«Niente, niente. È uno di qui, uno che ha tutto l'interesse a tacere... »
Afferrato il riferimento e scrollatasi di dosso ogni irritazione con un colpo di spalle, lo Schieppati attraversò l'orto. Quando poi, salite le scale, fu sul punto d'aprir la porta, uno scroscio precipitò giù per la tubatura di scarico così fragoroso da far credere [...]

[...] così e non disperarsi, non piangere; — adesso la Schieppati parlava con voce soffocata si dal bisogno di non farsi
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sentire, ma piena poi di dolore e d'indignazione — Perché ormai
lo so con precisione; ti posso dir tutto, guarda; e te lo posso dire
per filo e per segno... »
« E allora, dillo ».
« Non far così, Sandrino, non far così con tua madre... »
« Dillo, su, sentiamo, sentiamo cos'è che hai saputo... »
« Ieri, uno dei tuoi zii... »
« Uno dei miei zii ? E cosa vuoi che m'importi, a me, dei
miei zii? »
« Uno dei tuoi zii, lo zio Mario, ecco, lui, ieri, verso sera... »
« Verso sera? »
« T'ha visto... »
« M'ha vista? E dove? »
« Ai Boschetti... »
« Ai Boschetti ?... »
« Si, ai Boschetti, intanto che combinavi con un tale... »
« Ma non farmi ridere! »
« Ah, ti faccio ridere! E allora ascolta: fuori dal coso lá...
Mi fa schifo a dirlo, schifo! Be', fuori di lá, sei poi salito con quel
delinquente sulla sua macchina... Ti basta? Era una macchina
targata Como. E' o non è la veritá? » — giunta a quel punto la
madre che, nel fare quella dichiarazione aveva sentito d'arrischiar,
forse per sempre,[...]



da Danilo Dolci, Pagine di un inchiesta a palermo, introduzione di Ernesto De Martino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]alche cosa si muove persino in questi ambienti sociali così obbiettivamente compromessi, e che oltre le forme tradizionali della rassegnazione, della disperazione e della ribellione anarchica, comincia persino qui a farsi luce una più consapevole coscienza civica, mediata da quei partiti che laggiù stanno assolvendo una funzione ((liberale» fra questi oppressi, i partiti di sinistra. Le tre biografie che seguono la breve analisi delle condizioni dei cortili Cascino testimoniano appunto questi diversi livelli di coscienza civica, e relativamente alle prime due la biografia di Gino O. documenta certo il livello più alto. ll testo delle biografie è stato trascritto dal Dolci con
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tutta la scrupolosa fedeltà che é necessaria per documenti che non sono destinati ai letterati, ma unicamente ai politici di oggi affinché se ne giovino nella loro opera e agli storici di domani affinché sia piú concreto e individuato il loro giudizio. Abbiamo abbastanza fiducia nella intelligenza dei lettori per non temere ch[...]

[...]afia di Gino O. documenta certo il livello più alto. ll testo delle biografie è stato trascritto dal Dolci con
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tutta la scrupolosa fedeltà che é necessaria per documenti che non sono destinati ai letterati, ma unicamente ai politici di oggi affinché se ne giovino nella loro opera e agli storici di domani affinché sia piú concreto e individuato il loro giudizio. Abbiamo abbastanza fiducia nella intelligenza dei lettori per non temere che taluno possa scandalizzarsi di alcuni pochi particolari molto crudi della biografia di Gino O.: la rivista si svolge a un ristretto pubblico di studiosi e pertanto non é legittimo lo scrupolo che quei particolari, indebitamente fraintesi nel loro significato, possano turbare le candide anime di fanciulli e di fanciulle.
ERNESTO DE MART P%10
CORTILE CASCINO
È chiamata « Cortile Cascino » la zona — a 200 metri dalla Cattedrale — da via D'Ossuna a Cortile Grotta; e, in senso lato, anche l'altra, a nord, separata dalla prima dalla linea ferrata.
I nudi e sudici bamb[...]

[...]o fare?».
Qui una vedova di 68 anni vive facendo la lavandaia; li un marito, ma il caso é unico, «é morto divertendosi, bevendo troppo vino ». Da un cortiletto, largo tre metri, si scende, curvi, in una grotta di 2,80 X 2,20 nera, madida già d'estate, dove il terreno bagnato cede molle alla persona che si muove: non si capisce — orrido indimenticabile — come possano dormirci in otto.
Di sera soprattutto, « bugliunu gli scarafaggi ».
Nel primo dei «Cortili Cascino» le stanze sono 130 circa per 160 famiglie; nel secondo sono 80 per un centinaio di famiglie.
Essendo costanti le caratteristiche, si sono considerate 100 stanze consecutive, di cui riportiamo alcuni dati (v. lo specchio intercalato).
La maggior parte delle famiglie, spiegando noi il perché del lavoro, é stata ospitale; alcune opponevano difficoltà perché « non volevano andare sul giornale: tanto le cose vanno sempre avanti così. Vengono specialmente per le votazioni, talianu (guardano), si schifianu o promettono case popolari: ma se ne vanno tutti ».
Le 100 abitazioni, co[...]

[...]sta; 1 falegname; 1 « petrusinaro » (venditore di prezzemolo).
Delle donne, 11 lavandaie, 11 cameriere, 2 comprano capelli a 40 lire ogni 200 grammi e fanno parrucche, qualcuna «lava scale »; le altre in casa.
Settantaquattro sono i bambini fino a 3 anni. Spesso denutriti, malati spesso di «infezioni, intossicazioni, interocoliti, polmoniti »; di questi malanni, negli ultimi 10 anni, ne sono morti un'ottantina; anche per «mancanza di latte ».
Dei bambini da 3 a 6 anni, 2 soli vanno all'asilo: gli altri 43 no.
Da 6 a 13 anni, 33 ragazzi vanno a scuola (spesso a 12 o 13 anni frequentano la 2a o la 3a): ma 45 ragazzi, in obbligo di scuola, né vanno né ci sono mai andati, a scuola.
I figli, non trovando lavoro, crescendo, continuano, per lo più « trafficanti» e cenciaiuoli, l'attività dei padri: di cui 31 sono stati, anche diverse volte, in carcere: ma per lo piú, « per cose di poco conto ».
Essendo 386 le persone oltre i 6 anni, e 317 gli anni complessivi di scuola, ogni persona, di media, ha frequentato 8,2 decimi di prima elementare.
140 DANILO DOLCI
Leggenda: L.P _ libretto povertà; I = larghezza o lunghezza
N. Farn. L. P. Stanze
N. 1. 1. h. 0 Ÿ
o
i F.G. 2 4,0 4,0 3,5 m
3,3 4,5 3,5 no
2 U.A. 1 2,5 2,3 2,4 no
3 F.A. 1 3,8 3,6 3,6 m
4 P.G. si 1 2,8 3,5 3,2 no
5 S.V. 1 2,2 7,0 3,2 no
6 P.V. 1 3,8 3,6 3,2 no
7 L.L. 1 3,5 3,2 3,6 no
8 P.A. si [...]

[...]o no
3 2 no no
6 3 no no
4 2 no no
4 2 no no
2 2 no no
3 3 no no
3 2 no no
7 2 no no
2 2 no no
1 1 no no
4 no no
6 2 no no
5 2 no no
9 5 no no
7 2 no no
6 2 no no
4 2 no no
4 2 no no
4 2 no no
4 2 no no
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PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO
o altezza; m = abitabile; letti (Ip.) = letti a una piazza.
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casal. mend. parruc. casal. lavand. casal. casal.
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camer. cas. lav. lavand. casal.
casal. casal.
Professione
casal. casal. casal. casal. casal. casal.
casal. casal. casal. casal.
tratf.
netturb. traff.
traff. inval. traff. portant. mil. traff. cenc. manov. traff. petrusin.
cene. cenc. cene. cene. ce[...]

[...]61 A.R. 1 grotta 2,2 x 2,8 no 7 2 no
62 I,.N. 1 3,0 4,0 3,5 no 8 2% no
63 M.A. I 3,0 3,8 3,5 no 6 2 no
64 P.G. i 4,5 3,5 3,0 no 6 2 no
65 C.D. 3,5 4,0 3,2 no 7 3 no
66 A.G. i 3,0 3,0 3,0 no 2 2 no
67 C.G. 1 3,0 3,0 3,0 no 3 2 no
68 A.V. 1 4,0 4,0 3,5 no 7 2% no
69 A.G. Si 1 3,8 3,5 3,2 no 1 1 no
70 P.A. 2 1,8 2,5 2,5 no 8 3 no
3,8 3,5 3,2 no
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 143 ,
Tot. anni scuola
Professione Numero dei figli Scuola
Madre M p o
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Carcere Scuola
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volte tot. pat.
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cenc.
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traff.
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manov. traff.
garz. marmista
inval. calz. vinaia casal.
casal. casal. camer.
parruc. camer.
casal. camer. camer.
casal. lavand. casal. casal. lavand. casal.
casal.
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no no no no no no no no no no no no no no
no no no no no no no
no no no no
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no no no no no no no no no no no no no no no no no no no
no no no no nò no no
PAGINE DI,UNA INCHIESTA A PALERMO 145
Professione ' Numero dei figli Tot. anni scuola Carcere volte tot. Scuola Casi tifo
nonni
pat.
Padre Madre da O a 3 da 3 a 6 asilo no da 6 a 13 scuola no oltre i 13 Padre
Madre
casal. — — — _
calz. cucit. 1 1 1 D — 2
crom. casal. 1 2 1 1 — 1 a 1 — —
usciere , casal. 5 5a — 15 — —
traff. casal. 1 2 — — 3 — — 1
traff. casal. 2 1 1 1 1 — 25 8 — —
traff. casal. 3 1 3 3a — 11 — —
traff. casal. 2 2 25 4a 12 — —
traff. casal. 1 3a 3a 6 — —
traff. casal. 2 1 — — —
traff. camer.[...]

[...]d. casal. 4 — — 11 — —
bracc. casal. 2 3a — 3 — —
traff. casal. 1 2 — — — — —
casal. 2a 7 — —
traff. casal. 1 2 1 — — — — — 5
casal. 1 3 D 5 — —
lava
scale 1 1 3a 3 — —
traff. casal. 2 2 — — — ? ? — 25 1
traff. casal. 1 — 2a 2 2a —
traff. casal. 1 — — — — —
146 DANILO DOLCI
Tre sole famiglie hanno padre e madre che sappiano leggere e scrivere. Dei loro genitori, solo due coppie sapevano leggere e scrivere. Andando di questo passo (calcolando 30 anni ogni generazione), solo tra 3000 anni tutti gli sposi di qui non saranno piú analfabeti.
ANTONIA R.
« Io, mia sorella e quattro picciriddi e lo zio mio dormiamo qua nella grotta. Stiamo testa e piedi. Se si sveglia uno, si svegliano tutti. Ci avemu un nutricheddu, certo scennemu se fa acqua. Se uno si curca, aggranca a dormire sempre cussi; aggranca e si stinnicchia e dice l'altro: — Aspetta che mi metto buono. — Chiddu in fondo dice: — Lassami mettere lu pede.
Quattro a li pedi e quattr[...]

[...]esi fa c'è andato sotto il treno un piccolo di cinque anni di alcune case più sotto.
A duecento metri dalla Cattedrale, dal centro di Palermo.
Oltre i cenciaioli e le lavandaie, alcuni non fanno nulla, alcun i fanno le bandierine con l'immagine di Santa Rosalia, poche fanno le prostitute ma in altra parte di Palermo, perché li siamo troppo stretti: per non essere viste dal vicino di casa.
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO' 151
La maggioranza dei bambini non va a scuola. Giocano nel cortile, nella puzza. Quando hanno dodici, tredici anni, le ragazze si cercano subito di sposare. Si sposano fra noi stessi del cortile, tra cenciaioli, tra piccoli cenciaioli e piccole lavandaie.
Sono ritornato da prigioniero l'8 ottobre '44. Circa un mese di viaggio. A casa ho trovato la famiglia mezza morta di fame. Allora non ero sposato. Quando sono arrivato a Palermo, si sono presentati due amici miei, mi hanno chiesto se lavoravo, e io ho risposto che non lavoravo. Mi hanno portato con sé a trasportare un po' di legna che era abbandonata tra le mac[...]

[...]no giorni che si guadagna 300 lire, settimane intere che non si guadagna nulla. Qualche volta può capitare di guadagnare 1000 lire o, qualche colpo, di più. Questo mestiere, arrivato a mezzogiorno, non vende più nessuno. E finita la nostra pe
152 DANILO DOLCI
ranza. Tutti nel cortile facemo lo stesso: in tutto saremo duecento. Il posto di concentramento di stracci e ferro e rame, a Palermo, éproprio questo.
Si comprano le bucce degli aranci, dei mandarini, dei limoni, a 10 lire al chilo. E si rivendono al magazzino. Il magazzino li rivende a 16, 18 lire, alle fabbriche di essenze.
Molti dei bambini vanno in giro a raccogliere cicche per la strada: le sbucciano e le vendono. Ma non li spendono loro: li danno in aiuto alla famiglia. Ci sono gente che lavorano nei cantieri, gente bisognosa che non può comprare sigarette vere, comprano dieci, venti lire di questo tabacco, per risparmiare. Vanno, questi piccoli, al centro della città, in via Libertà, al Massimo, dove passa la popolazione. Se le guardie l'acchiappano li portano al Malaspina, la casa di correzione. È proibito, é vergognoso: capiscono che è uno smacco per loro stessi.
Quando piove non si lavora: in quasi tutto l'invern[...]

[...]o stessi.
Quando piove non si lavora: in quasi tutto l'inverno si lavora pochi giorni. Nell'inverno si va da quello della pasta, o quello del pane, per fare un po' di credito. E poi giriamo da una bottega ad un'altra perché uno solo, una volta può fare credito: 1000, 1500 lire.
La gente del cortile nel pomeriggio, stiamo sulla strada al passaggio a livello, con la speranza di guadagnare qualche lira, perché li ci sono i punti di concentramento dei magazzini, e qualcuno può portare un po' di ferro, qualche cosa. C'é chi gioca a caste; c'é chi va alla cantina; c'é chi sta al sole, se non ha soldi. Si parla, nella cantina, di ferro, di rame, della vita della giornata, confortandosi l'uno con gli altri. Io domando a quello: — Quando hai guadagnato? — E lui dice, secondo: — 500, niente, poco. — E ci consoliamo fra noi altri. Questa storia é nata da eredità. La mia famiglia é in questo posto da 110 anni.
Quando noi ci ritiriamo senza nulla, nella maggioranza delle case capitano liti. — Cosa vai a fare per la strada? — dice la moglie — nessu[...]

[...]saiolo o un centro di insegnamento di borsaioli. E la cosa ancora continua, lì e a Ballar) e altrove, ma è meglio non essere troppo precisi se no li vanno ad arrestare tutti: gli fanno più male, invece di aiutarli e dargli lavoro. Che non si ripeta come alla calata del Mori: era suc cesso che per sanare il male, mettevano in galera pure Dio. Se c'era qualcuno che s'accorgeva dell'operazione, in questo rione,' nessuno parlava, anche i proprietari dei negozi: si poteva star sicuri di poter scappare, quando «s'attuzzolava », che significa: era scoperto.
Ci sono anche ora « le squadre » addette per il borsaioli, ci sono gli agenti cosiddetti specializzati, ma non hanno nessuna specializzazione. Allora ce n'erano famose, capitanate dal terribile Sciabbica che ora è in pensione e che ora, per istinto, ancora privatamente va in cerca... — Un altro famoso capo squadra c'era — lu Signorino —, perché era tutto impomatato. Sciabbica correva come una lepre.
Mi ricordo ancora che « scennevo », (mettiamo io ero « apparanzato » con te, e « scendevamo[...]

[...]ezzi, che è tutta la tresca. Poi c'è « a nona », che è quello che prende di petto l'uomo o lo prende dietro le spalle, facendo finta che vuol passare. Poi si fanno le parti tra tutti se il colpo riesce. Ognuno secondo l'opera prestata : « a nona » prende quello che vogliono dare gli altri. La parte uguale viene divisa tra il ragazzo e quello che ha preso il portafoglio. « A nona », nella paranza, viene considerato un avventizio. La maggior parte dei borseggiati sona dei contadini, venuti dalla provincia o per entrare in una clinica o in cerca di lavoro a per fare la provvigione, e portano i risparmi della loro fatica. E poi vanno ricercati « i fardaioli »: quelli che vengono dalle Americhe, dopo aver lavorato laggiù per molti anni: questi spesso hanno « u surciu abbuzzatu » : pieno di soldi. Poi ci sono gli specialisti per gli autobus, ché non sono tutti capaci di fare una cosa. Qui la difficoltà sta nell'alzare, soprattutto d'inverno, quando c'è il cappotto, per sfilare dalle tasche dei calzoni.
Fino a dodici anni, sempre la stessa cosa. Tante volte per fa[...]

[...]di lavoro a per fare la provvigione, e portano i risparmi della loro fatica. E poi vanno ricercati « i fardaioli »: quelli che vengono dalle Americhe, dopo aver lavorato laggiù per molti anni: questi spesso hanno « u surciu abbuzzatu » : pieno di soldi. Poi ci sono gli specialisti per gli autobus, ché non sono tutti capaci di fare una cosa. Qui la difficoltà sta nell'alzare, soprattutto d'inverno, quando c'è il cappotto, per sfilare dalle tasche dei calzoni.
Fino a dodici anni, sempre la stessa cosa. Tante volte per far « lavorare » bene i piccioteddi, gli promettevano che li avrebbero portati ai casini. I ragazzini si facevano le seghe in comune, ognuno per conto
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 157
suo, una specie di gara a chi godeva prima. « Calava u' duce »: che a quell'età non c'era ancora sperma. Una specie di estasi.
Una volta ci hanno portato in quattro in camera da una donna che dedicava le sue opere particolarmente a questi bambini: essa si gettò nel letto supina; il più grandicello, appunto perché tale, ci andò sopra pro[...]

[...]ell'uomo. Quello si impietosiva, si chinava cercando di proteggermi dalle busse, e intanto l'altro gli sfilava il portafoglio. Perché io fossi messo a conoscenza che l'operazione era riuscita, vi era un segnale convenzionale: mi faceva « a resta »: raschiava con la gola. Allora io mollavo.
Spesse volte eravamo accompagnati da una carrozzella da nolo, con il vetturino che già sapeva, per precauzione nel caso si fosse scoperti. Una volta in corso dei Mille, qui a Palermo, all'altezza del Mulino Pecoraro, mi vedo venire un uomo che portava una decina di fiaschi vuoti. E ci gettammo per l'operazione. Questo, mentre l'altro gli stava sfilando il portafoglio, se ne accorse. E allora, fingendo che gli stavano cadendo i calzoni, pregò un altro curioso che passava, di reggerci i fiaschi: e prese la rivoltella e incominciò a sparare. Noi tutti impauriti ci buttammo subito sulla carrozzella e fuggimmo. Che poi la gente credeva che fosse un rapimento di una ragazza, come di costume.
Che da Palermo e Napoli, si girava. Si stava in albergo, ci si do[...]

[...] in tre, abbiamo incontrato una donna che poi portammo all'albergo. Io avevo un quattordici anni, gli altri erano maturi. Prima ci andarono gli altri, per ultimo io ci passai la notte e questa mi ha fatto raccontare cosa facevamo. La mattina dopo, questa é sparita senza farsi pagare. E ci siamo accorti, quando la polizia ci ha arrestato, che la polizia sapeva tutto quanto io avevo raccontato alla donna. Li s'era a farci da « nona » un brigadiere dei carabinieri, palermitano come noi, che conoscevamo. Perché abbiama pensato che la donna era una spia? La polizia insisteva nel voler sapere da me se il brigadiere, che poi hanno fatto maresciallo, era dei nostri, come io nel... m'ero lasciato scappare.
A quindici anni sono stato proposto per il riformatorio di Santa. Maria Capo a Vetere, provincia di Napoli. Uno di quelli con i quali lavoravo, dispiaciuto che dovessi essere rinchiuso, mi accompagnò sulla nave (ma incognito, la guardia non sapeva niente), quasi fino a destinazione. E sul treno mi porse un medicinale da strofinarmi negli occhi, perché fossi riformato alla visita al Riformatorio. Cosa che feci, perché anch'io volevo starmene libero e ormai mi piaceva girare l'Italia. Difatti dopo Otto giorni fui riformato: ma ancora oggi agli oc[...]

[...]povarin, daghe un pezo de pan, una gota de vino —. Che cosa ci avevano di educatori quelli là non si sa: se il primo lasciava tutto alla legge dell'anarchia, quell'altro voleva fare andare dritto tutto e invece andava tutto storto. Non si sa se andava peggio prima o peggio dopo.
Li ho incominciato dalla terza, per finire alla sesta elementare: mi han portato li perché sapevo un po' leggere per conto mio, avevo quasi la barba e ero came il padre dei bambini del paese, che erano mischiati insieme nella classe. Mi ricordo ancora che il primo giorno di scuola c'era il maestro che aveva disegnato un triangolo alla lavagna e diceva: — L'area del triangolo si trova moltiplicando la base per l'altezza e dividendo... —, e mi domando: — Tu laggiù l'hai capito? — Io non avevo capito niente ma gli dissi di si. Dettava: — O cavallina cavallina stoma, virgola —, e io scrivevo — virgola —; e poi: — Tu fosti buona ma parlar non sai, punto —, e io scrivevo — punto —.
Avevo diciott'anni quando frequentavo la sesta; e perché anda vamo a baciarci in mezzo[...]

[...]qualche cosa a mia moglie. Mia madre, che comprendeva la mia intima lotta, una sera mentre a tavola mangiavo un piatto di minestra, mi disse: — A Gi', stai attento a quello che fai. Ricordate che adesso ci hai moje e nun poi fa' quello che te pare, speciarmente che quella na regazzina —. Quel consiglio mi rasserenò e, pare, mi portò fortuna. Pochi giorni dopo trovai lavoro in un barbiere napoletano guadagnando 25 lire la settimana oltre le mance dei quali il padrone teneva conto, altrimenti avrebbe dovuto darmi 35 lire. Mi sentivo finalmente felice.
Poi mia moglie usci dall'ospedale e siamo andati ad abitare alla Marinella, in casa di una mia cugina. Ogni tanto andavo a trovare la mamma adottiva e, ora che lavoravo e avevo qualche soldo, cercavo di aiutarla ché suo marito era stato facchino di quelli numerati alla stazione e adesso viveva con una percentuale che gli davano i vecchi compagni di lavoro. Non aveva nemmeno la soddisfazione di un sigaro o di un bicchier di vino, la vita gli era diventata un tormento, ed io in riconoscenza di[...]

[...]elle brontolavano perché non c'era niente da mangiare, quando arrivai io. Mia sorella mi disse: — Gino, u papà have i piccioli e nun vole accattare u mangiare —. Allora mi rivolsi a mio padre per accertarmi. Mio padre mi confermò si di avere i soldi, ma erano relativi ai documenti di una cliente. La sua rettitudine mi meravigliò, conoscendo io quali erano una gran parte degli spicciafaccende a Palermo: imbroglioni e truffatori legati agli uffici dei tribunali, nelle preture, dappertutto. Se tu vuoi un documento falso, attraverso questi si riesce ad averlo.
Ho dovuto poi uscire di casa da mio padre, perché sua moglie, la sera mentre eravamo coricati su due materassi per terra, ci tirava i sassolini. Per farci credere che nella casa c'erano gli spiriti. Difatti una volta mia moglie voleva uscire per il gabinetto, e mi disse tremando: — Gli spiriti ci sono in questa casa, Gino —: le avevano buttato sassolini. Una sera gli spiriti ce li feci io a sua moglie: nella stanza dove dormiva mio padre e moglie, c'era un altarino da dove ci veniva l[...]

[...]enuti per arrestarmi sotto l'accusa di aver trasgredito al manifesto di Alexander. Mi hanno dato: — Lei non conosce il manifesto di Alexander? — Io non conosco niente, la gente muore di fame —. E mi hanno inviato al tribunale militare, il quale mi ha dato un anno con la condizionale.
Dopo alcuni giorni é venuto al salone un maestro di scuola, il quale mi ha invitato, per quello che avevo fatto, ad andarlo a trovare dove avevano sede le riunioni dei socialisti. Perché ancora non avevano il permesso di organizzarsi pubblicamente. Ho frequentato alcune riunioni. Un giorno si doveva votare un ordine del giorno che non condividevo e sono stato rimproverato per il mio modo di esprimermi. Avevo presentato la domanda d'iscrizione, ma siccome mi ero stufato, perché si facevano sempre discussioni e io volevo agire, non sono andato più alle riunioni. Poi ci fu l'autorizzazione e aprirono la sede. E rifrequentai. Organizzai una dimostrazione dei barbieri e in questa occasione conobbi un comunista il quale mi disse che il mio posto era nel partito c[...]

[...]permesso di organizzarsi pubblicamente. Ho frequentato alcune riunioni. Un giorno si doveva votare un ordine del giorno che non condividevo e sono stato rimproverato per il mio modo di esprimermi. Avevo presentato la domanda d'iscrizione, ma siccome mi ero stufato, perché si facevano sempre discussioni e io volevo agire, non sono andato più alle riunioni. Poi ci fu l'autorizzazione e aprirono la sede. E rifrequentai. Organizzai una dimostrazione dei barbieri e in questa occasione conobbi un comunista il quale mi disse che il mio posto era nel partito comunista. Io non trovai nessuna difficoltà e mi iscrissi al partito: 1943. Ho cominciato subito ad essere responsabile di una cellula di strada. Poi di una sezione. Leggevo con piacere, perché oltre ad apprendere la dottrina del partito, soddisfacevo una mia esigenza di studio che avevo avuto sempre. Organizzavo delle letture in collettivo, con degli operai: abbiamo incominciato col « Materialismo storico e dialettico » di Marx. Ci sforzavamo a capire, mesi e mesi. La storia del partito bol[...]

[...]non sarebbe venuta entro il termine della mia vita. Mi hanno risposto che il solo fatto che io studiassi in quelle condizioni era un fatto positivo, e che la storia non si doveva misurare con la vita di un uomo. Un giorno mi sentii congratulato da un compagno perché avevo risposto bene ai temi finali: il sedicesimo su quattromila. Poi mi hanno messo a lavorare nel Comitato Direttivo e quindi condividevo la responsabilità del lavoro, in direzione dei contadini.
La prima volta che andai a tenere una riunione in un paese di provincia, i contadini attendevano il responsabile in prima persona. Trovai la stanza addobbata a festa. Quando videro che ero io, mi dissero : — Ma comu; tu venisti? Avia a venere P... —. E io ebbi la sensazione che si fosse creato il mito uomo e fin da allora mi sforzai a dire ai contadini che non ci sono, nella lotta di classe, interessi particolari, e quindi l'uomo si perde di fronte alle masse. Specie quando
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 167
questo non sa interpretare questi interessi. Me ne tornai contento p[...]

[...] mutata in affetto e in simpatia perché, malgrado non sapessi ancora esprimermi in termini tecnici, avevo saputo parlare un linguaggio da uomo che aveva lottato per il diritto alla vita. E li c'è la redenzione: in principio avevo lottato solo e per me...
Mi inviarono al Congresso nazionale della Federbraccianti a Mantova, nel '49: e li ho avuto la sensazione viva che i contadini siciliani, che in quel momento si accingevano ad occupare le terre dei baroni, non erano soli nella lotta, ma con tutta la classe operaia italiana. M'é venuto da piangere quando una popolana leccese, salita sul podio, scusandosi di non sapere l'italiano ha detto: — Fino quando nun ci dannu la terra, fino a quando li picciriddi mie tengono li piedi scalzi, io non mi stancherò mai di lottare assieme alla mia compagna e non m'importano le bastonate della polizia —.
Poi sono tornato e subito andato a Marineo, dove c'era in corso la lotta per l'occupazione delle terre. Trovai li un compagno il quale aveva generato una confusione da non capirci piú niente, e l'indoma[...]

