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Il segmento testuale Cosa è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
Nell'intera base dati, stimato come nome o segmento proprio è riscontrabile in 1143Analitici , di cui in selezione 33 (Corpus autorizzato per utente: Spider generico. Modalità in atto filtro S.M.O.G.: CORPUS OGGETTO). Di seguito saranno mostrati i brani trascritti: da ciascun brano è possibile accedere all'oggetto integrale corrispondente. (provare ricerca full-text - campo «cerca» oppure campo «trascrizione» in ricerca avanzata - per eventuali ulteriori Analitici)


da Giovanni Pirelli, Questione di Prati in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: [...]a, come tutti in paese, che Borgne aveva venduto un prato, il suo unico prato. Lo aveva venduto a un industriale di Biella, certo Marconi o Maltoni. Questo tale era capitato quassù una domenica e si era — come dicono i ricchi — innamorato del luogo. Sul prato di Borgne avrebbe costruito una villa. Una villa in cemento armato, più finestre che muri, con riscaldamento centrale, garage e relativa strada d'accesso. Tutto si sapeva, tutto fuorché una cosa: quanto Borgne avesse preso del prato. Il geometra del comune era stato chiamato solo per rilevare i confini. Il compromesso era stato stilato in città nello studio di un dottore commercialista. Un affare misterioso. Tanto più misterioso in quanto nessuno, non essendo questa una zona di ville, aveva mai venduto un prato a gente di fuori. « Cosi », disse Salomone Croux, « compi gli anni. Beh, auguri ».
«Auguri vivissimi », disse l'altro, il ragazzo Attilio Glarey, e sorrise.
« Ho venduto il prato », disse César Borgne. « A un industriale. Ci costruisce una villa. Una villa in cemento armato,[...]

[...]ace di ragionare e chi non lo è », disse, volgendo, poiché era strabico, un occhio a César Borgne e uno al ragazzo Attilio. « Se hai un prato, sai cos'è. E un prato. È li. Non si muove. Non diventa più grande ma nemmeno diventa più piccolo. Quest'anno ci hai fatto tre fieni. L'anno venturo ci fai tre fieni. Tutti gli anni ci fai tre fieni. Più buoni, meno buoni, sono sempre tre fieni. Venisse anche il diluvio universale, quando l'acqua scola via cosa trovi? Il tuo prato. Questo, nella mia testa ignorante, è un prato ». Parlava lentamente, teneva la mano destra aperta con il palmo all'insù e le dita allargate come vi reggesse il prato, la fissava compiaciuto come se le fienagioni vi si susseguissero l'una via l'altra. Quindi chiuse la mano destra a pugno per significare che il prato non c'era più e dischiuse la sinistra sollevandola a scatti come vi facesse saltare monete. « E il danaro? Cos'è il danaro? Guardate quella bottiglia. E o non è piena di grappa? ».
César Borgne non voleva mostrarsi condiscendente. Tuttavia non poté fare a meno[...]

[...]ieri, perché due? siamo in tre, ne occorrono tre. Facciamo tre bicchieri. La grappa è andata un po' giù? Eh, ce n'è, ce n'è tanta! Bevi e non ci pensare. Bevi e versa. È andata giù un altro po'? Eh, ce n'è tanta ancora tanta! ». César e Attilio tenevano gli occhi sulla bottiglia. Loro malgrado, gli occhi scivolavano lungo la superficie
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liscia del vetro. « Un altro bicchiere? », disse Salomone Croux. « Certo. Ce n'è tanta! Cosa volete che sia un altro bicchiere! Un altro bicchiere è niente. Un altro ancora è niente. Un altro ancora è ancora niente. Mon djeu me! Cosa è successo? Cosa è successo? ». Salomone Croux si piegò in avanti fino a che i suoi occhi strabici non furono a un palmo dalla bottiglia. « È vuota! ». Sollevò la bottiglia contro l'orecchio, la scosse. « Vuota », confermò. « Com'è come non è, poco fa era piena sino al collo e adesso non ce n'è nemmeno una goccia per inumidire le labbra. Così, signori, è il danaro. Esattamente così ». Con una smorfia di sprezzo depose la bottiglia sul tavolo, riportò soddisfatto il busto all'indietro chiudendo a pugno anche la mano sinistra.
« Al diavolo », imprecò César Borgne. « Prendo fuori una bottiglia di grappa, la pre[...]

[...]iandogli un prato, aveva venduto l'orto e comperato una mucca. Ma come può un uomo di quarant'anni, forte e in gamba, scaricare le proprie energie badando a un prato e una mucca? Beveva sempre piú. Finalmente nostro Signore guarda giù e dice: 'Povero Borgne, è un disgraziato, bisogna dargli una mano'. Gli manda l'industriale di Biella, discutono, si mettono d'accordo. Affare fatto. E che affare! Macché, arriva quel dannato di un Salomone Croux e cosa dice? Dice che i quattrini sono come la grappa...
César guardò la bottiglia. Era andata un pi) giù, si capisce. Però ce n'era tanta, tanta ancora! Si morse il labbro come se gli fosse scappata una bestemmia. Come fosse stato di quelli, cioè, che dopo tirata una bestemmia si mordono il labbro. Aveva scolato il proprio bicchiere ma gli ripugnava di versare dalla bottiglia altra grappa. S'attorcigliava senza posa la punta di un baffo. L'attorcigliava in dentro, rabbiosamente,. Proprio con Salomone Croux doveva capitare, uno che sa quello che dice, tanto é vero che non dice mai quello che pensa;[...]

[...] e poi basta », disse
César.
« No ».
« Crepa ».
« Dopo di te », insisté Salomone.
« Uh », sbuffò il ragazzo Attilio. « Perché é venuto a guastarci la
festa ? »
« Come è venuto può andarsene », disse César.
III
Erano incattiviti l'uno contro l'altro, i due anziani, e ciascuno contro se stesso. S'eran ficcati in un vicolo cieco senza speranza di un solo passo avanti; Salomone per sapere quanto César aveva preso del prato, César per sapere cosa ne pensava Salomone.
Salomone aveva travasato la grappa che gli avanzava nel bicchiere di Attilio. Rovesciato il proprio bicchiere, lo premeva con la mano lunga e ossuta. Era disgustato per la grossolanità di César, irritato per
QUESTIONE DI PRATI 79
le ore di sonno sprecate, rabbioso perché già sentiva bruciare lo stomaco. Con tutto ciò nemmeno gli passava per il capo di andarsene. Era li e ci stava. Stava immobile, la mano ad artiglio sopra il bicchiere rovesciato, lo sguardo strabico fissato su chissà quale punto del tavolo. E un uomo senza baffi, si diceva César Borgne, meditando. E se[...]

[...]è? È un rospo. Prendi un rospo, guardagli sotto la pancia e provati a dire se è maschio o femmina. È un rospo ma se fosse una rana sarebbe lo stesso. Con tutto ciò, se Salomone se ne fosse andato, César si sarebbe infuriato. A uno che ha venduto il suo prato non si dice peccato, non si parla di disgrazia senza nemmeno sapere a quanto è stato venduto; senza spiegare perché.
Fortunatamente c'era anche il ragazzo Attilio. Attilio aveva pensato. La cosa era del tutto inconsueta. Di regola il ragazzo Attilio ascoltava César, gli dava ragione e basta. « Si, la gente chiacchiera », disse. « Chiacchiera per invidia. Se lo sognano un affare così. No, non sono neanche capaci di sognarselo ». Era un fraseggiare imparato da César.
« Tu di affari te ne intendi come te ne intendi di donne », disse Salomone. Era contento che il ragazzo avesse riportato il discorso sull'affare del prato. Lo provocava appunto per farlo parlare.
Attilio arrossi. « Ne so un bel po' più di te », disse. « A me César dice sempre tutto. Sa che di me si può fidare ».
Salomon[...]

[...] solo per un momento, solo per agitare un dito nell'aria. « No, non ci credo. Un uomo parla di affari solo con un altro uomo ».
Era un'aperta provocazione. « Infatti », ribatté Attilio, « a te non. dice niente. Non vedi che non ti dice niente? Lo sai, tu, quanto ha preso del prato? Io lo so. So che ha preso tanti, tanti quattrini, che adesso si comprerà... un'automobile ». Era stato incerto se dire toro o automobile. Appena detto automobile, la cosa gli parve perfettamente verosimile.
« Un'automobile? Per farne? », disse Salomone simulando credulità e meraviglia.
« Si, un'automobile rossa. E il giorno in cui lo vedrete arrivare in paese sull'automobile rossa, creperete tutti d'invidia ».
César Borgne immaginò se stesso che arriva in paese su un'automobile rossa e senti un singulto montargli dal ventre alla gola. Si con tenne. « Il ragazzo ha ragione », disse. « Solo le automobili rosse sono
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da uomo. Quelle nere, gialle, verdine, sono tutte automobili da signora ».
Salomone guardò in viso César. Lo vide tanto ser[...]

[...]sità: dove la metti questa tua automobile? Nella stalla, accanto alla mucca e alla capra? »
Un'automobile rossa nella stalla? Accanto alla mucca e alla capra? César serro le labbra. I singulti si moltiplicavano tra ventre e gola, premevano cercando uno sbocco, diventavano crampi. Per fortuna non dovette rispondere perché il ragazzo Attilio intervenne con foga. « Dove la tiene? Dove vuoi che la tenga? La tiene in garage. Con i soldi che ha preso cosa vuoi che sia costruire un garage? So tutto, io. So che César sta trattando il terreno. E un prato di Belfront Augusto. Sarà un garage come ce n'è uno ad Aosta, con la saracinesca che va su e giù da sola. Si preme un bottone, vrrram, va sottoterra. Si preme un altro bottone, vrrram, torna su. César ha ordinato il progetto a un geometra d'Ivrea, vero César? ». Più Attilio inventava, più si sentiva sicuro. La cosa non era soltanto verosimile, era vera. Non temeva smentite.
« Per ora ho fatto fare solo il progetto della saracinesca che va su e giù », riuscì a dire César, accompagnando la frase con una smorfia cattiva. Non era cattiveria. Era dolore. Erano i crampi che diventavano insopportabili. Con una mano si comprimeva il ventre, con l'altra si pizzicava una coscia e ne torceva la pelle; perché, come si dice, chiodo scaccia chiodo.
Salomone Croux non sapeva più che pensare. Recentemente Belfront Augusto gli aveva parlato di voler vendere un prato lungo la provinciale perché era quasi a livello del [...]

