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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale De Sanctis è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 297Analitici , di cui in selezione 14 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] G. Petronio, Gramsci e la critica letteraria in Studi gramsciani

Brano: [...] gusto, gli storici; sicché, io direi, alla educazione del critico italiano che si sforzi oggi di ricondurre la propria attività di studioso dei fenomeni letterari ai principi e allo spirito del marxismo, piú che i critici in senso stretto della nostra generazione e di quella precedente, sono di aiuto Marx, Engels, Mehring, Labriola, Gramsci, Lukàcs, e, come esempio altissimo di una critica tutta storicamente e politicamente impegnata, Francesco De Sanctis. Il che non esclude — è ovviò, ma sarà prudente ribadirlo — la piú severa preparazione tecnica, e la conoscenza ragionata dei propri colleghi di oggi a qualsiasi scuola appartengano.
In questo senso, dunque, l'opera di Gramsci rientra di pieno diritto nella storia della nostra critica letteraria, come quella di un uomo che all'arte, e ad una concezione e definizione di essa, ha dedicato assai del sino tempo e del suo ingegno, e che, riflettendo sulla storia civile italiana e dandone una propria originale interpretazione, ne ha dedotto — o ha lasciato spunti perché altri deducesse — una inter[...]

[...]he un'opera sia bella, per il suo contenuto morale e politico, e non già per la sua forma in cui il contenuto astratto si è fuso e immedesimato » 4. Dove vi è certo la lezione crociana, e vi è il rifiuto e come il timore di certo schematico
i L. V. N., p. 50.
2 L. V. N., p. 49.
3 L. V. N., p. 6.
4 L. V. N., p. 11.
228 i documenti del convegno
gretto positivismo che l'Estetica del Croce aveva dissolto; ma vi è anche la lezione fruttuosa del De Sanctis, e vi è lo spirito del piú serio marxismo che, con Marx ed Engels, aveva anch'esso continuamente messo in guardia dal sociologismo, dalla confusione tra contenuto e forma, dal passaggio meccanico dal giudizio storico al giudizio estetico'.
Però le stesse frasi che ho citate, e altre consimili che si potrebbero spigolare, lette nel loro contesto, che è il solo modo di leggerle, non sono affatto crociane, e sono, anzi, della concezione crociana dell'arte e della critica un superamento radicale. Tanto che, proprio in quelle note è il passo tante volte citato in questi anni, e certo di fondament[...]

[...] altre consimili che si potrebbero spigolare, lette nel loro contesto, che è il solo modo di leggerle, non sono affatto crociane, e sono, anzi, della concezione crociana dell'arte e della critica un superamento radicale. Tanto che, proprio in quelle note è il passo tante volte citato in questi anni, e certo di fondamentale importanza ad intendere Gramsci: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci) » 2; un passo riassuntivo e incisivo, in cui la coscienza del proprio distacco da Croce si esprime in termini netti, anche se, almeno nelle righe riportate qua su, ancora negativi piuttosto che positivi.
Ma anche i termini positivi, dell'affermazione dopo la negazione, ci sono, e sono chiari, sicché l'antitesi CroceGramsci risiede nello spirito piú profondo delle due opere, in quella concezione del mondo che è dietro ogni sistema di pensiero e gli dà la sua impronta precisa.
La prima netta distinzione è nel fatto che il Gramsci,[...]

[...] E. GARIN, Cronache di filosofia italiana, Bari, 1955; M. ABBATB, La filosofia di B. Croce e la crisi della società italiana, Torino, 1955, per cui mi permetto rinviare ad una mia recensione in Mondo operaio, IX, 1956, n. 3.
Giuseppe Petronio 231
propria natura ideologica può essere, in un determinato momento storico, la piú comoda e utile delle ideologie!
Ma qui proprio è la differenza tra il tipo di critica propugnato dal Croce e quello del De Sanctis e di Gramsci; una differenza che è, originariamente, ideologica, ma si fa presto tecnica. La critica d. Croce, voglio dire, serve un'ideologia conservatrice; quelle di De Sanctis e di Gramsci servono ideologie progressive; ma, intanto, per servire ognuna la propria ideologia, l'una diviene critica della pura forma, della distinzione netta tra poesia e nonpoesia, tra struttura e poesia, e via dicendo, le altre si atteggiano come critiche dei contenuti e delle forme tutt'insieme, e tendono a fondere struttura e poesia in un tutto organico. Ecco, dunque, perché dicevamo assurdo affermare che per Gramsci si possano conciliare crocianesimo (o neoidealismo) e marxismo; il problema di Gramsci è
invece quello di giungere ad una fase ulteriore e nuova storicamente
aggiornata[...]

[...]apporti, e tende sempre a delineare, sia pure per rapidi cenni, il «,panorama ideologico» 1 che è intorno ad esso. Sicché, in ultima analisi, potremmo dire che tutti i giudizi critici che abbiamo di Gramsci non sono che frammenti di una storia letteraria, di quella storia letteraria che egli non scrisse, ma di cui ci ha lasciato il disegno e lo scheletro.
Che è, poi, il punto in cui la critica letteraria di Gramsci meglio coincide con quella di De Sanctis, ma è pure il punto in cui ne diverge con maggiore energia 2.
Tutti e due, infatti, mirano a risolvere il giudizio critico in un giudizio storico, inquadrando opere e autori in una storia della letteratura che sia una storia della civiltà italiana sub specie litterarum. E tutti e due perciò disegnano Gramsci disegna solo, De Sanctis vi aggiunge i colori — una storia civile italiana dalla cui trama si spicchi e rilevi, pur tutt'una con essa, la storia letteraria, simile al volto umano che Dante scorge, dipinto dello stesso colore e pur tutto in risalto, sull'una delle circonferenze divine.
Ma la storia civile italiana che Gramsci tratteggia è poi tutta diversa da quella del De Sanctis, come dev'essere necessariamente diversa la visione che della storia italiana ha il marxista Gramsci da quella che aveva avuta, alla fine del Risorgimento italiano, il democratico De Sanctis.
La visione storica del De Sanctis era — sono cose ormai note — democratica e progressiva, ma era, tuttavia, quella di un borghese democratico educatosi al Romanticismo e tempratosi nelle lotte risorgimentali; di un uomo per cui la letteratura italiana aveva avuto il gran vizio di non essere popolare e realista, ma per cui pure popolare aveva ancora, su per giú, l'accezione che gli aveva data il Berchet nella sua Lettera semiseria. Mentre per Gramsci il male che aveva minato nei secoli la
1 M. S., p. 17.
2 Per quanto segue mi permetto rinviare ad un mio saggio « Di che fanno la criticai critici? », in Mondo operaio, IX, 1956[...]