[...]n sapere l'italiano ha detto: — Fino quando nun ci dannu la terra, fino a quando li picciriddi mie tengono li piedi scalzi, io non mi stancherò mai di lottare assieme alla mia compagna e non m'importano le bastonate della polizia —.
Poi sono tornato e subito andato a Marineo, dove c'era in corso la lotta per l'occupazione delle terre. Trovai li un compagno il quale aveva generato una confusione da non capirci piú niente, e l'indomani alla testa dei contadini mi portai sul fondo che occupammo. In quell'occasione ho ricevuto una lezione dura, dal punto di vista pratico: perché mentre io, con la lettura dei kolcos in Russia, invitavo i contadini alla coltivazione collettiva, essi invece procedevano allo spezzettamento e alla lavorazione individuale. Si preoccupavano di delimitare la loro porzione, con una cinta, delle pietre, le redini del mulo, come quando sul treno si precipita la gente all'occupazione dei posti, buttando cappelli, borse, giornali.
A me la cosa sembrava strana e chiamai un contadino, dicendo che la cosa non era giusta; e questo mi rispose — Scusami compagno Gino: se io lavoro il terreno col mulo, e quello lo lavora solo, all'ora del prodotto io n'ho a pigliare più assai.
La sera prima, quando si decise di occupare la terra (noi cerchiamo di non dare la sensazione di essere noi che organizziamo, ma di andare sul posto per sentire quali sono le esigenze vive, e aiutarle a riuscire), i contadini ci dissero che dovevano essere tutti all'alba in un punto. Difatti ci trovammo li, n[...]

[...]che avrei parlato dentro i locali della Camera del lavoro che trovai affollatissima. I pressi della Camera del lavoro e le vie vicine erano perlustrati dai gruppi di carabinieri, tra questi anche quelli della C.F.R.B. (Comando Forze Repressione Banditismo). Seppi che si voleva a qualunque costo evitare l'occupazione del feudo. Partii per Terrasini, visitai Partinico e da qui a Montelepre. Ovunque mi portavo, ovunque leggevo chiaramente nel volto dei contadini la loro contentezza per l'approssimarsi della realizzazione di un loro sogno secolare: « un pizzuddu di terra ». È difficile descrivere il mio stato d'animo di quei momenti. Montelepre era a quel tempo al centro dell'attenzione internazionale ed &a mi trovavo a Montelepre, centro del banditismo.
Alcune volte pensavo che trentasei capi contadini, in Sicilia, erano già caduti sotto il piombo dei sicari. Chissà... Eppure avevo commesso delle imprudenze: da Montelepre ero andato a Carini, assieme a un contadino, a piedi, prendendo in mezzo le trazzere. Una volta da Partinico a Montelepre. Tu capisci? Neanche durante la guerra di liberazione avevo pensato a questo, forse perché li il nemico lo avevo di fronte; qui invece da un momento all'altro mi poteva capitare di ricevere una schioppettata da dietro un palo di fichidindia.
Una sera mentre parlavo nella Camera del lavoro di Montelepre é venuto un carabiniere che mi invitò a seguirlo in caserma perché mi voleva parlare il maresciallo.[...]

[...] compito sapere chi sono i forestieri. Scusi, ma lei che cosa è venuto a fare a Montelepre? Senta, non creda che io ce l'abbia con la camera del lavoro, anch'io sono operaio, anzi le dico di più: ho conosciuto personalmente a Torino la moglie di Togliatti... ». Quando me ne andai trovai i braccianti che erano rimasti fermi ad attendermi.
Durante quest'altra mia esperienza mi accorsi quanta fosse lontana, dalla mente della stragrande maggioranza dei contadini, la vera funzione del sindacato. Quasi che questa fosse per loro un'opera esclusivamente assistenziale. Pochi comprendevano che non era solo la lotta economica che bisognava fare, ma era necessario parallelamente condurre la lotta politica per dare all'Italia un governo veramente nuovo.
Sono tornato a Carini, dove c'era il coordinamento. Siccome tutta la zona era perlustrata dai carabinieri, ci preoccupavamo come dovevamo riuscire ad andare sul fondo senza farci arrestare. Era chiaro che non potevamo andare tutti in massa, altrimenti saremmo stati scoperti e arrestati. Siamo stati [...]

[...]i, compagni che arrivano. — Invece era una massa di carabinieri che luccicavano da lontano per le armi e le mostrine. Altro che compagni: armati fino ai denti, mettici quattro erre. Che per loro eravamo tutti banditi. E forse i banditi intanto stavano guardandoci da qualche pizzo col binocolo, a godersi lo spettacolo.
Erano arrivati con degli autocarri. Poi ci presero tutti e ci fecero entrare in un cortile grande, dove c'era una vecchia galera dei Borboni. Il maresciallo si mise su un tavolino (che li avevano il loro comando), e ci fecero mettere in fila, per comune, e mi dissero a me: — Lei in quale comune si mette? — Io ci dissi: — Io essendo dirigente, mi metto da parte, li rappresento tutti. — Cominciarono coi nomi, la paternità,
lit DANILO DOLCI
lei è stato denunziato, stia attento per un'altra volta. Poi ci portarono tutti nel piazzale antistante alla caserma e li l'ufficiale improvvisò una specie di comizio dicendo di stare attenti che queste cose la legge non le permette. Lo interrompemmo dicendogli di fare il carabiniere e n[...]

[...] contadini: — Avanti, itevinne alle vostre case.
Ritorna la staffetta intanto, mentre i contadini se ne vanno, e dice che avevano accerchiato Montelepre e per quello i contadini non avevano potuto venire. Quello che era tornato era un tipo in gamba, setten trionale, che non aveva paura né di banditi né di carabinieri; li arringò e li condusse all'occupazione del feudo. Ma poi glie lo hanno tolto.
Intanto a me e gli altri ci condussero vicino a dei camion che erano sullo stradale. Intanto arrivò una macchina, l'ufficiale si fece sotto e fece tanto di saluto: doveva essere il Prefetto. Dopo che la macchina andò via, subito ci ordinarono di salire su due camion e ci condussero alla caserma dei carabinieri. Quando poi si accorsero che gli altri erano andati sul feudo, ci portarono al carcere, all'Ucciardone (dove poi hanno avvelenato Pisciotta con una tazza di caffè, senza che poi nessuno fiatasse) e ci denunciarono per nientepopodimeno « istigazione a delinquere, tentata occupazione di terre ».
Nel carcere stavamo tosi stretti, in una cella per quattro, che non si poteva camminare in duq,; tra buliolo, dove si faceva tutto, e minestra, c'era una confusione di odori... Dopo sei mesi, appena uscito dal carcere (dove avevo intanto potuto approfondirmi nello studio delle questioni soc[...]

[...]lo da un scelbino. Pur mostrando il mio distintivo (lo porto «abusivamente », la galera c'è, perché è un mio diritto: lo Stato mi passa la pensione di guerra ma l'Associazione mutilati non mi vuole iscrivere perché ero pregiudicato: e adesso, a dir questo, voglio vedere se sono anche capaci di levarmi la pensione), mi hanno bastonato
buttato sulla camionetta e ci condussero alla Faletta dove trovai uomini e donne arrestate, provenienti da Piana dei Greci dove era stato ammazzato Damiano Lo Greco, un contadino che dimostrava pure per la pace.
Sono stato undici giorni in camera di sicurezza, poi portato al carcere e deferito alla commissione per il confino di polizia. Nel carcere appresi il valore che aveva « l'Unità » che, malgrado la galera, mi teneva in contatto col partito. Anzi, un giorno, aprendo la pagina, vedo che c'era un articolo sotto forma di lettera aperta, sottoscritta da tutti gli organismi di massa e da alcuni deputati, nel quale si diceva: — Chi è Gino O.? —E li la mia biografia e il maturarsi della mia lunga redenzione [...]

[...]na vita tranquilla, e mi porti qualche notizia... A me solo direttamente... Senza parlare con nuddu...
A Palermo dicono: — A tia pensu! piuttosto mi sarei ammazzato, piuttosto che fare il cioccolattaro.
A Palermo, per dire a uno « spia », ci si dice «cioccolattaro ».
I cioccolattari sono una specie di associazione, delle ganghe, costituite abitualmente da pregiudicati, quattro o cinque. Prendono un centinaio di cioccolatti, dentro ci mettono dei bigliettini con scritte delle cifre che vanno da 10 a 500, a 3000, a 4000, 5000. Questi cioccolattini numerati si aggiungono ad altri trecento circa normali.
I cioccolattini con dentro un bigliettino da 500 o 5000, hanno sulla carta fuori, segnati dei puntini impercettibili che solo i zaraffo (il compare) sa. I cioccolattari vendono i numeri come gli arriffatori. Prima, per attirare la gente, fannu u trippiu: i buffoni, come certi arriffatori in coppia: si danno schiaffi, fanno Bragalone, fanno nascere l'uovo dal cappello. Chi vince ha il diritto di pescare, a sorte. Quando la vendita fredda, interviene il compare; finisce sempre che la gente prende i cioccolattini o vuoti o con le cifre basse: 100 lire, 200. Le cifre alte le prendono i compari. Se per caso dovesse capitare che uno del pubblico prende il cioccolattino con il biglietto dell[...]

[...] malandrino che era il terrore del Capo e dell'Albergheria che oggi é al servizio della Questura. Le autorità invece di aiutare questi uomini nel lavoro e nell'elevazione loro, approfittano del loro stato di soggezione, di quello — come lo chiami tu — complesso di colpa di quello che son stati nel passato, e buttano piú sotto. Almeno quando sono così detti « uomini d'onore », hanno un certo prestigio, sia pure nella malavita; dopo, divenuti pure dei traditori, perdono anche il legame con le vecchie amicizie, schifati da tutti.
Il rapporto fra le autorità e tutta la gente che campa e non campa, é l'elemosina, il paternalismo : quando c'é. Chi ci ha bisogno, per esempio i venditori di mussu o milza, di avere per forza la merce da uno, perché ce n'é poca, lo considerano come un loro piccolo Dio: che basta che questo gli levi la partita, per morire dalla fame. Questi poveracci poi votano dove dice questo piccolo ras; votano per la partita, che a loro glie ne frega della politica, in genere. Qui ci si infilano i mafiosi per portare voti dove[...]

[...]tto persone. Poi la casa si é lesionata e ci hanno portato qui in queste scuole, con altre diciotto famiglie; le altre sono andate alla Feliciuzza. Adesso tra cinque giorni devono incominciare le scuole e non sappiamo dove andare a finire.
Mensilmente vado a revisionare il tesserino della disoccupazione: in nove anni precisi non sono mai stato chiamato da questo ufficio a fare un giorno di lavoro. E pensare che dipendo dall'ufficio collocamento dei mutilati, che c'è una legge obbligatoria dell'assunzione.
Ieri sono andato a revisionare il tesserino: scena come le altre volte. Ho consegnato il mio tesserino all'agente addetto a questo servizio. Questo, poveraccio, fa come un forsennato: deve da solo esplicare il servizio per il quale occorrerebbero, al giudizio di tutti, da quattro a sei agenti, Il lavoro massacrante lo rende esasperato, ha i nervi a fior di pelle. (Quando io ero bambino ero considerato un essere pericoloso e quelli della polizia mi scacciavano, mi perseguitavano senza nessuna comprensione: ora mi accorgo che io, divent[...]

[...]Questo, poveraccio, fa come un forsennato: deve da solo esplicare il servizio per il quale occorrerebbero, al giudizio di tutti, da quattro a sei agenti, Il lavoro massacrante lo rende esasperato, ha i nervi a fior di pelle. (Quando io ero bambino ero considerato un essere pericoloso e quelli della polizia mi scacciavano, mi perseguitavano senza nessuna comprensione: ora mi accorgo che io, diventato adulto, comprendo il loro dramma, li considero dei lavoratori sfruttati da questo Stato. Quando ero piccolo e vedevo le guardie, ero come il coniglio di fronte ai fari dell'automobile; oggi invece quando l'incontro mi fanno pieta : sono ancora allo stesso punto, non hanno fatto nessun passo in avanti: hanno la stessa mentalita).
Confusione immensa, la gente è accalcata talmente da dare l'impressione d'essere l'uno sopra l'altro. — Zitti, per favore! — L'agente chiama: — Mazzola, Ganci, Di Maggio. — Presente! — Non c'è. —
Tenga, la passi giù in fondo. — Scusi, é il mio? No. — Intanto in
mezzo la folla si brontola: — Che schifo, ma che razza[...]

[...] fa largo coni gomiti. — Documenti? Scusi lei dove va? —
PAGINE DI UNA INCHIESTA A PALERMO 177
Minasola! Minasola! — Il portone si chiude, si riapre. — Scusi ha chiamato Geraci? — Per favore il mio tesserino. — Venga domani. — Ma io sono ammalato. — Che cosa posso farci io?
È una torre di Babele, non un ufficio di collocamento.
Certe volte rifletto che son trascorsi quarantadue anni di vita senza aver approdato a niente. Però penso che parte dei miei anni li sto spendendo per agevolare gli altri, perché altri non siano costretti a fare le mie esperienze. Poi, ritengo di vivere per un obbligo verso la mia famiglia, verso i miei figli, verso il partito, che ritengo sono state le lotte, le esperienze del partito che mi hanno reso uomo nuovo. Spesso la mattina, quando mi alzo prima di andare a lavorare, vado al lettino dove dor mono due dei miei bambini e, baciando il più piccolo, penso che almeno lui ha le carezze e i baci che io non ho avuto. — A qualcosa servo anch'io — mi viene da pensare anche se mi rimane...
Questa mia vita passata così e che a un certo momento mi dava una specie di complesso di inferiorità nei confronti degli altri, malgrado questa mia nuova concezione della vita, è affiorata qua e là in certe occasioni. Specie quando bisognava avere la forza politica e morale di fare trionfare alcuni princìpi di democrazia interna del partito.
Ad esempio. Ero responsabile provinciale degli Amici dell'Unità. Un giorno, [...]

[...]trionfare alcuni princìpi di democrazia interna del partito.
Ad esempio. Ero responsabile provinciale degli Amici dell'Unità. Un giorno, durante la penultima campagna elettorale, entrando nella stanza adibita a mio ufficio, non trovai più né tutto il materiale del mio lavoro né il tavolo, niente. Andai a trovare tutto vicino al gabinetto, alla rinfusa. Cercai di sapere perché e non mi fu possibile saperlo. Seppi solo che cosí aveva disposto uno dei dirigenti. Ho avuto una specie di collasso e rimarginavo ancora... Avevo dei dubbi: ero o non ero? Poi in un'altra sezione lavoravo ma andavo di peggio in peggio fin che un giorno fui chiamato dal compagno B. Il quale con argomenti e con modi fraterni mi ha ridato fiducia nel lavoro e nella mia persona. Dopo aver sentito che lui ancora mi stimava, siccome é il maggiore responsabile, ah!..., mi sentii rinascere.
Se io dovessi continuare a lottare, misurando questa mia forza con le cose che vedo e con alcuni uomini che mi girano attorno, mi scoraggerei spesso. Ora ho imparato che spesse volte la verità è come una bottiglia con dentro olio e aceto: se tu la agiti contin[...]

[...]i avete dato modo di acquisire (e che vi prometto di farne buon uso), ringraziarvi per la indimenticabile cena che mi avete offerta prima di venirmene via; ringraziarvi infine per tutte le gentilezze e le cortesie che avete usato per me e per i miei compagni militari. Non vi dimenticherò mai. E quando sarò vecchio e mi prenderò i miei nipotini sulle ginocchia, invece di raccontar loro delle meravigliose favole di fate e di maghi, racconterò loro dei bravi compagni palermitani che lottavano per una Sicilia più bella, più progredita e libera dagli sfruttatori che la dissanguano. Racconterò loro dell'accoglienza fraterna che avete fatto ad alcuni compagni che venimmo dalla lontana Emilia ».
DANILO DOLCI



da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...] rabbiosamente. È che a lui non gliele andava mai bene una. Come guida era un fallito. Beveva. Forte e in gamba com'era, s'annoiava a portare clienti in montagna. Bevendo, partendo già dalla base con le gambe incerte e la testa annebbiata, si avviliva, s'abbassava al loro livello. Ormai, se ancora gli capitavano clienti, una, due volte per stagione, erano fanatici che si lasciavano incantare dal nome: la guida César Borgne, della famosa famiglia dei Borgne. Una seconda volta, con César Borgne, non tornavano più. Come contadino, non parliamone. Nella divisione paterna aveva avuto una casa e un orto. Quando la zia Jacqueline era morta lasciandogli un prato, aveva venduto l'orto e comperato una mucca. Ma come può un uomo di quarant'anni, forte e in gamba, scaricare le proprie energie badando a un prato e una mucca? Beveva sempre piú. Finalmente nostro Signore guarda giù e dice: 'Povero Borgne, è un disgraziato, bisogna dargli una mano'. Gli manda l'industriale di Biella, discutono, si mettono d'accordo. Affare fatto. E che affare! Macché, a[...]

[...]alomone e Salomone non protestasse, che tenesse, anzi, il bicchiere alzato finché César non glielo ebbe colmato. Fu proprio Salomone ad alzare il bicchiere brindando:
82 GIOVANNI PIRELLI
«Alla tua automobile rossa! ».
« Alla mia automobile rossa! »
« Al garage con la saracinesca che va su e giù! ».
« Al garage! »
« All'autista di Torino! »
« Con César Borgne sul berretto. Alla faccia sua! »
« Alla faccia degli invidiosi! »
« Alla faccia dei permalosi! »
« Buffoni », disse il ragazzo Attilio, al quale, evidentemente, que
st'ultimo brindisi era stato rivolto. E tirò la lingua. I due anziani,.
ormai placati, bevevano. Non gli badarono.
« Ah », fece Salomone quando ebbe deposto il bicchiere. Si sentiva
leggero. César non comperava l'automobile. Quindi non era impazzito.
Quindi del prato aveva preso poco; trecentomila, forse meno.
IV
« Parliamo seriamente », disse Salomone Croux. Era una frase che non avrebbe detto (parlava sempre seriamente) se non avesse avuto il sospetto di non poterlo più fare. César gli stava riempiendo [...]

[...]ra troppo inquieta, da tre notti sognava serpenti. Serpenti? Si, serpenti: vipere. E va bene, andasse ad Aosta. Si capisce, quando si diventa ricchi, nascono le esigenze. Una donna incinta sogna vipere? Occorre la radiografia. Viaggio, visita, radiografia: un altro bigliettone. Un altro bigliettone? Cosa volete che sia un altro bigliettone? Ce n'é tanti. Ce n'é tanti ancora, tanti...
Salomone Croux lo osservava gongolante. Sbronzo e gongolante. Dei tre era l'unico con la sbornia allegra. La sbornia del ragazzo Attilio era, ancora più che triste, tetra. Quanto alla sbornia di César, si stava facendo rabbiosa. Malediceva se stesso per aver venduto il suo unico prato e sua moglie che si era opposta alla vendita. Malediceva il pessimo affare e Salomone che si permetteva di insinuare che era stato un pessimo affare. Indietro nel tempo, malediceva la zia Jacqueline che, morendo, gli aveva lasciato quel prato. Più indietro ancora, malediceva la notte in cui suo padre e sua madre avevano fatto all'amore, sporcaccioni, non poteva suo padre andar[...]

[...]o diventato un signore. Uno con la gia %a gonfia di danaro ».
César si alzò di scatto. La testa gli girava. Andò alla credenza, vi si appoggiò, schiena agli altri due. Premeva il petto contro la credenza, sentiva il gonfio delle banconote sotto la giacca. Rimase silenzioso alcuni minuti. Quindi, senza voltarsi: « Non avete sentito? Devo prendervi a calci nel culo? ».
Il ragazzo Attilio si sollevò sulle natiche. Cercava di incontrare almeno uno dei due occhi di Salomone, di fargli un cenno. Si rendesse conto, Salomone, che con César in quello stato non c'era da scherzare. Salomone si sollevò anch'egli, pull il piano dello sgabello con il fazzoletto da naso, tornò a sedersi. Il ragazzo Attilio si senti finito in una gabbia di matti. Rimase con le natiche e le mani sull'orlo della panca, pronto allo scatto. Misurava la distanza fra sé e la porta, non perdeva una mossa di César.
E allora, Attilio ? », disse Salomone. Si pizzicava il pantalone all'altezza del ginocchio, scuotendo la testa. Fingeva di crucciarsi per i suoi pantaloni senza p[...]

[...]a mucca, l'ilare e barcollante Salomone. Ultimo, strascicando i piedi in sintonia con la sua sbornia tetra, il ragazzo Attilio. La notte era nera, umida e fredda. Una cappa di nebbia bassa sui tetti rifletteva il chiarore opaco della lanterna che César reggeva nella mano libera. Nel vicolo, tra due compatte file di muri in pietra, grigi, quasi neri, figure ed ombre apparivano ugualmente fantomatiche. Cornicioni di neve sporgevano dagli spioventi dei tetti, ma, sul passaggio dove lo
QUESTIONE DI PRATI 93
scolo delle gronde alternava disgeli e geli, la neve aveva fatto luogo ad un lucido, infido velo di ghiaccio.
«Facciamo un bel corteo », disse César. Il freddo pungente gli infondeva nuovo vigore e cattiveria. « Tu, Salomone, monta sulla mucca. Tu, Attilio... aspetta, aspettate un momento. Salomone, prendi questa ». Passe, a Salomone la catena della mucca, spari nel vano dell'uscio di casa, ne riemerse dopo pochi istanti reggendo due padelle, di quelle con il manico lungo di legno che s'usano per arrostire le castagne sulla fiamma. « E[...]

[...]bestia, sebbene contro volontà, muoveva discendendo lungo il vicolo. E con lei muoveva il corteo.
In testa, César. Aveva buone scarpe chiodate e non per niente era stato guida, teneva il busto diritto e appoggiava il piede, ad ogni passo, in modo che i chiodi mordessero il ghiaccio. Reggeva in una mano la lanterna a petrolio, nell'altra la catena della mucca. Il cappella rovesciato all'indietro, il ciuffo ribelle basso sugli occhi, la rotondità dei baffi già imbiancata di brina, cantava con voce baritonale la canzone di quando si sentiva in gran forma. Cantava: «Le duc de Bordeaux ressemble à sa mère sa mère à son pere et son père à mon cu de là fen conclu que le duc de Bordeaux ressemble à mon cu comme deux gouttes d'eaux ». Terminata la canzone gridava, ma senza voltarsi : « Andiamo bene? Bella nottata, eh? ». E ricominciava da capo. «Le duc de Bordeaux... ».
Dietro la mucca, Salomone. Aveva perduto il cappello, quel cappello che toglieva solo al momento in cui si coricava, e metteva in testa, al risveglio, prima ancora di infil[...]

[...] pantaloni. Questa perdita non lo poteva disturbare per il motivo che non se n'era accorto. Era meravigliosa
QUESTIONE DI PRATI 95
mente ubriaco, avanzava sgambettando con le ginocchia piegate come un virtuoso di balletto russo. Non era virtuosismo. Era questione di necessità. Solo mantenendo il baricentro vicinissimo a terra ce la faceva a non ruzzolare. In ciò s'aiutava con le padelle tenute una per mano dalla. parte del manico. Lo sfregolio dei due piatti sul ghiaccio, pur non corrispondendo al tipo di banda previsto da César, era tuttavia un baccano apprezzabile.
In groppa alla mucca, il ragazzo Attilio. Come, per necessità, la mucca e Salomone, ciascuno a modo suo, avanzavano sgambettando,. così il ragazzo Attilio, per necessità, stava avvinghiato alla sua cavalcatura. Con le mani le stringeva il collo, con le gambe i fianchi. Un cedimento delle zampe posteriori lo scaraventava fin sul deretano della mucca, un contraccolpo lo rimbalzava con il viso tra le corna. Era tanta la paura di finire a terra che, se gli fosse stato possibi[...]

[...]ventre della mucca Claretta. La mucca beveva, il muso immerso nel lavatoio fino alle narici fumanti. Oltre le gambe della mucca c'erano le gambe di César.
César riaccese la lanterna che nella corsa s'era spenta. La fiamma vacillò, quindi prese forza, si sollevò, illuminò l'intero poligono della piazzetta con il lungo lavatoio in pietra, l'antico pioppo cipressino ac canto al campanile, la facciata della chiesa, le case schierate fra gli sbocchi dei vicoli.
Allora si udì la voce di Salomone. Era quasi nel mezzo della piazza, seduto sulla neve gelata e diceva: « Che chiaro di luna, che bellissimo chiaro di luna ». Era completamente svanito.
« Brava, brava Claretta », disse a sua volta César. « Sei una mucca
96 GIOVANNI PIRELLI
in gamba. Ti faranno accademico del CAI ». Per Attilio nemmeno una parola. Lasciò che la mucca bevesse un paio di minuti, quindi ordinò: « Basta. Se ti gonfi come un'otre, chi ti porta piú su? ».
« Non lo fare, César, non lo fare », supplicò il ragazzo Attilio, sollevandosi fino a mettersi in ginocchio. Non ave[...]

[...]e ugualmente il peso sui muscoli delle quattro estremità. Così sistemato, non avendo più nulla da fare, cominciò a sospettare d'essersi cacciato in un guaio. Ancora non gridò, non chiese aiuto. Non lo fece per due motivi: primo, perché gli seccava di chiedere aiuto; secondo, perché sapeva che nei casi del genere gli altri fanno confusione e basta. La faccenda doveva venir risolta fra lui e la mucca. Si issò sulle braccia, abbandonando l'appiglio dei piedi, puntò il cranio contro il petto della bestia e spinse. Spinse come fosse mucca contro mucca. La vera mucca non arretrò di un centimetro; si limitò a scrollare il muso sbavando addosso al padrone. César si calò indietro, ritrovò l'appiglio dei piedi, riposò un poco, rinnovò il tentativo. Dopo il terzo tentativo si rese canto che sprecava molta energia mentre la sua antagonista non ne sprecava affatto. C'era poi l'aggravante di una sbornia che riguardava lui, non la mucca. Sentiva spossatezza alle braccia e un certo tremito che dal calcagno gli saliva al ginocchio. Brutta faccenda quando uno impastato in parete comincia ad avere il tremito alle ginocchia. È segno che sta perdendo il controllo dei nervi. Allora capi di essersi cacciato in un guaio di quelli per i quali si può anche crepare. Improvvisamente ebbe molta paura.
«Oh! », [...]

[...]riposò un poco, rinnovò il tentativo. Dopo il terzo tentativo si rese canto che sprecava molta energia mentre la sua antagonista non ne sprecava affatto. C'era poi l'aggravante di una sbornia che riguardava lui, non la mucca. Sentiva spossatezza alle braccia e un certo tremito che dal calcagno gli saliva al ginocchio. Brutta faccenda quando uno impastato in parete comincia ad avere il tremito alle ginocchia. È segno che sta perdendo il controllo dei nervi. Allora capi di essersi cacciato in un guaio di quelli per i quali si può anche crepare. Improvvisamente ebbe molta paura.
«Oh! », chiamò.
« Oh », disse Salomone, dalla fine della rampa. « Ffinalmente! ». « Sono nei guai », disse César. Gli seccava dire di piú. « Salomone? ».
« Oh », disse Salomone.
« Tira indietro la mucca ».
«Pperché? Ccosa c'è? ». Più che non dalla situazione che non tentava nemmeno di spiegarsi, Salomone era sconcertato dalla strana voce che di lontano gli giungeva all'orecchio. Era la voce di un altro. Chi poteva essere quest'altro? E César, dove si era caccia[...]

[...]a César. « Vi ammazzo! ».
Più gridava, più i due dalla scala tiravano, più la mucca s'agitava. I rintocchi si diffondevano ormai nella notte sull'intera borgata e oltre, oltre le circostanti frazioni sino ai casolari dispersi sulla costa e giù verso il fiume.
102 GIOVANNI PIRELLI
XI
Ce ne vuole, da queste bande, per cavare uno dal letto. Se il rumore è in casa o viene su dalla stalla, è un'altra faccenda. Ma se viene da fuori, si pensa a uno dei soliti ubriaconi che fa bisboccia o baruffa con i compagni, o impreca contro la moglie che ha sprangato l'uscio di casa. Affari suoi. Ci si tira la coperta sopra la testa e si ripiomba nel sonno. Infatti, per quanto forti fossero le urla di César, nessuno vi aveva badato, nessuno si era mosso. Ma quando i rintocchi della campana si diffusero sul paese ed echeggiarono nella valle, allora l'atavico senso del pericolo e della solidarietà nel pericolo spinse tutti, precipitosamente, fuori dai letti e dalle case.
I primi a giungere furono Eliseo Chénoz e suo figlio Zino, la cui abitazione dava su[...]

[...]liseo Chénoz e suo figlio Zino, la cui abitazione dava sullo spiazzo della chiesa. Nell'oscurità (erano scesi senza lanterna; quanto alla lampadina sopra il lavatorio, era permanentemente bruciata) videro una sagoma che penzolava dalla finestra del campanile, agitandosi e urlando : « Vi ammazzo, assassini, vi ammazzo! ». Cosa accadeva lassù? Chi ammazzava? Chi era l'ammazzato? Rimasero ammutoliti.
Da un'altra casa usci, allacciandosi la cinghia dei pantaloni, Laurent Pascal. Da un vicolo giunsero correndo gli uomini della famiglia Brunod: l'anziano Luigino; il figlio ed il nipote. Tutti, data uno sguardo alla sagoma che penzolava dal campanile, s'agitava e urlava, si fecero addosso ai Chénoz padre e figlio tempestandoli di domande: « Cos'è? Chi è? Cosa è stato? ».
« Cosa volete che ne sappiamo? », rispondevano i Chénoz.
« Ma se eravate qui », si spazientivano gli altri.
Frotte di uomini e alcune donne spuntavano, intanto, dalla raggera di vicoli, accrescendo la ressa intorno ai due Chénoz. Molti arrivavano con lanterne; lanterne a pe[...]