[...]l prato di Belfront per farci un garage? César faceva fare il progetto a un geometra di Ivrea? Era impazzito? Per niente non si impazzisce. Se era impazzito doveva aver preso molti, moltissimi soldi. Mezzo milione, forse più. « Scusa », disse, « e chi la guida quest'automobile? ».
Attilio era esacerbato. Da come Salomone poneva le domande si capiva che era convinto solo a metà. « Chi la guida? L'autista! L'autista che César fa venire da Torino. Cosa credi, che César non abbia i soldi per pagarsi l'autista? L'autista avrà una livrea blu con bottoni d'oro, berretto e guanti. Sul berretto avrà scritto in oro: César Borgne, come sul berretto dell'autista del Royal c'è scritto: Hotel Royal ».
QUESTIONE DI PRATI 81
Era troppo, troppo anche per un uomo forte, duro, tenace quale César. Premette il ventre con entrambe le mani, disse con voce supplichevole: « Basta, basta, non ne posso più ». Ed esplose. La grande bocca si spalancò con una secca detonazione seguita da un rovinare di risa miste a singhiozzi. Il busto gli si rovesciò indietro cont[...]

[...]one. Meditava. Meditando portò il bicchiere alle labbra. Si ricordò che non voleva bere. Ripose il bicchiere sul tavolo. L'aveva appena posato che, meditando, tornò a portarlo alle labbra. Una buona grappa, distillata nella cantina di casa,. una grappa di pura vinaccia, brucia alle prime sorsate. Bevine un altro poco. Non brucia più. Bevine ancora. Più ne bevi, più ti sembra di bere acqua fresca. « Puoi aver preso molto, puoi aver preso poco; la cosa non cambia ».
« Cambia si », disse César.
« Non cambia », disse Salomone. « Uno che vive in una grande.
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città, o ha il conto in banca o è un disgraziato. Uno di noi, o è padrone sulla sua terra o è un disgraziato ».
« Certo », scattò sù il ragazzo Attilio. « Certo. È un disgraziato ». « Tu sta zitto », disse César.
« Mettiamo che hai preso mezzo milione », disse Salomone. Fece una pausa e scrutò in viso César. César non reagì. Ce l'aveva con Attilio. Quel moccioso si permetteva di dare del disgraziato a uno che poteva essere suo padre. « Mezzo milione », ripeté Sal[...]

[...]o sul petto.
Salomone si accorse che in quel punto la giacca di César era gonfia. « Facciamo un esempio », disse. « Questo bicchiere è mio. Tu lo vuoi comperare. Io te lo vendo. Ti do il bicchiere, tu mi dai venti lire. È poco? È molto? Per sapere se ho fatto un affare buono o cattivo non ho che un mezzo : andare al mercato e comperare un bicchiere uguale. Tutto dipende se le venti lire sono poche o molte per comperare un bicchiere uguale ».
« Cosa c'entra un bicchiere con un prato? », disse César. Faceva lo spavaldo ma era nervoso. Si arricciava in dentro la punta di un baffo. « Giusto. Un prato è un'altra cosa », disse Salomone.
« Oh già », disse il ragazzo Attilio. « Peccato che César non abbia venduto, invece del prato, un bicchiere ». Rise forzatamente.
« Un bicchiere », disse Salomone, « vai al mercato e ti provi, con i soldi che hai preso, a comperarne uno uguale. Con il prato la prova non serve. Perché? Perché non troverai mai un prato uguale a quello che hai venduto ».
« Era un buon prato », disse il ragazzo Attilio.
« Stai facendo il furbo », disse César a Salomone. « Fai l'esempio del bicchiere e tu stesso dici che un prato è un'altra cosa ».
«Torniamo pure al bicchiere », disse Salom[...]

[...]nvece del prato, un bicchiere ». Rise forzatamente.
« Un bicchiere », disse Salomone, « vai al mercato e ti provi, con i soldi che hai preso, a comperarne uno uguale. Con il prato la prova non serve. Perché? Perché non troverai mai un prato uguale a quello che hai venduto ».
« Era un buon prato », disse il ragazzo Attilio.
« Stai facendo il furbo », disse César a Salomone. « Fai l'esempio del bicchiere e tu stesso dici che un prato è un'altra cosa ».
«Torniamo pure al bicchiere », disse Salomone. Portò il bicchiere vicino agli occhi strabici, lo rigirò sulla punta delle dita, sorseggiò un altro po' di grappa. « Mettiamo che non esista un bicchiere uguale a questo. Per sapere se ho fatto un affare buono o cattivo non ho che un mezzo : provo a ricomperare il bicchiere che ti ho venduto ».
« Vorresti dire... ». César adesso sudava. Beveva, sudava e si tirava in dentro la punta del baffo.
« Sei in gamba, César. Hai già capito. Per sapere se hai fatto un affare buono o cattivo non hai che un mezzo : provare a ricomperare
84 GIOVANNI PIR[...]

[...]acevano gonfie, « perché se me lo vedo davanti, l'industriale, il gran signore, finisce che gli spacco il muso. Pochi o molti, mi tengo i quattrini ».
« Ho capito », disse Salomone. « È come pensavo. Hai fatto un pessimo affare ».
« E invece no. Ho preso tanti soldi come tu nemmeno te li sogni ».
QUESTIONE DI PRATI 85
«Ah si? ».
« Si ».
« Quanti? »,
« Tantissimi ».
« Ecco », disse Salomone con tono calmo e distaccato. « E vuota ».
« Che cosa? », disse César trasalendo.
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'è piú.
Non ce n'è nemmeno da inumidire le labbra ».
V
César si rovesciò in gola ciò che avanzava del suo bicchiere. « Sono tanti quattrini, tanti, tanti », disse ostinatamente, con voce già roca, « come tu nemmeno te li sogni. Sono tantissimi ». Si morse il labbro. « Sono più che tantissimi ». Più lo ripeteva e meno n'era convinto. Era di umore nero. Fissava la bottiglia vuota e palpava sotto la giacca il pacco delle banconote. Se lo sentiva, tra le dita, più smilzo. Eh già. Un bigliettone da diecimila s[...]

[...]le scarpe vecchie, con quei soldi, piuttosto, andava ad Aosta e si faceva fare la radiografia, si, era inquieta, adesso non poteva più stare zitta, era troppo inquieta, da tre notti sognava serpenti. Serpenti? Si, serpenti: vipere. E va bene, andasse ad Aosta. Si capisce, quando si diventa ricchi, nascono le esigenze. Una donna incinta sogna vipere? Occorre la radiografia. Viaggio, visita, radiografia: un altro bigliettone. Un altro bigliettone? Cosa volete che sia un altro bigliettone? Ce n'é tanti. Ce n'é tanti ancora, tanti...
Salomone Croux lo osservava gongolante. Sbronzo e gongolante. Dei tre era l'unico con la sbornia allegra. La sbornia del ragazzo Attilio era, ancora più che triste, tetra. Quanto alla sbornia di César, si stava facendo rabbiosa. Malediceva se stesso per aver venduto il suo unico prato e sua moglie che si era opposta alla vendita. Malediceva il pessimo affare e Salomone che si permetteva di insinuare che era stato un pessimo affare. Indietro nel tempo, malediceva la zia Jacqueline che, morendo, gli aveva lasciato[...]

[...]re nel fienile invece di generare un figlio cos' disgraziato?
« Al diavolo », esplose. Prese la bottiglia vuota e la scagliò sul pavimento. La bottiglia scivolò sull'assito umido e non si ruppe. César le fu sopra, la schiacciò con lo scarpone, la ridusse in mille frammenti. Non si fermò, discese in cantina, ne risali con un'altra bottiglia identica alla prima. La stappò con i denti, riempi i tre bicchieri fino all'orlo.
« E adesso? », disse. « Cosa avete da dire, fagiani? ».
« Ha ragione », disse Salomone. « Ha ragione. Se ha due bottiglie, finita la prima gli resta la seconda. Se ha due mucchi di denaro, finito il primo gli resta il seconda. Tutto sta a vedere se ha due mucchi di danaro oppure una solo ».
VI
Fu allora che la sbornia tetra diede ad Attilio, che non aveva mai idee, un'idea. « L'unica », disse, « é che tu, Salomone, gli venda un prato.
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Se resta senza prato é un disgraziato e non c'é nulla da fare ». Così si vendicava di César. Lo gettava in pasto a Salomone.
« Già », disse Salomone, « bisognere[...]

[...]finito il primo gli resta il seconda. Tutto sta a vedere se ha due mucchi di danaro oppure una solo ».
VI
Fu allora che la sbornia tetra diede ad Attilio, che non aveva mai idee, un'idea. « L'unica », disse, « é che tu, Salomone, gli venda un prato.
QUESTIONE DI PRATI 87
Se resta senza prato é un disgraziato e non c'é nulla da fare ». Così si vendicava di César. Lo gettava in pasto a Salomone.
« Già », disse Salomone, « bisognerebbe sentire cosa ne pensa Salomone. Che io sappia, Salomone ha trattato molti prati in vita sua. Ha trattato prati contro prati. Prati contro denaro mai. Non sa cosa farsene, Salomone, del denaro. Né di uno né di due mucchi di denaro ».
« In questo caso César é un disgraziato », disse Attilio, « e non c'è nulla da fare. Per tutta la vita sarà un disgraziato ». Quasi, in un ritorno di affetto, s'inteneriva. Reagì. « Che farci? Se l'è voluta lui ».
« Chissà », disse Salomone con voce distaccata, come parlasse di una persona lontana. « Infinite sono le vie del Signore. Può darsi che gli vada bene. Tutto può darsi. Ti ricordi Pession Eliseo? Era malato di cancro e nessun medico gli dava più di tre mesi di vita. Invece é morto un anno dopo e non di cancro. È[...]

[...]edue e rotti. Poca differenza. Per il resto é identico, prende lo stesso sole, prende acqua dallo stesso canale. È proprio di fianco al prato che César ha dato via ».
« Credevo », disse il ragazzo Attilio, « che non ci fossero mai due prati identici ».
« Certo che non ci sono. Di proprio identici non ce ne sono mai. Forse che ci sono due bicchieri proprio identici? Forse che questi due bicchieri sono identici? Se guardi bene, uno ha sempre qualcosa
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di diverso dall'altro. Però è un bel caso che ci siano due prati quasi
identici come due bicchieri ».
« E tu glielo daresti? », disse il ragazzo Attilio.
« Farei così. Gli direi: non voglio sapere quanto hai preso del tuo
prato. Non mi interessa. Tanto hai preso, tanto mi dai ».
« Oh », disse il ragazzo Attilio. « Gli daresti il prato senza sapere
se ha preso poco o molto? ».
« Certo. Ma non quel prato di cui parlavo. Un altro. Il prato di
cui parlavo non lo darei nemmeno per un milione ».
« Quale prato gli daresti? ».
« Un buon prato. Un tantino più piccolo, p[...]

[...]pull il piano dello sgabello con il fazzoletto da naso, tornò a sedersi. Il ragazzo Attilio si senti finito in una gabbia di matti. Rimase con le natiche e le mani sull'orlo della panca, pronto allo scatto. Misurava la distanza fra sé e la porta, non perdeva una mossa di César.
E allora, Attilio ? », disse Salomone. Si pizzicava il pantalone all'altezza del ginocchio, scuotendo la testa. Fingeva di crucciarsi per i suoi pantaloni senza piega. « Cosa aspettiamo a togliere il disturbo al
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signor Borgne? E alla signora Claretta? Quanta strada anche Claretta, eh? La ricordo quando ancora era la più povera, la più disgraziata tra le mucche di mia conoscenza. E adesso non conosce più fieno, conosce solo biglietti di banca ».
Era troppo. César si volse. Aveva il viso paonazzo, il collo gonfio e le mani che tremavano. « Fai il furbo, vero? Speri che. te la venda per quattro soldi? Bene, puoi togliertelo dalla testa. Non te la vendo. Non la vendo a nessuno e tanto meno a te ».
« Ti credo », disse Salomone. « Per poco che te[...]