[...] arretratezza economica,
e via dicendo), ma furono anche, per la stessa ragione, nello stesso momento, culturali: cultura falsamente umanistica, accademismo letterario, Arcadia, brescianesimo, e cosí via dicendo.
In questo modo le classi subalterne, escluse fino allora dalla storia letteraria, vi entrano di pieno diritto, e la storia della letteratura diventa una storia nazionalepopolare. Le aveva escluse la storiografia romantica, compreso il De Sanctis, senza forse una precisa coscienza; le aveva escluse coscientemente il neoidealismo italiano, che aveva affermato con orgoglio i diritti della propria classe, sola protagonista di storia. Ora invece queste classi subalterne invadono se non il proscenio lo sfondo; non parlano qualche volta, ma la loro muta presenza colorisce e qualifica il dramma che si svolge piú avanti, cosí come il Convitato di pietra per essere muto non resta però estraneo al dramma, che egli condiziona con la sola sua ombra.
Ecco, allora, che nelle pagine dei Quaderni del carcere è una miniera inesausta di spunti e di te[...]

[...] permettono di intendere meglio, su uno sfondo piú largo anche la storia
e la cultura borghesi, se è vero che queste vissero non isolate, ma in un vivo continuo ricambio con la vita, la cultura, le lotre delle classi popolari, alla cui attività quella delle classi egemoniche fu spesso una reazione, non comprensibile se non vista in rapporto alle azioni che polemicamente la determinarono.
Lo schema storiografico sotteso alle interpretazioni del De Sanctis era il frutto della storiografia romantica, e poggiava tutto su un conflitto, a volte drammatico, tra età — medioevo, Illuminismo, Romanticismo — nelle quali la letteratura era stata impregnata di serie convinzioni religiose
o civili, ed età — Umanesimo, Rinascimento, e poi via via, Seicento barocco, Arcadia — nelle quali, invece, staccandosi dalla vita reale, era stata mera cultura, o pura arte, o giuoco, per alto ed esperto che fosse.
La critica letteraria successiva ha accolto e, in un certo senso, ha mantenuto fino ad oggi quello schema; ma lo ha progressivamente attenuato, scolorito, s[...]

[...]ella letteratura italiana sono apparsi piú una continuazione in volgare della letteratura latina medievale, che il frutto di una nuova situazione storica e sociale; cosí come il secondo Settecento è stcto ora ritratto verso la prima arcadica metà del secolo, ora rigettato verso l'Ottocento, è apparso ora continuazione dell'Arcadia ora presentimento del Romanticismo (Preromanticismo), senza piú, in alcun caso, quei larghi motivi innovatori che il De Sanctis vi aveva scorti, trutto della nuova cultura illuministica. Voglio dire, insomma, che paral lelamente alla riduzione della poesia a pura forma, e cioè al suo svuotamento culturale e sociale, si è avuto, per le stesse ragioni, ne fossero o no consci i singoli critici, uno svuotamento dello schema storiografico costruito, sul lavoro dei secoli precedenti, dai romantici. Ed è ovvio: ridotta l'opera d'arte a «poesia » senza un substrato politicosociale, tutte le opere d'arte diventano piú o meno simili tra loro, senza nemmeno piú differenziazioni profonde di stile.
Gramsci, invece, riintroduce ne[...]

[...]n due rami: uno esercitò in Italia una funzione cosmopolitica, collegata al Papato e di carattere reazionario, l'altro si formò all'estero, coi fuorusciti politici e religiosi ed esercitò una funzione cosmopolitica progressiva nei diversi paesi in cui si stabilí, o partecipò all'organizzazione degli Stati moderni, come elemento tecnico nella milizia, nella politica, nell'ingegneria ecc. » 4. Il che gli permette, ancora una volta, di ritornare al De Sanctis, ma ad un De Sanctis rinvigorito della sua piú democratica concezione storiografica: «Esso [l'Umanesimo} ebbe il carattere di una restaurazione, ma,
L. C., p. 138; dr. anche I., p. 22 sgg.; P., p. 155; R., pp. 510; 18 sgg.; ecc.
2 Poemetti del Duecento, a cura di G. PETRONIO, Torino, 1951.
3 G. PETRONIO, « La posizione del Decameron », in La rassegna della letteratura italiana, a. 61°, s. VII, aprilegiugno 1957.
4 R., p. 15.
Giuseppe Petronio 237
come ogni restaurazione, assimilò e svolse, meglio della Masse rivoluzionaria, che aveva soffocato politicamente, i principi ideologici della classe vinta, che non[...]

[...]uardo educato alla comprensione dialettica della storia ed alla considerazione della parte che in essa hanno avuta le forze subalterne, il Gramsci appunta sul Risorgimento, ed anche qui la visione tradizionale, monarchica e moderata, dell'Ottocento svela la sua faziosa fallacia, ed anche qui Gramsci semina spunti e germi che attendono di essere svolti e sistemati. Se perciò qualcuno ha potuto giustamente parlare della necessità di uno studio del De Sanctis « secondo Gramsci » piuttosto che «secondo Croce », potremmo dire che anche lo schema della letteratura italiana va oggi approfondito, chi voglia rifarlo secondo interessi democratici e moderni, « secondo Gramsci », e non secondo la concezione moderata e liberale di cui il Croce ha dato gli esempi piú alti 3.
1 R., p. 27.
2 Per Umanesimo e Rinascimento cfr. ancora I., p. 36 sgg.; M. S., p. 85 sgg.; per il Machiavelli cfr. soprattutto Mach., p. 3 sgg.; 115 sgg.; 211 sgg.; R., p. 13; L. C., p. 47. Per un esempio recente della fertilità di alcune intuizioni gramsciane sul Rinascimento, oltre a[...]

[...]empi piú alti 3.
1 R., p. 27.
2 Per Umanesimo e Rinascimento cfr. ancora I., p. 36 sgg.; M. S., p. 85 sgg.; per il Machiavelli cfr. soprattutto Mach., p. 3 sgg.; 115 sgg.; 211 sgg.; R., p. 13; L. C., p. 47. Per un esempio recente della fertilità di alcune intuizioni gramsciane sul Rinascimento, oltre ai saggi ben noti di E. Garin, cfr. A. TENENTI, Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento, Torino, 1957.
3 Cfr. V. GERRATANA, « De SanctisCroce o De SanctisGramsci », in Società, VII, 1952, n. 3, p. 497 sgg. Sul tema di questa comunicazione si possono inoltre consultare utilmente il saggio di C. SALINARI, « Il ritorno di De Sanctis », in Rinascita, IX, 1912, n. 5, con la replica di B. CROCE, « De SanctisGramsci », in Lo spettatore italiano, V, 1952 ,n. 7; e le recensioni di N. SAPEGNO a Letteratura e vita nazionale (in Società, VII, 1951, n. 2) e di E. JACOMELLI, « Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno di A. G. », (ivi, VI, 1950, n. 1).
238 I documenti del convegno
Ma vi è ancora di piú. Rinnovare gli schemi estetici indicando un nuovo modo di leggere, rinnovare gli schemi storiografici indicando un punto nuovo di vista, significa aiutare non solo ad una diversa e nuova comprensione dei « contenuti » delle singole specifiche opere d'arte, sibbene proprio ad una valutazi[...]