[...]Brunod. « Di César? ».
«Tu cosa faresti? », disse, cedendo al dubbio, Laurent Pascal.
Luigino Brunod non sapeva cosa avrebbe fatto. Nessuno lo sapeva. Abbattere una mucca cominciando dal sedere? Abbatterla senza il con senso del padrone? Una mucca non è un cane, una gallina, un coniglio. È un patrimonio. Riconsiderata l'iniziativa sotto questo punto di vista, nessuno, nemmeno Laurent Pascal, si sentiva ardire di tradurla in atto. Dallo slancio dei primi momenti già passavano ad un atteggiamento di titubanza, di attesa. Attesa di che? Della scure che nessuno voleva adoperare?
« Cosa diavolo gli é saltato in mente? », disse il padre Chénoz.
« Quando uno beve come beve César », disse Luigino Brunod.
Lino Guichardaz, il giovane cognato di César, si volgeva a questo
104 GIOVANNI PIRELLI
e a quello, gridando: « Bisogna fare qualche cosa! Bisogna fare qualche cosa! ».
Il ragazzo Attilio piagnucolava : « Ho freddo. Ho freddo ». Invece Salomone Croux ripeteva: « È ttutto uno sscherzo, uno sscherzo di quel ppazzo ».
Alcuni del fondo della[...]

[...]sorgeva una perplessità analoga a quella già sorta nel campanile. Abbattere una mucca, l'unica mucca di César, senza il consenso del padrone? E se invece della mucca si colpiva César? Nessuno se la sentiva, quando il '91 fosse arrivato, di sparare. Intanto, anch'essi riempivano l'attesa di parole, osservazioni e congetture inutili. Parlavano gli uomini. Le donne si stringevano negli scialli e tacevano. Qualcuna recitava macchinalmente preghiere. Dei bambini, diversi piangevano. Piangevano perché avevano freddo, o perché avvertivano il senso della tragedia, o ancora perché, avendo riso dell'uomo penzoloni e della mucca in cima al campanile, s'erano presi uno scappellotto.
QUESTIONE DI PRATI 105
Tra campanile e piazzetta c'era ormai tutto il paese; come, sul litorale, tutt'un paese di pescatori quando c'è in mare una barca sorpresa dalla burrasca. Mancavano alcuni vecchi di quelli che non escono più, alcuni ammalati. Mancava Augusta, la levatrice, e un paio di donne corse sin dal primo allarme in casa di César per trattenervi, con storie[...]

[...] », sospirò. Era caduto nel triangolo fra campanile, lavatoio e pioppo. In quel punto vi era un mucchio di neve accumulata dall'assessore Chénor il quale aveva il compito, dopo ogni nevicata, di
107
QUESTIONE DI PRATI
aprire il passaggio alla chiesa e al lavatoio. César vi era precipitato di schiena, ne aveva sfondato la crosta gelata, vi era sprofondato fino al collo. Dalla neve emergevano il viso, reso ancor più terreo dalle macchie scure dei baffi, le avambraccia con le maniche a brandelli e le mani spellate, scarnificate, sanguinolente. La sua unica mossa fu di aprire un occhio, uno solo. Lo rinchiuse subito e restò a palpebre abbassate. « Grappa », ripeté in un sospiro.
Prima ancora che si riavessero coloro che dalla piazza avevano assistito alla caduta, gli furono addossi gli altri, scesi precipitosamente dal campanile quando avevano udito lo sparo.
« Svelti », gridò il padre Chénoz, « portiamolo a casa ».
« Siete matti? », intervenne Luigino Brunod. « Non lo toccate. Lasciatelo immobile finché non viene il medico ».
« Il [...]

[...]donne. Il pianto delle donne si comunicò ai bambini.
« Grappa », implorò Cesar.
«César, come stai? Cosa ti senti? ».
« Dove hai male? Alla schiena? Alla testa? ».
« César, parla, rispondi. Sono io, sono tuo cognato Lino. Non mi conosci piú? Perché non rispondi? César! ».
César sollevò faticosamente una mano e se la passò sulla bocca. « Grappa », disse. « Grappa. Grappa ».
« Vergine Santa », strillò una donna. « Sputa sangue! ».
Dalla casa dei Chénoz fu portata una bottiglia di grappa. La bottiglia fu appoggiata alle labbra di César il tempo necessario perché ne prendesse un piccolo sorso.
« Ancora », disse.
«Ma si, che beva, poveraccio », disse il padre Chénoz.
« Così finite di ammazzarlo », disse Luigino Brunod.
« Ancora », disse César. « Ancora ».
« E su, dategliene. Non vedete che é già più di là che di qua? ». « Ancora », disse César. « Ancora ». Bevve a lungo, ebbe un colpo
1Ó8 GIOVANNI PIRELLI
di tosse, sputò. Lo sputo, una miscela di grappa e sangue, gli colava lungo il mento.
« Un fazzoletto », disse Luigino Brunod[...]

[...]la ».
«Seicentomila », piagnucolò il ragazzo Attilio. Si volse alla cerchia di coloro che assistevano in silenzio e disse, come chiedendo aiuto : « Vuole seicentomila. Prende per il collo un moribondo ». Un mormorio ostile fece eco all'implorazione di Attilio.
« Facciamo cinquecento e ottanta », disse indispettito Salomone.
« Ahi, ahi », si lamentò César con voce straziante. « Salomone? Sei li? Ahi la mia schiena. Ahi. Facciamo settecentomila dei due prati. Settecentomila in contanti. È un affare, Salomone. Sei fortunato. Settecentomila non te le sognavi nemmeno... ».
Due prati? Io devo dare due prati? Perché devo dare due prati? Se si è ridotto così », disse, volgendosi intorno, « la colpa è sua. Tutta
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GIOVANNI PIRELLI

sua. Perché devo rimetterci io? ». Non incontrò che volti chiusi, sguardi nemici. « Perché », gridò in uno scatto d'ira, « non date voi i vostri. prati? Perché devo darli io? Ve li paga, non avete sentito?, ve li paga in contanti. Avanti, perché non gli fate una offerta? ».
Nessuno parlò. Se qualcuno f[...]



da Vasco Pratolini, Firenze, marzo del ventuno in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]adino del mondo, consiste nella capacità del suo popolo di ricominciare sempre daccapo. Firenze é il centro millenario ed esemplare di queste continue insurrezioni tramutatesi in sconfitte delle classi popolari. Dai Ciompi alla gente del Pignone, é diversa la mentalità, i mezzi d'attacco e di repressione, son diversi i costumi, le cognizioni, le iniziative, come identici i resultati. A una sommossa corrisponde un Michele Lando e c'è un Salvestro dei Medici che gli tiene le redini sul collo, lo guida, lo scatena e lo trattiene a seconda giova alla sua parte, Grassa o Mediana ch'essa sia. Questo popolo si é fatto un'insegna della propria disperazione e gli basta una battuta mordace per scamparne, Esso non ha mai avuto fede nel Destino. Non ci crede. Miele e fiele non li distingue per via di una consonante; sulle sue labbra hanno lo stesso sapore. E il suo stendardo, quel giglio rosso in campo bianco, non è una stigmate sulla sua coscienza immacolata. E il gonfalone della sua città e della sua fantasia, che di un grumo di sangue ne fa un fi[...]

[...]di sangue ne fa un fiore e lo circonda di silenzio.
Firenze, nel medio evo, arrivava all'altezza di San Frediano; e i ponti, sull'Arno che l'attraversava, sono ancora quelli: dal Cin
2 VASCO PRATOLINI
quecento ad oggi, nessuna piena li ha più potuti sradicare. Ce n'è quattro in un chilometro; tutto il mondo .li conosce e li ammira.
Il primo, e il più a nord, é il ponte alle Grazie. Era il 1238 quando Rubaconte da Mandell°, milanese e Podestà dei Fiorentini, presenziò l'inaugurazione. Fu anche il primo ponte in muratura; perciò da allora non ha mai tentennato. Sulle sue pigne, come su quelle di Ponte Vecchio, si eressero delle piccole case dove, invece di botteghe, vi si aprirono oratori. Questo. ponte prese il nome dal suo padrino, fino al giorno in cui un'immagine sacra non incominciò ad elargire delle grazie, dentro quegli oratori.
Risalendo il corso del fiume, ponte Vecchio é il secondo, e il più antico. Lo gettarono i padri etruschi; poi, nell'età di Cesare, la Colonia Florentia venne ad affondarvi le sue radici. Così come appar[...]

[...]a Colonia Florentia venne ad affondarvi le sue radici. Così come appare, lo ideò Taddeo Gaddi, dicono, ma il Longhi lo nega, dopo che la gran piena del Tre Tre Tre una volta di più lo aveva scancellato, portandosi come relitti d'un naufragio i legni della sua armatura. Già da un secolo prima, in un'altra notte e di agguati e di fazioni, su quelle tavole, Buondelmonte ci aveva lasciato la vita.
Il terzo é ponte a Santa Trinita, costruito a spese dei Frescobaldi che in quel punto del fiume, ma di là, avevano le loro case. Crollò sei volte, e sei volte lo si rimise in piedi, dopo che fra Sisto e fra Ristoro domenicani l'ebbero progettato, come per dar tempo, diciamo, all'Ammannati, di rilanciare sulle acque dell'Arno il più bel ponte che mai fiume al mondo abbia lambito.
L'ultimo è il ponte alla Carraja. Lo stesso Ammannati disegnò la sua struttura, e senza i suggerimenti di Michelangelo, se ci sono stati, come per Santa Trinita. In origine, ancora nel secolo XIII, lo chiamavano ponte Nuovo: per distinguerlo dal Vecchio, é naturale. Se l'[...]

[...]stinguerlo dal Vecchio, é naturale. Se l'erano pagati gli Umiliati d'Ognissanti, bisognosi di uno scalo per le stoffe che uscivano dal loro convento, situato dirimpetto al fiume e alla porta Carrìa. Costi, essendo il ponte che incontravano per primo, facevano capo i carri provenienti dal contado, nel tempo in cui il porto di Firenze era più a valle, ed una grossa pigna di pietra, che i fiorentini digià chiamavano il pignone, serviva all'attracco dei barconi.
Questa era la città e i suoi ponti nel giro della terza cerchia;
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e qui, ora cosa c'è di cambiato ? La natura del fiorentino, no. Il suo spirito non l'hanno ammorbidito né le tarde Signorie né i Granducati. Ma sempre si conquista qualcosa, che si è pagato sempre troppo caro. È per questo che ogni volta c'é qualcosa di cambiato.
Firenze medesima, al di là della sua terza cerchia, non può non essere mutata. Essa non si é estesa soltanto nei suoi entroterra, rispetto al fiume, ma si é allungata. Quartieri operai hanno fatto corpo con le antiche Mura. Ora [...]

[...]o cui sono destinati. Li progettarono degli ingegneri di cui s'é perso il nome, ma sono belli come gli antichi: provvisori e ormai secolari come l'età che rappresentano. Non hanno una struttura originale, ma ardita. Sono di ferro; e sono sospesi, quello a valle. Nessuna pigna lo regge, nessuna arcata, bensì degli alti piloni, infissi sulle due rive. Il pavimento è ancora di legno; e i parapetti a cui non ci si può affacciare a meno di non essere dei giganti, sembrano delle grate. Son li da un secolo, e non hanno ancora un nome: il popolo che vi cammina sopra non li ha ancora battezzati, forse non gli vuole bene. Li ha distinti spartendo i due aggettivi. Uno é il ponte di Ferro che dà sui viali di San Niccolò; l'altro è il ponte Sospeso che immette nel quartiere del Pignone. Li regalò a Firenze, Leopoldo di Lorena, ossia un'impresa privata a cui Leo poldo li aveva appaltati e che malgrado il passaggio e delle dinastie e delle istituzioni, si fa ancora pagare il pedaggio. Del resto, cos'è un soldino?
È dall'epoca di questi nuovi ponti che[...]

[...] viali di San Niccolò; l'altro è il ponte Sospeso che immette nel quartiere del Pignone. Li regalò a Firenze, Leopoldo di Lorena, ossia un'impresa privata a cui Leo poldo li aveva appaltati e che malgrado il passaggio e delle dinastie e delle istituzioni, si fa ancora pagare il pedaggio. Del resto, cos'è un soldino?
È dall'epoca di questi nuovi ponti che c'é qualcosa di cambiato. La gotta di Gian Gastone aveva estinto la discendenza e il potere dei Medici. Per un momento, come tutta l'Europa, si fu un . feudo di Napoleone; quindi vennero i Lorena. Leopoldo era stato l'ultimo padrone. Lo si ricorda con simpatia; durante i vent'anni del suo granducato, egli non si limitò a commissionare i ponti nuovi, ma costruì le prime strade ferrate, la Fonderia del Pignone, la
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Manifattura di San Pancrazio com'è ora; e portò l'acqua, allargò le strade. I fiorentini lo chiamavano babbo, chi con venerazione chi con ironia. Gli dettero qualche pedata quando non ne poterono proprio fare a meno: nel Quarantotto e poi, una definitiva, all[...]

[...]ivisi dalle antiche mura, San Frediano e il Pignone potevano tenersi d'assedio. Le colline di Bellosguardo e di Montoliveto, erano i contrafforti. Dalla parte del fiume, che li separava entrambi dal resto della città, il Pignone seguitava San Frediano. Chiusa la Porta, messo un posto di blocco all'altezza di Monticelli, bastava una sentinella all'imbocco del ponte Sospeso, perché il Pignone fosse al riparo dalle offese. Là, a Rifredi, l'apertura dei prati, la zona stessa, distesa come su un'unica lunga strada e sparsa sui due lati, rendevano possibile ogni irruzione. Il Pignone, non potendo operarvi dall'interno, lo si doveva forzare. Fu un assedio che durò gli anni Venti e Ventuno, con colpi di mano, agguati, spedizioni da parte delle Bande Nere, finché la gente del Pignone non si decise essa a una sortita. Questo rappresentò la sua vittoria, la sua tragedia e la sua capitolazione. Ne fu pieno il mondo, il giorno dopo, della sua impresa disperata.
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C'era tutto il Pignone, cotesta sera; c'era mezzo San Frediano; ed erano venuti, alla [...]

[...]o; ed erano venuti, alla spicciolata, o ci si era trattenuti, sulla strada di casa, gli ortolani, i braccianti, di Monticelli e di Legnaja. La gente di via Bronzino, di via dell'Antonella, di via Pisana, che sono nel cuore del Pignone, era sulle soglie degli usci, sulla piazza, davanti alle botteghe, e alla Casa del Popolo appena devastata, col cuore in gola e il sangue avvelenato. I comignoli
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della Fonderia fumavano; i panni dei tintori erano stesi ad asciugare, l'Arno andava lento e grosso per via delle piene di prima vera. Erano le sette di sera e il sole tramontava tutto fuoco, basso sul fiume e dietro le Cascine; avvolgeva di un riflesso accecante il ponte Sospeso, e sembrava renderlo anche più aereo, isolato nel vuoto: la luce era come se incorporasse nelle strutture i cavi che descrivendo una mezza ellissi, lo trattenevano da pilone a pilone
e dall'una all'altra riva.
Il ponte era deserto: e l'uomo a cui si pagava il pedaggio, chiuso nel suo casotto di legno come dentro una garritta, sporgeva la testa e scrut[...]

[...]gno come dentro una garritta, sporgeva la testa e scrutava ai due orizzonti. Gli sembrava assurdo che, alle sette di sera, non un'anima attraversasse il ponte. « Non s'é mai dato », si disse. C'era troppo silenzio, troppa calma, come un istante prima che batta il terremoto. « Stasera » egli pensò « E brinata ». Era un uomo di sessant'anni, e da più di trenta stava al capo di Ponte; nemmeno le guerre erano state capaci di rimuoverlo. Egli non era dei loro, ma la gente del Pignone la conosceva. Da un secolo, poteva dire; giorno per giorno l'aveva vista attraversare il Ponte, col bel tempo e sotto il temporale, quando c'era il solleone
e quando tirava la tramontana. E quelli del Pignone conoscevano lui, e i due centesimi un tempo, poi i soldini, che dalle loro tasche erano finiti nelle sue mani. « Bona, Masi » gli dicevano. « Ci fai passare a scapaccione? ». «Sicuro, come se il ponte fosse mio », egli invariabilmente rispondeva: e ancora era vivo Umberto I
e Garibaldi scriveva lettere da Caprera: ne aveva scritta una alla "Mutuo Soccorso [...]

[...] parte; e dalle dieci di sera alle sei del mattino il traffico era libero in entrambe le direzioni. Durante le altre sedici ore, c'era il Masi dentro il suo stabbiolo, e gli si doveva il saldino. L'Impresa non si fidava che di lui; siccome non si rilasciano né contromarche né scontrini. "Ad essere disonesti in trent'anni si sarebbe potuto farsi d'oro". Soltanto un giorno al mese, ch'egli andava a trovare sua moglie a Trespiano, lo sostituiva uno dei due impiegati dell'Impresa, gli stessi che venivano a ritirare l'incasso a una cert'ora. Ma per poco, ci si poteva giurare. Presto il ponte sarebbe stato riscattato dal Comune, com'era digià successo per il gemello di San Niccoló che aveva meno transito e quindi rendeva meno. Questione di tempo, e il Masi sarebbe andato in pensione. « Ma chi me la dà, la pensione ? » si lamentava. « Io non dipendo dal Comune. L'Impresa mi potrà dare uno sborso, una miscéa ». « Te la daremo noi la pensione », lo pigliavano in giro quelli del Pignone. « Sarà una delle prime cose, non appena saremo al potere ». [...]

[...]il Masi sarebbe andato in pensione. « Ma chi me la dà, la pensione ? » si lamentava. « Io non dipendo dal Comune. L'Impresa mi potrà dare uno sborso, una miscéa ». « Te la daremo noi la pensione », lo pigliavano in giro quelli del Pignone. « Sarà una delle prime cose, non appena saremo al potere ».
Questo fino a un anno fa, che s'erano barricati dentro la Fonderia e uno di loro stava di guardia sul ponte, al largo dai carabinieri, e se venivano dei rinforzi il Masi gli faceva cenno fingendo di togliersi il berretto e grattarsi dietro l'orecchio. Ora, invece, gli dicevano, ma tra i denti e mentre gli versavano il soldino: « Sei una carogna, Masi, ma bada, i capelli bianchi non ti salvano, prima o poi, da una libecciata ». Egli era come il ponte affidato alla sua custodia, preso tra due fuochi. I fascisti gli passavano davanti, sui camion, come se lui fosse li a far la statuina. Il ponte è stretto: ha novant'anni, é sospeso, ai veicoli é proibito transitare. «Diglielo a un altro! » al massimo gli rispondevano. E come se fosse un cane, per[...]

[...]sopra, dalle spalle e di petto; entrandoci attraverso le Mura, o da Ponte alla
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Carraja, o dai viali, o da Porta Romana. Oppure, passando chiotti chiotti dal ponte Sospeso e girando al largo dal Pignone. Era sempre buio; Masi non li aveva mai visti in viso. Ma perché lui si peritava di guardare, non perché essi nascondessero la faccia. Non li guardava, ma li avrebbe potuti riconoscere, anche loro, uno per uno. Tutti dei ragazzi, comunque, che avevano fatto appena in tempo ad assaggiare la trincea; e si vedeva, non nascevano dal nulla. Del resto, nessuno glielo comandava, di andare a bastonar la gente, a purgarla, a buttare all'aria le Case del Popolo. Se rischiavano, come rischiavano, era per qualcosa più forte di loro, dovevano credere di far bene. E perché erano dei fegatacci e gli piaceva intimorire la gente. Forse, in guerra, erano stati negli Arditi. Andavano e tornavano cantando. Quando stavano zitti, non erano sui camion, erano in meno e venivano a due o tre per volta, a piedi o con un'automobile; allora succedeva qualcosa di grosso, che dopo, a stento si riusciva a sapere. Da queste spedizioni, che chiamavano punitive, non tornavano mai a vuoto, mai senza aver usato le mani; e i manganelli che ci tenevano penzoloni. Le rivoltelle le avevano dentro la fascia che gli reggeva la vita. Non avevano paura di farsi riconoscere; cantavano e il più delle vo[...]

[...]areva se ne fossero scordati. Fino alla sera della battaglia, che loro erano una cinquantina e si trovarono di fronte altrettanta gente, molta di più. « Un buscherio ». Gli rovesciarono addosso, dalle finestre, l'olio bollente; la teppa di via San Giovanni, ne prese uno e stava per infilarlo alla cancellata del Tiratoio; un altro "fu messo al muro e sorbottato, le donne gli strizzavano i cordoni". Ci fu un morto, ma tra quelli di San Frediano; e dei feriti. Di queste cose non ci si fa mai un'idea; non le scrivono sul
lo VASCO PRATOLINI
giornale, bisogna saper leggere sotto i titoli dove dicono: una rissa, un litigio, la solita cazzottata in via del Leone. Qualche sera dopo, invece di loro, ma in mezzo qualcuno ce n'era, lo dicono questi del Pignone e in San Frediano, venne l'Esercito con l'autoblindo, bloccò via San Giovanni, e circondò piazza Tasso; la Polizia, cosí protetta, fece una retata. Dopotutto, se non al Pignone, chi é in San Frediano che non é schedato ? Tra poco, non importa più essere né ladri né ruffiani; « basta ti bolli[...]

[...] con l'autoblindo, bloccò via San Giovanni, e circondò piazza Tasso; la Polizia, cosí protetta, fece una retata. Dopotutto, se non al Pignone, chi é in San Frediano che non é schedato ? Tra poco, non importa più essere né ladri né ruffiani; « basta ti bollino per sovversivo ». Pensatela come volete, un ordine ci vuole; sistemato San Frediano, si erano buttati sul Pignone. Un osso un po' più duro.
Come in San Frediano, anche al Pignone abitavano dei fascisti; e mentre in San Frediano erano in diversi, ma quando c'era da bussare si eclissavano, al Pignone, i fascisti si contavano sui diti, e al contrario, erano i più coraggiosi. Essi, guidavano le spedizioni. È così, dove c'é più api c'è più miele. Specie con Folco Malesci. Con l'ingegnere. Avrà avuto venticinque anni, nemmeno; non ancora di leva, era andato al fronte volontario. Era un animo irrequieto; negli ultimi tempi della guerra si era fatto aviatore. Poi era stato a Milano, era stato a Fiume. Era stato anche all'estero, aveva viaggiato. Conosceva Mussolini di persona. Sembra che D[...]

[...]la rossa, la farò saltare ». Suo padre che da sempre aveva la tintoria e durante la guerra l'aveva ingrandita, era ricco, ma più pesce che carne, badava alla sua azienda, ai suoi affari, in queste storie non c'entrava; lo lasciava fare. Tra quei tintori non mancavano i sovversivi, ma essendo operai di suo padre, l'ingegnere li rispettava. Si seppe che aveva messo incinta la figlia di un capo reparto, ed anche a questo, il padre Malesci, in virtù dei suoi quattrini, aveva posto riparo. Folco continuava per la sua strada, pigliava la gente a tu per tu, gli tirava due schiaffi: « Vai, fila! »
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gli diceva. E chi si ribellava, questa era la voce, lo aspettava, calato il sole, e lo tuffava dentro le caldaie della tintoria. Tutte cose che si sentivano dire, che prove ne vuoi avere ? Gli altri mettevano a posto San Frediano; e Folco e i suoi amici, loro tre soli, qualcuno di rinforzo ogni tanto, avevano sparso il terrore da Monticelli a Legnaj a. Entravano negli orti e facevano piazza pulita. Oppure, certe ma[...]

[...]. In un certo modo, lo temevano e lo rispettavano. Una notte che lo avevano aggredito mentre tornava a èasa, sembra con l'intenzione di seppellirlo sotto la spazzatura dell'Isolotto, non si sa come, eppure riuscì a liberarsi, e senza uno sgraffio, senza una lividura. Da allora, era diventato una jena. Aveva cambiato espressione; prima rideva sempre e ora aveva sempre il muso. Non rispettava più nemmeno gli operai di suo padre. Passava con quello dei basettoni e l'altro, il Pomero perché rosso di pelo, uno per fianco, ed era come si aprisse il vuoto davanti a loro. Tuttavia, a fondare il Fascio del Pignone non s'era azzardato. Doveva essere la sua rabbia e la sua pena; era la sola cosa che minacciasse e non si decidesse a fare. E ora, siccome dopo l'ultima spedizione contro la Casa del Popolo, quelli del Pignone non si sa, loro, cosa vogliano fare, Folco gli ha mandato a dire, che verrà una di queste sere, quando va giù il sole e con una squadra, la Disperata o le Fiamme Nere, come tre mesi fa in San Frediano. « Una di coteste sere può es[...]

[...], siccome dopo l'ultima spedizione contro la Casa del Popolo, quelli del Pignone non si sa, loro, cosa vogliano fare, Folco gli ha mandato a dire, che verrà una di queste sere, quando va giù il sole e con una squadra, la Disperata o le Fiamme Nere, come tre mesi fa in San Frediano. « Una di coteste sere può essere stasera, s'annusa nell'aria, non bastasse il resto, figlioli. E una domenica nata male. Scoppiata quella bomba, dicono in mezzo a via dei Tornabuoni: qui non si può sapere, qui si sa quello che chi passa ti vuol raccontare, e meno si sa meglio si vive: la città
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é deserta e come sottosopra, é una contraddizione. Chi é stato? Gli anarchici, chi vuoi siano stati ? ». E loro fascisti l'hanno presa per un'offesa personale. Dianzi, come il vento, avevano perfino i soldini belI'e contati, non hanno neanche segnato il passo, quattro o cinque di questi giovanotti del Pignone, son rientrati dal centro con gli occhi che gli sbuzzavano dal viso: « Gavagnini ce lo pagano caro », hanno gridato. « Diglielo ai tuoi amici, [...]

[...]i guardia al ponte, quelli dalla parte del Pignone, non si distinguono proprio, forse più che il riflesso li coprono i piloni. Ma si vede quella gente che sta ferma sulla piazza.
« Cosa stanno per tramare ? », si domandava il Masi.
Egli era più vecchio di quanto non sembrava; al Pignone lo dovevano capire, invece di star 11 fermi a guardarlo, lontani quant'è lungo il ponte che pareva l'avessero più di sempre e soltanto con lui. Era più vecchio dei suoi sessant'anni e dei suoi capelli bianchi, anche se non aveva bisogno del bastone. Gli premeva il posto che occupava; la pensione o lo sborso che l'Impresa, se non l'Impresa il Comune, gli avrebbe dovuto dare. Non s'augurava venisse cotesta ora, si spaventava a pensare come avrebbe impiegato la giornata, ma non voleva, una volta tolto il pedaggio, ritrovarsi senza mangiare. Lui, e quelle due bestie, poverine! Egli era solo al mondo, abitava sul Prato, la moglie gli era morta: Da quanto? Da sempre, poverina! La sua compagnia erano due tortore che lo aspettavano la sera quando tornava a casa. II mestiere l'aveva re[...]

[...]"quando ancora si stava sotto il Granduca", che ha fondato un ricreatorio di cui oggi, i ragazzi, la domenica, portano la divisa: i pantaloni bianchi, la maglia verde, il berretto alla raffaella: e sanno fare gli esercizi, si distinguono da quelli degli altri rioni; che a furia di quotarsi, un tanto la settimana, si sono costruita una Casa del Popolo, un'arena per ballarci durante la buona stagione, un pallaio. Una squadra ginnastica, la banda, dei corridori in bicicletta. Tutte queste cose Malesci e i suoi amici, gliel'hanno amareggiate e messe in pericolo. « Sarebbe il meno male » dicono. È che questa folla, questa gente, s'è vista stringere d'assedio, non più solamente in fabbrica, in Fonderia, ma dentro le proprie case. Hanno subito bastonate, intimidazioni; si son visti sparire qualcuno dalle file, senza sapere dove andare a portargli un fiore. E sono dei fiorentini, se ne vantano e non l'hanno mai dimenticato: essi non concepiscono degli avversari; ma amici o nemici. Con l'amico ci si tiene per la mano; al nemico: gli si fa "la masa". O noi o loro. La storia del Quartiere, pur giovane quanto il suo ponte, non occorre risalir lontano, si é sempre fondata su questa legge e queste ragioni. Che sono poi dei concetti elementari. Chiari come l'Arno, quando é chiaro e in trasparenza si vedono sguizzare le cecoline. Anche le donne vanno in chiesa, e in confessione non hanno nient'altro da raccontare. Ora che ciascuno si sente minacciato, non sono più delle singole persone; hanno fatto cerchio diciamo. Sembra che una parola sia passata da porta a porta, da un davanzale a un finestrino, da un reparto all'altro della Fonderia, di strada in strada, e come una goccia dentro l'alambicco porta a galla i veleni e fa precipitare le buone intenzioni, viceversa, ecco, dopo l'ultima devastazione della Casa del [...]