[...] bisbigliò il ragazzo Attilio al quale la paura suggeriva prospettive sanguinose.
« Sissignore », disse César, « l'ammazzo ».
« Come credi che l'ammazza? », bisbigliò Salomone.
« Con il coltello », bisbigliò il ragazzo Attilio. Il solo pensiero del coltello nelle mani di César lo fece impallidire.
« Con il coltello, con il coltello, si. Proprio con il coltello », disse Cesar, estraendo dal cassetto della dispensa il coltello del pain deur. « Cosa credi? Che mi faccia impressione infilzare il cuore di una mucca? ».
« Voglio vedere come fai », disse Salomone.
« César, non lo fare, ti supplico, non lo fare », implorò il ragazzo Attilio.
César si fece addosso alla mucca e le diede un calcio nel deretano. La mucca si rizzò sulle gambe posteriori, poi su quelle anteriori. Quando fu ritta arricciò la coda e fece i suoi bisogni. Poi prese a sfiorare con il muso bavoso il piano della mangiatoia, esplorandola, emettendo sbuffi di fiato, sollevando rimasugli di fieno. La capra si svegliò. Alla vista del
QUESTIONE DI PRATI 91
coltello prese [...]

[...]tava immergendo la mano nel cassone quando la voce di Salomone lo fermò. « Se quelle che hai li sono cartucce a pallini, ti faccio presente che Claretta non è una lepre. È una mucca ». Lasciò ricadere pesantemente il coperchio del cassone. Maledetto uomo. Mille volte maledetto. Aveva sempre un cavillo da tirar fuori al momento opportuno. Lo guidava come un burattino. Lo spingeva in un senso, lo tirava, a suo piacimento, nel senso opposto.
« Sai cosa? », disse Salomone. « Impiccala. Se l'impicchi non c'è né rumore né spargimento di sangue ».
César impallidì. Quando era bambino di cinque o sei anni, sua nonna, la madre di sua madre, era stata trovata appesa a una corda in solaio. Una crisi di malinconia, come se ne registrano, da queste parti, parecchie. Qualcuno s'impicca, altri si buttano nel fiume; ai più anziani basta il lavatoio. Volse gli occhi al soffitto. Travi non ne mancavano. Erano travi grosse, capaci di reggere non una, dieci mucche. Non c'era che da sollevare una tavola (sopra vi era un fienile vuoto) e far passare la corda [...]

[...]soffitto. Travi non ne mancavano. Erano travi grosse, capaci di reggere non una, dieci mucche. Non c'era che da sollevare una tavola (sopra vi era un fienile vuoto) e far passare la corda intorno al trave. Facile, facilissimo. Tuttavia esitava. Sperava ancora di scoprire un ostacolo per non farne niente.
92 GIOVANNI PIRELLI
«
Cos'hai? », disse Salomone. « Non ti senti bene? ».
Boja fauss. Quel maledetto gli leggeva dentro come in un libro. « Cosa credi? Che César Borgne ci pensi due volte prima di impiccare una mucca? ». Dalla cassapanca si riportò alla dispensa, appoggiandovi contro una sedia. Sall sulla sedia, estrasse da sopra la dispensa una corda da montagna coperta di muffa, scese, spostò la sedia sotto un trave in corrispondenza della mangiatoia, vi risali, sollevò una tavola del soffitto, fece passare la corda intorno al trave, preparò il cappio. « Ecco », disse.
Salomone disse: « Bravo. Hai fatto un buon lavoro, ordinato e preciso. C'é un solo inconveniente. La tua stalla é bassa. Troppo bassa per impiccare mucche. Va giusto[...]

[...]lta. Bassi erano e senza baffi. Omuncoli. Nani castrad. E sbronzi. Lui, César, non era sbronzo. Era in piedi su una sedia. Era alto. Alto, forte e con baffi. Li dominava. « Tu », ordinò ad Attilio, « prendi fuori la lanterna ». Scese con un salto dalla sedia, staccò dalla mangiatoia la catena a cui era legata la mucca. « E tu, fagiano », disse a Salomone, « accendigliela ». « Oh, Claretta, oh », disse, facendo voltare la mucca muso alla porta. « Cosa fanno i signori di notte? » disse. Era eccitato, sprizzava foga e cattiveria. « Escono a divertirsi. Cosa fa il signor Borgne? Esce a divertirsi. Avanti, servi, apritegli la porta ».
VIII
Uscirono. César, davanti, trascinando la mucca. Dietro, attaccato alla coda della mucca, l'ilare e barcollante Salomone. Ultimo, strascicando i piedi in sintonia con la sua sbornia tetra, il ragazzo Attilio. La notte era nera, umida e fredda. Una cappa di nebbia bassa sui tetti rifletteva il chiarore opaco della lanterna che César reggeva nella mano libera. Nel vicolo, tra due compatte file di muri in pietra, grigi, quasi neri, figure ed ombre apparivano ugualmente fantomatiche. Cornicioni di neve sporgevano d[...]

[...]Non mi va », disse, muovendo all'indietro. « Non mi va di fare il cavaliere. Hai detto che io sono la banda ».
« Ho cambiato idea », disse César.
Attilio fece una giravolta sui tacchi ma scivolò sul ghiaccio finendo gattoni. César gli fu sopra, lo strinse nelle braccia, lo sollevò di peso, lo issò in groppa alla mucca.
« Cado, cado », gemette Attilio.
a Attaccati alle corna. Nessuno é ancora morto per aver cavalcato una mucca. Beh, Salomone, cosas aspetti? ».
Salomone, felice di aver scambiato ruolo con Attilio, raccolse le padelle. Essere la banda si confaceva con il suo stato d'animo. Sin dalla prima, energica battuta, la mucca fece uno scarto. Mentre puntava le gambe anteriori, irrigidendole, le posteriori le mancarono sotto il deretano. Si drizzò con un colpo di reni ma il peso che portava in groppa le impedì di ritrovare l'equilibrio. Si piegò, questa volta, sulle gambe anteriori, mentre Attilio le scivolava lungo il collo fino a sopravvanzare con la testa le corna. Ancora riuscì araddrizzare le gambe anteriori e ancora le poste[...]

[...]ollevandosi fino a mettersi in ginocchio. Non aveva la più pallida idea sulle intenzioni di César. César aveva intenzioni e tanto bastava per terrorizzare Attilio. « Torniamo a casa, ti prego, andiamo a letto a.
« Vacci tu », disse Cesar. « Va a farti una s... ».
IX
Il campanile ha una porta che dà sulla piazzetta, dalla parte del lavatoio, ed é sempre aperta. La chiamano `porta del fuoco'. Se brucia una casa, una stalla, un fienile, la prima cosa da fare è precipitarsi alla `porta del fuoco', attaccarsi alla corda oppure salire i quarantasette gradini e suonare a martello. César spalancò il battente con una pedata e introdusse la lanterna nel vano illuminando l'imbocco della scala. Con l'altra mano si tirava dietro la mucca.
« Con Claretta ? », disse, disperato, il ragazzo Attilio.
« Già ».
«Perché con Claretta? ».
« Per mostrarle il panorama », disse spazientito César. S'infilò nel vano e affrontò la salita. Li, la mucca si ribellò. Puntò gli zoccoli delle gambe anteriori contro il rialzo del primo gradino, tese il collo, inarcò [...]

[...]affrontò la salita. Li, la mucca si ribellò. Puntò gli zoccoli delle gambe anteriori contro il rialzo del primo gradino, tese il collo, inarcò le reni e si fissò in quella posizione, dura come una pietra, inamovibile. « Oh, Claretta », le diede la voce César. « Oh, Claretta, oh, oh ». La mucca non si lasciò incantare. « O000h », fece César e tirò la catena con quanta forza avevá. La mucca non si mosse un solo palmo. « La banda! », gridò César. « Cosa fa la banda? ».
Salomone sussultò. Seduto sul ghiaccio accanto al lavatoio, la testa ciondoloni sul petto, stava per assopirsi. Saltò su come un automa, apri le braccia, le riunì sbattendo clamorosamente le padelle. Come' già nel vicolo, davanti alla casa di César, così anche adesso la mucca ebbe un sobbalzo. Perduta la sua rigidezza, si trovò a cedere alla forza della catena. Una volta posati gli zoccoli sui primi gradini, prese a salire volonterosamente benché la scala s'avvitasse ripida e stretta. César, precedendola e guidandola, si studiava di illuminarle il cammino lasciando quanto più[...]

[...]n mi va di salire ».
« Vva, vva a ppiangere in brbraccio a quella vvacca », gli gridò, dall'alto, Salomone.
La provocazione fu più forte della paura. Anche il ragazzo Attilio prese a salire. Aveva l'animo oppresso da tristi presagi. Saliva piano, con il cuore in bocca, incespicando ad ogni gradino poiché, trovandosi distanziato dagli altri, la luce della lanterna gli giungeva estremamente fioca. Però saliva. « Ma perché, César, perché non dici cosa vuoi fare? », implorò. Non ebbe risposta alcuna. « Se finisce male », disse, « l'avrai voluto tu ». Ancora non gli badarono. « Cosa credete, che io abbia paura? » Aveva adottato il sistema di salire a quattro zampe. Era un sistema molto più redditizio. Verso la metà della rampa era quasi a ridosso di Salomone.
« Oh, oh, Claretta ». César dava la voce alla mucca, ma non per farla avanzare. Le dava la voce per calmarla, temendo che potesse incespicare e rompersi una gamba. La mucca, infatti, una volta infilatasi in quel budello oscuro, sembrava avere un unico pensiero: uscirne. Aveva il fiato grosso, ansimava, procedeva a strappi, eppure non si fermava.
« In giù non andrà, te lo dico io », si lamentò il ragazzo Attilio.
[...]

[...]fetti, non durò che pochi istanti. Il tutto, dacché il frastuono della padella precipitata in fondo al campanile aveva imbestialito Claretta, era durato meno di mezzo minuto.
X
«Oh! », chiamò Salomone Croux dalla fine della rampa. I minuti passavano, c'era buio e silenzio, solo un lieve chiarore, dall'esterno, lasciava intravedere il posteriore della mucca che ostruiva lo sbocco. Salomone si sedette. « Oh! ». Nessuna risposta. Rise: « Cchissà ccosa diavolo ccombina ».
Uno scalatore, un capocordata che venga a trovarsi in difficoltà quand'è in parete, due cose non deve fare: non deve guardare giù e non deve gridare. César Borgne non aveva guardato giù e non aveva gridato. Aggrappato saldamente alla sbarra di ferro, il corpo penzoloni nel vuoto, annaspava con i piedi alla ricerca di un appiglio, anche piccolo, su cui poggiare almeno la punta degli scarponi. Ne trovò uno insperatamente comodo. Senonché, non appena riversatovi sopra una parte del peso, l'appiglio cominciò a muoversi. Era la lancetta lunga dell'orologio del campanile. La la[...]