[...]e giudizio può essere accettato o rifiutato; va, a dir meglio, discusso, concretamente, filologicamente, ad accertare se ed entro quale misura sia esatto e rispecchi la mentalità del Manzoni, quale essa ci si manifesta in concreto nei Promessi sposi. Ma qualora esso risulti esatto, in tutto o in gran parte, esso spiana la via ad un nuovo giudizio estetico del romanzo, o, in genere, dell'opera manzoniana: il giudizio che del Manzoni aveva dato il De Sanctis è tutto legato alla sua distinzione tra « liberali » e « moderati » e « democratici », alla sua persuasione, una cinquantina di anni dopo la pubblicazione del romanzo, che occorresse ora assorbire l'ideale nel reale, come stava infatti facendo il nuovo realismo o naturalismo europeo. E da questa sua concezione del rapporto, nei Promessi sposi, tra ideale e reale nacquero tutti i suoi saggi, fino alle piú minute osservazioni puntuali. Piú tardi la critica letteraria italiana, seguendo il processo involutivo della nostra cultura e della nostra società, si sforzò di eliminare il peso del reale n[...]



da Sebastiano Timpanaro, Il Marchesi di Antonio La Penna in KBD-Periodici: Belfagor 1980 - novembre - 30 - numero 6

Brano: [...]one tra
« convincere » e « persuadere », il suo antiscientismo e la sua stessa vocazione retorica lo avrebbero indotto a rispondere che il « persuadere » è via alla verità (alla verità umanamente calda, non alla gelida e presuntuosa
« esattezza ») piú sicura e feconda che il « convincere ».
Confesso che, proprio per questo carattere di criticoartista che La Penna ha cosi bene individuato in Marchesi, io sarei stato piú cauto nell'accostarlo a De Sanctis, e forse non lo avrei accostato affatto. Intendiamoci: La Penna sa bene che c'è tutto un aspetto della critica desanctisiana (« il bisogno di stringere la storia della letteratura con la storia civile », p. 96) al quale Marchesi è sordo, e che vedere nell'arte un puro fatto soggettivo, extrastorico, significherebbe « rinnegare De Sanctis » (p. 95). E tuttavia « l'aspetto piú affascinante di Francesco De Sanctis » (p. 96) è da lui considerato « il gusto, la capacità di Ein f ühlung, l'arte mirabile con cui trascina l'ascoltatore nell'alone della sua Ein f ühlung » (p. 120, nel saggio aggiunto dedicato a Tommaso Fiore). « Il potere magico » che gli allievi napoletani attribuivano a De Sanctis, diviene, cosí, simile alla capacità di Marchesi di esprimere « le sue reazioni o, molto piú spesso, i suoi abbandoni di fronte all'autore con cui entra in contatto », di
« trascinare il lettore in un clima nuovo e inatteso » (p. 89).
A me questa analogia sembra in gran parte fallace. Approfondire la questione implicherebbe una discussione sul De Sanctis, che qui può essere tutt'al piú appena accennata. Ein f ühlung è un concetto pericoloso: difficilmente riesco a concepire una « immedesimazione » che non sia in qualche misura inficiata da misticismo o da una sorta di forza di suggestione, che menoma la lucidità del giudizio. Esiste un De Sanctis eloquente, talvolta anche retore; ma esiterei molto a ravvisare soprattutto lí la sua grandezza. D'altra parte, l'eloquenza desanctisiana non si muove quasi mai in un ambito puramente estetico: nelle lezioni napoletane rammentate da La Penna il De Sanctis parlava della « scuola liberale » e della « scuola democratica », legava strettamente la storia politica alla letteraria, affiancava, d'altra parte, all'opera di storico un'attività di critico militante, per il « reale » contro l'« ideale », per una cultura dell'Italia unita borgheseavanzata con forti cautele « antiutopistiche ». Se nell'immediato dopoguerra si esagerò in « desanctisismo di sinistra », fu perché non si videro i limiti (d'indirizzo politico e, connessi con questi, anche di gusto estetico) di una prospettiva storica e critica che tagliava fuori Cattaneo, Pisacane, la prima scap[...]

[...]apigliatura, e fondamentalmente non capiva nemmeno Leopardi. Tuttavia nello Studio sul Leopardi, l'ultima opera rimasta incompiuta, c'è un'esigenza di ricerca filologicostorica e addirittura di preparazione bibliografica, di metodo
« tedesco ». Che cosa di tutto ciò ereditò Marchesi? Direi nulla, anche a volersi limitare al « gusto », che In Marchesi è sempre collegato con uno psicologismo, con una predilezione per le « anime tormentate » a cui De Sanctis (anche per
638 SEBASTIANO TIMPANARO
ragioni di diversa epoca, di diverso clima socialeculturale) fu estraneo. Io temo che a questo ravvicinamento De SanctisMarchesi abbia contribuito una nozione di « critica romantica » assunta in un senso un po' troppo generico. Ciò che in seguito diremo su Marchesi « tardopositivista » contribuirà forse a distaccarlo ulteriormente dal De Sanctis. Ma anche rimanendo nella cerchia degli eventuali predecessori medioottocenteschi, direi che, pur con la giusta avvertenza di La Penna (p. 37: in Marchesi l'incontro con lo scrittore in quanto uomo « avviene sempre attraverso l'opera: non c'è traccia di curiosità biografiche più o meno futili, alla maniera di SainteBeuve »), l'affinità con SainteBeuve sia piú forte,
o meno debole, di quella con De Sanctis.
3. « Umanità perenne », arte, bisogno religioso. — Abbiamo già accennato che La Penna considera, giustamente, come un limite di Marchesi la concezione della poesia come espressione esclusiva dell'esperienza umana immediata del poeta, al di fuori di condizionamenti politicosociali e culturali. Ma altrettanto giustamente La Penna non nega che in questa concezione vi sia un aspetto positivo importante: la poesia è anche un
« fatto personale », non solo l'elaborazione di un'esperienza « libresca » né di una situazione sociale. C'è, egli dice, un'acquisizione della critica romantica e desanctis[...]



da [Le relazioni] E. Garin, Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]li « elementi stabili e permanenti », e « il ritmo del pensiero in isviluppo... più importante delle singole affermazioni casuali o degli aforismi staccati », non potrà nascondersi un costante riferimento, e magari alla fine per combattere o rifiutare, a tutta una problematica legata a quel vario rinnovarsi della cultura italiana che si mosse intorno all’attività del Croce. Anche se poi, spesso, molto più che di Croce, dovrebbe farsi il nome del De Sanctis o del Labriola, o perfino, in sede di critica letteraria, di Renato Serra, che crociano senza

1 La Critica, XXII, 1924 (20 maggio), p. 191 : « non è detto... che la eventuale pioggia di pugni non sia, in certi casi, utilmente e opportunamente somministrata»; Pagine sparse, voi. II, Napoli 1943, p. 37179 (dal Giornale d’Italia, 27 ottobre 1923; Corriere italiano, 1 febbraio 1924; Giornale d’italia luglio 1924). Nell’ultima intervista (luglio ’24), p. 377, si legge: «esso [fascismo] non poteva e non doveva esser altro, a mio parere, che un ponte di passaggio per la restaurazione di un più se[...]