[...]fatto di intransigenza e di sopportazione, non conosce le mezze misure. « Una cosa di mezzo non é un uomo; e non troverebbe una donna che gli stesse vicino ». L'ingiustizia, o la subiamo o ci si ribella; rassegnarcisi non é possibile.
16 VASCO PRATOLINI
E una folla; e in mezzo ad essa, c'é il buono e il cattivo; non hanno nulla da difendere se non la loro quiete; e i piú, le loro idee di giustizia che non le registra né lo Statuto né il codice dei Tribunali. Non ancora. Anzi, le leggi che ci son ora, e che dovrebbero essere uguali per tutti, non passa giorno che non s'accorgano, una circostanza diventata per loro proverbiale, gli son contrarie. Tanto meno ci hanno qualcosa da. guadagnare. Cotesta attesa non li intimorisce e non li esalta. Sai, quando il cuore é diventato pietra e ne senti il peso? Masticano il mezzo toscano, accendono la sigaretta, sbucciano i due soldi di lupini che hanno comperato; o si aggiustano i capelli dietro la nuca, le camicette sul seno, i grembiulini di casa sopra la vita. E questi e quelle sembrano sfuggirs[...]

[...]lla alla bocca dello stomaco, ma subito dalle sue spalle, Folco Malesci gridò: « È un amico, ve l'ho detto, lascialo stare. E tu Masi, a cuccia e buono, via! ». Masi non si mosse da dove si trovava. « Guarda lacchezzo ch'è questo », perciò. "Questione di minuti secondi", avrebbe detto poi. Una barca si era staccata dalla riva, con due uomini sopra, uno che spingeva la pertica come un dannato e uno, anche lui in piedi, faceva
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dei segnali, come per dire a quelli del Pignone: "Eccoli, sono arrivati". Quei fascisti, dalla spalletta, li presero di mira con le rivoltelle, ma la barca era digiá fuori di tiro, mentre due fucilate fecero eco dalla parte della piazza, dove gli altri due carabinieri che ci stavano di guardia avevano sparato in aria. La folla si era mossa, ed essi ripiegavano, correvano all'indietro attraverso il ponte, per finire tra le braccia dei fascisti che gli saltarono addosso e trattarono come i primi due.
Ora, eliminate le forze dell'ordine, i due schieramenti si fronteggiavano. Il ponte ancora li divideva.
La folla si era attestata, faceva massa, come se una sbarra le impedisse di avanzare. Lontana tutta la lunghezza del ponte, non si decifrava, tra cotesta calca, un solo viso, ma tanti visi presi nel riflesso del sole, e quei berretti, i cappelli: i vestiti delle donne risaltavano per via dei colori. Da questa parte, i fascisti si erano a loro volta radunati, Folco era al centro; e per un momento si guardarono come per conta[...]

[...]e gli saltarono addosso e trattarono come i primi due.
Ora, eliminate le forze dell'ordine, i due schieramenti si fronteggiavano. Il ponte ancora li divideva.
La folla si era attestata, faceva massa, come se una sbarra le impedisse di avanzare. Lontana tutta la lunghezza del ponte, non si decifrava, tra cotesta calca, un solo viso, ma tanti visi presi nel riflesso del sole, e quei berretti, i cappelli: i vestiti delle donne risaltavano per via dei colori. Da questa parte, i fascisti si erano a loro volta radunati, Folco era al centro; e per un momento si guardarono come per contarsi. Il Masi li aveva digiá contati. Erano dieci, undici, mancava quello dai basettoni, e un paio erano rimasti accanto alle automobili e per tenere d'occhio i carabinieri che vi si trovavano legati. Soltanto due erano in divisa: il Pomero con la camicia nera dalle maniche rimboccate, i pantaloni da ufficiale, i gambali gialli; e uno basso, dai baffi e dai capelli neri, lo stesso che lo aveva assalito e che sembrava essere il più anziano di tutti, ma anche quel[...]

[...]nco di Folco, ed era un ragazzo come Folco, di sicuro non aveva trent'anni. Era alto, magro, un biondino si poteva dire del tipo che era, anche se il berretto all'inglese gli copriva la fronte e gli calzava la nuca. Sotto la giacca, come troppo larga per lui, invece della camicia nera, portava una maglia scollata. Questo, e come stava in piedi, come si dondolava, rafforzavano l'idea di un marinaio, che fosse li per caso. Aveva il viso abbronzato dei marinai; forse per questo gli occhi sembravano tanto chiari. E una espressione, infine, sulla faccia, non come degli altri dura, risentita, accigliata, ma tranquilla, decisa, percui, non ci si spiega, era, fra tutti, quello che metteva piú paura. Ora reggeva la pistola appoggiandosela sotto il mento, mentre parlava.
Si va avanti », ripeté. « Forza ».
Falco lo fermò, secco e strisciandosi lui la canna del proprio revolver sulla gota: «Non dire bischerate, Tarbé. Non fare il pazzo, tu non hai esperienza di queste cose. Lasciami riflettere da che parte si possono pigliare ».
D'improvviso, com[...]

[...]o altre cento, ma urli, grida, che per essere cento diventarono una sola ed unica voce, e se ne perdevano le parole. «Non v'azzardate! Non v'azzardate! D.
C'era stato un movimento, ma la folla non era venuta avanti; si era come rimescolata dentro le proprie grida. Quindi, una sassaiola si era abbattuta a metà del ponte, contro le fiancate, era ricaduta in Arno. Qualche pietra più piccola, o meglio o più fortemente diretta, era rotolata ai piedi dei fascisti. Come una salve. E di nuovo il silenzio; di nuovo quella voce:
« Malesci se ci sei, fatti sentire da cotesti delinquenti. Portali via D.
Ora Falco si era drizzato in tutta la persona, "gli sporgeva la bazza, tanto doveva essere infuriato". Tuttavia era calmo, la rivoltella in mano, si rivolse al Masi, spiaccicato di spalle contro il suo stabbiolo: « Chi è questo? » gli chiese. «Mah », il vecchio disse, un po' balbettava, un po' si dava coraggio: « O non é il Santini? Mi pare, non lo so ». Poi, rivolto ai suoi amici, Falco gli ordinò: « Non mi venite dietro. Muovetevi quando vi chia[...]

[...]aprisse bocca, e le urla, i gridi che si levarono dalla folla, copersero le sue parole. Egli era abbagliato dal riflesso, scorgeva come una fiumana nera, colorata, agitarsi +a capo del ponte, e come ondulare, trattenuta in se stessa, e contemporaneamente, una figura d'uomo, una figura di donna, un'altra donna un altro uomo, ora pareva un ragazzo, cinque, dieci figure avanzare di qualche metro, prenderlo di mira e rientrare di corsa tra la folla. Dei sassi, dei pillori, gli caddero vicino, uno gli sfiorò la testa ed egli fu costretto a scansarsi, mentre nell'incendio sempre più basso del cielo, da quel gesticolare, gli insulti, gli urli, le grida lo subissavano. Egli alzò la pistola e sparò in aria tre colpi. Subito, i suoi camerati, senza ch'egli avesse gridato « A noi! » lo avevano raggiunto, Tarbé per primo.
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«Non risolvi nulla a minacce. Andiamo avanti. Sono una massa di pecore, non li vedi? ».
Folco lo agguantò al braccio, mentre si muoveva; lo aveva arrestato sullo slancio e gli aveva fatto cadere la rivolte[...]

[...]ella folla, come un fuggi fuggi subito ricomposto. Folco gridò:
« Vi do tempo due minuti per sgomberare la piazza. Mandate a casa le donne. O spariamo addosso anche a loro. Vi si disfà, stasera ».
E accadde qualcosa di cui il Masi non si sarebbe « mai capacitato »; di cui anche Folco, che pure li conosceva, si sorprese, e per la prima volta nella sua vita, gli fece gelare il sangue nelle vene. Erano trascorsi dieci minuti, nemmeno, dall'arrivo dei fascisti, e tutto finora, si era svolto « in un battibaleno, come un volo di pallonetto che con l'occhio non gli stai dietro ». Ora incominciavano i secondi dieci minuti, un quarto d'ora che sarebbe sembrato eterno, e poi, « poi da mettersi le mani sugli occhi davvero ».
Stasera vi si concia per le feste », urlò il Pomero.
E Folco: « Ho guardato l'orologio, sappiatevi regolare ».
Ma in quello stesso momento, come da dietro un gran velo di tulle, di caligine, di bruma, uscendo dall'ombra della piazza dove già era calata la sera, e sbucando sul ponte ancora colpito dai barbagli di sole, la g[...]

[...]mucchiati: ma un urlo di donna:
«
Assassini! ». Si vide un vestito verde agitarsi, e subito venne risucchiato nel gruppo come da uno strattone.
I fascisti ne avevano approfittato per rinculare di qualche passo, e adattarsi in una posizione migliore, sui due lati: Folco, Tarbé e il Pomero davanti; gli altri alle loro spalle e dirimpetto. La folla, come i fascisti si erano fermati, anch'essa si fermi. Su quelle teste si alzavano delle spranghe, dei bastoni. Erano a metà del ponte; e in quel momento il sole dava gli ultimi e più. forti bagliori.
Qui, parti il primo colpo. Né Folco, né il Pomero, né Tarbé avevano sparato, ma dalle loro spalle, « quello basso, tutto nero come la pece ». In piedi, cercando la mira dentro il mucchio, una ventina di metri distante, e col riflesso che l'accecava, egli sparò due, tre volte ancora. Nella folla si apri un varco; tra urli e grida, essa si divise in due file, e sbandò e si sparse verso la piazza donde era partita. Miracolosamente, la metà del ponte rimase vuota; nessuno sotto quei colpi era caduto[...]

[...] basso, tutto nero come la pece ». In piedi, cercando la mira dentro il mucchio, una ventina di metri distante, e col riflesso che l'accecava, egli sparò due, tre volte ancora. Nella folla si apri un varco; tra urli e grida, essa si divise in due file, e sbandò e si sparse verso la piazza donde era partita. Miracolosamente, la metà del ponte rimase vuota; nessuno sotto quei colpi era caduto. Ora, dall'altro capo del ponte, impugnando i moschetti dei carabinieri, accorrevano i due fascisti rimasti di guardia, e gridavano: « Stanno passando sull'Arno. Ci vogliono aggirare. Guardate, sono sui barconi ».
«Li».
«Li».
«Li».
A un ordine di Folco, la squadra era indietreggiata: protetta dai tralicci del ponte, sparava coi moschetti e i revolver sui barconi. Folco si riparava sul fianco del pilone, quasi accanto al Masi, più che mai spiaccicato contro il suo stabbialo. Il vecchio balbettò, tra l'uno e l'altro scatto dell'otturatore: «Li ho avvistati io, ingegnere. Lora, questi suoi amici, non se n'erano accorti ».
I tre barconi di renaiolo, [...]

[...]enaiolo, erano carichi di gente che agitava i pugni e le mazze, facevano manovra per sfuggire alle moschettate e portarsi al largo. Uno fu sul punto di rovesciarsi; si videro tre quattro persone nuotare verso la riva. Anche costi c'erano delle donne; una di esse stava per precipitare, la sua sottana rossa si gonfiava nell'acqua; la ripresero per i capelli e lei lanciò un urlo
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FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO

che sembrò sovrastare i colpi dei fucili, le grida che si levavano al di là del ponte, sulla piazza. Ma già due dei tre barconi, fatto l'inverso cammino, toccavano la riva del Pignone, la gente saltava sugli argini. Il terzo, si dirigeva verso l'Isolotto, con che in, tenzione ?
« Ingegnere, quelli attraversano l'Isolotto per risalire dalle Cascine », balbettò il Masi. « E intanto, ha visto ? I carabinieri si sono sciolti e sono scappati ».
«Ma va via, lurido anche te! », gli disse Folco; aggiunse terrore alla sua paura. Quindi si diresse verso i camerati, riunitisi a capo del ponte.
Sulle due rive del fiume era tornato il silenzio; il sole era tramontato; il cielo si era fatto tutto bianco e celeste, e [...]

[...]ià le tre macchine avevano il motore acceso. E il Masi stava sgusciando a sua volta, rasente la spalletta, per raggiungere casa, l'incasso della giornata dentro il sacchetto: l'Impresa, egli pensava, avrebbe considerato le ragioni per cui abbandonava il posto avanti dell'orario.
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Solo, in disparte, era rimasto Tarbé. Il berretto tirato sulla fronte ora, gli occhi balenanti acciaio, si rivolse a Folco, e li fermò tutti:
« Scappate così? Siete dei bei pusillanimi ».
Folco scese dalla macchina e lo affrontò. « Vuoi un par di schiaffi anche te? Su, fila ». Lo trascinò per il braccio: « Cosa vuoi fare? Un'altra bambinata ? ».
Tarbé gli resistette; e Folco, come ritrovando la calma, guardandolo negli occhi, gli disse: « Ogni secondo che si resta qui, se non si rischia la pelle, ci si va vicino. Quelli stanno salendo dalle Cascine col barcone, e sulla piazza... ».
« Insomma tu scappi », Tarbé disse.
« Non scappo, non sono mai scappato. Non dubitare che ï conti li regolo anche da me solo. È gente mia, e la voglio vedere con la bocca per [...]

[...] Non scappo, non sono mai scappato. Non dubitare che ï conti li regolo anche da me solo. È gente mia, e la voglio vedere con la bocca per terra. A cominciare da stanotte quando tornerò a casa, per tua norma, capito? ».
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 29
« Ma intanto scappi ».
« Qui non siamo sul ponte di una nave, Tarbé, siamo su un ponte d'Arno ».
«Ma scappi. Scappi davanti a delle pecore ».
«Non sono delle pecore, Tarbé. Sono dei delinquenti. Se ora gli si va incontro, succede una carneficina ».
« Perciò tu li prendi isolati. In tre, in dieci contra una pecora. Così fate la rivoluzione ».
« Basta Tarbé! », urlò Folco. « Se per via del tuo nome tu sei qualcuno, anch'io sono qualcuno, anche mio padre. E la sua roba ce l'ha al Pignone, non alle Cure, capito ? ».
« Io con mio padre non ho rapporti. Ho fatto cinque anni di marina apposta, senza gradi ».
«E io ho fatto... ».
« Ma scappi ». Guardava Folco con quei suoi occhi che sembravano non vedere, grigi ora, fermi, lo derideva. « Davanti a delle [...]

[...]agitazione, oscillava sui cavi, " come nei giorni di maggior bufera ".
« Faremo i conti con tutti », gridò Folco. « Anche voi mi conoscete ».
« Malesci, é l'ora di finimola », gli risposero.
« Vieni avanti, se hai coraggio ».
« Vieni avanti, ingegnere ».
« Belva ».
« Iena ».
« Viva Gavagnini ».
Ora, soltanto Folco e Tarbé li fronteggiavano, in piedi tra pilone e pilone; entrambi avevano in mano le pistole. Alle loro spalle, le automobili dei camerati aumentavano, pronte a partire, i giri del motore.
« Vai, Tarbé, monta, io ti vengo dietro ».
« Sicché, vuoi proprio scappare », Tarbé disse.
Il suo volto era duro e sereno, come di un ragazzo infatti, anche più giovane dei suoi anni, e che della propria caparbietà si é fatto un punto d'impegno, una ragione.
« Ma ti vuoi fare ammazzare ? », sibilò Folco. « Imbecille ». « Non ammazzano nessuno. Se ti vedono deciso sono delle pecore ».
D'un tratto, dietro di loro, due auto erano partite, ciascuna con il suo carico di camerati, alla guida e sopra gli strapuntini. « Dio, che vigliacchi », esclamò Tarbé.
C'era una carica d'odio nella sua voce che per un momento Folco ne restò non intimorito, ma sgomento. Anche il Pomero ora li richiamava; e il camerata tutto pece, colui che aveva sparato per primo, che Folco avev[...]

[...]intense le imprecazioni e le grida.
« Fuori! », egli intimò. Si portò avanti di un passo ancora,
e agitava la rivoltella. « Tornate a casa, sparite. Io non sono il Malesci, tutti quanti siete non mi fate paura. Sgomberate il ponte
o sparo ».
« Non ti ci provare ». Questo era il ragazzo della benda, piegato in due per trattenere la massa che lo spingeva.
« Ti si brucia vivo », urlò una donna: aveva il grembiule di casa sopra il vestito nero, dei ciuffi grigi le coprivano a metà il viso.
Tarbé si alzò il berretto sulla fronte, e a gambe spalancate, piantato in mezzo al ponte come si trovava, fece il gesto di buttar via la pistola.
« Non ho paura », gridò. " Anche disarmato " non ebbe il tempo di dire.
Nel medesimo istante, forse credendo che Tarbé stesse per sparare, forse con l'intenzione di farlo indietreggiare, o di sal
FIRENZE, MARZO DEL VENTUNO 33
targli addosso e batterlo in colluttazione, certo, si poté poi capire, agendo sotto un impulso tutto suo, ma che la folla alle sue spalle non poteva non avergli istigato più della [...]

[...]oro che avevano attraversato il fiume sul barcone risalire l'argine delle Cascine, gli aveva sparato; e d'istinto, per darsi un riparo, era saltato sull'auto, mentre il fascista anziano lanciava la macchina sul lungarno e verso la città. Da bordo, Folco e il Pomero, continuarono a sparare, finché l'auto non scomparve lontano, dietro una voltata.
Sul ponte, la folla, una volta di più sorpresa dagli spari, subito immaginandosi un'imboscata, e che dei rinforzi fascisti la prendessero dai due lati del ponte, impazzita e dalla rabbia e dal terrore, si era sbandata. Il ragazzo lottava ancora con Tarbé che si liberò di lui, si alzò e di corsa cercò scampo dalla parte delle Cascine. Ma già coloro che erano risaliti dall'argine, un attimo intimoriti dalla sparatoria di Folco e del Pomero, ora imboccavano il ponte; e quelli sbandatisi, tornavano indietro correndo, per cui Tarbé si trovò preso lui ora, e solo, tra i due gruppi della gente del Pignone che gli si avvicinavano. Non più donne o uomini, vecchi, ragazzi, ma esseri al di fuori di se stes[...]

[...]n marinaio, avrebbe nuotato.
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Dopo, tutto ci() che si disse, malgrado le contraddizioni delle diverse testimonianze, ciascuna diversamente interessata, e per la complicità come per le intimidazioni, le omertà, i timori, fu tutto vero. Come nessuno confessò mai di essersi trovato sul ponte, quella sera, così non si riuscì ad identificare nemmeno una ch'è una delle persone che avevano preso parte al linciaggio, senza che non sorgessero comunque dei dubbi, delle perplessità, dei casi di coscienza, delle cieche persuasioni. Anche questo a suo modo, fu vero. Non erano, dei cento o duecento quanti erano, tante singole persone; ma una folla che nella propria disperazione, nel proprio odio, e nella ferocia con cui si era scatenata, esaltava se stessa e insieme si annullava. Infierendo sul fascista caduto tra le sue innumerevoli mani, mentre si accaniva su di lui che da solo la aveva affrontata, proprio lui era il solo dei suoi nemici che inconsapevolmente essa riscattava.
" Come un fantoccio, invece ", si era girato su di sé, era sci volato fuori dal ponte, e chissà per quale forza disperata, si era. aggrappato ai ferri della grata, poi in quel po' di spazio che c'è tra la grata e l'impiantito del ponte. Casti era di legno, tutto scheggiato, si doveva fare male ma faceva più presa. La folla, vedendoselo sfuggire, non potendo più raggiungerlo se non arram picandosi sul parapetto e di lassù cercare di colpirlo coi bastoni, lo forzava coi piedi. Egli era penzoloni dal ponte: sotto di lui,. nove dieci metri, scor[...]

[...]nto che non corrispondeva a nessuna legge naturale: con le mani disperatamente aggrappato. «Chiamava la mamma; e quelle donne, quegli uomini, forse soltanto un paio,
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forse una diecina, ma come se fossero stati centomila, gli pestavano le mani ». Lo colpivano « coi bastoni sul capo », dall'alto della grata.
Così, prima una mano, poi l'altra, centimetro per centimetro, il tempo parve millenni, egli abbandonò l'orlo dei tavolato, e senza un grido, precipitò nel fiume. « Andò giù ritto come si trovava »; l'Arno sembrò aprirsi e rinchiudersi. E la gente, non ancora paga, ma sempre più riducendosi le sue file, corse ai due capi del ponte, discese sugli argini, per vederne la fine. Qualcuno era saltato sui barconi e spingeva sotto al ponte. Per un momento, ed era ormai sera, ci fu un silenzio, questa volta pauroso, ossessionante. Il corpo non era riaffiorato. Già costoro forse si guardavano negli occhi, « gli tornava l'uso della ragione », quando da uno dei barconi sul fiume, si alzò un urlo, un grido:
« Eccolo[...]

[...]o sembrò aprirsi e rinchiudersi. E la gente, non ancora paga, ma sempre più riducendosi le sue file, corse ai due capi del ponte, discese sugli argini, per vederne la fine. Qualcuno era saltato sui barconi e spingeva sotto al ponte. Per un momento, ed era ormai sera, ci fu un silenzio, questa volta pauroso, ossessionante. Il corpo non era riaffiorato. Già costoro forse si guardavano negli occhi, « gli tornava l'uso della ragione », quando da uno dei barconi sul fiume, si alzò un urlo, un grido:
« Eccolo là! Vuole scappare! ».
Alle ultime luci della sera, sotto il chiarore lunare, si vide, rasente l'argine delle Cascine, apparire il corpo di Tarbé, «morto, certo, galleggiava, ma davvero sembrava che nuotasse e intendesse scappare dalla parte dell'Isolotto ». Lo raggiunsero, e quelli che stavano sull'argine, e quelli che si trovavano sul fiume; lo colpirono con le pertiche dai barconi, coi sassi, sulla testa, sul dorso, finché il corpo di Tarbé, « ora nient'altro che la carcassa », affondò lentamente, e per sempre.
Era notte ormai; c'er[...]



da [Le relazioni] P. Togliatti, Gramsci e il leninismo in Studi gramsciani

Brano: [...]il tema che a me è stato assegnato, « Gramsci e il leninismo », non so se questa norma sia pienamente applicabile, perché la questione si presenta, in questo caso, in un modo del tutto particolare. Anche qui esiste ed è da ricercarsi, atraverso le singole formulazioni, un ritmo del pensiero, ma questo è direttamente accompagnato, misurato, dal ritmo dell’azione, e vi è una prova pratica, che viene dal fatto che l’azione è stata compiuta, ha dato dei risultati, ha lasciato delle tracce,420

Le relazioni

e su queste tracce, che sono molto profonde, una parte della società italiana continua a lavorare. Esse non hanno soltanto un valore per chi pensa, ma per chi agisce e continua a lottare.

Non vi è dubbio che anche nello sviluppo dell’azione di Gramsci vi sono dei frammenti. Non direi, però, che questa azione possa essere,, come tale, considerata frammentaria. Vi sono stati momenti di incertezza, esitazioni, errori e correzioni di errori, e questo può indurre a considerare determinate posizioni come un frammento, da respingersi con un puro giudizio negativo. La indagine più attenta rivela che un puro giudizio negativo non può essere dato.

Vorrei servirmi, come esempio, dell’accettazione passiva, o relativamente passiva, che ad un certo punto venne fatta da Gramsci della direzione chiusa, settaria, come noi diciamo, del partito comunista nel primo pe[...]

[...]rsità di Torino accoglieva quegli insegnamenti che conosciamo, e nella vita economica, politica, sociale della grande capitale industriale, quale allora si organizzava e si affacciava alla direzione della vita nazionale, veniva formando se stesso.

Il punto di arrivo è assai lontano da questo. È un politico di portata nazionale e internazionale il quale si è cimentato, in tutta la sua esistenza, nella conoscenza, nello studio e nella soluzione dei più gravi problemi del momento storico nazionale ed internazionale, fondatore quindi di un partito e Capo comunista, cioè uomo che esprime e realizza con la ;sua azione una tendenza, un processo che egli stesso dichiarerà che era. nelle cose e tale era effettivamente nelle cose, ma che la sua azione porta a una manifestazione più elevata, cioè educa, organizza, dirige.

Quali sono stati i fattori di questo sviluppo, per cui si passa dal « triplice e quadruplice provinciale » al Capo di un grande partito politico ed a un Capo di tale levatura, che gli avversari dovettero trattare in quel mod[...]

[...]la storia, ha aperto un’èra nuova nello sviluppo degli avvenimenti mondiali. Tale è la realtà. L’opera di Lenin deve essere collocata, analogicamente, sullo stesso piano su cui si può collocare l’opera della Rivoluzione francese. Dopo la Rivoluzione francese il mondo cambia; cambia il modo di pensare degli uomini. Anche dopo Lenin il modo di pensare degli uomini cambia. Dopo Lenin noi pensiamo tutti in modo diverso da come pensavamo prima. Parlo dei politici, prima di tutto, ma non parlo soltanto dei politici; parlo di tutti gli uomini i quali cercano di formarsi una coscienza critica della realtà che li circonda e anche delle grandi masse umane a cui le nuove scoperte del pensiero e dell’attività creatrice degli uomini arrivano nella forma della fede o dell’informazione lontana. Non escludo, cioè, coloro che non sono politici pratici e non escludo coloro i quali non sono in grado di arrivare a una consapevolezza critica del corso degli avvenimenti. Un rivolgimento, — e questa è una delle tesi fondamentali di Gramsci — che assume un valore metafisico, quale fu la grande Rivoluzione social[...]

[...]o compreso in modo nuovo la realtà che sta davanti a noi, ne abbiamo penetrato la sostanza cosi come prima ancora non si era riusciti.

Ora, che cosa vi è in Lenin di fondamentalmente nuovo? Scusate se a questo punto l’esposizione, per esser rapida, dovrà essere per forzaPalmiro Togliatti

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alquanto schematica. Vi sono in Lenin almeno tre capitoli principali, che determinano tutto lo sviluppo della azione e del pensiero : una dottrina deirimperialismo, come fase suprema del capitalismo; una dottrina della rivoluzione e quindi dello Stato, del potere e una dottrina del partito. Sono tre capitoli strettamente uniti, fusi quasi 'l’uno nell’altro, e ciascuno di essi contiene una teoria e una pratica, è il momento di una realtà effettuale in isviluppo, una dottrina, cioè, che non solo viene formulata, ma messa alla prova dei fatti, dell’esperienza storica e che nella prova dell’esperienza storica si sviluppa, abbandona posizioni che dovevano essere abbandonate, conquista posizioni muove, e crea, quindi, qualche cosa.

Lenin restituisce al marxismo questo suo carattere creativo, lo libera dalla pedanteria delle interpretazioni materialistiche, economicistiche, positivistiche delle dottrine di Carlo Marx, fa del marxismo, in questo modo, ciò che deve essere: la guida di un’azione rivoluzionaria.

Ritengo che l’apparizione e lo sviluppo del leninismo sulla scena mondiale sia stato il fattore decisivo di tutta la[...]

[...]lusi tutti gli scritti del periodo 1914’ 18 citati nel presente volume.424

Le relazioni

È vero che nelle soluzioni che vengono date anche a questo problema in questo periodo vi sono espressioni che oggi non accetteremmo. Il nesso tra la realtà e l’azione, che è la sostanza dello sviluppo storico, non è ancora cercato nella materialità del processo complessivo della storia. Ancora viene alla luce la tendenza a cercarlo soltanto nella sfera dei puri rapporti ideali, di pensiero. In pari tempo, però, a questa influenza dell’idealismo sul pensiero di Gramsci giovane si accompagna in lui uno sforzo continuo e insistente verso una indagine concreta dei rapporti economici e di classe, come trama costitutiva di tutta la società.

Non voglio ripetere cose che ho dette altre volte, rievocando le ricerche che negli anni universitari egli faceva e spingeva me stesso a fare, per esempio sulla struttura dei rapporti commerciali della Sardegna, isola, con il continente italiano, con la Francia, con altri paesi, e del rapporto che si poteva stabilire tra la modificazione di questi rapporti e fatti di ordine apparentemente assai lontano, come lo sviluppo della delinquenza, per esempio, la frequenza degli episodi di brigantaggio, la diffusione della miseria e cosi via.