[...]o in parete comincia ad avere il tremito alle ginocchia. È segno che sta perdendo il controllo dei nervi. Allora capi di essersi cacciato in un guaio di quelli per i quali si può anche crepare. Improvvisamente ebbe molta paura.
«Oh! », chiamò.
« Oh », disse Salomone, dalla fine della rampa. « Ffinalmente! ». « Sono nei guai », disse César. Gli seccava dire di piú. « Salomone? ».
« Oh », disse Salomone.
« Tira indietro la mucca ».
«Pperché? Ccosa c'è? ». Più che non dalla situazione che non tentava nemmeno di spiegarsi, Salomone era sconcertato dalla strana voce che di lontano gli giungeva all'orecchio. Era la voce di un altro. Chi poteva essere quest'altro? E César, dove si era cacciato costui?
« Ho freddo », disse il ragazzo Attilio. « Io me ne vado. Vado a letto ».
La voce si fece ancora sentire. Era la voce di César per il solo motivo che non poteva essere d'altri. « Sacrenom, non capite che sto crepando? ».
Addirittura? A chi credeva di darla da bere? No, Salomone non
QUESTIONE DI PRATI 101
ci cascava. « Hai ssentito? », dis[...]

[...]. « Sacrenom, non capite che sto crepando? ».
Addirittura? A chi credeva di darla da bere? No, Salomone non
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ci cascava. « Hai ssentito? », disse ad Attilio. « E César. Ddice che ccrepa ».
« Che crepi », disse il ragazzo Attilio. « Crepo anch'io. Crepo di freddo. Digli che faccia presto ».
« Presto! », fece eco la voce di César. « Tirate indietro la mucca! ».
Il tono era tale che Salomone si convinse di dover fare qualcosa. Per), siccome diffidava ancora e non voleva passare per fesso, disse ad Attilio con tono distaccato: « Nnon ssenti? Ddice di tiidi tirar indietro la mmucca ». Prese la coda dell'animale e ne agitò il ciuffo sul viso di Attilio.
« Non mi va di tirare », disse il ragazzo Attilio schernendosi con il braccio sugli occhi.
« Ttira, ppigrone », disse Salomone.
« Assassini! Vigliacchi! ». Salomone e Attilio si sentirono agghiacciare. Si scambiarono un'occhiata interrogativa e spaurita, s'attaccarono con simultanea decisione alla coda della mucca, tirarono. Tirarono in giù, a strattoni, così come,[...]

[...]olo e della solidarietà nel pericolo spinse tutti, precipitosamente, fuori dai letti e dalle case.
I primi a giungere furono Eliseo Chénoz e suo figlio Zino, la cui abitazione dava sullo spiazzo della chiesa. Nell'oscurità (erano scesi senza lanterna; quanto alla lampadina sopra il lavatorio, era permanentemente bruciata) videro una sagoma che penzolava dalla finestra del campanile, agitandosi e urlando : « Vi ammazzo, assassini, vi ammazzo! ». Cosa accadeva lassù? Chi ammazzava? Chi era l'ammazzato? Rimasero ammutoliti.
Da un'altra casa usci, allacciandosi la cinghia dei pantaloni, Laurent Pascal. Da un vicolo giunsero correndo gli uomini della famiglia Brunod: l'anziano Luigino; il figlio ed il nipote. Tutti, data uno sguardo alla sagoma che penzolava dal campanile, s'agitava e urlava, si fecero addosso ai Chénoz padre e figlio tempestandoli di domande: « Cos'è? Chi è? Cosa è stato? ».
« Cosa volete che ne sappiamo? », rispondevano i Chénoz.
« Ma se eravate qui », si spazientivano gli altri.
Frotte di uomini e alcune donne spuntavano, intanto, dalla raggera di vicoli, accrescendo la ressa intorno ai due Chénoz. Molti arrivavano con lanterne; lanterne a petrolio, a carburo, ad acetilene. Il chiarore si faceva piú intenso, saliva, conquistava le zone opache sotto la cappa di nebbia.
« C'è una mucca! », gridò con entusiasmo il figlio dell'idraulico Grange, lettore di romanzi a fumetti. « Una mucca in cima al campanile! ».
Per alcuni istanti tutti guardarono su senza poter aprir b[...]

[...]i rintocchi, César urlava: « Assassini! Porci! Vi ammazzo! ».
Laurent Pascal era davvero un tipo deciso. Abbandonò la coda della mucca e disse: « Bisogna abbatterla. Presto, fate portare una scure ».
Anche gli altri mollarono la presa. Fu passata parola di portare una scure.
«E come l'abbatti? Dal sedere? », disse l'anziano Luigino Brunod. Laurent Pascal alzò le spalle.
« Di chi è la mucca? », disse ancora Luigino Brunod. « Di César? ».
«Tu cosa faresti? », disse, cedendo al dubbio, Laurent Pascal.
Luigino Brunod non sapeva cosa avrebbe fatto. Nessuno lo sapeva. Abbattere una mucca cominciando dal sedere? Abbatterla senza il con senso del padrone? Una mucca non è un cane, una gallina, un coniglio. È un patrimonio. Riconsiderata l'iniziativa sotto questo punto di vista, nessuno, nemmeno Laurent Pascal, si sentiva ardire di tradurla in atto. Dallo slancio dei primi momenti già passavano ad un atteggiamento di titubanza, di attesa. Attesa di che? Della scure che nessuno voleva adoperare?
« Cosa diavolo gli é saltato in mente? », disse il padre Chénoz.
« Quando uno beve come beve César », disse Luigino Brunod.
Lino Gu[...]

[...]suno lo sapeva. Abbattere una mucca cominciando dal sedere? Abbatterla senza il con senso del padrone? Una mucca non è un cane, una gallina, un coniglio. È un patrimonio. Riconsiderata l'iniziativa sotto questo punto di vista, nessuno, nemmeno Laurent Pascal, si sentiva ardire di tradurla in atto. Dallo slancio dei primi momenti già passavano ad un atteggiamento di titubanza, di attesa. Attesa di che? Della scure che nessuno voleva adoperare?
« Cosa diavolo gli é saltato in mente? », disse il padre Chénoz.
« Quando uno beve come beve César », disse Luigino Brunod.
Lino Guichardaz, il giovane cognato di César, si volgeva a questo
104 GIOVANNI PIRELLI
e a quello, gridando: « Bisogna fare qualche cosa! Bisogna fare qualche cosa! ».
Il ragazzo Attilio piagnucolava : « Ho freddo. Ho freddo ». Invece Salomone Croux ripeteva: « È ttutto uno sscherzo, uno sscherzo di quel ppazzo ».
Alcuni del fondo della rampa gridarono: « Cosa state a discutere invece di smuovere via quella mucca? ».
« Perché non vi provate voi! », grida giù Laurent Pascal.
« I soldi gli hanno datò alla testa », disse il padre Chénoz.
« Altro che soldi », disse Luigino Brunod. « Suo zio Emile, buonanima, ricordate come é finito? Tornava sbronzo da una veglia ed é cascato in una concimaia ».
« Bisogna fare qualche cosa! », gridava Lino Guicherdaz. « Bisogna fare qualche cosa! ».
Giù nella piazzetta, disposti a mezzaluna, a rispettosa distanza dal punto dove César poteva cadere, stavano coloro i quali, giunti in ritardo, avevano trovato il campanile completamente ingombro. Tra costoro mancava un tipo deciso come Laurent Pascal. Il solo a fare una specie di proposta era stato il figlio dell'idraulico Grange, il lettore di romanzi a fumetti, ridisceso dal campanile in piazza per meglio godersi lo spettacolo. « Ci vorrebbe il mitra di Pecos Bill », aveva detto. Di li l'idea di abbattere la mucca con un colpo in fronte. Non c'era uomo in paese che non avesse fucile, [...]

[...] paio di donne corse sin dal primo allarme in casa di César per trattenervi, con storie e pretesti, la moglie e le bimbe. Specialmente la moglie, povera deana, che era incinta di sei mesi.
XII
La campana taceva e César non gridava più. Sapeva, adesso, di dover morire. Tra poco si sarebbe voltato a guardare giù. Allora le sue mani avrebbero abbandonato la presa. Non si era ancora voltato ma sentiva un brusio di voci montare dalla piazza. Sapeva cosa significava. Significava che tutto il paese era li ad assistere alla sua morte, che l'attendeva. Perciò gli toccava morire. Al mattino di quello stesso giorno era ad Aosta, nello studio del dottore commercialista, e firmava il compromesso per la vendita del prato; a mezzoggiorno era in un'osteria a far chiacchiere con i cugini di Valtournanche (lo zio tale che si è preso una brutta malattia, la vedova talaltra che ha sposato uno della Finanza, i prezzi, le tasse); a sera era in casa con la moglie che parlava di vipere (hanno sempre presentimenti, le donne, maledette loro) e le bambine che si [...]

[...]roprio davanti
106 GIOVANNI PIRELLI
all'uscio di casa? Con Salomone Croux. Non lo aveva nemmeno riconosciuto perché annottava e Salomone aveva la schiena curva sotto un carico di ramaglia. S'era sentito chiamare: 'Cesar!' Aveva ancora quel suono nell'orecchio: César, César, César. Era la voce della morte. Ma 11, davanti a casa, mentre tornava dalla città carico di quattrini e di doni, non lo aveva capito. Al contrario: aveva invitato Salomone, cosa mai accaduta, a venire a far veglia con lui. Salomone aveva rifiutato. Andava a dormire. Quando mai la morte va a dormire? Infatti era venuto. La bella sbornia era diventata una sbornia cattiva. Gli durava ancora. Alla fin fine c'era da ammazzare la mucca. Non ricordava perché. Si parlava di coltello, di fucile. Chi era saltato fuori a dire che bisognava impiccarla? Chi lo aveva detto? Chi? Lui, sempre lui, sempre Salo'none Croux.
`L'ammazzo', si disse Cesar. `L'ammazzo'. Allora, ricordandosi che stava per morire e non aveva più tempo d'ammazzare nessuno, fu preso da una gran rabbia. « Sacre[...]