[...]non intende punto sottrarsi alla taccia che... gli può essere data di facile ottimismo e di non sufficiente preveggenza politica » (cfr. N. Bobbio, Politica e cultura, Torino, 1955, p. 217 e sgg.; M. Abbate, La filosofia di Benedetto Croce e la crisi della società italiana, Torino, 1955, p. 221 sgg.).Eugenio Garin

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dubbio non era, ma che Gramsci, in quella commossa pagina in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce \ Tanto riuscì a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comune rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo.

D’altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l’aspetto o l’influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l’uso, bisognerà tener presente l’avvertenza sua, essere « il ritmo del pensiero in sviluppo più importante delle singole affermazioni casuali».

Al qual proposito [...]

[...] come quel mastro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco di legno d’olivo stagionato per fare una statua di san Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, fini col ricavare un manico di lesina » 2. Sono righe di una consapevolezza crudele, che vien fatto di mettere a fronte al program
1 11 grido del popolo di Torino, 20111915: «il Serra ha dato una lezione di umanità : in ciò egli ha veramente continuato Francesco De Sanctis, il più grande critico che l’Europa abbia mai avuto... Ora non possiamo aspettarci più nulla da Renato Serra. La guerra l’ha maciullato, la guerra della quale egli aveva scritto con parole cosi pure, con concetti cosi ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui; era l’uomo nuovo dei nostri tempi, che tanto ancora avrebbe potuto dirci ed insegnarci. Ma la sua luce s’è spenta e noi non vediamo ancora chi per noi potrà sostituirla... ». Ne La città futura, ove pure riporta un lungo testo di Salvemini sul concetto di cultura, nel riprodurre anche un testo di Cr[...]

[...]tore (editore, nel ’22, presso il Treves, di una antologia molto significativa). Che, per vie mediate, il « positivo » diEugenio Garin

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crociana e gentiliana, che. aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall’intrinseco » certe posizioni, ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola : ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che è vivo da ciò che è morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.

La rottura con una certa tradizione e la lotta per un’altra Italia, si configurano cosi — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella, stessa storia d’Italia : rappresentano la vittoria di forze v[...]

[...]genio Garin

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nascimento », ossia, aggiungeremmo noi, attraverso un preciso programma pedagogicopolitico1. Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E proprio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), si colgono bene le differenze della sua posizione, e la sua originalità 2. Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodo e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve « importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno è già riuscita a elaborare le sue quistioni e le soluzioni relative in modo già molto chiaro e approfondito ». D’altra parte a valutare esattamente le riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe necessario un lavoro preliminare — che[...]

[...]1 e 246: «è risaputo che il M. scopre la necessità e l’autonomia della politica, della politica che è al di là, o piut414

Le relazioni

Gramsci sa che Machiavelli è esemplare; sa che non si intende se non si lega a una situazione storica; si rende conto che «lo stesso richiamo a Roma è meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima deirUmanesimo e del Rinascimento ». D’altra parte, mentre è fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un’ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Della Casa, dei tratti che li avvicinano a Machiavelli, ma un’immagine artificiosa dell’uomo del Rinascimento gli preclude un’adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia d’Italia1. Su Machiavelli, invece, è veramente originale e suggestivo. « Bisogna consi[...]

[...]radizione scientifica dal ’500 in poi; daH’atteggiamento di fronte agli illuministi del 700 alla svalutazione di non poche posizione dell’ ’800. Una serie di ricerche inEugenio Garin

All

questa direzione sarebbe certo giovevole, ma non destinata a incidere sensibilmente sulla prospettiva cosi originale in cui l’opera di Gramsci si colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando cosi largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un’elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i “ mistificatori ” del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti, Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa; e Croce per quanto contribuì a mantener vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso, sempre più chiaramente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione deU’hegelismo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabile : un « sistema » della « filosofia dello spirito », una « natura umana » assoluta. Gramsci, al contrario, non si limiterà a rifiutare l’atto spirituale taumaturgico, e solo retoricamente operoso, per ritrov[...]



da Eugenio Garin, Gramsci nella cultura italiana in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: [...]li « elementi stabili e permanenti », e « il ritmo del pensiero in isviluppo... più importante delle singole affermazioni casuali o degli aforismi staccati », non potrà nascondersi un costante riferimento, e magari alla fine per combattere o rifiutare, a tutta una problematica legata a quel vario rinnovarsi della cultura italiana che si mosse intorno all'attività del Croce. Anche se poi, spesso, molto più che di Croce, dovrebbe farsi il nome del De Sanctis o del Labriola, o perfino, in sede di critica letteraria, di Renato Serra, che crociano senza dubbio non era, ma che Gramsci, in quella commossa pagina in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce (7). Tanto riuscì a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comu ne rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo.
D'altra parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l'aspetto o l'influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l'uso, bisognerà tener presente l'avvertenza
(7) « Il grido del popolo » di Torino, 20111915: « il Serra ha dato una lezione di umanità: in ciò egli ha veramente c[...]

[...] parte proprio questo senso estremamente largo attribuito piuttosto a un orientamento culturale che a posizioni specifiche, deve rendere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsci il momento o l'aspetto o l'influenza di Croce. E di nuovo, ma rovesciandone l'uso, bisognerà tener presente l'avvertenza
(7) « Il grido del popolo » di Torino, 20111915: « il Serra ha dato una lezione di umanità: in ciò egli ha veramente continuato Francesco De Sanctis, il più grande critico che l'Europa abbia avuto... Ora non possiamo aspettarci più nulla da Renato Serra. La guerra l'ha maciullato, la guerra della quale aveva scritto con parole così pure, con concetti cosí ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui: era l'uomo nuovo dei nostri tempi, che tanto ancora avrebbe potuto dirci ed insegnarci, Ma la sua luce s'è spenta e noi non vediamo ancora chi per noi potrà sostituirla... » Ne La Città Futura (Numero unico, Torino 11 febbraio 1917), ove pure riporta un lungo testo di Salvemini sul concetto di cultura, nel r[...]

[...]el '31) compare nei volumi delle opere una diecina di volte circa, e sempre
II
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 165
lia non a caso culturalmente crociana e gentiliana, che aveva scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non poteva muoversi che consumando « dall'intrinseco » certe posizioni — ossia svelando le « mistificazioni » di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis o di Labriola: ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazione: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di ciò che é vivo da ciò che é morto, in una superiore comprensione capace di cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti antistorici rapporti precisi.
La rottura con una certa tradizione e la lotta per un'altra Italia, si configurano così — agli occhi di Gramsci — saldamente radicate nella stessa storia d'Italia: rappresentano la vittoria di forze vitali[...]