Già in questo momento non vi è dubbio che questi due elementi: la efficacia dell’idealismo che spinge ad appropriarsi del concetto della storia come sviluppo, e lo sforzo nella indagine dei rapporti economici e sociali, tendono a f[...]

[...] e del rapporto che si poteva stabilire tra la modificazione di questi rapporti e fatti di ordine apparentemente assai lontano, come lo sviluppo della delinquenza, per esempio, la frequenza degli episodi di brigantaggio, la diffusione della miseria e cosi via.

Già in questo momento non vi è dubbio che questi due elementi: la efficacia dell’idealismo che spinge ad appropriarsi del concetto della storia come sviluppo, e lo sforzo nella indagine dei rapporti economici e sociali, tendono a fondersi. Essi debbono fondersi, e si fonderanno in tutto il successivo sviluppo del pensiero di Gramsci. Ma quale è l’elemento che determina la fusione? Qui interviene la esperienza storica della Rivoluzione, interviene il leninismo, intervengono il pensiero e l’azione di Lenin.

Se cerchiamo, oggi, di rievocare quelle che erano la dottrina e la propaganda del movimento socialista italiano prima di Gramsci, ci accorgiamo subito che mancava in esse un concetto fondamentale, il concetto stesso di rivoluzione. Che cos’era la rivoluzione per un socialist[...]

[...] differenza che potesse passare tra la semplice rivolta, l’insurrezione e una « vera », « effettiva » rivoluzione, tra un sommovimento armato e un movimento non armato e gli eventuali rapporti tra di loro. Si discuteva se uno sciopero generale potesse metter capo a una rivoluzione e questa era già, del resto, una forma più concreta della ricerca. Oppure si confondeva, identificandoli, il concetto di rivoluzione « permanente » — come ha detto uno dei relatori — conPaimiro Togliatti

425

il concetto di sviluppo storico, che è un’altra cosa. Una precisa visione di che cosa fosse l'arrovesciarnento rivoluzionario dei rapporti sociali non vi era.

Vorrei ricordare una osservazione scherzosa di Gramsci, che forse consente di precisare meglio questa deficienza. È una osservazione fatta in polemica con i riformisti. Egli porta l’esempio di certe lezioni di filosofia che aveva sentito airUniversità di Torino, e rievoca il vecchio professore dell’Università che da quaranta anni si proponeva di svolgere un corso di filosofia teoretica sull’« Essere evolutivo finale». «Ogni anno incominciava una 66 scorsa ” sui precursori del sistema, e parlava di Laotsè, il vecchio^fanciullo, l’uomo nato a ottantanni, della fi[...]

[...] rivoluzione. Vorrei dire che anche in Antonio Labriola, se si scava a fondo, si scopre, non è dubbio, la più valida concezione che sia stata elaborata nel nostro paese della filosofia della prassi, come visione autonoma della realtà e del mondo, ma il concetto di rivoluzione non è neanche in lui direttamente unito a un’analisi precisa delle condizioni oggettive in cui si sviluppava la concreta rivoluzione italiana, la rivoluzione degli operai e dei contadini, del popolo italiano per rovesciare il corso della storia t diventarne padroni. Il Labriola, ho già avuto occasione una volta di ricordarlo e credo che del resto questa osservazione sia oggi generalmente riconosciuta valida, non riuscì a giungere al concetto deirimperialismo e questa fu la più grave deficienza dello sviluppo del suo pensiero, deficienza che spiega anche alcuni degli errati

1 II grido del popolo, Torino, 25 maggio 1918.426

Le relazioni

giudizi da lui stesso avanzati, negli ultimi anni dell’esistenza, circa la politica coloniale dell’imperialismo.

In quegli appunti che dopo una certa rielaborazione, credo, sono stati presentati come un « quarto saggio » sulla concezione materialistica della storia, con il titolo Da un secolo all’altro, Antonio Labriola affronta questo problema, il problema dell'imperialismo. La sua ricerca[...]

[...]ubito aggiunge una giustificazione di questa affermazione, che teoricamente è giusta; non si può fare a meno, però, di rilevare che l’incertezza e la sfiducia, che permangono, sono conseguenza della incapacità di compiere quel passo, quel salto, anzi, che Lenin compiva, quando partito da un’analisi assai più approfondita della struttura deH’economia capitalistica e nel primo periodo e nel momento del passaggio al periodo successivo, che è quello deirimperialismo, era in grado di definire con precisione il carattere dell’epoca che stava incominciando, di proclamare che era l’epoca del passaggio dal capitalismo al socialismo, dall’èra liberale all’èra socialista.

Di questa mancanza di una decisa prospettiva storica aveva sofferto, in sostanza, tutto il movimento operaio italiano, sin dagli inizi. Ne soffri particolarmente nel primo decennio del secolo, quando il movimento della classe operaia, che aveva oramai passato le prove delle classi eiePaimiro Togliatti

All

mentari, doveva affrontare le prove superiori, le prove, cioè, del[...]

[...]biettivi e prospettive che fossero evidenti e chiari, e ciò dette al riformismo italiano un aspetto anche più meschino, contradditorio in se stesso e stentato che in altri luoghi.

Tutte queste erano, in sostanza, le conseguenza negative di una concezione pedantesca, meccanicistica del marxismo e del processo stesso del movimento operaio. Mancava la concezione dello sviluppo storico, che non può essere inteso soltanto come evoluzione oggettiva dei rapporti economici attraverso alle trasformazioni della tecnica e aH’accrescimento delle forze produttive, sviluppo delle lotte parziali economiche e politiche dei lavoratori e a coronamento di quella evoluzione e di questo sviluppo una miracolosa catastrofe. Quella che mancava era la nozione stessa delle modificazioni e deH’arrovesciamento dei rapporti di potere nella società, della rottura del blocco storico dominante e della creazione rivoluzionaria di un blocco nuovo.

È questa nozione, invece, che Gramsci pose a fondamento di tutto il suo pensiero e di tutta la sua successiva azione. Questa fu la più grande conquista da lui realizzata.

Le difficoltà furono grandi, anche per un pensatore che aveva una inconsueta ampiezza di informazione, e una eccezionale acutezza di indagine critica. Quando si leggono le sue Note del carcere, stese da lui428

Le relazioni

senza avere a propria disposizione una biblioteca, ma soltanto[...]

[...]risultano particolarmente evidenti quando si leggono i primi scritti di Gramsci sulla Rivoluzione russa, in parte già pubblicati, in parte non ancora. Questi scritti contengono senza dubbio anche degli errori, affermazioni che non possiamo accettare e non sono accettabili. Mi riferisco particolarmente al famoso articolo intitolato « La rivoluzione contro il “ Capitale ” » 1 dove il « Capitale » è il libro di Carlo Marx, e la rivoluzione è quella dei bolscevichi russi neH’Ottobre 1917. L’impostazione, come si vede, è errata ed errati sono alcuni giudizi. Ma da questo scritto mi pare emerga quasi un grido di liberazione del giovane Gramsci che, vedendo ciò che è avvenuto in Russia, finalmente sente che ci si può liberare dal (pesante e ingombrante involucro dell’interpretazione pedantesca, grettamente materialistica e positivistica che era stata data del pensiero di Marx in Italia, e che era stata data anche da grandi e ben noti agitatori del socialismo.

Il Capitale in Russia era diventato — si legge in questo articolo — « il libro dei [...]

[...]si un grido di liberazione del giovane Gramsci che, vedendo ciò che è avvenuto in Russia, finalmente sente che ci si può liberare dal (pesante e ingombrante involucro dell’interpretazione pedantesca, grettamente materialistica e positivistica che era stata data del pensiero di Marx in Italia, e che era stata data anche da grandi e ben noti agitatori del socialismo.

Il Capitale in Russia era diventato — si legge in questo articolo — « il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un’èra capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale,

1 II grido del popolo, 5 gennaio 1918. Vedilo ripubblicato integralmente in Rinascita, a. XIV, n. 4, apr. 1957, pp. 146147.Paimiro Togliatti

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prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe [...]

[...]i sofferenze indicibili, di miserie indicibili, avrebbe suscitato in Russia la volontà collettiva popolare che ha suscitata ».

Ho indicato quali sono, in questo notevole scritto, alcune affermazioni errate. Ma conta la sostanza, che è, ripeto, un grido quasi di liberazione, per aver trovato alfine la necessaria guida, a liberarsi dalle interpretazioni pedantesche, grettamente materialistiche ed economistiche del marxismo. In tutti i commenti, dei successivi due o tre anni, agli avvenimenti di Russia dopo la conquista del potere, sempre meglio viene elaborato e precisato questo momento da un lato, mentre dall’altro lo studio è vólto430

Le relazioni

a cogliere il nesso tra il momento internazionale e il momento nazionale della rivoluzione. Ciò che i bolscevichi russi sono stati in grado di fare è conseguenza di una trasformazione qualitativa della situazione internazionale. La catena deirimperialismo si è rotta. Si è aperto un nuovo periodo della storia mondiale. Ma la vittoria della classe operaia e dei bolscevichi è stata possi[...]

[...]uccessivi due o tre anni, agli avvenimenti di Russia dopo la conquista del potere, sempre meglio viene elaborato e precisato questo momento da un lato, mentre dall’altro lo studio è vólto430

Le relazioni

a cogliere il nesso tra il momento internazionale e il momento nazionale della rivoluzione. Ciò che i bolscevichi russi sono stati in grado di fare è conseguenza di una trasformazione qualitativa della situazione internazionale. La catena deirimperialismo si è rotta. Si è aperto un nuovo periodo della storia mondiale. Ma la vittoria della classe operaia e dei bolscevichi è stata possibile perché questi sono stati x migliori interpreti di tutto lo sviluppo storico della società nazionale russa di cui hanno saputo trarre, con la loro azione, le conseguenze. In questo modo viene a determinarsi la funzione nazionale della classe operaia nello sviluppo del movimento internazionale. Le condizioni stesse del mondo capitalistico, giunto alla fase dell’imperialismo, creano le premesse generali della rottura rivoluzionaria, ma in ogni paese la rottura ha le sue premesse particolari, che vengono dalla sua storia. La classe operaia è in tutto il mondo Faffoss[...]

[...]dell’attenzione che Gramsci dà alla storia del Risorgimento ed a tutta la storia italiana. Egli ricerca nella storia del Risorgimento, ricerca nelle analisi sui differenti momenti della storia italiana, ricerca nell’analisi della funzione che hanno avuto gli intellettuali nella storia del nostro paese, — e che fu una funzione particolare, diversa da quella che hanno avuto altrove, — egli ricerca con questa sua molteplice indagine una definizione dei rapporti di classe della società italiana più esatta di quelle che abitualmente si sogliono dare. Continuamente attento all’azione reciproca tra la struttura dei rapporti produttivi e le sovrastrutture (politiche, militari, organizzative, ideologiche, ecc.), giunge a individuare quello che egli chiama il « blocco storico », le forze che lo dirigono e i contrasti interiori che ne determinano il movimento.

Nella prima giornata di questo Convegno si è svolto un interessante dibattito circa le affermazioni e la critica di Gramsci alle forze motrici del Rinascimento italiano per l’assenza di giacobinismo. Mi sembra però che un momento particolarmente importante non sia stato messo nellaPaimiro Togliatti

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giusta luce da chi è intervenuto su que[...]

[...] concrete della politica e della cultura nel momento in cui egli dà inizio al proprio lavoro.

Eravamo nel primo decennio del ’900. periodo di profonda crisi nello sviluppo della società italiana. Le scelte che vennero fatte in quel periodoebbero una efficacia fatale su ciò che è avvenuto in seguito. Negli indirizzi,.432

Le relazioni

ideali e pratici che in quel periodo maturarono e presero consistenza, sono presenti i germi di parecchi dei mali che più tardi si abbatterono sopra, di noi e che non fu difficile denunciare e respingere quando si manifestarono nel ventennio fascista, ma non era facile intuire^ criticare e respingere quando si presentarono, nel loro germe, in quel periodo lontano.

Risale a quegli anni l’inizio della decomposizione del vecchio blocco politico risorgimentale. E la crisi venne dalle cose, dagli sviluppi economici che spingono il capitalismo italiano sulla via déH’imperialismo, e dal movimento delle masse. La opposizione contadina, che la Chiesa cattolica aveva cercato di organizzare, mantenere viva [...]

[...] venne dalle cose, dagli sviluppi economici che spingono il capitalismo italiano sulla via déH’imperialismo, e dal movimento delle masse. La opposizione contadina, che la Chiesa cattolica aveva cercato di organizzare, mantenere viva e dirigere, per farne la propria base di lotta contro lo Stato risorgimentale, e la nuova opposizione operaia tendono a confluire in una generale ribellione ai vecchi ordinamenti politici. Il vecchio modo di muoversi dei gruppi dirigenti borghesi, liberali di nome, di fatto conservatori e reazionari, non è più valido in questa situazione nuova e non è più valida nemmeno la formula dell’opposizione cattolica allo Stato liberale. È una formula che può rivelarsi assai pericolosa, di fronte all’avanzata del socialismo tra le masse sia operaie che contadine. Non soltanto, quindi, sono costretti a cambiar strada quelli che erano stati fino ad allora i gruppi dirigenti borghesi, ma anche i loro oppositori di parte cattolica e clericale, borghesi e reazionari anch’essi, e oramai costretti a porre al di sopra di ogni [...]

[...]n quel momento, anche la cultura. Sono attaccate e crollano le vecchie ideologie ottocentesche e tutta la visione della storia del nostro paese subisce una scossa profonda, ad opera di dilettanti, è vero, e non ancora di scienziati, ma in modo tale che lascia traccia profonda. È il momento — si ricordi — in cui viene diffusa ed esaltata l’opera storica, che noi oggi sappiamo come debba essere giudicata, di Alfredo Oriani. È il momento del crollo dei sistemi positivistici e del tramonto, insieme con essi, di tutta una cultura.

Come si muove Gramsci in quel momento di cosi profonda crisi? L’influenza delle nuove correnti idealistiche lo porta a respingere le volgarità delle interpretazioni positivistiche del marxismo. Egli è però, in pari tempo, agli antipodi della visione idealistica della storia e della situazione del nostro paese. Respinge con repugnanza tanto l’esasperato e ridicolo individualismo dannunziano quanto l’esaltazione nazionalistica alla quale stavano attingendo nuovo alimento ideologico i gruppi dirigenti reazionari. Ne[...]

[...]se. Respinge con repugnanza tanto l’esasperato e ridicolo individualismo dannunziano quanto l’esaltazione nazionalistica alla quale stavano attingendo nuovo alimento ideologico i gruppi dirigenti reazionari. Nella indagine sulla storia, sulla struttura, sulla realtà attuale della società italiana il suo pensiero si ricollega invece piuttosto ad elementi che sgorgano dalle correnti razionalistiche del pensiero politico italiano dell’Ottocento.

Dei principali esponenti di queste correnti nelle relazioni e in alcuni interventi è stato fatto il nome. Sono uomini nelle cui opere regna ancora, si deve riconoscerlo, una grande confusione per quanto riguarda l’indagine sui temi più generali, sui problemi della conoscenza, della filosofia, della metodologia della storia. Si riflette in questa confusione il carattere stentato dell’illuminismo e razionalismo italiano di quel tempo. Da alcuni, almeno, di questi pensatori era però partito un impulso, efficace e potente, alla ricerca della realtà economica e delle forme di organizzazione della soci[...]

[...]o esagerazioni. No! La differenza è sin dai primi passi, una profonda differenza di indi434

Le relazioni

rizzo e di qualità. Vi è in Gramsci il confluire di una visione della storia, che gli veniva dallo sviluppo della filosofia italiana nel momento in cui essa si ricollegava alle grandi scuole filosofiche tedesche del secolo precedente, ma che assorbiva una nuova linfa vitale dalla migliore tradizione delle indagini economiche e storiche dei maestri della storiografia razionalistica e positivistica. Privo di questa linfa vitale il suo pensiero non sarebbe stato quello che è; non avrebbe potuto elaborare la sua dottrina dell’alleanza della classe operaia del Nord con le masse contadine italiane, particolarmente dell’Italia meridionale, per risolvere il problema della unità del nostro paese; non avrebbe potuto dare una nuova e cosi profonda interpretazione del rapporto tra la città e la campagna nello sviluppo della storia d’Italia. Tutto il suo pensiero storiografico e politico non avrebbe potuto avere quel rigoglioso sviluppo che[...]

[...]nti da una visione parziale della realtà. Ciò portò Salvemini a compiere atti politici che Gramsci non poteva non giudicare come errori, e che tali furono. Non ostante questo, Salvemini rimane un grande maestro del pensiero storico e politico italiano, da cui Gramsci molto apprese, a cui di molto egli è debitore.

È necessario però osservare, a questo punto, che relativamente ad uno degli aspetti fondamentali dell’applicazione e dello sviluppo dei leninismo, che Gramsci fece in relazione con la storia italiana e con la situazione del nostro paese, cioè nella formulazione della necessità di un’alleanza tra la classe operaia e le grandi masse lavoratrici contadine del Meridione nella lotta contro il loro nemico comune, che è il regime capitalistico e il suo Stato accentratore e tiranno, Gramsci prende le mosse dalla polemica salveminiana, ma decisamente se ne stacca nelle conclusioni. Il concetto di alleanza elaborato da Gramsci è qualitativamente diPaimiro Togliatti

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verso, dal punto cui anche Salvemini era giunto nella sua ag[...]

[...]lo sviluppo economico come risultato delle pure modificazioni dello strumento tecnico. Effettivamente anche le modificazioni dello strumento tecnico hanno un valore che non è soltanto materiale. Esse stesse sono il risultato di una evoluzione che ha luogo anche nelle sovrastrutture, sono il portato di una ricerca, di uno studio, di una azione educativa, possono persino essere legate al prevalere di indirizzi filosofici che spingono alla indagine dei fenomeni naturali o di indirizzi che frenino questa indagine. Non è per un caso che i primi satelliti artificiali della terra sono stati lanciati da un paese la cui cultura è materialistica.

Motore della storia è, però, lo sviluppo generale delle forze produttive e, sulla base di questo, lo sviluppo dei rapporti sociali e della lotta delle classi. La nozione di progresso tecnico, cosi come il concetto stesso di lavoro, non possono essere intesi in senso ristretto e puramente materiale, quasi isolando una parte dell’umanità, la classe operaia, dentro il muro delle fabbriche, dove girano i torni e le frese, o agiscono le macchine a catena e gli apparecchi automatici del giorno d’oggi. Il progresso tecnico, come abbiamo veduto, è sempre il risultato di uno sviluppo che viene da molte direzioni e dove l’educazione ha la sua parte, e il carattere stesso che ha il lavoro dell’operaio nella fabbric[...]

[...]atici del giorno d’oggi. Il progresso tecnico, come abbiamo veduto, è sempre il risultato di uno sviluppo che viene da molte direzioni e dove l’educazione ha la sua parte, e il carattere stesso che ha il lavoro dell’operaio nella fabbrica davanti alla macchina di ieri e di oggi e alla macchina di domani, non si afferra se non si indaga e non si svela il rapporto di proprietà, cioè il rapporto tra le classi, la relazione tra chi è il proprietario dei mezzi di produzione e chi non possiede che la propria forza di lavoro, cioè se non si esce dall’ambito della fabbrica per proiettare il rapporto che si stabilisce nella fabbrica in una visione generale di tutti i rapporti sociali.

Questa fu la ricerca di Gramsci negli anni dal 1918 al 1920. Egli intendeva fare uscire dalla fabbrica moderna capitalistica di Torino, luogo più avanzato dello sviluppo industriale italiano, una forza adeguata alla soluzione dei problemi nazionali che in quel momento si ponevano, capace di superare la crisi terribile provocata dalla guerra e dalla distruzione de[...]

[...]roduzione e chi non possiede che la propria forza di lavoro, cioè se non si esce dall’ambito della fabbrica per proiettare il rapporto che si stabilisce nella fabbrica in una visione generale di tutti i rapporti sociali.

Questa fu la ricerca di Gramsci negli anni dal 1918 al 1920. Egli intendeva fare uscire dalla fabbrica moderna capitalistica di Torino, luogo più avanzato dello sviluppo industriale italiano, una forza adeguata alla soluzione dei problemi nazionali che in quel momento si ponevano, capace di superare la crisi terribile provocata dalla guerra e dalla distruzione delle forze produttive, di eliminare il disordine e il caos, di vincere il profondo scoraggiamento che regnava nei ceti dirigenti e nelle masse. Tutto questo poteva essere fatto dalla classe operaia se, partendo dalle questioni che si ponevano nella fabbrica, fosse riuscita ad acquistare una giusta coscienza dei grandi problemi nazionali e del modo di risolPalmiro Togliatti

437

verli. Nessun culto, quindi, della spontaneità; cioè nessuna tendenza a. idealizzare le forme delazione operaia nella fabbrica e chiudersi in esse, ma sforzo consapevole per portare la classe operaia ad una più elevata, coscienza del proprio compito nazionale.

Gramsci stesso ci ha dato e la critica e la definizione delle sue posizioni in quel periodo. «L’accusa contraddittoria [volta al movimento torinese di essere contemporaneamente spontaneista e volontarista o bergsoniano] analizzata, mostra — egli scrive — la fec[...]

[...]ia. È questa un’affermazione fondamentale, direttamente collegata all’insegnamento e all’azione pratica di Lenin. È una derivazione diretta del Che fare? e degli altri grandi studi leninisti circa la dottrina del partito e della sua funzione.

Risulta evidente, da questo modo di porre la questione, il nesso tra la dottrina del partito, come intellettuale collettivo che organizza e dirige la lotta della nuova classe per il potere, e lo sviluppo dei rapporti economici, dei rapporti di classe, dei rapporti politici, nonché delle ideologie e degli altri elementi sovrastrutturali. In questo sviluppo il partito si inserisce in un momento determinato e in modo determinato, a seconda della struttura di quella determinata società, a seconda del caratere del blocco storico in quel momento dominante, per cui quando ci si trova di fronte a un fatto decisivo, come la conquista del potere da parte del partito bolscevico, minoranza numerica di fronte alla grande massa della popolazione, il problema da porsi non è se il fatto che una minoranza conquisti il potere contraddica le norme della democraz[...]

[...]erò

29.440

Le relazioni

contenuta la risposta adeguata alla realtà dello sviluppo storico della Russia, della vita sociale, economica, collettiva del popolo russo.

Ma la dottrina del partito conterrebbe dunque la giustificazione di una tirannide? Si possono trovare in Gramsci, soprattutto nelle primepagine delle Note sul Machiavelli, affermazioni che, staccate dal loro contesto, possono spaventare un ignaro. Sono invece affermazioni dei tutto comprensibili, logiche, giuste, quando la dottrina del partito è intesa come Lenin e Gramsci la intesero.

Gramsci affronta questo problema in modo assai vario e complesso,, perché riconosce che il pericolo può esserci. Egli ne aveva avuto esperienza nel modo come era stato diretto il suo partito, il Partito comunista italiano nei primi anni della sua esistenza, trasformandolo in una sèttar in una organizzazione di tipo pseudomilitaresco, privo di una propria vita, vivacità e dialettica interna, e quindi incapace anche di adempiere a quelle funzioni cui deve adempiere il partito nel c[...]

[...]zione tecnica specializzata sarà da dire quando l’autorità si esercita in un gruppo omogeneo socialmente (ó nazionalmente); quando si esercita da un gruppo su un alttro gruppo, la disciplina sarà autonoma e libera per il primo, ma non pèr il secondo » 1.

La questione, però, ha anche un altro aspetto, più generale, e che ha assunto un grande rilievo nello sviluppo del movimento operaio internazionale degli ultimi anni: l’aspetto della validità dei concetti formali di democrazia e libertà, in rapporto con le necessità della edificazione storica di un nuovo regime, della sua difesa, del suo passaggio dall’uno all’altro stadio dello sviluppo. Qui si entra in un campo che è il più attuale, nel quale per muoverci il pensiero di Gramsci è una guida è richiede uno sviluppo. Ciò che interessa soprattutto è il modo come Gramsci considera il problema del potere, cioè dell’esercizio dell’autorità dirigente da parte di determinati gruppi sociali. Qui egli introduce il concetto di egemonia, ma questo concetto mon può essere formalmente opposto al c[...]

[...]he444

Le relazioni

oggettive e nell’affermare la necessità di adeguarsi ad esse, è stato proprio il Capo della Rivoluzione bolscevica. Basta ricordare come scrivendo, nel 1921, ai comunisti georgiani, cioè di un paese che era parte della Russia, ma diverso per la struttura economica e politica, egli raccomandava di non attenersi allo schema russo, ma di seguire una diversa via per risolvere i problemi dell’organizzazione della produzione, dei rapporti con la piccola e media borghesia produttrice e con le sue formazioni politiche. Basta ricordare come Lenin giungeva a parlare di variazioni nelle forme del potere, quando fossero entrate in azione le grandi masse umane deirOriente, come oggi sta avvenendo.

Il pensiero di Gramsci si è mosso per questa via, che è la via dello sviluppo creativo del marxismo. Su di essa è stato guidato da Lenin. Noi cerchiamo e troviamo nel suo pensiero non delle formule, ma una guida per comprendere i problemi del mondo d’oggi, per lavorare a risolvere le contraddizioni che oggi si presentano sulla scena economica e politica, e che sorgono anche là dove il potere è già nelle mani della classe operaia, dovendo allora essere trattate e portate a soluzione con metodi particolari, diversi da quelli con cui si risolvono le contraddi[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Zanardo, Il «manuale» di Bukharin visto dai comunisti tedeschi e da Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...]nno avuto i quadri intellettuali del movimento operaio tedesco nella elaborazione delle questioni filosofiche e scientifiche. La ricchezza, la varietà, i legami internazionali, il prestigio della cultura socialista e

comunista tedesca di allora sono tali che i rilievi fatti su di essa

hanno una certa completezza e tipicità. Considerare la critica di Gramsci a Bukharin in questo confronto non è dunque casuale, significa collegarla ad alcuni dei termini essenziali della situazione ideologica di allora.

I

Il Manuale di Bukharin è del ’21. Le prime prese di posizione in Occidente datano però dal ’22, quando esce la traduzione tedesca1. La traduzione inglese esce a New York nel ’25 2, quella francese a Parigi nel ’273, ed è verosimile che anche intorno a queste si sia sviluppato un insieme di reazioni4.

1 Theorie des historischen Materialismus. Gemeinverstàndliches Lehrbuch der marxistischen Soziologie. Hamburg, Verlag der kommunistischen Internationale, 1922. È la traduzione di cui ci serviamo.

2 Historical Materialism. A S[...]

[...]teresse per le questioni filosofiche era scarso ed eclettico e per lo più limitato ad alcuni esponenti di tendenze neocriticiste, sia perché delle cose sovietiche stavano in primo piano i problemi politici della rivoluzione, dello Stato, dell’economia, sia infine perché la socialdemocrazia aveva un altissimo concetto del livello del suo sviluppo teorico. La discussione con il comuniSmo sovietico, soprattutto dopo la conquista del potere da parte dei bolscevichi (fra i menscevichi cerano Plekhanov, Axelrod, la Sassulic, cioè coloro che avevano avuto rapporti strettissimi con i tedeschi), si articolò essenzialmente fra i due poli di democrazia o dittatura; di socialismo che viene quando sono maturate le sue condizioni economiche e sociali, quando il proletariato è già una maggioranza ed è ideologicamente compatto, e socialismo che viene prima delle sue condizioni, riflusso di quel bakunismo che Marx ha combattuto, potere violento di una minoranza non dissimile dal regime prussiano o zarista; socialismo che tiene conto dell’intero sviluppo [...]

[...]econdari in uno sviluppo ideologico a cui la rivoluzione, la rottura con la socialdemocrazia, il legame con una nuova fase della cultura europea, imprimono un corso particolare.

Questa, sommariamente, la situazione in campo socialista, l’ambiente in cui il libro di Bukharin parve probabilmente la trascurabile espressione di un mondo del tutto diverso. Comuni in alcuni punti con quelle socialiste, ma in genere più complicate, sono le posizioni dei grandi intellettuali tedeschi verso il marxismo alla Bukharin. Per Sombart, perAldo Zanardo

343

esempio, Bukharin dà una nchtige Darstellung del marxismo 1, cioè si tende in genere a concepire il marxismo come qualcosa di compatto, qualcosa che, da Marx ai bolscevichi, è e rimane materialismo volgare, economicistico 2.

Ma, se si escludono alcuni che esagerarono questa tesi, che parlarono di BebelBolschewikiSocidismus, la distinzione fra marxismo filosofico sovietico e marxismo filosofico europeo, nel senso che si è indicato, diventa da allora un dato permanente della storiografia fi[...]