[...]ta una sbornia cattiva. Gli durava ancora. Alla fin fine c'era da ammazzare la mucca. Non ricordava perché. Si parlava di coltello, di fucile. Chi era saltato fuori a dire che bisognava impiccarla? Chi lo aveva detto? Chi? Lui, sempre lui, sempre Salo'none Croux.
`L'ammazzo', si disse Cesar. `L'ammazzo'. Allora, ricordandosi che stava per morire e non aveva più tempo d'ammazzare nessuno, fu preso da una gran rabbia. « Sacremon », disse forte, « cosa ci stai a fare tu? ». Il tu era San Wuilliermo, patrono del paese, un santo che, come Gesù alle nozze di Cana, aveva mutato l'acqua in vino; perciò veniva considerato protettore degli ubriachi. `Se mi tiri fuori di qui, non ti dò fastidi per il resto della mia vita. Non bevo più. Te lo giuro sulla testa di mio padre'.
Poiché era giunto al limite della resistenza, decise di dare a San Wuilliermo un termine. Avrebbe contato fino a dieci. Se entro quel termine non accadeva nulla, avrebbe deciso che San Wuilliermo era un volgare truffatore. Contò fino a dieci. Gli concesse una proroga e ricontò [...]

[...]o giuro sulla testa di mio padre'.
Poiché era giunto al limite della resistenza, decise di dare a San Wuilliermo un termine. Avrebbe contato fino a dieci. Se entro quel termine non accadeva nulla, avrebbe deciso che San Wuilliermo era un volgare truffatore. Contò fino a dieci. Gli concesse una proroga e ricontò da uno a cinque, poi da uno a tre. Allora si accorse che dalla piazza saliva un brusio più fitto, rotto da voci più alte. Fece l'ultima cosa che gli restava da fare: si volse. Laggiù, tra i bagliori delle lanterne, una folla lo aspettava. Era una folla immobile. Oppure ondeggiava. Una delle due, la cosa non cambiava, la folla lo tirava giù.
Nel medesimo istante in cui, sparato da Cyprien Berthod, un colpo di fucile '91 raggiungeva la mucca a mezzo la fronte e l'abbatteva, César Borgne, mollata la presa, piombava giù senza un grido.
XIII
« Grappa », sospirò. Era caduto nel triangolo fra campanile, lavatoio e pioppo. In quel punto vi era un mucchio di neve accumulata dall'assessore Chénor il quale aveva il compito, dopo ogni nevicata, di
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QUESTIONE DI PRATI
aprire il passaggio alla chiesa e al lavatoio. César vi era precipitato di schiena, ne aveva sfondato la crosta gelata, vi era [...]

[...]giovane cognato di César. « Muovetevi, mandate per il medico! ».
« Se lo lasciamo qui muore di freddo », si oppose il padre Chenoz. « Ha ben altro di che morire », disse gravemente Luigino Brunod. « Il prete! Il prete! », gridò Lino Guichardaz dietro al figlio Chénoz che partiva correndo a chiamare il medico.
« Ahi, ahi », presero a piangere le donne. Il pianto delle donne si comunicò ai bambini.
« Grappa », implorò Cesar.
«César, come stai? Cosa ti senti? ».
« Dove hai male? Alla schiena? Alla testa? ».
« César, parla, rispondi. Sono io, sono tuo cognato Lino. Non mi conosci piú? Perché non rispondi? César! ».
César sollevò faticosamente una mano e se la passò sulla bocca. « Grappa », disse. « Grappa. Grappa ».
« Vergine Santa », strillò una donna. « Sputa sangue! ».
Dalla casa dei Chénoz fu portata una bottiglia di grappa. La bottiglia fu appoggiata alle labbra di César il tempo necessario perché ne prendesse un piccolo sorso.
« Ancora », disse.
«Ma si, che beva, poveraccio », disse il padre Chénoz.
« Così finite di ammazzarlo », disse Luigino Brunod.
« Ancora », disse César. « Ancora ».
« E su, dategliene. Non vedete che é già più di là che di qua? ». « Ancora », disse César. « Ancora ». Bevve a lungo, ebbe un c[...]

[...]iungeva, gli occhi fuori dall'orbite, mugolando, la moglie di César. « Perché piangi, fagiana », disse César. « Asciugati gli occhi e tienili bene aperti. Devi andare con Salomone Croux a scegliere dalla sua stalla una mucca e una manza. Oh, mi raccomando! ». Si chinò a passare sulla neve le mani sanguinolente, raccolse la bottiglia di grappa, se la portò alle labbra. « Ecco », disse, agitando la bottiglia. « È vuota ».
Salomone sussultò. « Che cosa? ».
« La bottiglia. Pareva tanta grappa, tantissima. Non ce n'é nemmeno da inumidire le labbra ».
GIOVANNI PIRELLI



da Giovanni Testori, Il Fabbricone in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 9 - 1 - numero 46

Brano: [...]rte e dall'altra.
Allora dall'estremo della periferia, dove le ultime case cedevano alle cascine o si perdevan nei campi, tra il brontolio dei primi tuoni, parti la scarica dei razzi antigrandine; cannonate che salivano veloci ed esplodevan poi con un sibilo nel niente; una a destra e una a sinistra; una ad est e una a ovest.
«Avanti! Tirate! Tirate sù razzi, bombe, madonne e anticristi! Sù, sù che poi ci chiuderanno tutti in manicomio! Ecco a cosa porta il vostro progresso! Come se non ci avesse già pensato 14 guerra a rovinarci i nervi! » — gridò, senza saper a chi, la Redenta mentre spalancava la finestra per prender il pezzo di fesa che, involto in un po' di carta, se ne stava sul davanzale; un'occhiata, ma non più di quella, alle luci che saettavand verso sud, e una al buio
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in cui il resto del cielo affondava come in un inferno; quindi, stringendo la carne, si riavvicinò al tavolo; in quello stesso momento un razzo esplose sulla sua testa con più fragore degli altri e fece tremar i vetri.
« Spaccate, spaccate[...]

[...]manzo, filetto; tutto uguale; per non parlar di quand'era il fegato che si trovava tra mano. Quel color cupo, quel sangue violastro, quei nervetti! Del resto tutto quel carname cominciava a farle schifo, dal momento in cui se lo vedeva là, ammassato e penzolante dalle vetrine e dalle pareti del negozio.
Perché, in definitiva, il giorno in cui i capi, i padroni, si fossero decisi a dar sfogo a tutto il loro progresso e a tutta la loro umanità, a cosa si sarebbe ridotto il mondo, se non a una macelleria?
Un'altra scarica di razzi s'alzò, in quel momento contro il cielo per dissipare, all'incirca sopra le ortaglie del Pero, un grumo di nuvolaglie, più cupo e più minaccioso degli altri.
Allora la Redenta strinse le labbra tra i denti. Perché già, a sentir certi consigli lei, davanti a quei colpi, avrebbe dovuto pensar a tutto tranne a quell'altra macelleria che era stata la guerra e a ciò che in quella macelleria lei aveva visto, passato e provato; a tutto, tranne alla scarica con cui, fronte albanese, ventitrè novembre, il suo Andrea glie[...]

[...]a, essendo troppo giovane la nipote per mettersi in quei lavori; lavori delicati, non tanto perché riguardavano un corpo trafitto da una serie senza fine di punture e tutto dolente di stanchezza e di mali, quanta perché lui era pur sempre uomo e la nipote, donna.
« Quant'è che manca alle cinque e mezza, Ernesta? » — disse con un tono di voce che l'aspetto avrebbe fatto sospettar più lieve e che riuscì invece a vincere il brontolio del tuono.
« Cosa ? » — rispose dalla cucina la nuora.
« Ho detto quant'è che manca alle cinque e mezza ».
« Le cinque e mezza son adesso » — fece la donna.
Le cinque e mezza era l'ora in cui, con la puntualità d'un meccanismo d'orologeria, figlio e nipote rientravan dal lavoro.
« Allora fra poco saran qui » — si disse il vecchio, pregustando il sollievo che l'imminente cambio di posizione gli avrebbe pro
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curato; al punto però in cui prese a desiderar quel sollievo con più forza d'ogni altra sera. l'Oliva si ricordò come la mattina, uscendo, figlio e nipote gli avessero detto che quel gi[...]

[...]
curato; al punto però in cui prese a desiderar quel sollievo con più forza d'ogni altra sera. l'Oliva si ricordò come la mattina, uscendo, figlio e nipote gli avessero detto che quel giorno sarebbero rientrati più tardi in quanto dovevan passare al Circolino, alla sede cioè del partito, per le misure da prendere circa l'incidente del giorno prima.
« Quegli anticristi! — fece allora il vecchio, mentre sulla testa gli scoppiava un altro tuono — Cosa aspetta domineddio a bruciarli tutti? ».
L'incidente del giorno prima riguardava alcuni manifesti che il nipote, con altri compagni di partito, aveva incollato sui muri del fabbricone casi come su quelli delle case e dei casoni circonvicini, e che la mattina s'eran trovati strappati e impiastrati di fango e di merda; su uno anzi, quasi avessero intinto il dito non in quella mistione, ma nell'inchiostro, avevan scritto in lungo e in largo:
« Fascisti! Preti! Traditori degli operai! »
« E' chiaro — aveva commentato la nuora — siccome vivono nella merda, anche per scrivere adoprano merda ».
[...]

[...] Traditori degli operai! »
« E' chiaro — aveva commentato la nuora — siccome vivono nella merda, anche per scrivere adoprano merda ».
Allora quel sollievo mancato si tramutò in lui nell'orgoglio di saper che il ritardo del nipote e del figlio era motivato da quella che lui chiamava la causa; la gran causa anzi, della sua famiglia, in particolare, e di tutti gli uomini onesti e di buona volontà, in generale.
«Tanto gridare, tanto far liti, per cosa? » — fece in quello stesso momento la Redenta, come se tra lei e la stanza del piano di sopra ci fosse stato un improvviso, oscuro rapporto di telepatia o come se il nuovo incrudelirsi del temporale le avesse riportato alla memoria l'ultima lite svoltasi li, nella casa, lite che era stata anche quella una specie di tempesta. S'era avvicinata un'altra volta alla finestra e seguiva lo scrosciar dell'acqua che il vento flagellava senza carità, come se l'intero universo stesse per disfarsi; e lo seguiva con la speranza e col desiderio di poter scorgere nel mezzo, qualche goccia talmente grossa e [...]

[...]ra e seguiva lo scrosciar dell'acqua che il vento flagellava senza carità, come se l'intero universo stesse per disfarsi; e lo seguiva con la speranza e col desiderio di poter scorgere nel mezzo, qualche goccia talmente grossa e pesante da non esser più pioggia, ma finalmente grandine, tempesta.
« Parole, improperi, bestemmie... — continuò a pensare, men
A
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tre la faccia le veniva rischiarata dai bagliori dei lampi — E per cosa? Per un po' di merda su un manifesto...; «siete stati di certo voi! »; « ah, perché noi saremmo così scemi da venir a fare queste cose, qui, in casa nostra? »; « e allora? »; « è la gente! E' l'odio che han tutti per voi che vi siete venduti ai preti e ai padroni! »; «e voialtri, allora? Dei senzapatria! Dei senzadio! Ecco cosa siete! Dei venduti all'inferno! »; un po' che questo tempo va avanti — comment() allora la Redenta — e me la contate dove andran a finire i vostri manifesti! »; spiaccicati per terra o contro i legni che, nell'orto, sostenevan le piantine dei pomodori, alcuni pezzi di carta si mostravan infatti, qua e lá, pronti a farsi definitivamente distruggere dalla furia dell'acqua e del vento.
Appena capi che il temporale accennava a riprendere, la Schieppati usci da casa, s'affacciò alle scale e cominciò a gridare: « Enrico! Enrico! Vieni sù. Vieni sù che il temporale torna indietro! ». Ma non aveva a[...]