[...]mi di Engels, o di Labriola, erano ben lontani dal raggiungere l'amena leggerezza di quei valentuomini: nel confronto dei quali — non si dimentichi — si collocava Croce. Del resto sul e positivismo » è da rileggere sempre tutta la lettera di Labriola a Engels del '94 (Roma 1949, pp. 14650).
(31) P. 16 (cfr. 1. 28 sgg.; L.V.N. 2045; R. 6 sgg.).
174 EUGENIO GARIN
suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), si colgono bene le differenze della sua posizione, e la sua originalità (32). Ché, se amò singolarmente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodi e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve «importante solo come elemento dello sviluppo personale di Dante », in Machiavelli « una fase del mondo moderno é già riuscita a elaborare le sue questioni e le soluzioni relative in modo già molto chiaro e approfondito ». D'altra parte a valutare esattamente le riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe necessario un lavoro preliminare — c[...]

[...]e sue leggi a cui é vano ribellarsi, che non si può esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta... Il problema del Rousseau non è di questa sorta, e, in fondo, non è un problema che si riferisca all'indagine della realtà »).
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA 175
richiamo a Roma é meno astratto di quanto non paia, se collocato puntualmente nel clima dell'Umanesimo e del Rinascimento ». Da altra parte, mentre é fortemente condizionato da De Sanctis — da una svalutazione moralistica del Rinascimento — accoglie paradossalmente interpretazioni di tipo toffaniniano per un'ulteriore condanna del moto umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positività, che tuttavia non riesce a giustificare. Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Castiglione o Del la Casa — dei tratti che li avvicinano a Machiavelli, ma un'immagine artificiosa dell'uomo del Rinascimento gli preclude un'adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia d'Italia (34). Su Machiavelli, invece, é veramente originale e suggestivo. « Bisogna[...]

[...]arso rilievo dato alla tradizione scientifica dal '500 in poi; dall'atteggiamento di fronte agli illuministi del '700 alla svalutazione di non poche posizioni dell'800. Una serie di ricerche in questa direzione sarebbe certo giovevole, ma non destinata a incidere sensibilmente sulla prospettiva cosí originale in cui l'opera di Gramsci si colloca. Quando più volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis — e soprattutto quando così largamente lo utilizza — quando reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibilità di un'elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quando, infine, polemizza con egual vigore contro i ' mistificatori ' del marxismo, siano essi kantiani, o idealisti, o sociologi positivisti — Gramsci precisa con sicura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa — e Croce per quanto contribuì a mantener vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrerà a ritroso, sempre più chiaramente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il cammino crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione dell'hegelismo, una direzione « kantiana » di « forma » non storicizzabili: un ' sistema ' della ' filosofia dello spirito', una ' natura umana' assoluta. Gramsci, al contrario, non si limiterà a rifiutare l'atto spirituale taumaturgico, e solo retoricamente operoso, per ritrova[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] A. Seroni, La distinzione fra «critica d'arte» (estetica) e «critica politica» in Gramsci, il concetto di «lotta culturale» e le indicazioni metodiche per un nuovo storicismo critico in Studi gramsciani

Brano: [...]a, la svalutazione operata dal Croce).
Da queste note consegue (ed è, in un certo senso, l'elemento originale della nostra comunicazione) il fatto fondamentale della indagine critica organica sull'artista; filo questo che lega le molte sparse notazioni gramsciane dei Quaderni e delle Lettere su problemi letterari e su scrittori.
A proposito di questa nostra affermazione, giova osservare che Gramsci, indicando il « tipo » della nuova critica in De Sanctis 1, non fa mai riferimento a quella ch'è certo la parte piú debole, e ormai superata, del pensiero desanctisiano: quella distinzione fra mondo intenzionale e mondo poetico, accentuata dal Croce fino alla divisione; né mi pare molto azzardato affermare che la posizione gramsciana al proposito sia invece assai vicina alla relazione poeticapoesia, istituita dalle tendenze piú vive della moderna critica letteraria.
Della critica desanctisiana è invece, conseguentemente, accentuato l'elemento passionale, la figura della lotta culturale e del conseguente atteggiamento polemico e, a volte, sarcastic[...]

[...]le e mondo poetico, accentuata dal Croce fino alla divisione; né mi pare molto azzardato affermare che la posizione gramsciana al proposito sia invece assai vicina alla relazione poeticapoesia, istituita dalle tendenze piú vive della moderna critica letteraria.
Della critica desanctisiana è invece, conseguentemente, accentuato l'elemento passionale, la figura della lotta culturale e del conseguente atteggiamento polemico e, a volte, sarcastico. De Sanctis (ed ecco che il quadro degli elementi di fondo si completa) come critico militante. E qui sarebbe opportuno inserire alcune serie di esempi positivi neI lavoro desanctisiano, presenti a Gramsci, nei quali la scientificità delle distinzioni accennate nella loro relazione è sempre presente e vigile:
a) l'uomo guicciardiniano. Gramsci, riprendendo il noto tema, insiste a mettere in guardia il lettore, che non si tratta dell'arte dello scrittore, ma di un atteggiamento morale del critico determinato dalle necessità di una lotta culturale diretta contro certi vizi tradizionali dell'intellettuale [...]

[...]resenti a Gramsci, nei quali la scientificità delle distinzioni accennate nella loro relazione è sempre presente e vigile:
a) l'uomo guicciardiniano. Gramsci, riprendendo il noto tema, insiste a mettere in guardia il lettore, che non si tratta dell'arte dello scrittore, ma di un atteggiamento morale del critico determinato dalle necessità di una lotta culturale diretta contro certi vizi tradizionali dell'intellettuale italiano 2;
b) lo Zola di De Sanctis. Non mancano ancora oggi lettori frettolosi che attribuiscono al De Sanctis della conferenza al Circolo t'ilciogico di Napoli e dei noti saggi su Zola un ripensamento circa la. portata del caso Manzoni. Ora, in questo esempio, gli elementi fonda
1 L. V. N., p. 7.
2 R., p. 140.
Adriano Seroni 265
mentali sono assai evidenti e chiari: la lotta condotta dal De Sanctis pet una cultura realistica porta il critico, sul piano culturale, ad opporre ad uno scrittore fra i grandissimi qual è Manzoni uno scrittore di minor statura come Zola. Ma, leggendo senza prevenzioni culturali le pagine desanctisiane su Zola, ben ci si accorge che mai al critico si affaccia l'intenzione di diminuire la portata artistica dell'opera manzoniana. È invece in questione una critica all'atteggiamento ideologico manzoniano. Ed è qui che s'innesta la tanto discussa notazione gramsciana sull'atteggiamento morale del Manzoni verso gli umili (e si potrebbe riproporre la distinzione fra «[...]