[...]ietico e marxismo filosofico europeo, nel senso che si è indicato, diventa da allora un dato permanente della storiografia filosofica non comunista, o per lo meno di quella parte di essa più preparata e libera da preconcetti verso il marxismo nel suo complesso.

II

Le recensioni a Bukharin di alcuni intellettuali comunisti tedeschi (o che vivevano in Germania) non bastano certo a informarci adeguatamente sul fatto se i comunisti o una parte dei comunisti accettino la distinzione fra marxismo russo e marxismo europeo, se siano consapevoli di alcuni valori autonomi propri del marxismo tedesco ed europeo, se questa consapevolezza sia organica e radicata. Sarebbe necessario non solo considerare l’insieme della produzione di pensiero di questi intellettuali, ma anche vedere la storia politica ed ideologica del partito in quegli anni : il concetto di un comuniSmo tedesco o anche occidentale, il concetto di un modo occidentale della rivoluzione proletaria, tutto il nodo di questioni che si raccolgono intorno ai problemi della rivoluzione m[...]

[...]nche vedere la storia politica ed ideologica del partito in quegli anni : il concetto di un comuniSmo tedesco o anche occidentale, il concetto di un modo occidentale della rivoluzione proletaria, tutto il nodo di questioni che si raccolgono intorno ai problemi della rivoluzione mondiale e del collegamento fra la Rivoluzione russa e quella tedesca. Sono questi, mi sembra, per gli anni che vanno dal ’18 al ’22, e soprattutto dal ’19 al ’21, alcuni dei problemi di primo piano del movimento comunista tedesco.

Ciò a cui l’esame delle recensioni che abbiamo detto ci permette di arrivare non sono tanto delle indicazioni su questi fatti generali e nep
1 Der proletarische Sozialismus, Jena, 1924, I, p. 127.

2 É chiaro che da parte socialdemocratica (per es. BERNSTEIN, Der Sozialismus eifist und jetzt, Berlin, 1923, p. 125, ma anche Bauer, Kautsky...) si preferisce sottolineare l’eterogeneità del bolscevismo rispetto al marxismo, presentarlo come qualcosa di squisitamente russo o asiatico e risolubile nel blanquismo, nel sindacalismo, nell’[...]

[...]almente del mondo comunista tedesco di allora. Non esisteva ancora una rigida dogmatica filosofica. Il marxismo non era un sistema compie.o, classico, in cui le varie componenti avessero raggiunto una trattazione e un equilibrio definito. La completezza sistematica, la concezione del mondo, era ancora qualcosa di non raggiunto e di raggiungibile attraverso l’eliminazione delle incrostazioni socialdemocratiche della dottrina e lo studio rinnovato dei testi originali. I problemi di filosofia non erano ancora immediatamente problemi politici, non interessavano molto i politici. Non furono i politici, ma gli intellettuali a interessarsi con maggiore scrupolo del libro di Bukharin. E questi intellettuali, in generale, avevano avuto una formazione culturale degna delle migliori tradizioni universitarie tedesche, non venivano dalla socialdemocrazia, erano eterogenei, non avevano alte responsabilità politiche. La recente adesione al movimento comunista non aveva in generale determinato in loro trasformazioni culturali radicali, né aveva semplifi[...]

[...]. E questi intellettuali, in generale, avevano avuto una formazione culturale degna delle migliori tradizioni universitarie tedesche, non venivano dalla socialdemocrazia, erano eterogenei, non avevano alte responsabilità politiche. La recente adesione al movimento comunista non aveva in generale determinato in loro trasformazioni culturali radicali, né aveva semplificato e uniformato gli orientamenti ideali e la sensibilità storica.

La misura dei consensi che vanno al Manuale di Bukharin è data dalla misura in cui prevale, nel giudizio, il punto di vista politico. Contava,, secondo questo punto di vista, nel mezzo di una lotta che imponeva la mobilitazione rapida e continua di grandi masse, non tanto l’interna ricchezza e coerenza di una posizione ideale, quanto il suo essere strumento di quella mobilitazione, il suo esprimere nel modo più semplice la rottura con la Seconda Internazionale e la posizione originale, specifica, esclusiva, del proletariato nella storia. Nell’ambito della stessa impostazione si tende a concepire il proleta[...]

[...]che magistrali. Duncker tuttavia mette in risalto alcuni punti, presenti si nel Manuale, ma non certo sviluppati: il materialismo di Marx non è meccanicistico; l’ideologia non è pura apparenza; c’è reciprocità fra base e soprastruttura; materialismo non significa fatalismo.

In parte diversa, ma solo in parte, è la recensione di Fritz Riickert nella Jugendinternationale*. Riickert fa perno non sul materialismo, ma sulla dialettica, sul secondo dei due temi che servirono alla polemica filosofica contro la socialdemocrazia. È la dialettica, l’ammissione che nella società e nella natura esistono salti, rivoluzioni, a distinguere il comuniSmo dalla socialdemocrazia. « Il marxismo è una dottrina della realtà, della vita vivente, dell’azione » : l’uomo non è cieco strumento della sorte, ma elemento attivo nel processo necessario di sviluppo della società. Ma questi motivi vengono sviluppati in continuità col testo di Bukharin, senza svolgerne l’implicita concezione diversa, l’implicita critica al determinismo.

Sono testi cosi esigui che è[...]

[...]della riscoperta che il marxismo tedesco fa in questi anni della prima delle Tesi su Veuerbach. Ma in quale rapporto stanno queste riserve con Tacceitazione delle tesi di Bukharin? Come conciliano Bukharin e Lenin? Si tratta di posizioni confuse, frettolose, in cui si riflettono probabilmente le preminenti preoccupazioni politiche,

1 1922, 23 die., pp. 18291830.

2 1922, die., pp. 239354.

3 1923, febbr., pp. 1867.

,346

I documenti dei convegno

il prestigio del « più brillante » teorico russo (come allora si diceva di Bukharin)1, la scarsa informazione del marxismo, l’opportunità di non mettere in mostra in certe sedi gli eventuali contrasti del fronte ideologico.

Non a caso, a fronteggiare apertamente Bukharin, sono due intellettuali di mestiere, Fogarasi e Lukàcs. Fogarasi aveva collaborato, come Lukàcs, nel ’20’21, al Kommunismus di Vienna, la rivista che fu per un certo tempo « rivista deirinternazionale comunista per i paesi dell’Europa sudorientale ». Nel ’24, nella polemica su Geschichte und Klassenbewusstsein,[...]

[...]tigio del « più brillante » teorico russo (come allora si diceva di Bukharin)1, la scarsa informazione del marxismo, l’opportunità di non mettere in mostra in certe sedi gli eventuali contrasti del fronte ideologico.

Non a caso, a fronteggiare apertamente Bukharin, sono due intellettuali di mestiere, Fogarasi e Lukàcs. Fogarasi aveva collaborato, come Lukàcs, nel ’20’21, al Kommunismus di Vienna, la rivista che fu per un certo tempo « rivista deirinternazionale comunista per i paesi dell’Europa sudorientale ». Nel ’24, nella polemica su Geschichte und Klassenbewusstsein, sarà attaccato da Deborin e Thalheimer2 quale discepolo di Lukàcs. Lukàcs, Korsch e in secondo piano Fogarasi, Revay e alcuni altri furono allora il gruppo che pensò, filosoficamente, con maggiore originalità (abbiano valore transitorio o permanente le loro conclusioni) il marxismo, l’esperienza sovietica, le esperienze comuniste europee.

Fogarasi ammette3 che il Manuale di Bukharin ha colmato una lacuna della letteratura marxista. I lavori di Plekhanov e Gorter so[...]

[...]ozzo di analisi politica non viene sviluppato e si passa, creando un distacco, all’esame dell’opera sotto l’aspetto scientifico. Bukharin rende troppo facile il marxismo, lo appiattisce e mantiene al tempo stesso l’illusione che non ne venga sacrificato cosi il senso profondo. Riesce a dare il contenuto più che il metodo della dottrina. Il suo punto di vista è quello del materialismo

1 Ma si legga anche ciò che scrive Lenin nel Testamento : « Dei giovani membri del comitato centrale vorrei dire alcune parole su Bukharin e Pjatakov. A mio parere questi sono le forze più capaci fra i giovani, ma non si può dimenticare riguardo a loro questo fatto : Bukharin è non solo il più valoroso e più robusto teorico del partito, ma può anche essere considerato apertamente il suo prediletto. Ciononostante le sue concezioni teoriche si possono considerare pienamente marxiste soltanto con le più grandi riserve, perché in lui fa capolino lo scolastico e non ha mai imparato la dialettica (io credo che non l’abbia mai capita) ». Il testo è stato ormai p[...]

[...]ntativo di popolarizzazione e di sistemazione e, dentro questi limiti, fa alcune considerazioni positive. Ma il resto è prevalentemente critico. Anche proprio in quanto popolarizzazione il Manuale rompe la tradizione di Plekhanov e Mehring che avevano mostrato come si può unire popolarizzazione e scientificità. La posizione filosofica di Bukharin è il materialismo volgare, intuitivo. Questo materialismo è una comprensibile reazione all’idealismo dei socialdemocratici da Bernstein a Cunow, ma viene ad escludere dal metodo marxista tutti gli elementi che provengono dalla filosofia classica tedesca e in particolare quella dialettica che sola rende intelligibile il processo storico. Bukharin trasforma la dialettica, un metodo, in una Science oggettivistica, positivistica; ammette una cosalità irrisolta, una oggettività a sé, feticistica. Essenziale al marxismo è invece « ricondurre tutti i fenomeni dell’economia e della sociologia a rapporti sociali degli uomini fra loro ». Tipico deH’impostazione oggettivistica, materialisticovolgare, è il [...]

[...]igibile il processo storico. Bukharin trasforma la dialettica, un metodo, in una Science oggettivistica, positivistica; ammette una cosalità irrisolta, una oggettività a sé, feticistica. Essenziale al marxismo è invece « ricondurre tutti i fenomeni dell’economia e della sociologia a rapporti sociali degli uomini fra loro ». Tipico deH’impostazione oggettivistica, materialisticovolgare, è il fatto che Bukharin affermi la tecnica come determinante dei rapporti di lavoro. È invece l’economia,

1 Archiv f. Geschkhte des Sozialismus u. der Arbeiterbewegung, XI, 1923, pp. 216224.348

I documenti del convegno

la struttura economica della società, cioè i rapporti sociali degli uomini fra loro nel processo produttivo, l’elemento ultimo e decisivo delle trasformazioni tecniche, e solo secondariamente queste influiscono sulla struttura. L’argomentazione si vale del noto capitolo sul feticismo della merce, un testo essenziale allora per Lukàcs (e non solo per lui), e che egli interpreta come negazione delloggettività storica, apparente, del [...]

[...], applica il metodo di quelle scienze, il materialismo volgare, allo studio della società.

Alcuni concetti di queste due recensioni hanno un risalto immediato : il proletariato tedesco ed europeo come qualcosa di specifico, l’esclusione di Bukharin dalla tradizione maestra del marxismo, la sottolineatura sociologica, materialisticostorica, non gnoseologica e non economicistica che ha il marxismo (insistenza sul relativismo, sulla correlazione dei fenomeni, sulla « totalità », non sul condizionamento dell’economia), il legame con la grande cultura. Ma ci sono anche altri punti importanti: la struttura di possibilità della realtà e tutto ciò che essa comporta, la dialettica, l’attività umana, la posizione verso le scienze della natura, l’accento umanistico.

Questi motivi teorici e quei rilievi critici verso Bukharin, in Lukàcs, si inquadrano ormai in una elaborazione sistematica, in una ideologia articolata. Anche di Korsch si può forse dire che motivi analoghi mettano capo a un organismo intellettuale analogo. Non si tratta insomma [...]

[...] Manifesto.

Siamo dunque di fronte a un processo di transizione, al distacco, determinato dalla situazione rivoluzionaria e dall’esperienza leninista, di alcuni intellettuali dalla cultura filosofica e umanistica tedesca, alla loro prospettiva di diventare intellettuali della classe operaia tedesca introducendo nel patrimonio ideale del proletariato le cose migliori della cultura europea, portandovi tutti i valori impliciti nellambito mentale dei grandi intellettuali, dotando quella classe operaia di un gruppo di intellettuali di prestigio universale.

Ma la loro saldatura con il movimento operaio non si ha ancora. Teoricamente, questo limite intellettualistico, questo non ancora raggiunto contatto con la classe operaia si esprime nel risalto isolato che ricevono la trattazione scientifica e l’attivismo rivoluzionario, soggettivistico. In Lenin l’attività è attività rivoluzionaria di una certa classe che occupa una certa posizione nella storia e nelle strutture economiche. Osserva Lukàcs, in una specie di intervista del ’33 \ che un[...]

[...]raio non si ha ancora. Teoricamente, questo limite intellettualistico, questo non ancora raggiunto contatto con la classe operaia si esprime nel risalto isolato che ricevono la trattazione scientifica e l’attivismo rivoluzionario, soggettivistico. In Lenin l’attività è attività rivoluzionaria di una certa classe che occupa una certa posizione nella storia e nelle strutture economiche. Osserva Lukàcs, in una specie di intervista del ’33 \ che uno dei motivi dei suoi lavori del 19091911 era la separazione, fatta dietro suggestione di Simmel, della sociologia dai fondamenti economici concepiti ancora molto astrattamente. Ma questa separazione si trova anche dopo, ed è in sostanza essa la premessa teorica del soggettivismo, cioè la mancanza del senso delle radici essenziali che ha la classe operaia nel mondo economico, nella realtà in generale. Si rimane cosi come bloccati nell’opposizione astratta alla Seconda Internazionale (di cui è caratteristica appunto quest’ultima tesi), nell’incapacità di assimilarne i movimenti positivi.

1 Internationale Li[...]

[...] Rivoluzione proletaria). I filosofi ne trassero le conclusioni e nelle nuove esposizioni sistematiche, anche in Germania, si riservò un capitolo alla critica del materialismo meccanicistico di Mehring e della Luxemburg1. È pur vero che questo marxismo si era liberato di Bukharin, è vero che combatteva contro il materialismo volgare2, che sottolineava ancora gli aspetti dialettici. Ma tutto questo non impedì l’involuzione dogmatica, non sviluppò dei quadri filosofici di alto livello, non significò l’assimilazione, la traduzione, per il proletariato, dei risultati più avanzati della cultura filosofica europea. Quello che era stato, da un certo punto di vista, l’inizio ancora manchevole e incerto di un tentativo in questo senso, parve essenzialmente una deviazione di sinistra a cui l’idealismo aveva fornito gli strumenti ideologici.

Ili

La critica di Gramsci a Bukharin si muove in ultima analisi nello stesso solco delle critiche di questi comunisti tedeschi. Certo le pagine su «La rivoluzione contro il Capitale» del 1918 hanno, con le posizioni di un Lukàcs, aspetti di affinità molto più appariscenti che non le pagine sul Manuale. Anche [...]

[...]lizzazione.

2 Vedi per la Germania ancora Kurt SAUERLAND, Ueber den Kampf an der theoretischen Front, in Die Internationale, febbr. 1931, pp. 7579, marzo, pp. 128133. Vedi in particolare p. 77: «Il materialismo meccanicistico è quanto mai diffuso ed è particolarmente alimentato dalla Teoria del materialismo storico di Bukharin, un libro che è una perfetta contraddizione e caricatura del materialismo dialettico, ma che nello stesso tempo è uno dei libri più diffusi e dei più studiati nei circoli del partito e dei simpatizzanti ed ha causato ormai grande confusione (piattaforma teorica di deviazioni di destra e di tendenze conciliatoristiche) ».352

I documenti del convegno

zioni eccezionali, si è potuto compiere. E si è potuto compiere in modo che nel punto di arrivo si ritrova trasfusa tutta la ricchezza dei due termini del processo, in modo che nessuna campagna contro il materialismo metafisico e contro l’idealismo e tanto meno la riorganizzazione teorica che si inaugurò verso il ’31, ne poterono turbare il normale svolgimento. Ciò che gli permise di resistere a queste sollecitazioni (e furono ben pochi a non capitolare, interamente o a metà) fu, oltre, alla situazione straordinaria in cui visse, il legame stretto e immediato col suo movimento^ operaio, il fatto che capi e accettò le direzioni di sviluppo implicite a questo determinato movimento operaio e a questo determinato paese (onde certe c[...]

[...]traordinaria in cui visse, il legame stretto e immediato col suo movimento^ operaio, il fatto che capi e accettò le direzioni di sviluppo implicite a questo determinato movimento operaio e a questo determinato paese (onde certe concezioni del partito, della propaganda...) e non le impose dal di fuori. Non che questo complicato processo non sia in parte viziato dall’isolamento in cui è avvenuto, dalla conseguente scarsa — mi sembra — elaborazione dei temi internazionali della politica del proletariato, dall’accento posato forse unilateralmente sui momenti umanistici della cultura. Ma fu anche un isolamento in cui poterono essere sviluppate, nel modo logico, radicale e imperturbato con cui avviene in un laboratorio, le esperienze accumulate in un momento incomparabile, e perciò denso di cose, della storia di questo secolo.

Le pagine su Bukharin, scritte in questa fase di raggiunta maturità, non solo, nel loro contenuto filosofico, rappresentano una posizione più complessa rispetto a quelle dei tedeschi, ma ci dànno finalmente una analis[...]

[...]enti umanistici della cultura. Ma fu anche un isolamento in cui poterono essere sviluppate, nel modo logico, radicale e imperturbato con cui avviene in un laboratorio, le esperienze accumulate in un momento incomparabile, e perciò denso di cose, della storia di questo secolo.

Le pagine su Bukharin, scritte in questa fase di raggiunta maturità, non solo, nel loro contenuto filosofico, rappresentano una posizione più complessa rispetto a quelle dei tedeschi, ma ci dànno finalmente una analisi politica del Manuale, cioè l’esplicazione consapevole dei problemi politici di propaganda, di educazione ideologica, di condizioni per lo sviluppo di una concezione del mondo, che sono impliciti in qualunque tentativo di popolarizzazione di una dottrina. Nostro proposito è illustrare brevemente la critica politica e la critica filosofica al Manuale e cercare di tirare alcune conclusioni.

Cominciamo dalla critica politica. È dalla discussione sul senso comune che emerge netta la contrapposizione di due modi diversi di concepire il marxismo, il proletariato, il socialismo. Per Bukharin il marxismo si sviluppa in continuità con il senso comune, con [...]

[...]olitica. È dalla discussione sul senso comune che emerge netta la contrapposizione di due modi diversi di concepire il marxismo, il proletariato, il socialismo. Per Bukharin il marxismo si sviluppa in continuità con il senso comune, con gli elementi materialistici, realistici, acritici del senso comune; viene a essere una forma di sistemazione del senso comune. Ciò che a lui sembra importare è ridurre lo scarto fra il senso comune e il marxismo: dei due termini che ispirano la parte migliore dell’azione politica della Terza Internazionale — le masse e il livello intellettuale a cui vanno innalzateAldo Zanardo

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(cioè la nozione di cosa è civiltà, cultura) — Bukharin sembra tener conto solo del primo. Queste masse, spontaneamente, nelle loro concezioni disgregate, sono giudicate vicine al marxismo. È chiaro che non va dimenticata la situazione particolare e generale del paese in cui Bukharin scrive. L’osservazione che egli fa nella prefazione — essere « il bisogno di una rappresentazione sistematica della teoria del materialismo [...]

[...]el materialismo storico» a cui* il suo Manuale viene a soddisfare rispondente alla fase presente della rivoluzione e non ai « momenti acuti » 1 — non significa che le necessità pratiche fossero meno acute. Importava avere, nella teoria, un insieme di idee, di formule, relativamente ordinato, facile, adatto alla diffusione, uno strumento semplificato, capace di penetrare rapidamente in larghe masse, mobilitarle, illuminarle, farne scaturire fuori dei quadri2. In una simile impostazione restano purtroppo allo stato di non elaborazione il problema della formazione dei quadri politici e intellettuali elevati, il problema della conquista ideologica permanente delle masse popolari, il problema del rapporto dei dirigenti con le masse, il problema dell’attività e della passività culturale e politica di queste masse.

Per Gramsci il marxismo sta in rapporto soprattutto critico con il senso comune3. Il lavoro di convincimene politico è indissociabile da una complessa opera di incivilimento. Il problema è di « elevare il tono e il livello intellettuale delle masse » 4, di renderle capaci di partecipare attivamente e consapevolmente al movimento politico, di aiutare a elaborare criticamente il pensiero. Bisogna portare i semplici al livello dei colti. Bisogna arrivare alle coscienze perché l'adesione a[...]

[...]a di queste masse.

Per Gramsci il marxismo sta in rapporto soprattutto critico con il senso comune3. Il lavoro di convincimene politico è indissociabile da una complessa opera di incivilimento. Il problema è di « elevare il tono e il livello intellettuale delle masse » 4, di renderle capaci di partecipare attivamente e consapevolmente al movimento politico, di aiutare a elaborare criticamente il pensiero. Bisogna portare i semplici al livello dei colti. Bisogna arrivare alle coscienze perché l'adesione a una causa ha da essere individuale e convinta. Si tratta di « riformare intellettualmente e moralmente strati sociali culturalmente arretrati » 5. Non bisogna trattare i semplici come « persone rozze e impreparate che si convincono 66 autoritativamente ” o per via emozionale ” » 6. Soltanto ciò che è interiormente educativo è ispiratore di vere energie7. Infine (si

1 Theorie des hìstonschen Materialìsmus, p. V.

2 Sulla teoria ancella della pratica, vedi M. S., p. 12,

3 M. S., p. 11.

4 AL S. p. 137.

5 M. S., p. 68.

6 [...]

[...]inzione si trovano anche nel Manuale di Bukharin. Di fatto però una vera articolazione fra i due termini non sembra si sia avuta. In Gramsci poi la distinzione fra pedagogia e creazione intellettuale si allarga in quella fra gruppi intellettuali e masse2, e ancora nelle altre fra politica e cultura, fra politica e filosofia. È noto che la ragione politica ebbe il sopravvento, che la creazione intellettuale si concepì in genere come illustrazione dei principi; che fra politica e filosofia si fissò un rapporto di indivisibilità : gli errori politici della socialdemocrazia vengono riportati a difetti di impostazione filosofica; fra le due sfere viene ammessa una completa traducibilità, reversibilità. È interessante che Lenin, proprio alla vigilia di scrivere uno dei suoi testi meno liberali o che per lo meno è tale sotto alcuni aspetti, ammettesse, in alcune lettere a Gorki, che orientamento di partito e orientamento filosofico non fossero, sic et simpliciter, un’identità immediata, ma che il loro rapporto era articolato, problematico, era diverso e da stabilirsi secondo

a M. S., p. 105.

2 « Non c’è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza che l’aspetto teorico del nesso teoriapratica si distingua concretamente in uno strato di persone specializzate ncH'elaborazione concettuale e filosofica» : M. S., p. 1[...]

[...] cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza che l’aspetto teorico del nesso teoriapratica si distingua concretamente in uno strato di persone specializzate ncH'elaborazione concettuale e filosofica» : M. S., p. 12.Aldo Zanardo

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ì tempi e le circostanze1, Gramsci scrive: «Pare necessario che il lavorio di ricerca di nuove verità e di migliori, più coerenti e chiare formulazioni delle verità stesse sia lasciato aH’iniziativa libera dei singoli scienziati, anche se essi continuamente ripongono in questione gli stessi principi che paiono i più essenziali» 2. Istituti e accademie debbono mediare il rapporto fra questi intellettuali liberi e le masse. Alle identificazioni sommarie e immediate di Bukharin si trovano sostituite e articolate dialetticamente le distinzioni presenti in una società civile politicamente e intellettualmente complessa.

Altri punti si potrebbero indicare sempre concernenti le condizioni di sviluppo e di diffusione del marxismo, ma forse sono elaborati con minore chiarezza3. In queste posizioni — il pa[...]

[...]r obiettivo di « vivificare una integrale organizzazione pratica della società, ... diventare una totale, integrale civiltà» (M. S., p. 157). È da vedere se per Gramsci solo il marxismo è l’ideologia della classe operaia (cosa pensa per es. del movimento operaio inglese) e se gli è veramente estraneo il concetto di marxismo come qualcosa di amplissimo in cui confluiscono motivi diversi e anche contraddittori (come per es. nel liberalismo). Molti dei termini reali che hanno portato alla coscienza del movimento operaio questo problema sembrano essere posteriori a Gramsci.356

I documenti del convegno

d’approdo del movimento spontaneo delle masse. Si tratta — come è naturale che sia dopo L’imperialismo fase suprema del capitalismo — di una civiltà intellettuale, creata essenzialmente dalla potenza rivoluzionaria, del partito, dell’azione politica; si tratta della capacità di creare una nuova società in tutti i suoi livelli. Questa pare essere la via, che è anche la via di Lenin, del superamento mediatore della Seconda Internazionale. [...]

[...]a, poi nella vita della società e in particolare della società moderna. Prima vengono trattati i principi universali, i concetti metodologici della sociologia: regolarità, causa, libertà, necessità, caso, trasformazione; poi viene costruita la sociologia vera e propria: la società, gli stati di equilibrio, squilibrio e riequilibrio fra: la società e la natura, fra i vari elementi della società. La sociologia è per Gramsci una indebita estensione dei metodi delle scienze naturali alla scienza della società, « un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da prevedere l’avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia », « un tentativo di descrivere e classificare sistematicamente fatti storici e politici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali » 1. Si pretende di concepire la realtà con un’astrazione schematica, con una metodologia e una logica « esistente in sé e per sé » 2. Criticare questa posizione non significa rinuncia[...]

[...]

tazione il nucleo teorico che regge quella « sociologia », queir insieme di schemi che è il patrimonio di esperienze del movimento operaio. Non solo « non vuol dire... che la ricerca delle leggi di uniformità non sia cosa utile e interessante e che un trattato di osservazioni immediate di arte politica non abbia la sua ragion d’essere »x, ma anche i concetti di regolarità, di premessa e di conseguenza hanno un loro valore 2. Lo stesso si dica dei concetti di analogia, di ipotesi, di correlazione3. Inoltre il fatto che l’insieme delle forze materiali di produzione sia l’elemento meno variabile nello sviluppo storico permette di costruire « un robusto scheletro del divenire storico » 4, cioè permette anticipi di conoscenza. Va insomma combattuta la cattiva generalizzazione, ma si ammette quella concreta, storica, ipotetica. Va combattuto l’esperantismo, la concezione del generale come assoluto, astorico, buono per tutti i casi, ma va mantenuta la tecnica del pensiero che « non creerà certo grandi filosofi, ma darà criteri di giudizio e [...]

[...]punto da studiare.

Da rilevare subito è (e qui si potrebbe svolgere un ampio confronto con i tedeschi) che questa relativizzazione rigorosa di soggetto e oggetto non attenua la distinzione fra uomo e rapporti sociali, uomo e condizioni obiettive1. La categoria dell’indipendenza dagli arbitri individuali conserva pieno valore, cosi come quella consistenza oggettiva di certe realtà storiche. « Qualcosa di oggettivo, paragonabile all’automatismo dei fatti naturali », « una certa relativa indipendenza dagli arbitri individuali e dagli interventi arbitrarli governativi », certe « forze decisive e permanenti e il loro spontaneo automatismo » 2 ci sono, anche se non sono che solidificazioni della fluida, storica realtà umanonaturale. È da dire insomma che la negazione di una oggettività extraumana non porta ad escludere il diverso peso, la diversa durata, che le varie determinazioni reali (economiche, sociali, individuali, ideologiche...) hanno per il marxismo, né porta ad attenuare il senso (implicito nel concetto di ma
1 AL S., p. 35.

[...]

[...]odificata. È da aggiungere infine che questa impostazione umanistica non sembra determinare conseguenze rilevabili nelle concezioni politiche di Gramsci. Posizioni sindacalistiche, soggettivistiche, se ci sono, non sembra che possano collegarsi con queste concezioni generali.

In direzione non meno polemica contro la continuità, affermata da Bukharin, fra le scienze della natura e le scienze dell’uomo, contro la mutuabilità, se non l’identità, dei due metodi, è orientata anche la concezione gramsciana della scienza della natura. Anche se non mancano spunti di interpretazioni diverse, questa viene in genere considerata una tecnica di conoscenza particolare, cioè il metodo compilatorio, empirico; viene come bloccata nell’identificazione con questo metodo, resa incapace di trascendere se stessa e diventare vera conoscenza2. Non sembra di poter trovare, in Gramsci, tracce del motivo secondo cui « nelle scienze naturali, per il loro proprio sviluppo, è divenuta impossibile la concezione metafisica» (Engels). I risultati sempre superati e mu[...]