[...]Appena capi che il temporale accennava a riprendere, la Schieppati usci da casa, s'affacciò alle scale e cominciò a gridare: « Enrico! Enrico! Vieni sù. Vieni sù che il temporale torna indietro! ». Ma non aveva ancor finito che dal cardine, attorno a cui aveva girato infinite volte, una persiana, staccandosi, precipitò dalla cucina dei Consonni sull'ingresso.
« Aiuto! — urlaron allora i ragazzi, rifugiandosi inorriditi nell'interno — Aiuto! »
«Cosa c'è? — gridò dall'alto la Schieppati — Enrico? Cosa c'è?»
« E' venuto giù un pezzo di casa! » — fece dal basso l'Enrico, preso dal terrore.
«Cosa? »
Dalla sua porta era uscita intanto anche l'Enrica e, sporgendosi dalla ringhiera, chiedeva anche lei, con voce eccitata, cosa mai fosse successo.
« E' venuto giù un pezzo di casa! »
cc Un pezzo di casa? E come? E da che parte? »
« No! Niente paura! — intervenne a quel punto il Tino, che aveva trovato il coraggio di tornar fuori a veder quel che era successo. — E' stata una persiana. S'è tutta sfasciata... »
Così, mentre altre inquiline, gli occhi fuor dalla testa, si sporgevan dalla scala o s'affacciavan alle porte, il vento continuò a tur
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binare tutt'intorno al casone e l'acqua a scrosciare senza trasformarsi però mai in tempesta, come invece, dalla cucina, la Redentat aveva continuato a desi[...]

[...] non si fosse messo sotto la protezione della sua falce e martello; e la ragazza, che se non era diventata una figlia di Satana vera e propria, lo doveva solo al fatto che il suo carattere e la sua bruttezza non avevan mai indotto nessun uomo ad avvicinarla veramente.
Continuando a trafficar, la testa piena di preoccupazioni, tra pentole e stufa, la moglie dell'Amilcare Villa si decise finalmente a guardare anche lei oltre la finestra per veder cosa succedeva e fu così che vide aprirsi, nel grigio plumbeo del cielo, il primo sfolgorio di luce.
Due piani sotto, la Schieppati che, al riaccendersi delle lampadine, aveva cercato di riprendere a stirare e che, convintasi del guasto occorso al ferro, s'affannava a rigettar nella cesta la pigna di biancheria che aveva sul tavolo, s'arrestò un attimo, colpita dai raggi che, da fuori, eran penetrati nella casa e che avevan dato al miserando squallore della sua cucina uno strano aspetto di festa,
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ma presa com'era dai suoi pensieri non riuscii a goderne minimamente.
Sull'ingres[...]

[...]ine di patate e file di carote, tutto era stato spiaccicato, divelto, e fin portato lontano; e su tutto si vedevan frammenti di giornali, di manifesti e di carte. Malgrado però s'affannassero a cercarli, dei chicchi di grandine non riusciron a trovare neppur l'ombra. Il Tina allora tornò verso i resti della persiana e, chiamando in aiuto gli amici, tentò di rimuoverli; 'visto che non ne valeva la pena, guardò in su, verso il davanzale, per veder cosa, nel precipitar a terra, la persiana avesse portato via; poi gridò:
« Guardate, ne ha fatto venir giù più di mezzo... ».
Il davanzale si mostrava infatti sfracellato per un buon terzo; sull'alto dello stipite poi, un buco, ben piú grande di quelli che i mitragliamenti aerei avevan lasciato su tutta quanta la facciata, si mostrava così aperto da parer una ferita.
« E' partito anche il gancio... » — fece l'Enrico.
« Allora in un posto o nell'altro dovremmo trovarlo... » — disse il Remigio, riportando gli occhi a terra.
«Già, perché se lo si trova ci servirà a tanto! » — commentò il Tino, c[...]

[...]hanno ancora un po' di pipi da fare... »
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commentò il Tino, guardando i riflessi che i raggi dell'ultimo sole facevano su quel pacifico discendere di gocce.
In quel modo, i ragazzi sull'ingresso e gli inquilini nelle stanze, videro formarsi, piano piano, davanti ai loro occhi la grande forma dell'arcobaleno.
« Guarda! » — disse la nuora dell'Oliva, quando esso si fu tutto disegnato nel cielo.
Il vecchio rispose con un:
« Cosa? » — poi, senza aspettar altro voltò gli occhi verso la finestra e, per chissà quale volta nella vita, vide il segno della tranquillitá e della pace attraversar tutto quanto i vetri: allora si sforzò di sorridere e di dimenticar i Villa, lo scempio che quegli sciagurati del P.C. avevan fatto dei manifesti, i brandelli, il fango, la terra, Satana e la merda.
« Scommetto che quelli di sii stan pensando che é il padreterno... » — fece la Redenta, riportando gli occhi rabbiosi dalla finestra sul tavolo — « Figurarsi! — aggiunse, mentre rovesciava piselli, pezzi di patate, sedano e carote nella p[...]

[...]o così il figlio e il nipote... — quegli anticristi... »
« Non val la pena di prender rabbia, nonno. Che Dio abbia pietà di loro: ecco tutto quel che si può desiderare » — fece il nipote.
« Pietà, pietà! Pietà, un corno! Che li scaraventi all'inferno, e il più in fretta possibile! — ribatté il vecchio. — Quante volte devo dirvi che a furia di pietà, 'sti dannati stan prendendoci in mano il mondo? E dopo, quando ce li avremo anche qui, in casa? Cosa servirà, dopo, tutta la vostra pietà? Buoni sì, ma coglioni no. E a me pare che con quellilà... ».
Non era certamente questo l'avvio desiderato per la conversazione che pure avrebbe dovuto svolgersi fra i tre Oliva; visto anzi
IL FAI3RRICONE 85
quel tono, figlio e nipote ebbero quasi paura a cominciarla; la decisione, infatti, cui eran pervenuti nella seduta svoltasi al Circolino dalle sei alle sette e mezza, era che, al gesto dei rivali, bisognasse risponder si con fermezza, ma il più civilmente possibile.
«E allora cos'avete deciso? Su, avanti, cos'avete combinato? » — fece il vecchio, [...]

[...] il primo fece al secondo:
« Spiegaglielo tu, Luigi; tu sei più pratico... ».
« Non è stato facile — fece il Luigi, mentre con un certo imbarazzo passava e ripassava le dita sui riccioli dell'acquasantiera che se ne stava appesa proprio sopra il comodino — Ognuno aveva da dir la sua... ».
« Naturalmente certi volevano rispondere con gli stessi argomenti... » — aggiunse poco dopo.
« Ecco... » — commentò il padre.
« Ecco, un corno! Come prima cosa, io, li avrei denunciati. Nome e cognome c'erano ».
« Ma per denunciarli... » — cercò di ribatter il Luigi.
« Per denunciarli? Volete che finisca io? Per denunciarli, ci vuol coraggio e il coraggio, da un po' di tempo in qua, a me pare che sia passato tutto dalla loro parte ».
« Non è questione di coraggio, nonno; è questione di sapere chi è stato veramente... ».
« Ma lo si sa e lo si sa benissimo! ».
« Certo che lo si sa — fece allora il Luigi — Ma se poi dovessimo dimostrarlo ? Che prove abbiamo? Né io, né lui, né te li abbiamo presi sul fatto... ».
« Sicché, denunce, niente. E allora[...]

[...]a un po' di tempo in qua, a me pare che sia passato tutto dalla loro parte ».
« Non è questione di coraggio, nonno; è questione di sapere chi è stato veramente... ».
« Ma lo si sa e lo si sa benissimo! ».
« Certo che lo si sa — fece allora il Luigi — Ma se poi dovessimo dimostrarlo ? Che prove abbiamo? Né io, né lui, né te li abbiamo presi sul fatto... ».
« Sicché, denunce, niente. E allora, se non denunce, cos'avete deciso? ».
« Come prima cosa, non potevamo dimenticare che il nostro è un partita che s'è sempre chiamato democrazia... » — disse, riprendendo a parlare con la sua solita calma, il Luigi.
« Ah, democrazia! — ribatté il vecchio che s'era completamente dimenticato di quel che, poche ore prima, gli aveva suggerito l'arcobaleno apparso nel cielo; in quello stesso momento un gru
86 GIOVANNI TESTORI
mo di catarro cominciò a rendergli pesante e faticosa la voce — Democrazia si, ma per gli altri! Democrazia perché 'sti maiali possan propagandare con tutti i mezzi le loro teorie e il loro marcio! Quando poi tocca a noi, allora civiltà, bontà, carità... Si, altro che bontà, civiltà e carità, vigliaccheria! Vigliaccheria, che un giorno o l'altro potrebbero rinfacciarci tutti, preti e non preti! Vigliaccheria e, insieme, paura! Paura di prender una decisione che li sistemi una volta per sempre. Già, ma voi — fece, dopo essersi liberato da quel grumo di catarro, sputando in un fazzoletto che rimise subito sotto la pigna dei cuscini — che colpa pot[...]

[...]io, le trombe e le forche!
Così quel che, nella sua malattia, l'aveva fatto soffrire, non eran stati i dolori, che lui aveva sempre saputo a chi offrire e che in un certo senso l'avevan sempre inorgoglito, ma l'esser stato assente dalle grandi battaglie, quelle elettorali; due sole era riuscito a vederne, poi più niente, se non quel poco che, avversari e amici, ave
IL FABBRICONE 89
van fatto li, nel cortile del fabbricone; dove, del resto, di cosa ci si poteva illudere? Tranne loro, anche quelli che magari non eran iscritti, al momento buono la crocetta l'avrebbero fatta sulle falce e martello, e amen.
Tuttavia, quattro anni prima, la sera in cui quelli del P.C. avevan organizzato la loro fiera proprio li, sotto la sua finestra, non potendone più di sentir tutte quelle menzogne e tutte quelle bestemmie rovesciarsi fuor dalla bocca del capo e dal microfono che aveva davanti, e inondar il mondo, la forza di saltar già dal letto, andar alla finestra, sporgersi e gridare: « Anticristi! Maiali! », lui l'aveva trovata. E non fa niente, ch[...]