[...]i potrebbe riproporre la distinzione fra « amore » e « ammirazione » e il metodo del « distacco », oggi s'intende, proposti da Gramsci per Dante). Ma, d'altra parte, l'« appassionato fervore » polemico proprio degli scritti desanctisiani su Zola giova, ci pare, alla stessa felice determinazione e caratterizzazione della « novità » di certi personaggi dello scrittore francese. (A questo proposto, mi sia consentito di rinviare ad un mio scritto su De Sanctis, Zola e la cultura italiana moderna)1.
Esempi negativi
Il fatto che si sia accennato a serie di esempi positivi (ne abbiamo, necessariamente, elencati solo alcuni) sottintende la possibilità di esempi negativi. E qui è necessaria una premessa. Il critico militante è ad ogni momento sottoposto a sbagliare, e sbagliare soprattutto perdendo di vista quella relazione dei tre elementi di fondo che s'è accennato in principio del nostro discorso: il « fervore », la passione lo possono a volte condurre a perder di vista, in primo luogo, la distinzione necessaria fra critica d'arte e critica politic[...]

[...]ottintende la possibilità di esempi negativi. E qui è necessaria una premessa. Il critico militante è ad ogni momento sottoposto a sbagliare, e sbagliare soprattutto perdendo di vista quella relazione dei tre elementi di fondo che s'è accennato in principio del nostro discorso: il « fervore », la passione lo possono a volte condurre a perder di vista, in primo luogo, la distinzione necessaria fra critica d'arte e critica politica. Ciò avvenne al De Sanctis per alcuni aspetti « minori » del Rinascimento, quando il critico e lo storico parvero confondere l'atteggiamento morale dello scrittore e la sua portata culturale in senso del « progresso » con i risultati artistici dei prodotti letterari; ciò avvenne a Gramsci nel caso della letteratura italiana del primo Novecento (da Pascoli a Ungaretti). A nostro avviso, le pagine gramsciane sui « nipotini di padre Bresciani » — pur anche illustrate e meglio chiarite dal citato paragrafo sui criteri metodici della critica
i
1 Nel volume Nuove ragioni critiche, Firenze, 1954, p. 137 sgg.
266 1 document[...]



da Giacomo Debenedetti, Ultime cose su Saba in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 1 - 1 - numero 30

Brano: NUOVI ARGOMEN TI
N. 30 GennaioFebbraio 1958
ULTIME COSE SU SABA (1)
Alla fine del '47, Saba scriveva a un suo critico: « tu che se non sei stato proprio il mio De Sanctis, poco — molto poco, ti c'é mancato ». Queste parole mettono a nudo un sogno che Saba probabilmente coltivò per tutta la vita: trovare, per il Canzoniere, un critico come il De Sanctis. Oggi, se dovessimo deporre un fiore sulla tomba del nostro amico, gli diremmo che il suo De Sanctis non gli occorreva piú: l'aveva già trovato, e proprio nella persona di Francesco De Sanctis. Perché Saba verifica, a suo modo, l'augurio e l'ammonimento che il De Sanctis, negli ultimi tempi del proprio lavoro, rivolgeva alla poesia italiana: di liberarsi dall'ideale, dal non so che, di risolversi una buona volta a diventare una poesia tutta cose. Naturalmente, il nostro fiore non dovrebbe rimanere un tributo soltanto affettivo, convenzionale, come una lode da epitaffio. Perciò soggiungeremmo che il De Sanctis, se per miracolosa longevità fosse vissuto fino a poter leggere il Canzoniere, forse non vi avrebbe trovato la poesia che raccomandava. Toccava a noi di trovarvela, e solo perché abbiamo imparato a leggere, anche se molto meno bene del De Sanctis, tanti anni dopo di lui.
Adesso però il nostro turno di critici, con Saba, pare concluso; ormai ci converrebbe di cedere la parola. Noi abbiamo accompagnato, un po' scortato, quella poesia negli anni in cui si apriva al più pieno rigoglio: l'abbiamo aiutata, se non é presunzione, a farsi capire; forse perfino un poco a capirsi, se non é presunzione anche peggiore. Perché era anche una poesia difficile, nella sua estrema facilità di accesso, e durava fatica a vincere il sospetto di quella che in Francia Albert Thibaudet chiamava,
(1) Discorso letto al x Circolo della Cultura e delle Arti » d[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] E. Garin, Antonio Gramsci nella cultura italiana in Studi gramsciani

Brano: [...]rismo illuminato e trepido, onesto, moderatamente liberale, capace di salvare le forme e la pace »). In tal senso soltanto, Gramsci è costantemente « condizionato » da Croce — e dalla situazione determinatasi intorno a Croce — pro e contro. E questo significa unicamente che la forma della discussione, proprio per essere non velleitaria, ma calata nella realtà nazionale, si definisce in certi termini storici. Machiavelli di contro a Guicciardini; De Sanctis, Spaventa, Labriola, invece di Cattaneo, e cosí via. Ed era davvero piú importante mostrare le possibilità e fecondità di De Sanctis oltre, o su un piano diverso da quello
Mach., p. 39.
2 M.S., p. 157.
3 Quaderni della Critica, 8, p. 86.
I documenti del convegno
degli « avversari » che si rifacevano a De Sanctis. Per una loro intima forza, e per l'opera della cultura piú « avanzata», erano quelli i temi operanti; 11 bisognava dar battaglia, non spostar l'attenzione altrove, su linee magari importanti, ma non altrettanto « attuali » (quanto piú « astratto » e « dottrinario » l'amore di Salvemini e Gobetti per la « concretezza » di Cattaneo!). Valgono per Gramsci le parole che Gramsci scriveva su Machiavelli: « il Machiavelli non è un mero scienziato; egli è un uomo di parte, ... un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze... » 1. E come Croce, costantemente, aveva legato la sua vision[...]

[...]possono cogliere puntualmente visioni e costruzioni di singolare fecondità, anche se talora non scevre di insufficienze e limiti interpretativi, in cui si fanno sentire le conseguenze, non solo della situazione tragica in cui Gramsci lavorava, ma anche delle impostazioni da cui partiva e con cui si trovava a combattere. Cosí è in tanti aspetti tutta desanctisiana la condanna « moralistica » di buona parte dell'età umanisticorinascimentale (di un De Sanctis che si va a volte a incontrare stranamente con Walser o Toffanin); ed è di origine desanctisiana il rapporto MachiavelliGuicciardini. Ma è gramsciana, non solo la maniera di parre il problema dell'ambiguità, ossia della pluralità di temi del Rinascimento, ma, soprattutto, la robusta interpretazione di Machiavelli, e
R., p. 63.
2 0.N., p. 7.
3 M. S., pp. 199200.
12 I documenti del convegno
il nesso MachiavelliSavonarola, e, in Machiavelli, il rapporto PrincipeDiscorsi, e tutta la polemica con Croce e con le varie visioni della posizione di Machiavelli. Qui Gramsci ha certo risentito — olt[...]