[...] il loro proprio sviluppo, è divenuta impossibile la concezione metafisica» (Engels). I risultati sempre superati e mutevoli e i metodi delle scienze naturali non rappresentano un caso generale della filosofia della prassi. Questa anzi è completamente indipendente, è la scienza autonoma del mondo umano, e ha da respingere rigorosamente ogni intromissione delle scienze naturali3, ogni pretesa di sussumerla a una teoria generale del materialismo o deiridealismo 4. Anche in merito a questi problemi tuttavia ci sono serie difficoltà di interpretazione: sia per le esitazioni di Gramsci, sia perché è chiara la tendenza generale del pensiero, ma non la consistenza di ciò che intanto

1 Per esempio in M. S., p. 28.

2 M. S., p. 54.

3 M. S., pp. 54, 56, 162.

4 M. S., pp. 1589. Uno spunto di interpretazione forse diversa della scienza della natura si ha a p. 142 di M. S... : « La scienza sperimentale ha offerto finora il terreno in cui una tale unità culturale ha raggiunto il massimo di estensione: essa è stato l’elemento di conoscenza c[...]

[...]la discussione, della polemica, dell’elaborazione » 4. Si hanno le idee chiare su singoli gruppi di questioni filosofiche, si è al livello della scienza, non ancora a quello del sistema.

Da sviluppare, da portare a compimento — ma non è opera a cui basti un solo libro o un solo uomo — è la filosofia implicita nel marxismo, cioè un modo originale specifico, nuovo, di risolvere i problemi filosofici. Esiste cioè una filosofia del marxismo fuori dei prestiti dalla sociologia e dalle scienze naturali. L’esperienza intellettuale più indicativa per questo sviluppo è quella di Labriola. « In realtà il Labriola, affermando che la filosofia della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica, è autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della prassi » 5. Il marxismo deve diventare « una totale e integrale concezione del mondo, una totale filosofia e teoria delle scienze naturali » 6; « deve trattare tutta la parte generale filosofica, deve svolgere quindi coerentemente tutti i concetti gen[...]

[...]erso gli esponenti delle forme più razionali e realistiche di storicismo, nella ricerca delle effettive diversità fra il marxismo di Gramsci

1 Materialismo ed empiriocriticismo, Roma, 1953, p. 309
2 M. S., p. 159.

3 M. S., pp. 39, 75.368

I documenti del convegno

e lo storicismo, per es., di un Croce o di un Vierkandt. Noi abbiamo mostrato in alcuni punti come l’enunciazione di posizioni storicistiche si accompagni all’assimilazione dei valori materialistici del marxismo.

Pare difficile che nella Germania' e nell’Italia di allora si potesse formare un marxismo più attuale, più complesso di quello di Gramsci. Il punto di mediazione, di controllo delle posizioni neohegeliane a cui il marxismo di Gramsci è arrivato è incomparabilmente superiore a quello dei comunisti tedeschi che noi abbiamo visto. Nel quadro di questo controllo, di questa correzione, potevano avere sviluppo anche quei motivi di superamento dei limiti umanistici che già ci sono.

L’essenziale sembra essere questo spregiudicato, critico, inserimento del marxismo nella grande cultura europea, questa nozione di un marxismo che ha da completarsi a contatto della parte più progressiva della cultura mondiale. Si pensi a ciò che è accaduto al marxismo della Terza Internazionale. La critica a Feuerbach, il ritorno a Hegel, la dialettica, che avevano caratterizzato il suo slancio iniziale, persero terreno davanti alla necessità di criticare l’espandentesi neohegelismo e le sue complicità politiche. L’argomentazione filosofica della lotta s[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] P. Togliatti, Il leninismo nel pensiero e nell'azione di A. Gramsci in Studi gramsciani

Brano: [...], tanto l'avanzata quanto la ritirata o l'arresto, tanto la vittoria quanto la sconfitta. Alla base di questa comprensione vi è una critica di se stessi e degli altri, che è momento di azione ulteriore.
Errato sarebbe ritenere che, cosí intesa, la politica possa chiudersi in un assieme di norme, buone per sempre e per ogni luogo. Mi sembrano quindi da criticare coloro che in questo modo trattano l'opera di Gramsci, e in particolare il contenuto dei Quaderni, sforzandosi di avvicinare artificiosamente una parte all'altra, quasi per ricavarne, se non un Vangelo, per lo meno un manuale del perfetto pensatore e uomo d'azione comunista. È certo che esiste un filo conduttore di questa opera, ma questo non si può trovare e non si trova se non nell'attività reale, che parte dai tempi della giovinezza e via via si sviluppa sino allo avvento del fascismo al potere, sino all'arresto e anche dopo.
Tutta l'opera scritta da Gramsci dovrebbe essere trattata partendo da quest'ultima considerazione, ma è compito che potrà essere assolto soltanto da chi[...]

[...]erto che esiste un filo conduttore di questa opera, ma questo non si può trovare e non si trova se non nell'attività reale, che parte dai tempi della giovinezza e via via si sviluppa sino allo avvento del fascismo al potere, sino all'arresto e anche dopo.
Tutta l'opera scritta da Gramsci dovrebbe essere trattata partendo da quest'ultima considerazione, ma è compito che potrà essere assolto soltanto da chi sia tanto approfondito nella conoscenza dei momenti concreti della sua azione da riconoscere il modo come a questi momenti concreti aderisca ogni formulazione e affermazione generale di dottrina, e tanto imparziale da saper resistere alla tentazione di far prevalere false generalizzazioni dottrinarie al nesso evidente che unisce il pensiero ai fatti e movimenti reali.
Alcune tra le parti piú interessanti, ad esempio, delle sparse note raccolte col titolo di Passato e presente sono senz'altro da considerarsi pura elaborazione dei principii di strategia, di tattica e di organizzazione del partito della classe operaia affermati da Gramsc[...]

[...]iconoscere il modo come a questi momenti concreti aderisca ogni formulazione e affermazione generale di dottrina, e tanto imparziale da saper resistere alla tentazione di far prevalere false generalizzazioni dottrinarie al nesso evidente che unisce il pensiero ai fatti e movimenti reali.
Alcune tra le parti piú interessanti, ad esempio, delle sparse note raccolte col titolo di Passato e presente sono senz'altro da considerarsi pura elaborazione dei principii di strategia, di tattica e di organizzazione del partito della classe operaia affermati da Gramsci, negli anni dal 1922 in poi, in polemica e lotta contro le tendenze di infantile settarismo estremista che allora erano prevalenti nella direzione di questo partito in Italia. Tali le considerazioni sul rapporto tra spontaneità e direzione consapevole; sul centralismo organico, sul centralismo democratico e sulla disciplina; sul rapporto che passa tra il dirigere, l'organizzare e il comandare; sui rapporti tra la scienza militare e la scienza politica, e cosí via. Non escludo nemmeno c[...]

[...]azionale.
Ma anche le altre parti dell'opera carceraria non si comprendono, nel loro aspetto politico, se non si restituisce loro l'attualità. Che cosa avveniva in Italia e nel mondo mentre G., nel carcere, meditava e scriveva? Si era passati — per usare la sua terminologia — dalla guerra manovrata alla guerra di posizione, dalla crisi drammatica del primo dopoguerra e dal primo vittorioso attacco rivoluzionario, ai tentativi di stabilizzazione dei regimi borghesi da una parte e alla costruzione di una società socialista dall'altra. La grande vittoria della Rivoluzione socialista dell'Ottobre 1917 era uscita dalle contraddizioni oggettive del mondo capitalistico, le quali continuavano a esistere e svilupparsi. Esse agivano però in altro modo, mentre era in atto lo sforzo borghese di restaurazione riformistica e la classe operaia, consolidato il suo potere nello Stato sovietico, tendeva, con un'azione molteplice, ad affermare la propria egemonia in una competizione che già era di portata mondiale. La guerra di posizione, cui si era in qu[...]

[...]nentemente l' " impossibilità" di disgregazione interna » j. A questa de
P., p. 71.
18 1 documenti del convegno
finizione generale del momento storico si collegano, se ben si riflette, tutte le analisi particolari, tanto sulla natura del potere in una società nuova, diretta dalla classe operaia, quanto sui diversi modi di conservazione e difesa del potere in una società in decadenza e sfacelo, diretta dalla borghesia capitalistica. La critica dei partiti politici e delle ideologie, e prima di tutto del crocianesimo in quanto forma di alleanza conservatrice a sostegno di un ordinamento reazionario, è parte integrante di queste analisi.
Né mi pare che questo richiamo alla attualità del pensiero politico di G. ne diminuisca il valore scientifico. La politica diventa scienza quando ha le sue fondamenta nella analisi concreta delle relazioni oggettive nei diversi gradi della struttura della società, del nesso tra queste relazioni oggettive e le formazioni ideali e organizzative sovrastrutturali e del movimento reciproco che tra le une e l[...]

[...]alisi concreta delle relazioni oggettive nei diversi gradi della struttura della società, del nesso tra queste relazioni oggettive e le formazioni ideali e organizzative sovrastrutturali e del movimento reciproco che tra le une e le altre si stabilisce e da cui esce il corso degli avvenimenti storici. Il vero contenuto di queste relazioni e di tutto il movimento non si rivela però che attraverso l'azione, nel contrasto tra le classi, nella lotta dei gruppi egemonici per mantenere la propria dittatura e delle classi rivoluzionarie per conquistare il potere, cioè per giungere a conquistarlo attraverso un sistema di alleanze politiche di cui sono le premesse nella struttura e nella storia di ogni società e per mantenerlo e consolidarlo attraverso la costruzione di una società nuova. La conoscenza scientifica alla quale l'opera di Gramsci ci richiama non è dunque quella di una scienza verso la quale si possa evadere, abbandonando o rinviando o guardando dall'alto in basso i compiti della lotta immediata, ma è integrazione e continuazione di [...]

[...]ono trascurati, mentre l'attenzione è concentrata sulle caratteristiche originali del sistema sovietico e sul fondamento che esso ha nella sfera della produzione. Lo scritto infatti non è altro che riproduzione e commento di alcuni lavori di Lenin dedicati, dopo la rivoluzione e nei primi anni del potere sovietico, a sottolineare la decisiva importanza della costruzione economica e dello sviluppo della produzione per il consolidamento del potere dei Soviet. Nella capacità di affrontare e risolvere in modo nuovo, con la iniziativa delle masse, i problemi della economia è vista la superiorità e originalità del regime sovietico. Si ha qui senza dubbio un punto di riferimento di alcuni sviluppi ulteriori del pensiero
e dell'azione di G. nel periodo che si suol dire dell'Ordine Nuovo.
I documenti del convegno
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Solo dal 1918 Lenin cominciò a essere conosciuto, tradotto, pubblicato, letto ampiamente, in Italia. Con prevalenza, però, degli scritti dedicati alla lotta immediata di quegli anni, contro il socialsciovinismo e il centrismo[...]

[...]'azione di G. nel periodo che si suol dire dell'Ordine Nuovo.
I documenti del convegno
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Solo dal 1918 Lenin cominciò a essere conosciuto, tradotto, pubblicato, letto ampiamente, in Italia. Con prevalenza, però, degli scritti dedicati alla lotta immediata di quegli anni, contro il socialsciovinismo e il centrismo, per la creazione di partiti comunisti in tutti i paesi, per la fondazione e l'organizzazione della Internazionale comunista. Dei grandi lavori teorici, vengono allora conosciuti l'Imperialismo, Stato e rivoluzione, la Ripoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, le relazioni e le tesi per il I e per il II Congresso dell'Internazionale comunista, quindi l'Estremismo, e i discorsi al III Congresso, che ne sono quasi un commento. Meno noti Che fare?, Due tattiche e Un passo avanti e due indietro. Difficilissimi a trovare e quindi quasi sconosciuti Lo sviluppo del capitalismo in Russia e L'empiriocriticismo 1 . Si può ritenere che nel 1922, quando si recò nell'Unione sovietica, Gramsci già fosse a conoscenza di tutti que[...]

[...]di un anno il X Congresso del PC russo (b), si era chiusa la discussione sui sindacati e si compiva il passaggio alla Nuova politica economica. Tappa assai importante in cui erano state trattate a fondo alcune questioni decisive per lo sviluppo della rivoluzione. Sono di questo periodo alcuni tra i lavori piú importanti di Lenin relativamente ai problemi della costruzione di una. economia e di una società socialiste. Nel dibattito sulla funzione dei sindacati egli aveva affrontato, in polemica con Trotzki, con Bukharin e con un gruppo di tendenza anarcosindacalista, la questione del rapporta tra la politica e la economia nella edificazione socialista. Aveva sostenuto che la politica non è che « espressione concentrata dell'economia ». È una tesi di importanza decisiva nella concezione leninista dello Stato..
1 Sconosciuto era l'importantissimo Che cosa sono gli amici del popolo?, anche in Russia ripubblicato solo nel 1923.
Palmiro Togliatti 21
Ne deriva, infatti che la classe operaia non può rimanere al potere e quindi non può adempie[...]

[...]egli scritti di Lenin, avvenuta in quegli anni, e dalla conoscenza della lingua russa. Nella corrente agitazione politica, subito dopo la rivoluzione, i nomi di Lenin e di Trotzki erano stati sempre uniti, ignorandosi la differenza e distanza enormeche li aveva sempre separati, sia nel pensiero che nell'azione. Piero Gobetti, che aveva cercato di stabilire una distinzione, lo aveva fatto con grande superficialità, prescindendo dall'esame storico dei fatti e sbagliando, quindi, nelle conclusioni. Aveva concluso per presentare Trotzki come l'« europeo », mentre l'europeo, tra i due, era invece precisamente Lenin, la cui azione politica assumeva un valore universale, essendo valida per tutto il mondo contemporaneo. A Gramsci la differenza apparve cosí profonda che, per quanto gli fosse possibile occuparsene negli scritti carcerari, egli la inserisce in tutto il sistema del suo pensiero politico. Trotzki diventa « il teorico politico dell'attacco frontale in un periodo in cui esso è solo causa di disfatte » 1; le sue formule politiche mancan[...]

[...]a nel gruppo dirigente sovietico era giunta alla rottura, Gramsci fu bensí preoccupato delle eventuali ripercussioni negative che questa rottura avrebbe potuto avere nel movimento comunista internazionale, ma non manifestò alcun dubbio circa la giustezza della linea politica che la grande maggioranza del partito bolscevico sosteneva contro il piccolo gruppo degli oppositori. Vi è nei Quaderni una nota assai esplicita di adesione alla esposizione dei principii fondamentali del leninismo fatta da Stalin 1, e successivamente, quando la rottura si realizzò in pieno e la lotta di Trotzki contro il partito 'bolscevico si sviluppò su altri terreni, da Gramsci furono espressi contro di lui, nel carcere, i piú fieri giudizi di condanna.
Per quanto riguarda la volgarizzazione delle dottrine del materialismo dialettico dovuta a Bukharin e respinta da G. nelle Note critiche a un «Saggio popolare di sociologia », credo sia da escludere che G. abbia avuto conoscenza tanto delle note vivacemente critiche di Lenin allo scritto bukhariniano sulla Econom[...]

[...] terreni, da Gramsci furono espressi contro di lui, nel carcere, i piú fieri giudizi di condanna.
Per quanto riguarda la volgarizzazione delle dottrine del materialismo dialettico dovuta a Bukharin e respinta da G. nelle Note critiche a un «Saggio popolare di sociologia », credo sia da escludere che G. abbia avuto conoscenza tanto delle note vivacemente critiche di Lenin allo scritto bukhariniano sulla Economia del periodo di transizione quanto dei Quaderni filosofici (pubblicati solo nel 1936), molti spunti dei quali sarebbero stati di grande aiuto per lo sviluppo di tutte le sue ricerche filosofiche. Non gli era invece certamente ignota la insistenza con la quale Lenin accusava Bukharin di non conoscere i1 ragionamento dialettico, ma soltanto la logica astratta.
Nel carcere non ci risulta che G. avesse a sua disposizione alcuna opera di Lenin, mentre era riuscito a procurarsi parecchi scritti di Marx e di Engels. I riferimenti alle opere di Lenin che si trovano nei Quaderni sono quindi fatti a memoria, oppure sono di seconda mano, tratti da citazioni di scritti leninisti in riviste e libri vari. L[...]

[...]ritto da Gramsci il 5 gennaio 1918 e che ha un titolo, senza dubbio errato, ma assai significativo: La rivoluzione contro il « Capitale », e intendeva dire non contro i fondamentali insegnamenti del marxismo che sono la lotta di classe e la necessità morfologica della rivoluzione proletaria, ma contro la degenerazione delle interpretazioni positivistiche del Capitale di Carlo Marx e del marxismo, contro il piatto economismo, contro la pedanteria dei riformisti, e contro le gherminelle ideologiche degli avversari.
Ciò che Lenin fece con la sua dottrina della rivoluzione, fu la restaurazione della dialettica rivoluzionaria, contro l'astratto argomentare formalistico dei pedanti, degli sciocchi e degli sviati. Non soltanto egli ne derivò la possibilità della vittoria della rivoluzione e della costruzione socialista in un paese non ancora giunto al piú alto livello dello sviluppo capitalistico; ma dette un solido fondamento alla ricerca e lotta che può e deve essere condotta per inserire nelle contraddizioni del regime borghese la lotta della classe operaia, in modo tale che apra una via rivoluzionaria, una via al socialismo, aderente alle condizioni di ogni paese. Lenin stesso ha parlato delle necessarie variazioni del corso della storia nei singoli paesi, ne[...]

[...]iale del giorno d'oggi, in sostanza. Ciò non vuol dire, però, che anche al giorno d'oggi la pedanteria del riformismo e del feticismo economista non continui a manifestarsi. Essa alimenta, anzi, una parte considerevole della pole
s.
24 I documenti del convegno
mica politica e della lotta di tendenze nel movimento operaio. Si può sostenere che ne faccia parte anche la attesa di una « rivoluzione » che dovrebbe uscire puramente dalla estensione dei processi automatici nella produzione industriale, e non dalle modificazioni dei rapporti di forza tra le classi, e che sono relative tanto a fatti organici isolati,. quanto a fatti di organizzazione, di coscienza e anche di congiuntura. Potrebbe essere ricordata, a questo proposito, in Gramsci, la polemica contro « la dottrina per cui lo svolgimento economico e storico viene fatto dipendere immediatamente da mutamenti di un qualche elemento importante della produzione, la scoperta di una nuova materia prima, di un nuovo combustibile, ecc., che portano con sé l'applicazione di nuovi metodi nella costruzione e nell'azionamento delle macchine » j. In questi casi dal materia[...]

[...]ismo storico si passa all'economismo storico, che non è piú la nostra dottrina.
Fanno parte, quindi, della grande corrente del pensiero politico leninista, da un lato la insistente polemica di Gramsci contro l'economismo e Ì interpretazioni economistiche del marxismo, (essa è permanente in tutti i Quaderni), dall'altro lato la complessa indagine che fa scaturire le prospettive politiche e rivoluzionarie dalla analisi della struttura economica e dei reciproci suoi rapporti con la sovrastruttura ideale, sociale, politica. La guida delle conclusioni leniniste sulla natura dell'imperialismo fa superare a Gramsci il panto morto cui era giunta, all'inizio del secolo, l'indagine politica di Antonio Labriola e alla quale aveva corrisposto, in sostanza, la impossibilità del movimento operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall'estremismo verbale. La concezione leninista della rivoluzione e la successiva, sempre piú profonda, esperienza della strategia e della tattica leniniste lo illumina sempre meglio nella ricerca delle condizion[...]

[...]nto operaio italiano di liberarsi sia dal riformismo che dall'estremismo verbale. La concezione leninista della rivoluzione e la successiva, sempre piú profonda, esperienza della strategia e della tattica leniniste lo illumina sempre meglio nella ricerca delle condizioni di sviluppo della rivoluzione in Italia. È questo il punto di partenza, tanto direttamente (negli scritti del 191926), quanto per via indiretta e per analogia (ricerche storiche dei Quaderni, nuove interpretazioni dei diversi periodi della storia italiana), di tutte le indicazioni di strategia e tattica politiche che sono la sostanza della azione e del pensiero di Gramsci, e principalmente delle sue conclusioni circa la struttura dell'Italia moderna e
1 Mach., p. 32.
Palmiro Togliatti 25
quindi sul sistema di alleanze politiche che dà al proletariato la possibilità di esercitare la sua funzione dirigente e giungere a conquistare il potere.
Nel campo del metodo, strettamente collegate con tutto il contenuto delle ricerche e delle conclusioni, mi sembra debbano essere qui sottolineate alcune grandi conqu[...]

[...]o « se interpreterà esattamente questa combinazione, di cui essa stessa è componente e in quanto tale appunto può dare al movimento un certo indirizzo in certe prospettive ».
Nei giudizi sulla Rivoluzione d'Ottobre e nella valutazione della geniale opera di Lenin come capo della classe operaia russa e del nuovo Stato proletario, Gramsci insisterà sempre, dai primi commenti, ancora per molti aspetti imprecisi e frammentari, sino alle ultime note dei
1 Mach., pp. 114115.
Palmiro Togliatti 27
Quaderni, su questo momento. La realizzazione del primo Stato proletario, fatta da Lenin, è stato « un grande avvenimento metafisico » . Essa ha tradotto in pratica la filosofia, l'ha ridotta a « storia in atto », che è la sola filosofia 1. Essa ha trasformato le prospettive della storia mondiale. Ma essa è riuscita a fare tutto questo perché è stata il punto di arrivo necessario della storia nazionale del popolo russo; perché « i bolscevichi hanno dato forma statale alle esperienze storiche e sociali del proletariato russo, che sono le esperienze [...]

[...]a filosofia, l'ha ridotta a « storia in atto », che è la sola filosofia 1. Essa ha trasformato le prospettive della storia mondiale. Ma essa è riuscita a fare tutto questo perché è stata il punto di arrivo necessario della storia nazionale del popolo russo; perché « i bolscevichi hanno dato forma statale alle esperienze storiche e sociali del proletariato russo, che sono le esperienze della classe operaia e contadina internazionale » 2. Lo Stato dei Soviet, negazione dialettica dell'ordinamento zarista, « dimostra... di essere un momento fatale ed irrevocabile del processo fatale della civiltà umana, di essere il primo nucleo di una società nuova » 3.
La funzione nazionale della classe operaia si realizza nella posizione che questa classe occupa nella lotta immediata e nei rapporti con gli altri gruppi sociali, con quelli che apertamente combatte e con quelli dai quali vuole ottenere la collaborazione o la neutralità. Deve essere quindi superato ,il carattere corporativo che la latta di classe del proletariato ha nei primi stadi del suo[...]

[...]i ristretto strumentalismo corporativo, di puro appoggio reciproco tra due gruppi sociali allo scopo della realizzazione, da parte di ciascuno di essi, di un suo programma di riven
28 I documenti del convegno
dicazioni. L'alleanza esce dalla struttura di tutta la società italiana e crea le condizioni di un nuovo blocco storico dirigente. La formazione di una volontà collettiva nazionalepopolare è riconosciuta impossibile, « se le grandi masse dei contadini coltivatori non irrompono simultaneamente nella vita politica » 1. Viene cosí a essere corretta quella discordanza e persino mancanza di contemporaneità negli sviluppi del movimento operaio e di quello contadino che è denunciata nelle Tesi preparate da Gramsci per il Congresso di Lione del 1926, e che era la conseguenza di impreparazione politica del partito operaio.
Maggiore interesse, nei dibattiti del giorno d'oggi, sembra invece avere il punto, secondo noi invece meno importante e già chiarito piú di una volta, circa la funzione che alla classe operaia era attribuita nel movime[...]

[...] negli sviluppi del movimento operaio e di quello contadino che è denunciata nelle Tesi preparate da Gramsci per il Congresso di Lione del 1926, e che era la conseguenza di impreparazione politica del partito operaio.
Maggiore interesse, nei dibattiti del giorno d'oggi, sembra invece avere il punto, secondo noi invece meno importante e già chiarito piú di una volta, circa la funzione che alla classe operaia era attribuita nel movimento torinese dei Consigli di fabbrica. Priva di qualsiasi valore, indice soltanto di immediata ignoranza dei fatti, è la denuncia delle posizioni allora difese da Gramsci come posizioni sindacaliste. Dalla polemica di alcuni sindacalisti Gramsci poté derivare la critica della burocrazia sindacale, del suo chiuso corporativismo, del distacco dalla comprensione della sostanza dei problemi politici e prima di tutto del problema del potere. Tutto questo, però, vi è in Lenin assai piú nettamente che in tutta la letteratura sindacalista. Da Gramsci è, in pari tempo, energicamente sempre respinto il dilettantismo politico che predomina in questa letteratura. Il movimento dei Consigli di fabbrica fu, soprattutto al suo inizio, fino allo sciopero dell'aprile 1920 e anche dopo, strumento di lotta aperta contro la burocrazia sindacale riformista, di limitazione dei poteri di questa burocrazia e anche di rinnovamento delle direzioni sindacali. Gramsci insistette perd sempre anche nel sottolineare la differenza qualitativa tra il Consiglio di fabbrica e il Sindacato, e nella pratica la elezione del Consiglio da parte di tutti gli operai, e non solo degli organizzati, doveva rendere a tutti evidente questa differenza. Ma vi fu in Gramsci la tendenza, nel 191920, a ritenere che il Consiglio come tale, forma di organizzazione degli operai aderente in modo immediato al processo produttivo, contenesse in sé la soluzione del problema del potere, cioè della conq[...]

[...] partito socialista, erano superati nella critica, non da un'azione di successo nazionale. Ma quello era allora il solo partito, cioè la sola organizzazione politica nazionale, che la classe operaia avesse a sua disposizione. Per questo il movimento torinese si concluse con
30 I documenti del convegno
l'affermazione della necessità che venisse creato un nuovo partito d'avanguardia del proletariato: il partito comunista.
La permanente polemica dei Quaderni contro qualsiasi forma di economismo dà il colpo di grazia alle errate interpretazioni o volute contraffazioni del pensiero di Gramsci circa il rapporto tra la posizione che la classe operaia ha nel processo della produzione e la sua azione politica. Anche nell'esame dei rapporti strutturali e dei rapporti di produzione, si devono introdurre le necessarie distinzioni. La forza di produzione, la tecnica, il lavoro sono concetti differenti e la differenza sta nella maggiore o minore presenza di elementi che già provengono dalla sovrastruttura. La classe, come tale, si ha ad. un livello .piú elevato, e una politica di classe non si ha se non interviene un elemento consapevole. Valga come esempio lo studio che Gramsci fa del fordismo, che parte dalle modificazioni della tecnica, ma è un tentativo di analisi della struttura sociale degli Stati Uniti d'America, in un momento del suo sviluppo[...]

[...]o di democrazia assume un nuovo contenuto, perché vi è superata la contraddizione fondamentale di classe che è nella struttura borghese della società.
Il pensiero di Gramsci si muove, tanto prima dell'arresto quanto nei Quaderni, secondo questa grande linea. È quindi essenziale per lui la distinzione tra id concetto filosofico di libertà e le forme di governo e gli istituti politici concreti del liberalismo e della democrazia. Questo è anzi uno dei capitoli :piú efficaci della sua polemica. La libertà, in quanto iniziativa e attiva creazione umana, non è dote peculiare dei regimi borghesi. La storia è sempre storia della libertà. Il rivolgimento borghese è affermazione di libertà, ma già contiene in sé l'elemento negativo, cioè la cristallizzazione e poi la conservazione di istituti economici e politici in cui si attua il dominio borghese. Confondere il liberalismo, l'ordinamento democratico parlamentare, il sistema della divisione dei poteri, ecc. con la libertà filosofica è confondere la ideologia con la filosofia. La religione crociana della libertà diventa quindi un equivoco, una superstizione. Persino i clericali del resto, oggi, son diventati fautori di questa religione.
Tutta questa argomentazione si collega alle considerazioni sulla natura dell'uomo, considerato come un complesso di relazioni, che si estendono a tutti i campi della vita sociale e col loro intrecciarsi fissano i limiti della libertà umana. I1 dominio del mondo economico, che è il contenuto della società socialista, spezza il piú duro di questi limit[...]

[...]nti si forma una coscienza critica, che prima non esisteva, della loro funzione storica 1. Ma della stessa epoca, e via via piú accentuata col procedere del tempo, è quella che Gramsci chiama « standardizzazione di grandi masse della popola
T
1 M. S., p. 195.
34 I documenti del convegno
zione », che è poi un risveglio, un progresso delle menti che rende piú rapida la formazione di un movimento storico e di una volontà collettiva 1. Il regime dei partiti diventa una necessità della storia e l'affermarsi della classe operaia è affermarsi e avanzata del partita politico che la esprime.
Già per Hegel, il partito era una trama « privata » dello Stara, e questa concezione prevede lo Stato parlamentare 2. Il marxismoleninismo non solo estende questa concezione, ma la rinnova. Dalla esperienza sia delle rivoluzioni borghesi, sia dello stesso parlamentarismo, deriva la nozione del partito come strumento del potere e per la conquista di esso. La classe borghese non si serve solo di questo strumento, che per essa è sussidiario, per attuare e m[...]