[...]e l'imbruttirsi continuo della cera che, non fosse stato d'una razza nella quale i settanta li avevan passati tutti, e passati quasi sempre a cavallo, c'era da sospettare che, ad andarci di mezzo, sarebbe stata la salute. Ma il giorno che, dalle conferenze, dai libri, dai giornali e dai manifesti avesse dovuto passar a pugni, come se la sarebbe cavata con quei bestioni? Perché già, quellilà eran tagliati giù con l'accetta! E anche questa era una cosa che lui non riusciva a capire; vero che, per averli fatti così, il padreterno doveva aver avuto le sue ragioni, ma, lui come lui, al suo posto, i cristiani li avrebbe messi insieme con un po' più di nerbo e di spina dorsale. Dato però che eran quel che erano, una bella iniezione di coraggio ogni mattina non gliel'avrebbe lasciata mancare.
Guardassero lui, lui che non c'era colica, non bronchite, non collasso che riuscisse a stroncarlo. E quello cos'era ? Volontà di Dio, certo, ma anche volontà sua.
« Be', allora vuol dire che vedremo, anzi vedrete 'sti nuovi manifesti... » disse il vecchio[...]

[...]oi, presa da destra una michetta, si diede a mangiarne, uno dopo l'altro, alcuni bocconi.
« Almeno a furia di farceli vedere da tutte le parti, la gente capirà che é ora di farla finita... — aggiunse; quindi, quasi volesse concludere. — Questo a parte che, con la libertà, vorrei vedere che non si potesse stampar quel che si ha voglia. La bocca, 'sto governo di preti, ce la chiude già abbastanza... ».
« Dove ha interesse. Ma su queste cose qui, cosa credi che gli importi di lasciarcela aperta ? ».
« S'illude! Perché questo é un veleno che prima o poi smangerà tutto e tutti, e loro per primi. Ce le faccian vedere dalla mattina alla sera 'ste facce di rammolliti; ce le faccian vedere 'ste feste, 'sti scandali, 'ste fuoriserie! Va tutto bene, tutto benissimo! Così, panda non ne potremo piú, andremo a prenderli e gliele butteremo in faccia, una per una, 'ste loro porcate! — adesso il Carlo aveva in mano una forchetta e la fissava unta e sporca come era; quando poi l'ebbe rimessa sul tavolo, aggiunse — E a me, tanto per dir tutto, non é che [...]

[...]a famiglia cose del genere non dovrebbero succedere ».
« Ma cos'è che é successo, infine? — gridò la madre — E se per caso fosse in grado di sfruttarli? ».
« Sfruttarli, si, sfruttarli ».
« Oh per quello potete star certi; l'Antonio non é certo il tipo che si fa metter sotto... ».
« Povera illusa! Sfruttar gente che fin qui non ha fatto che sfruttar noi. Il Morini, per esempio, quel maiale di Villapizzone che non lascia star nessuno... ».
« Cosa c'entra, adesso, 'sto Morini che io non so neanche chi sia ? » — s'affrettò a dir la madre.
«
E il presidente della società dove l'Antonio, proprio l'altro giorno, é andato a iscriversi ».
« E allora? Cosa doveva fare secondo te? Cambiarlo? ».
« Iscriversi a un'altra! Come se di palestre non ce ne fossero anche nelle nostre sedi! E poi — aggiunse il Carlo, dopo una certa esitazione — non si dice tanto, ma avvisar prima te, lei, me... Va be' che é maggiore, ma lo sa bene anche lui che in queste cose son molto piú pratico io ».
« In queste cose e in tutto » — disse, intervenendo per la seconda volta, la Liberata.
92 GIOVANNI TESTORI
L'ostinazione con cui la ragazza difendeva il fratello, prima ancora di conoscerne opinioni e pensieri, ripugnava a lei per prima, proprio perché le dimostrava og[...]

[...] « giustissimo », e se gli altri insistevano, s'imbestialiva al punto da gridar che la veridicità di quel che il Carlo sosteneva era provata dal fatto che, di tutti loro, era stato l'unico cui i capi avevan affidato un incarico importante e preciso; e lo gridava pur sapendo di ferir il padre, la cui ambizione era sempre stata di raggiungere quel che il figlio aveva ottenuto con tanta facilità e con così unanime consenso.
« E allora, secondo te, cosa dobbiamo fare ? » — disse, a quel punto, il padre.
« Prenderlo e parlargli ».
«Ma non è meglio aspettare? » — intervenne la madre.
« Aspettar, cosa ? » — fece la Liberata.
« Aspettare — spiegò la madre — che abbia fatto davvero qualcosa o che per lo meno qualcosa abbia detto ».
« Ah, perché secondo te, tuo figlio, se sta per affogare, aspetti ad avvisarlo quand'è già sotto? ».
« Ma chi sta per affogare ? ».
«Lui! ».
« E se lo dice il Carlo... » — fece la Liberata alzandosi dal tavolo per portar la pigna dei piatti sul ripiano del lavandino.
« Sarà diventato un nuovo Togliatti, lui! » — brontolò la madre.
« E chi parla di Togliatti? Solo che certe cose il Carlo le capisce meglio di noi tutti messi insieme ».
IL FABBRICONE 93
«Anche per quel che riguarda la storia dei manifesti? » — ribatté la madre.
« Soprattutto per quello » — fece la Liberat[...]

[...]e se preparassi quella d'un cristiano... » — disse la Redenta.
La cena era finita: una fondina di minestra, il pezzo di fesa, un po' d'insalata e due bicchieri di vino, per il Luigi; una fondina di minestra, l'insalata, acqua vichy con spremuto dentro mezzo limone, per lei; e adesso il caffè borbottava nella macchinetta.
« Con 'sti razzi qui, che non lascian sfogare mai il tempo! — aggiunse — Mai! » — ripeté.
« Ma cerca di ragionare, Redenta! Cosa vuoi, che per far piacere a te lascino andar in niente i raccolti ? ».
« Ah, già, come se i raccolti fossero più importanti dei cristiani? Quando poi s'è_visto e si vede in che conto ci tengono! Come mosche ci ammazzano! Ma andiamo, va', andiamo, che la suonata, com'è, ormai l'ho capita, e bene anche! ».
Il Luigi che quella sera aveva in animo di parlar alla sorella il più quietamente possibile, in quanto il discorso avrebbe dovuto cadere sulla decisione che aveva preso di sposarsi di li a un mese, un mese e mezzo, si sentiva imbarazzato; abbastanza deciso su tutto il resto, egli soffriva n[...]

[...]a venir a vivere con noi! Ma questa, anche se l'accettasse lei, saresti poi tu a non accettarlo mai ».
Un « direi », secco e duro, sigillava a quel punto, da parte della sarta, l'antipatia che le due donne nutrivano l'una per l'altra.
« Comunque, sai anche tu cos'è che dicevano i miei vecchi; padre, madre, fratello e sorella van benissimo, ma quando si tratta di metter su casa, ognuno dalla sua parte e per il suo destino; e la stessa, identica cosa la penso anch'io ».
Se, tuttavia, la possibilità di sposarsi e lasciar la Redenta non l'aveva mai sfiorato finché della Margherita s'era sentito innamorato, appena quell'amore s'era trasformato in abitudine, gli era parsa un fatto pressoché inevitabile.
Di non esser più innamorato, il Restelli lo sapeva benissimo; abituato a una dura chiarezza verso se stesso, egli l'aveva prima sentito poi, piano piano, compreso; ma di pari passo aveva sentito e compreso che quella donna ormai era entrata nella sua vita e che uscirne non avrebbe potuto se non per morire; un'abitudine la quale, in omaggio a[...]

[...]o, anche la Redenta non desiderava di meglio, e non solo per esser finalmente libera di far i comodi suoi come e quando voleva, uscire o restare, mangiare o digiunare; ma per delle ragioni ancor più profonde e segrete; e cioè che finalmente le sarebbe andato fuori dai piedi anche l'ultimo uomo che le restava da sopportare; e di quelle frigne li, poi, basta, neanche l'ombra, neanche l'odore! Soprattutto, quello; con la biancheria sporca di chissà cosa che doveva lavargli ogni settimana: «massi! Ma che impari a lavargliela la sua bella spasimante, perché dopotutto, a tirarselo a letto insieme, è lei, non io! ».
Tuttavia anche a considerar il caso obbiettivamente, un domani, che so, una malattia, una disgrazia... No, no, era meglio che si sposasse; meglio in tutti i casi; meglio, nonostante il vuoto e il freddo d'una solitudine ancor più completa, dura e dolorosa; tanto lei ne avrebbe così avute di cose da fare per riempir quella solitudine! E poi, se il fratello si decideva davvero a sposarsi, era più che probabile che lei dovesse voltar i[...]

[...]ello si decideva davvero a sposarsi, era più che probabile che lei dovesse voltar indietro le maniche un'altra volta e trovar un'altra volta qualche posto o per lo meno qualche lavoro.
Quella sera, dunque, il Luigi stava già per arrendersi e rinviar a una giornata migliore la discussione, quando, di colpo e senza che niente di ciò che fin li avevan detto ne legittimasse il ricorso, la Redenta fece:
« E allora cos'è che hai combinato con la tua cosa là, la Margherita? ».
« Come, cos'ho combinato? » — rispose il Luigi, colto di sorpresa.
« Insomma, vi sposate o aspettate che venga il tempo di far la cassa a tutt'e due insieme? ».
L'amara ironia di quelle parole ferì il cuore abbastanza sensi
IL FABBRICONE 97
bile del Luigi che, sollevando la mano come per allontanar qualcosa, si limitò a rispondere con un:
« Che maniera di parlare... ».
« Stai a vedere che, adesso, dopo anni e anni che viviamo insieme, dovrò mettermi a usar il galateo anche con te! ».
« Non è questione di galateo, Redenta. E questione di modi... ». «E i miei son questi. Ormai dovresti averlo capito ».
« Be' allora, dato che ci siamo, ti dirò che era proprio di questo che volevo parlarti... ».
« Sentiamo, su, sentiamo. Ma non far troppo storie, mi raccomando — aggiunse la Redenta, quando vide che il fratello aveva tirato indietro una sedia e con gli occhi pareva bonariamente invitarla a seder[...]

[...]giù pei gradini; poi un altro colpo, un'altra porta che si chiudeva con la stessa violenza della prima.
« Ci siamo! Anche stasera, sonno, niente » — fece la Redenta che, messasi a letto, i nervi tesi dal temporale avvenuto solo in parte, dal mal di testa e dalla notizia che il fratello le aveva dato circa il suo matrimonio, faticava ancor più del solito a prender sonno. E siccome, di chi era la voce, lei l'aveva subito capito, subito si domandò cosa poteva esser successo se non che la Schieppati avesse visto il figlio in compagnia del Cornini, o cose del genere.
Ma in quel preciso momento dal dazio giunse al suo orecchio il rombo affannoso d'un motore, rombo che andò man mano avvicinandosi, finché la macchina, giunta di fronte alla siepe che cingeva l'orto, cominciò a rallentare per fermarsi, poco dopo. del tutto.
« Può piovere e strapiovere — gridò a se stessa la Redenta con. un rigurgito di rabbia, quando la manovra della macchina fu terminata — possono diventar fogne i prati, ma se devon farle, 'ste loro porcate, il sistema lo trova[...]