[...]on solo la maniera di parre il problema dell'ambiguità, ossia della pluralità di temi del Rinascimento, ma, soprattutto, la robusta interpretazione di Machiavelli, e
R., p. 63.
2 0.N., p. 7.
3 M. S., pp. 199200.
12 I documenti del convegno
il nesso MachiavelliSavonarola, e, in Machiavelli, il rapporto PrincipeDiscorsi, e tutta la polemica con Croce e con le varie visioni della posizione di Machiavelli. Qui Gramsci ha certo risentito — oltre De Sanctis e Croce — della lettura del libro di Russo; ma ha anche proposto una serie di temi, fondamentali certo per intendere la sua concezione del Moderno Principe, ma non dimenticabili per chiunque intenda ripensare seriamente il significato di Machiavelli e del Rinascimento. Per questo la discussione dell'opera gramsciana andrà condotta su questo argomento col massimo rigore, tanto piú che è molto importante mettere a fuoco, proprio nella valutazione dell'età del Rinascimento e della Riforma, la presentazione del distacco della cultura —e degli « intellettuali » — dalla realtà nazionale, dal popolo[...]

[...]vidui concreti al posto di nozioni vaghe e nebulose).
D'altronde, se Gramsci risente di tutto un clima culturale nella valutazione dei secoli XVII e XVIiIiI, e nella limitata attenzione rivolta, per esempio, all'opera degli scienziati, di nuovo l'analisi dei suoi giudizi dovrà farsi molto attenta per quel che riguarda 1'800. Dalle considerazioni su Manzoni (Manzoni di fronte a Tolstoi nel rapporto col popolo) e su Gioberti, al peso attribuito a De Sanctis e alla sua opera, è tutta una serie di nette prese di posizione su argomenti centrali della cultura italiana. Finché ritroviamo il punto nodale costituito da Hegel in Italia, ossia delle posizioni di Spaventa e Labriola, di Croce e Gentile.
E proprio qui si colloca l'originalità della gramsciana filosofia della prassi, col suo giudizio rapido, ma chiaro e indicativo, sul valore di Labriola: («,i1 Labriola, affermando che la filosofia della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica, è autosufficiente, è il solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della p[...]



da Sergio Antonielli, La parola dell'arcidiavolo. Luigi Russo e i trent'anni di «Belfagor» in KBD-Periodici: Rinascita 1976 - 5 - 7 - numero 19

Brano: [...]ava, per via diretta, il titolo, non si era riflessa soltanto una trovata. Si era riflessa una sintesi particolare di vita culturale e di vita civile. Da una par te il Belfagor del titolo rimandava al Machiavelli, ossia allo studio dei classici; da un'altra, al gusto beffardo di porsi in polemica contro ogni sorta di conformismo. In qualche modo, escogitando quel titolo, il Russo aveva detto gloria al Machiavelli, come a suo tempo aveva fatto il De Sanctis.
La formula originale di Belfagor, fin dal primo numero, fu appunto quella della fusione della severità scientifica, diciamo pure accademica, col più scoperto impegno eticopolitico. Tanto nello studio dei classici, quanto nella organizzazione della cultura o nel maneggio dei pubblici affari, si potevano incontrare i dilettanti, i disonesti. Contro costoro, nessuna misericordia. Gli studi per il Russo, e il loro concretarsi in istituti scolastici, erano parte di quella vita nazionale che ci aveva data il Risorgimento e che non si doveva tradire. Da qui la sua vena pedagogica, il suo continuo [...]

[...]ggio 1973) su « Lo squadrismo protetto ».
Chiaro che il merito di avere continuato nell'opera dei fondatore spetta in primo luogo a coloro che si sono assunta, dal 1961 in poi, la cura pratica della rivista, e particolarmente a Carlo Ferdinando Russo, direttore attuale. Ma credo si debba aggiungere una osservazione circa le ragioni per cui la continuazione dell'opera del Russo si è resa obiettivamente possibile. Scriveva Gramsci, modellando sul De Sanctis la figura nuova del critico: « Insomma, il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis [...]: in essa devono fondersi la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sen timenti e delle concezioni del mondo con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo » (Quaderni del carcere, ed. curata da Gerratana, (pag. 2188). Luigi Russo, proprio a un modello desanctisiano si era studiato di rifarsi. L'insegnamento del De Sanctis, indipendentemente dai giudizi particolari, legati al tempo, gli si era manifestato proprio in una « fusione » del genere indicato da Gramsci, certo non esclusa la « forma del sarcasmo ». Non è adesso il caso di procedere a un'analisi della formazione culturale del Russo. Dovremmo citare anche íl Carducci, il Croce e il Gentile. Quello che va ripetuto è che se pensiamo a lui, la complessa indicazione del « ritorno al De Sanctis » diviene un concreto punto di riferimento, il titolo di un effettivo momento della cultura italiana novecentesca. Una sera d'estate del 1951, ai familiari raccolti sul retro della sua casa al Fiumetto, a Marina di Pietrasanta, Luigi Russo diede lettura di alcune pagine appena composte. Si trattava della prima puntata di una nuova rubrica belfagoriana, « Nascita di uomini democratici », che sarebbe durata circa due anni. La straordinaria lettura terminò nell'imprevisto di una commozione generale: non tanto per il potere coinvolgente dei casi, o per il risaputo fascino del lettore, quanto per [...]

[...]a lettura terminò nell'imprevisto di una commozione generale: non tanto per il potere coinvolgente dei casi, o per il risaputo fascino del lettore, quanto per il carattere esemplare che quella storia di una coscienza democratica, sprigionatasi dal fondo religioso e feudale della provincia siciliana, veniva a dimostrare immediatamente e con forza. Consustanziato all'intellettuale e allo scrittore, riprendeva corpo quell'uomo secondo storia che il De Sanctis aveva sempre ricercato sia nelle pagine critiche, sia per l'appunto in quelle di memoria autobiografica: « Del senso religioso della popolazione siciliana io ho tenerissimi ricordi. Avevo sette anni e ho assistito alla predica di un quaresimale, in cui un vecchio prete, parlando delle fiamme dell'inferno, faceva accendere nel buio tetro della chiesa delle vampate di zolfo (un giuoco che noi ragazzetti ripetevamo con estrema facilità a casa: un po' di polvere nella mano, un fiammifero acceso, e poi il lancio in aria della polvere) E...]. Mio padre era costretto a servire alla corte del sindaco[...]



da [I Documenti del convegno. Appunti per le relazioni e Comunicazioni] R. Dal Sasso, Il rapporto struttura-poesia nelle note di Gramsci sul decimo canto dell'Inferno in Studi gramsciani

Brano: [...]msci si incontrasse con_ Benedetto Croce. E comincia col chiedersi: il metodo crociano porta. a risultati migliori, anche nel caso particolare del X canto, della scuola storica? E cioè, ricostruisce con maggiore verità e aderenza il mondo, sensibile e storico del poeta, sa interpretare con maggiore rispetto il linguaggio stesso con cui si esprime? Nel caso del X canto, l'interpretazione crociana si differenzia dai precedessori? No. Come anche il De Sanctis, e come gli eruditi della scuola storica, se pure sulla base di diversi principi e metodologie, anche il Croce vede il X canto come il canto di Farinata, il canto dell'uomo di parte, del combattente politico,. la cui fierezza resta intatta nella condanna, plastica sintesi dei piú pro
1 BARBI, Dante Vita, fortuna, opere, Firenze, 1933, p. 207 passim.
2 L. V. N., p. 45. Il corsivo è nostro.
134 I documenti del convegno
fondi e autentici sentimenti di Dante. La forza con cui è rappresentato, lo sdegno che emana dalle sue parole, i caldi sentimenti di amore patrio, pongono appunto perciò la [...]