[...]litico per contrastare il dominio borghese e prepararne la caduta, anche perché si muove nell'ambito degli istituti borghesi. Il partito però diventa per essa lo strumento principale. La consapevolezza della propria funzione storica, trasformatrice del mondo e creatrice di libertà, tocca infatti nella classe operaia il punto piú alto, perché, col possesso della dottrina marxista, essa giunge a conoscere esattamente che cosa vi è, nelle creazioni dei precedenti rivolgimenti storici, di permanente e degno di essere conservato e che cosa invece è caduco, come puro strumento di un dominio di classe.
Vi è per Gramsci una differenza e quale, nello sviluppo di questi concetti, tra il termine di egemonia e quello di dittatura? Una differenza vi è, ma non di sostanza. Si può dire che il primo termine si riferisca in prevalenza ai rapporti che si stabiliscono nella società civile e quindi sia piú ampio del primo. Ma è da tenere presente che per lo stesso Gramsci la differenza tra società civile e società politica è soltanto metodologica, non orga[...]

[...]creare una società non piú divisa in classi, ma « regolata ». Ma che cosa vuol dire una società regolata e come si giunge ad essa? Occorreranno, dice Gramsci, parecchi secoli. Questo vuol dire che la conquista del potere e la creazione dello Stato socialista non portano alla risoluzione di tutte le contraddizioni. Anche al di fuori di quelle che sono legate al carattere parziale delle prime vittorie, altre ne sorgono e devono essere risolte. Uno dei cavalli di battaglia contro la concezione marxista del mondo e della storia era di chiedere come si concilia la nostra visione dialettica della realtà con la nostra lotta per una società regolata. Quale sviluppo dialettico ci potrà dunque essere in siffatta società? Al che Gramsci ci insegna a rispondere che il marxismo non è dottrina di profezie, ma dottrina della realtà. Noi conosciamo le contraddizioni del nostro mondo, che è il mondo diviso in classi e lottiamo per superare queste contraddizioni. Profezie sugli sviluppi delle società future, prive di classi, non spetta a noi farne. Ci spe[...]



da Maria Teresa Mandalari, Confini tempo esistenza in Ingeborg Bachmann in KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2

Brano: [...]vi polvere, aggirandosi tra noi con tanta discrezione, non può meravigliare », poiché non essendo «un pretesto o un puro effetto di sociodinamica culturale (...) proprio grazie al suo spasmodico, disperato impegno sui dati del presente, resiste in essa qualcosa di grandiosamente inattuale »: ove questo aggettivo, ovviamente, ha significato positivo perché intende stabilire un confronto con certo disinvolto e spesso esibizionistico ‘ far poesia ’ dei nostri giorni. Ma implicitamente è lecito enuclearne anche il significato specifico che la poesia della Bachmann è davvero affondata come un cuneo nel « presente », nel suo presente, nel suo tempo. E si tratta, si, di un tempo 4 storico ’, ma bloccato tuttavia quasi a volerlo arrestare e definire da continue valenze mitiche, fiabesche e talora cosmiche. La Bachmann, in altri termini, intende dilatare il proprio tempo nello spazio (immaginativo o concreto che sia), facendo confluire l’una nelPaltra le due realtà, di cui dirà (come abbiamo visto) che si erano « dissolte » e necessitavano di r[...]

[...]ranamente, data la sua ben nota consistenza intellettuale) è chiaramente dimostrato in due liriche, cioè Grande paesaggio nei dintorni di Vienna (ultima del primo volumetto) e Corrente (scritta negli anni Sessanta). Qui il passato come concatenazione di eventi, come ‘ costruzione 9 da cui lei proviene, è per la Bachmann solo ‘ lamento ’, allo208

MARIA TERESA MANDALARI

stesso modo come il suo passato personale attraverso la vicenda recente dei paesi tedeschi è soltanto un incubo emotivo, da lei palesemente concentrato tutto nel ricordo del trauma adolescenziale subito all’entrata dei nazisti in Austria (uno dei pochissimi dati autobiografici rivelati più tardi).

Il rifiuto del passato prossimo come di una malattia immonda abbattutasi dall’alto o scaturita dal profondo per generazione anomala, che si constata incombere nei suoi esiti ma che non va analizzata, è netto nella Bachmann: come lo è stato allora e per molti anni in tutto l’Occidente tedesco, non soltanto letterario. È la unbewàltigte Vergangenheit, il passato rimosso e non superato. Di tale caratteristica specifica, la Bachmann al di là e al di sopra del suo ‘ impegno ’ è buon portavoce poetico, per gli anni Cinquanta e Sessanta. Il dr[...]

[...]nseguenza di un passato, ma non giunge a indagarlo, questo passato, nelle sue cause. Dagli inizi poetici, che sono trampolino di lancio per la Bachmann, tale atteggiamento si propaga e perdura lungo tutta la produzione successiva: i radiodrammi, i racconti, le sparse e rade liriche degli « anni di piombo », fino al macabro ciclo Todesarten (Modi di morire) di cui è compiuto solo il romanzo Malina (1971), che decreta la sparizione dell’io lirico. Dei tre volti inscindibili della storia, passato presente futuro, è solo il presente in atto, mostro misterioso e cangiante, di origine oscura e sinistra (come l’Orsa Maggiore, der Grosse Bar, della lirica omonima), a scatenare con l’orrore la ribellione della Bachmann: una ribellione ‘ sospesa ’, aggrappata ad un’unica risorsa, il linguaggio, la parola, arma e scudo insieme:

lo dimostra ancora una volta nella lirica (degli anni Sessanta) Ihr Worte, certo la sua più drammatica, in cui con disperata speranza e non domato orgoglio, mentre anela al silenzio, incita alla lotta, vietandosi ogni par[...]

[...]Enigma conclude: « Sonst/sagt/niemand/etwas »). Nel 1971 esce Malina, il primo e l’unico romanzo compiuto del ciclo Todesarten; ma precedono nella composizione (quantunque usciti nel 1972) i racconti Tre sentieri per il lago: cinque episodi, o meglio esemplificazioni, di solitudine femminile e progrediente vuoto emozionale che, pur nella loro concretezza, possono definirsi ‘ resoconti lirici ’. In Malina, il problema dell’io che l’assiduo studio dei suoi « padri » austriaci (soprattutto del concittadino Musil) propone alla scrittrice letterariamente agguerrita e avvertita, non appare obiettivamente sovrastante alla disposizione interiore, squisitamente soggettiva, della Bachmann: piuttosto, invece, sembra soverchiarla e condurla naturaliter all’esplicitazione espressiva di una sintomatica schizofrenia ontologica, in cui come sappiamo l’io lirico, l’io femminile soccombe, addirittura scompare. E la narrazione si conclude con un « Es war Mord » (è stato un assassinio) che, date le circostanze ultime della sua vita, può anche sembrare un [...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Trevisani, Gramsci e il teatro italiano in Studi gramsciani

Brano: [...]izio della parabola rivoluzionaria discendente del dopoguerra?
288 I documenti del convegno
È importante, a questo proposito, uno scorcio che ritrovo in uno scritto di Alvaro: « A vederlo di lontano, il teatro borghese di quel tempo è dominato da un'inquietudine pratica basata sul ruolo del danaro e delle conquiste materiali; della posizione, dell'arrivare; lo si confronti col mondo di Ibsen, che è il padre di quasi tutto il repertorio europeo dei primi anni del Novecento, mondo della borghesia ascendente, per avere i1 quadro in tutta la sua meschinità. In Ibsen è l'individuo che lotta per conquistarsi e raggiungersi, conquistare la propria individualità e la massima espressione di se stesso, la propria moralità, che furono caratteri splendenti della borghesia al suo sorgere, quale Ibsen la trovò. Negli epigoni, quelle inquietudini si stemperano in fastidi e appetiti, la conquista interiore della piena espressione individuale diventa avidità di conquiste di segni esteriori. Basta osservare la differenza che passa fra l'ibseniano Solner[...]

[...] di Dina le toglie la patina piú appariscente di volgarità, e le dà in prestito la sua vita artistica », sovrapponendosi, cosí, per eccezione, al « trimme della produzione comica francese », che rispecchiava quel mondo parigino di tabarin e di separés, di cocottes e viveurs, e di profumate alcove, che dai principi del secolo aveva costituito il Nirvana della provinciale borghesia italiana, e tanto piú oggi, per la guerra, solleticava le velleità dei nuovi ricchi.
Questa borghesia era, del resto, la stessa che, quando mostrava piú casalinghe pretese, faceva buon viso alla facile produzione di Dario Niccodemi, che « pur nel suo convenzionalismo sentimentale, aveva, con l'abilità, acquistata nel suo garzonato di autore rotto a tutte le astuzie della scena », saputo sia « drammatizzare spunti e motivi eminentemente legati all'ideologia popolare » sia accattivarsi lo spettatore piccoloborghese con la creazione di una contrapposta mitologia aristocratica.
Sbocciavano, cosí, speranzose della fortuna del Niccodemi, sia le prime erbacce forzani[...]

[...]te di stanza » del salottierismo, « la pochade che vuol essere " commedia comica " » e questa che si adorna di spiritosaggini « come — dice Gramsci — un pellerossa da carnevale si adorna di penne ». Gli uomini spiritosi, egli dice, « sono una parte molto importante della vita sociale moderna e sono molto popolari... ». L'ideale della loro vita elegante sono « la conversazione fatua e brillante del salotto, l'applauso discreto e i1 sorriso velato dei fre
290 I documenti del convegno
quentatori disalotti ». Anche questo genere di commedia, avrà poi suo massimo sviluppo sotto il fascismo.
Una sola opera, maturata in un clima di volontarismo ibseniano, si è, negli ultimi anni (è del 1912), staccata dalla produzione salottiera, oltre che valorizzata da una interpretazione inimitabile. Il Santo è l'opera; Ruggeri l'interprete: per il resto, Bracco rimane anche lui nel salotto, o talvolta — il che non è, certo, artisticamente piú valido — scende in istrada con gli atti unici di tardo verismo.
I futuristi non avevano portato nel teatro che c[...]

[...]sa », « efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica », l'opera che non po
Giulio Trevisani 293
teva non ferire profondamente la mentalità cattolica; e Gramsci ricorderà piú tardi le chiassate degli studenti clericali torinesi alla prima di Liolà, quando — nei tempi dell'accanimento della Civiltà cattolica e dei critici teatrali cattolici contro Pirandello — osserverà che, in effetti, il grande scrittore siciliano si stacca dal verismo borghese e piccoloborghese del teatro tradizionale perché la concezione umanitaria e positivistica del verismo non era anticattolica; e, invece, la tendenza filosofica pirandelliana, qualunque ne siano il contenuto, i limiti, la coerenza, è sempre
indubbiamente anticattolica ».
Nel chiudere la prima parte di questa comunicazione riguardante le recensioni teatrali, mi si permetta di osservare che ai critici d'oggi Gramsci offre lezioni di costume e di stile.
Caratter[...]

[...]na nel tempo stesso i migliori fra i cooperatori secondari, scrisse che essa è « l'unica compagnia italiana che meriti veramente questo nome, poiché presenta organicità. di ruoli e graduazioni di capacità che, pur lasciando agio ai principes di. mettere in rilievo le loro doti speciali, non nuoce all'insieme e dà risalto anche alle parti secondarie » : dice, anzi, che queste, se alacri ed intelligenti, non solo non fanno diminuire la personalità dei maggiori, ma la mettono, forse, maggiormente in risalto. (Si pensi come tutto questo possa apparirci lontano e sfocato nel tempo, innanzi alle varie striminzite e sbilenche compagnie che oggi si formano lavoro per lavoro!).
294 1 documenti del convegno
La compagnia è, per Gramsci, un collettivo di lavoro anche se tutti gli elementi si riannodano, e debbono riannodarsi, intorno ai protagonisti. La sua battaglia su questo terreno precede di oltre un decennio la nota crociata damichiana per la regia. A proposito della compagnia di Ruggeri, il 5 febbraio 1916, egli lamenta: « ormai è invalso, n[...]

[...]re. Ogni parola ha una ragione, ogni atteggiamento fisico e spirituale deriva necessariamente da una personalità che è stata concepita in quel dato modo e in nessun altro ».
Nella larga letteratura, comunque siano definiti i suoi testi, di inse
Giulio Trevisani 295
gnamento per gli attori, da Diderot a Jouvet, Gramsci innesta elementi notevoli.
Il definir grande un attore, egli dice, « vorrebbe dire stabilire una scala di valori, ricorrere a dei confronti, classificare. E invece l'artista non è grande o piccolo: è o non è tale, semplicemente. Lo studio può essere rivolto solo all'osservazione del come lo sia, può essere rivolto a stabilire come si svolge questa sua particolare attività, che è tutta lui, che è ciò che ci interessa. Cogliere l'attimo vivo, abbandonarsi al fluire di questa vita, e risentirla in sé come qualcosa di solidamente compatto, che si impone all'ammirazione, che ci domina in quel momento, come fosse tutto il mondo, il solo mondo esistente ».
Ed ancora, altrove: « Trattandosi di un attore drammatico, ciò che imp[...]

[...] ci domina in quel momento, come fosse tutto il mondo, il solo mondo esistente ».
Ed ancora, altrove: « Trattandosi di un attore drammatico, ciò che importa è accertare se egli da attore è diventato artista, se veramente la sua umanità si distingue da quella degli infiniti altri mortali per la capacità di ricreare gli individui concreti che la fantasia degli scrittori crea, per la capacità di dimenticare in questa ricreazione se stesso come tal dei tali, per assorbire, assimilare ed esprimere integralmente tutti quegli elementi di individuazione concreta coi quali lo scrittore ha realizzato la sua intuizione drammatica ».
Loda l'attore, che non si dà a « montare le situazioni fortemente impressionanti » per « raggiungere gli acuti e spasmodici culmini della drammaticità. Ma da artista che sente la dignità dell'arte sua, non abusa di queste droghe piccanti. E si tiene nei limiti dell'umanità normale, riuscendo lo stesso, e anzi più efficacemente, a far risentire l'angoscia piú profonda e la gioia piú spirituale ».
Talvolta egli censura[...]

[...]ori capaci — scrive — di emozionare il nostro pubblico sono quelli che mettono a contatto il presente con l'avvenire, i dominatori con gli oppressi, il sistema sociale dell'oggi con le ardite speranze del domani ».
E qui è da notare che egli non istalla nella rubrica teatrale dell'Avantil una cattedra staccata dalla vita teatrale. Egli si rivela uomo di teatro; e cioè consapevole delle necessità pratiche a cui la vita del teatro è sotto:posta e dei mezzi che devono non ostacolare ma favorirne lo sviluppo. Sarebbe stato da ricordare il suo insegnamento l'anno scorso, in occasione di una polemica che fu intitolata « Arte e cultura » e che piú esattamente sarebbe stata intitolata « Arte e Teatro ». Gramsci sostenne che i diritti e i valori dell'arte dovevano essere rispettati in teatro come essenziali ai suoi fini nel tempo stesso ideali e pratici, perché senza di questi ultimi non esisterebbe teatro e la sua opera rimarrebbe nell'ambita della letteratura. Battendosi contro « l'insincerità psicologica, la bolsa espressione artistica », la [...]

[...] Battendosi contro « l'insincerità psicologica, la bolsa espressione artistica », la forma « crassamente sguaiata » o « romanticosentimentale » della vita sessuale, Gramsci denunzia l'impresa teatrale Ghiarella che, a Torino, sta « lentamente abituando » il pubblico « a preferire lo spettacolo inferiore, indecoroso, a quello che rappresenta una necessità buona dello spirito » . Scrive: « Non è vero che il pubblico diserti i teatri; abbiamo visto dei teatri, vuoti per una lunga serie di rappresentazioni, riempirsi, affollarsi, all'improvviso per una serata straordinaria in cui si esumava un capolavoro, o anche piú modestamente un'opera tipica di una moda passata, ma che avesse un suo particolare cachet. Bisogna che ciò che ora il teatro dà come straordinario diventi invece abituale. Shakespeare, Goldoni, Beaumarchais, se vogliono lavoro e attività per essere degnamente rappresentati, sono anche al di fuori di ogni banale concorrenza ». Ma nello stesso tempo afferma che « il teatro non si nutre solo di capolavori »; e, parlando del success[...]

[...]i è dissolta: ai vincoli disciplinari generati spontaneamente dal lavoro in comune — lavoro di natura particolare, perché tendente a fini di creazione artistica — sono successi i " vincoli " che legano l'intraprenditore ai salariad, i vincoli della forca e dell'impiccato ».
Piccoli impresari locali, in verità, non erano mai mancati; erano sorti già dopo il crollo del mecenatismo principesco ed aristocratico; ma, come fenomeno generale, il mondo dei comici era costituito da compagnie girovaghe, piú o meno zingaresche, di tipo paternalistico, sotto una direzione nel tempo stesso artistica ed amministrativa. A queste compagnie si erano andate sostituendo, dalla fine dell'Ottocento, vere e proprie aziende capocomicali, per lo piú di proprietà dell'attor principale o di alcuni attori principali associatisi; piú tardi la società capocomicale era stata formata dall'attore o dagli attori anzidetti che davano alla società l'apporto del loro lavoro e da un finanziatore che investiva i suoi capitali. Piú tardi apparvero compagnie in cui anche gli [...]

[...]i; piú tardi la società capocomicale era stata formata dall'attore o dagli attori anzidetti che davano alla società l'apporto del loro lavoro e da un finanziatore che investiva i suoi capitali. Piú tardi apparvero compagnie in cui anche gli attori principali erano scritturati e la compagnia era proprietà di un capitalista.
Il fatto recente, piú importante, era stato rappresentato dallo sviluppo dell'« esercizio » teatrale, e cioè dalla gestione dei locali, e ciò soprattutto per la costruzione, nelle grandi città, di nuovi teatri liberi dalla soggezione del « palchismo » e cioè dal condominio: e lo sviluppo era stato tale, da portare, nel tempo in cui Gramsci scriveva le sue note, alla creazione di un potente trust. I piú importanti teatri d'Italia, e cioè quelli di Milano, di Torino, di Genova, di Bologna, erano nelle mani della Società SuviniZerboni di Milano, dei fratelli Chiarella, genovesi, (con locali a Genova e Torino), del comm. Paradossi di Bologna; e questo trust sindacava anche quasi tutti i teatri di Roma.
Si era venuta, cosí, formando in Italia, dai principi del secolo, l'industria capocomicale, timida e subalterna a quella dell'« esercizio »
Giulio Trevisani 299
teatrale, a quella cioè dei gestori dei teatri, generalmente chiamati proprietari, sia che fossero proprietari sia che fossero fittuari dei relativi edifizi. La soggezione era diventata enormemente piú grave negli ultimi anni. Ed è con evidente riferimento a questa situazione che Gramsci, nella pagina già citata, vede il capocomico ridotio, sostanzialmente, alla funzione di « mediatore » tra « l'impresario del teatro associato in un trust» e « i comici soggiogati alla schiavitú del salario ».
Dai principi del secolo, si eran venuti, a loro volta, corporativisticamente organizzando le varie attività lavoratrici dello spettacolo: e già nel 1902 il suggeritore Domenico Gismano aveva fondato una Lega degli Attori Drammatici e un set[...]

[...]inciavano assai prima dell'inizio del triennio.
Nel secondo e terzo anno della prima guerra, e cioè nel periodo di maggiore floridezza mai raggiunta dal teatro in Italia, lo strato capitalistico dominante, costituito dai tre proprietari di teatro già nominati, si era consolidato con un accordo monopolistico, il cui primo e immediato programma, in previsione del triennio 191821, doveva esser quello di consolidare con un contratto tipo il dominio dei loro interessi sulle aziende capocomicali. Contro il trust SuviniZerboniChiarelliParadossi costituitosi sotto forma di Consorzio, la Lega dell'Arte Drammatica dette il grido d'allarme ai capocomici; e questi, appoggiati anche dalla Società degli Autori, trovarono il piú battagliero rappresentante dei loro interessi in Ermete Zacconi, proprietario della compagnia a lui intitolata.
Sull'Avanti! di Torino, prima ancora che questa lotta fosse impostata sul terreno economico, Gramsci aveva rilevato i pericoli del trust sul terreno culturale. « Torino — egli aveva scritto il 25 maggio 1916,
300 I documenti del convegno
sotto il titolo « Sfogo necessario » — è diventata una buona piazza per il trust che regola il mercato artistico italiano »; e quel che diceva era valido per quasi tutta Italia. « Il trust ha ammazzato la concorrenza, ha rotto la molla che costringeva a dare il meglio se si vo[...]

[...]empre maggiore scarsezza di spettacoli teatrali sostituiti da « un pullulare malsano di varietà e di canzonettisterie ».
Un anno dopo, il male si aggrava: gli spettacoli di varietà, operette, vaudevilles si sono allargati, hanno preso posto in tutti i teatri di prosa. Sotto il titolo « L'industria teatrale », il 28 aprile 1917, Gramsci scrive: « Torino è diventata una fiera, Barnum è diventato il dio tutelare della attività estetica e del gusto dei torinesi. Barnum o il consorzio teatrale: Barnum o il trust dei fratelli Chiarella ».
Qui Gramsci denunzia lo spirito animatore dell'industria teatrale, tal quale esso si rivelava allora di fronte al caffèconcerto (e tal quale si rivela oggi di fronte alla rivista): « lo spirito dell'accumulatore di quattrini, cieco, sordo, insensibile a tutto ciò che non sia cespite di guadagno. Se domani sarà provato che è piú che conveniente adibire i teatri a rivendita delle noccioline americane e dei rinfreschi ghiacciati, l'industria teatrale non esiterà un istante a farsi rivenditrice di noccioline e di ghiacciate, pur mantenendo nella ditta l'aggettivo " teatrale " ».
Dei danni che certamente deriveranno, e già cominciano a derivare, al teatro drammatico, l'industria teatrale, osserva Gramsci, non si preoccupa poiché, a causa del monopolio e della perversione del gusto, i suoi affari prosperano ugualmente. Perché dovrebbero, infatti, preoccuparsi i proprietari teatrali? Le compagnie, scrive Gramsci, « se vogliono vivere e lavorare devono passare sotto le forche caudine dei patti, dell'ingerenze, dei repertori, che il Consorzio impone ».
Fissiamo subito la nostra attenzione su questi tre temi proposti da Gramsci: patti, ingerenze, repertori; poiché si tratta di una tematica quanto mai attuale per porre in discussione le ragioni che impedivano allora e tanto piú impediscono oggi — in una situazione nuova ma analoga — quella libertà del teatro che è condizione assoluta per la sua esistenza.
Quanto ai patti, salvo alcune clausole addirittura leonine da tempo
Giulio Trevisani 301
superate, essi sono oggi ancora, sostanzialmente, quegli stessi del contratto tipo preparato a quel tempo dal [...]

[...]alcatura della struttura economica del teatro italiano; il quale ha una delle sue principali cause di rovina nel regime contrattuale fra teatri e compagnie, fondato su due predisposti scompartimenti stagni dell'utile; che non va diviso, volta per volta, fra teatro e compagnia in ragione della loro partecipazione al costo del prodotto spettacolo, ma secondo una proporzione fissa fra teatro e compagnia, che mette, in ogni caso, il teatro al sicuro dei rischi, e tutti li addossa alla compagnia. La quale si difende attuando il criterio del minor rischio e del minor costo possibili: periodi sempre piú brevi, complessi sempre minori, occasionalità, provvisorietà sempre maggiori, e sempre maggiore decadenza artistica: fondamentale causa ed immediato effetto, questa, della crisi del teatro.
Quanto alle ingerenze, e cioè alle possibili limitazioni della libertà del capocomico nella formazione delle compagnie, ingerenze di cui Gramsci vedeva il pericolo nel rapporto di forze fra i due contraenti, basti pensare come esse si siano allargate ed appr[...]

[...]i del teatro, ele
302 I documenti del convegno
vando il costo dello spettacolo e del biglietto d'ingresso, e che possono essere eliminati soltanto dai teatri comunali.
Gramsci muove contro la gretta politica degli « accumulatori di quattrini » , che, avendo in programma l'accondiscendere ai gusti degli amatori di banalità, contribuisce all'abbassamento di livello del gusto generale.
Alla reazione della ditta Chiarella, che aveva id monopolio dei teatri torinesi e genovesi e che protestava contro le note dell'Avanti! egli risponde informando i lettori dell'Avanti!: «II trust del Consorzio teatrale ha già escluso dai teatri di Torino Ermete Zacconi; ora anche Emma Gramatica è caduta in ostracismo ». E poiché questa nobilissima artista, che Gramsci loderà per un tentativo di lotta per l'arte, non accettava le forche caudine del trust, l'organo milanese del Consorzio attaccò volgarmente l'artista, rimproverandole di « non fare interesse », di non rendere, cioè, tanto in quattrini, quanto ne rendevano le compagnie di pochades.
Per comple[...]

[...]attrini, quanto ne rendevano le compagnie di pochades.
Per completare l'accenno al conflitto fra il trust degli esercenti ed i capocomici, che impegnò Gramsci a favore di questi ultimi, ricorderemo che, dopo un inutile convegno del luglio a Milano, di cui Gramsci parla negli articoli « Ancora i fratelli Chiarella », e « L'industria teatrale », fra esercenti capocomici ed attori, si formò, 1'11 ottobre 1917, presieduta da Zacconi, l'Associazione dei capocomici. La Lega degli Attori Drammatici, e cioè dei salariati dell'industria capocomicale, dette ai suoi datori di lavoro tutta la sua solidarietà nella lotta da essi impegnata contro il Consorzio: l'Argante fu per molto tempo l'organo ufficioso di Zacconi e per molto tempo fu tessuto l'idillio della collaborazione fra attori e capocomici, salariati e padroni. Sulla validità e continuità di tale collaborazione, gli attori ebbero possibilità di meditare lungamente, allorché, un paio d'anni dopo, nel 1919, gli attori si fecero a chiedere all'Associazione dei capocomici miglioramenti economici. Zacconi disconobbe la Lega el'ingiuriò, ma dové pieg[...]

[...]ri di lavoro tutta la sua solidarietà nella lotta da essi impegnata contro il Consorzio: l'Argante fu per molto tempo l'organo ufficioso di Zacconi e per molto tempo fu tessuto l'idillio della collaborazione fra attori e capocomici, salariati e padroni. Sulla validità e continuità di tale collaborazione, gli attori ebbero possibilità di meditare lungamente, allorché, un paio d'anni dopo, nel 1919, gli attori si fecero a chiedere all'Associazione dei capocomici miglioramenti economici. Zacconi disconobbe la Lega el'ingiuriò, ma dové piegarsi innanzi ad uno sciopero compatto.
Ad altro sciopero gli attori furono costretti in Milano nel gennaio 1922: durò circa un mese e fu sorretto dalla solidarietà di tutti i lavoratori del teatro della città; ma fini con la sconfitta degli attori, perché i capocomici si allearono, questa volta, con i proprietari di teatro; i quali erogarono i fondi per la costituzione della prima corporazione fascista e crumira. Fu, in questa occasione, scoperto dai lavoratori del teatro un documento quanto mai significa[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Dei, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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Pignone <---Fonti <---Formosa <---Forni <---Fortleben di Lucano nel Medioevo <---Forum <---Forza <---Forze Repressione <---Fossas <---Fourier <---Fournière <---Frade <---Fragments <---France Observateur <---Franceschini <---Francesco De Sanctis <---Francesco Flora <---Franchino <---Francke <---Franco Cagnetta <---Franz Kafka <---François Perroux <---Fratelli <---Freiligrath <---Frescobaldi <---Friedrich Adler <---Friedrich Engels <---Friedrich Leo <---Friedrich List <---Fritz Behrens <---Fritz Riickert <---Fundales <---Funtana <---Funtana Bona <---Fùnkchen <---G.F. <---G.M. <---Gaetano Salvemini <---Gaetano Trezza <---Galamòli <---Galanòli <---Galles <---Galli-Guasti-Bracci <---Gallicia <---Gallizzi <---Galloniu <---Gallura <---Ganci <---Gangas <---Gargano <---Garipa <---Gaunersprache <---Gavagnini <---Geburtstag <---Gedanken <---Gemeinverstàndliches Lehrbuch <---Gemeinwesen <---Gendai Schiso <---Genealogia <---Genio Civile <---Genzano <---Geografico <---Germania Occidentale 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