[...]ole, i caldi sentimenti di amore patrio, pongono appunto perciò la sua figura tra le piú imponenti e reali dell'Inferno. $ vero che sul finire del canto la sua parola di fuoco si illanguidisce nella anodina spiegazione del dubbio che tormenta il poeta: è trascorso, appunto, il momento creativo, è subentrata la preoccupazione pratica, il medievalismo di Dante, che deve spiegare la struttura del suo regno ultraterreno. È scomparso il poeta. Già il De Sanctis aveva notato « l'asprezza Che caratterizza il decimo canto dell'Inferno dantesco per il fatto che Farinata dopo essere stato rappresentato eroicamente nella prima parte dell'episodio, diventa nell'ultima un pedagogo » 1; ma questa asprezza era sempre parsa plausibile appunto perché il canto X è « il canto di Farinata ». Ma vediamo se veramente è cosí, se davvero è il canto in cui si svolge solo il dramma di Farinata.
Si ricordi lo svolgimento dell'episodio: incontro con Farinata, apparizione di Cavalcante, profezia di Farinata dell'esilio di Dante e infine soluzione, sempre ad opera di Farin[...]

[...]o perché il canto X è « il canto di Farinata ». Ma vediamo se veramente è cosí, se davvero è il canto in cui si svolge solo il dramma di Farinata.
Si ricordi lo svolgimento dell'episodio: incontro con Farinata, apparizione di Cavalcante, profezia di Farinata dell'esilio di Dante e infine soluzione, sempre ad opera di Farinata, del « nodo » che inviluppa la mente di Dante. Dal verso 100 al verso 108 Farinata si fa, appunto, pedagogo, come diceva De Sanctis. Oppure, per dirla con le parole di Croce, quel « che tien dietro » alla profezia dell'esilio «dettato da ragioni strutturali... non ha intima vita » 2. È davvero cosí? O piuttosto la didascalia detta da Farinata illumina e Chiarisce un dramma che si è compiuto poco prima nel volgere di un dialogo fulmineo? E questa la
piccola scoperta » di Gramsci. Al Croce (non meno che alla scuola storica) era sfuggito il significato letterale e drammatico del X canto. È sfuggito Che questo canto non contiene un dramma solo, quello di Farinata, ma due: di Farinata e di Cavalcante. E anzi è sfuggito che se[...]

[...]o strutturale vero e proprio, è invece staccata dal processo creativo? E dettata da ragioni pratiche?
7. Siamo al secondo problema cui dava luogo la possibile obiezione della critica estetica.
La soluzione, a guardar bene, Gramsci l'ha già data quando ha avvertito che Dante non interroga Farinata per « istruirsi » ma perché è « rimasto colpito dalla scomparsa di Cavalcante ». Né la didascalia è innaturale in bocca a Farinata, come sosteneva il De Sanctis: essa è resa necessaria da tutto lo svolgimento dell'episodio, dall'atteggiamento dei protagonisti, i quali tutti (Dante compreso) rimarrebbero in parte o del tutto oscuri senza quei versi. Ed è logico che sia proprio Farinata a pronunciare la didascalia, arricchendo la forza della sua figura e l'unità ispiratrice del canto.
Può aver dunque anche la didascalia un valore artistico? Può rispondere a esigenze poetiche, anzi che pratiche, come assolutamente afferma il Croce? Gramsci pone il problema cosí: « quistione... delle didascalie nel dramma: le didascalie hanno un valore artistico? contri[...]



da [Gli interventi] Galvano della Volpe in Studi gramsciani

Brano: [...]ura delle opere », dice già Gramsci, è la « coerenza logica e storicoattuale delle masse di sentimenti rappresentati artisticamente » ), non sarà diffidale comprendere l’interesse che ha per inoi Tesarne delle osservazioni materialistiche gramsciane suii rapporti della struttura con la poesia nella Commedia e precisamente nel canto X dell’Inferno \

In contrasto con tutta la tradizione romantica e postromantica della critica dantesca, che, dal De Sanctis al Croce e al Momigliano e oltre, .assumendo che la struttura (l’intelletto) nella Commedia è una cosa e la poesia (la fantasia) è (un’altra cosa («il concetto etico delilmferno, dice De Sanctis, poeticamente rimane ozioso e non serve che alla sola classificazione di contenuti astratti), ritiene nella fattispecie che la poesia nel canto di Farinata cessi con la « didascalia » recitata da Farinata («Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, / le cose, disse, che ne son lontano; / ...Quando s’appressano o son, tutto è vano / nostro intelletto » ecc.) in risposta alla domanda di Dante che non si sa spiegare la dolorosa, drammatica, ignoranza di Cavacante circa la sorte del figliuolo Guido, al presente pur vivo («Di subito drizzato gridò: Come / dicesti? egli ebbe? non viv’egli ancora? / no[...]

[...]nte gli amanti danteschi nel « girone » de « i peccator carnali / che la ragion sommettono al talento » eccetera; onde è proprio esteticamente tutto pertinente quel complesso di elementi stanici (intellettuali) richiamati in proposito dai filologi, ad esempio dal Cresoini: «la teoria del 44cor gentile”, l’ombra antica della fatale deità d’Am ore protendentesi1 attraverso la cristiana coscienza medievale » e cosi via. Altro che parlare come fa il De Sanctis di oziosità poetica (vedi l’« allotrio » crociano) dei concetti etici deH’Inferno e naturalmente e a maggior ragione {dato il suo punto di vista romantico e estetizzante) di quelli delle altre cantiche ben più impegnate teologicamente e quindi intellettualmente!

E naturalmente, arrivati a questo punto della dimostrazione, ci par molto difficile adottare due pesi e diue misure e concedere a un eventuale obiettore che ciò che vale per Dante et coeteri non valga parimenti per poeti modernissimi come putacaso Maiakovski e Brecht: e che quindi la pertinenza estetica riconosciuta all’ideologiast[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine De Sanctis, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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