[...]miliazione di riprender l'argomento, anche la Cornini non aveva nessuna convenienza che la notizia si diffondesse, e perciò avrebbe tenuto la bocca ben chiusa. Quanto al marito poi, tornò a dirsi che, almeno per il momento, era meglio aspettare; mentre, appena le fosse stato possibile, avrebbe preso il Sandrino, preferibilmente non li, in casa, o quando, li in casa, non ci fosse stato nessuno, e l'avrebbe fatta fuori; se lui poi avesse avuto qualcosa da dire, gli avrebbe indicato, senza né tanto, né quanto, la porta.
La Schieppati guardò ai piedi della seggiola la gran pigna di biancheria che aveva lasciato li da aggiustare e, secca e decisa come sempre, si sedette, infilò gli occhiali e cominciò a prender la prima maglietta, a farla passare di qua e di là per veder da che parte fosse meglio iniziarne il rammendo.
Benché, salvo la Redenta che a supporlo era arrivata assai presto, nessuno nel fabbricone osasse pensare che lei, madre dedita alle cure della famiglia, potesse farlo, in verità, di tanto in tanto, la povera donna si lasciava [...]

[...]di giorno... ».
« Giá, perché il suo Luciano bazzicherà invece le case dei re e dei principi! ».
Adesso il colloquia di poco prima tornava alla mente della Schieppati così, a pezzi, e non per dimostrarle quanta ragione avesse avuto nel pensar che, a iniziare il figlio su quella strada, fosse stato il Cornini, quanto l'abiezione cui il figlio era giunto. Diciassette anni, diciassette appena compiuti e già così!
Tuttavia, arrivata a quel punto, cosa poteva fare?
Toglierlo da quella strada, se il destino pareva far apposta a non permettergli di trovar un posto che era un posto? E poi; quando uno ha lazzaronato o s'è arrangiato in quella maniera o addirittura ha trovato, come era chiaro che il figlio aveva trovato, una tal fonte di guadagno, in che modo convincerlo a voltar indietro le maniche e a lavorare ?
Mentre l'ago passava e ripassava, ora di qua, ora di lá, lungo la trama della maglia più gialliccia che bianca, in modo che il buco apertosi nella parte più bassa restasse chiuso il più tempo possibile, la Schieppati si chiedeva come[...]

[...]ché per il resto...
Ed ora, eccoli lá, buttati giù tutti e sei, a dormire: quattro
IL FABBRICONE 101
nella prima stanza, con un posto vuoto; vuoto perché, naturalmente, il Sandrino non era ancor tornato... No, era meglio, meglio che non pensasse dove e con chi adesso si trovava, perché se si fosse lasciata andare a quei pensieri... Quel giorno poi, col temporale che c'era stato!
« Figurati Edvige se avrei il coraggio di venir qui a dirti una cosa come questa, quando non ne fossi più che sicuro! L'ho visto io, coi miei occhi, intanto che facevo l'ultima consegna. Era ai Boschetti... L'ho riconosciuto dalla maglia, poi l'ho visto anche in faccia; allora per non farmi vedere mi son nascosto dietro una pianta, han continuato a parlar tra di loro per un po', poi son saliti sulla macchina; dalla targa pareva di Como; e lui, il porco, uno sui cinquanta... ».
La miseria, ecco cos'era la vera causa, la vera colpa di tutto. La miseria e la fame, da una parte; e il niente da fare, i soldi e i vizi, dall'altra!
Sarebbe stato necessario prenderl[...]

[...]arle quella proposta non doveva essergli costato davvero molto. E magari fosse stato lui, a fargliela! No, lei era sicura e strasicura che il fratello, da solo, quell'argomento non l'avrebbe mai e poi mai sfiorato; doveva esser stata la sarta. Figurarsi! Lei la conosceva bene quella specie di mezz'ebrea là, che in tanti anni in cui era
102 GIOVANNI TESTORI
stata l'amica del fratello, non s'era mai degnata di fargli un regalo che era un regalo. Cosa c'era dentro prendergli una camicia, un golf, una cravatta? Niente di niente. Mentre lui, non passava festa che non si preoccupasse di prenderle e mandarle qualcosa di sempre diverso e particolare. Questo, a parte il conquibus nudo e crudo che, di tanto in tanto, doveva lasciarle sul tavolo. Affari suoi; e, per quelle cose li, una volta che contento era lui, contenti eran poi tutti.
Ma l'offesa di sentirsi dire che, per tirar insieme quanto occorreva all'affitto e al riscaldamento, lei poteva anche andar lá, ad aiutar due o tre ore al giorno, la sua bella Margherita o se no, farsi dar da lei dei lavori che poteva poi confezionar li, in casa; quell'offesa come mandarla giù?
Idea della sarta anche quella; poteva giurarlo. Si, ma allora, avrebbero avuto u[...]

[...]orio, giusto
come se tra lui e il fratello l'ordine degli anni si fosse scambiato.
« E con chi sei tornato ? Si può sapere almeno quello? ».
« Col presidente » .
« Di pure, con quel maiale del Morini ».
« Ah, la metti così? — ribatté l'Antonio, poi prendendo la va
ligia e muovendosi per passar in camera, aggiunse con una voce
più stanca che irritata — Buonanotte ».
« Antonio — fece il Carlo — Senti, Antonio... ».
104 GIOVANNI TESTORI
« Cosa devo sentire ? Lo sai bene anche tu che da un po' di
tempo in qua non andiamo più d'accordo... ».
« Certo, fin che continui a frequentar della gente come i tuoi
compagni di palestra e i loro capi! Ma tu ti dimentichi chi sei,
da che famiglia vieni fuori e che idee hanno tuo padre, tua madre
e tua sorella ».
« Non mi dimentico di niente ».
« No ? E allora spiegami perché non ti fai più vedere al Cir
cola... ».
« Perché ho altro da fare ».
« Lo vedi? ».
« Ma cosa vuoi che veda! E poi, senti, la fai tu la vita che vuoi?
SI? E io faccio quella che voglio io. Non sarà anche la tua, una[...]

[...]bene anche tu che da un po' di
tempo in qua non andiamo più d'accordo... ».
« Certo, fin che continui a frequentar della gente come i tuoi
compagni di palestra e i loro capi! Ma tu ti dimentichi chi sei,
da che famiglia vieni fuori e che idee hanno tuo padre, tua madre
e tua sorella ».
« Non mi dimentico di niente ».
« No ? E allora spiegami perché non ti fai più vedere al Cir
cola... ».
« Perché ho altro da fare ».
« Lo vedi? ».
« Ma cosa vuoi che veda! E poi, senti, la fai tu la vita che vuoi?
SI? E io faccio quella che voglio io. Non sarà anche la tua, una
libertà come quella dei preti ».
«
Antonio! » — fece il Carlo alzando di colpo la voce.
« Ascolta, va'; lasciamo dormire chi dorme e andiamocene a letto anche noi; che se proprio vuoi, di questa faccenda potremo parlar con più comodo un'altra volta... » .
« No, ne parliamo adesso! ».
« E allora parla. Ma, se é possibile, senza gridare ».
« Ecco; senza gridare » — fece la madre, aprendo di colpo la porta e intervenendo inaspettata ma decisa nella conversazione.
« L[...]

[...] fuori da una famiglia di seminaristi... ».
« Guarda come fai a parlare, Carlo! Perché qualunque siano le tue idee, non ti permetterò mai d'insultar nostra madre... ».
L'Antonio s'era avvicinato al fratello e pareva sovrastarlo con tutto il peso della sua mole.
« Perché se quel che impari sui tuoi giornali, e sulle tue riviste é tutto qui, puoi anche far a meno di leggerle! — aggiunse, restando nella stessa posizione — E poi, faccio forse qualcosa contro te e contro le tue idee? E allora! ».
Il Carlo che per un attimo era sembrato sul punto di smarrirsi, si spostò verso la finestra e invece di rispondere, disse:
IL FABBRICONE 105
« Ma come fai, spiegamelo, come fai a vivere in mezzo a quei maiali? ».
« Necessità di mestiere — ribatté l'Antonio con molta sicurezza; quindi, aggiunse — Del resto le mie idee tu le sai; la vita è una sola e convien passarla il meglio possibile... ».
« E allora, giù corruzioni, giù tradimenti! ».
« Ma chi corrompe ? Chi tradisce ? ».
« Voglio sperare che saprai cosa dicono intorno di quel porco del tu[...]

[...] si spostò verso la finestra e invece di rispondere, disse:
IL FABBRICONE 105
« Ma come fai, spiegamelo, come fai a vivere in mezzo a quei maiali? ».
« Necessità di mestiere — ribatté l'Antonio con molta sicurezza; quindi, aggiunse — Del resto le mie idee tu le sai; la vita è una sola e convien passarla il meglio possibile... ».
« E allora, giù corruzioni, giù tradimenti! ».
« Ma chi corrompe ? Chi tradisce ? ».
« Voglio sperare che saprai cosa dicono intorno di quel porco del tua presidente... ».
« E allora? ».
« Allora, allora! » — ribatté il Carlo.
«E poi — incalzò l'Antonio, senza lasciar respiro — non potrai pretendere che tutti si divertano a strappar manifesti ».
« Antonio! — urlò il Carlo — Con la storia dei manifesti é ora di finirla! Ho detto anche a lei che, se é necessario, son disposto a rifar la stessa cosa per tutta la vita. Perché, io, ricordati, io non sono come te; io alle mie idee e alle idee che m'ha insegnato mio padre ci credo e ci credo fino al sangue! ».
In quel momento sul vuoto della porta che la madre aveva lasciata aperta apparve, per restarvi immobile e dura, la Liberata; più bianca della camicia, gli zigomi tesi e gli occhi fissi, essa guardò per un attimo l'Antonio, poi disse:
« E' vero: fin al sangue ».
Quando, alla fermata di largo Boccioni, il Sandrino scese dal tram, l'una e mezza era già passata e il fetore che veniva dal Pero, mescolandosi all'umidità, aveva reso l'aria[...]

[...]nesta, a quest'ora, è a letto che dorme... »
— disse per finir di spiegarsi.
«
Allora? — aggiunse, una volta che gli fu arrivata talmente vicino da poterne sentir il respiro e col respiro tutto l'odor di bagnato che aveva addosso. — Ma guarda che faccia hai, guarda! »
— aggiunse contro la sua stessa volontà, presa, come fu, dall'aria distrutta e dagli occhi incavati del ragazzo — Se vai avanti così finirai tisico in qualche sanatorio ».
«Ma cosa vuoi che finisca tisico! » — ribatté il Sandrino, alzando le spalle.
« Dunque vuoi dirmi dove e con chi sei stato? Perché appena ne so uno, di nomi, quei maiali li denuncio e faccio metter dentro tutti! ».
« Ma che nomi vuoi che faccia! » — disse per tutta risposta il Sandrino.
« Sembra impossibile che un figlio possa sentirsi far da sua madre delle accuse così e non disperarsi, non piangere; — adesso la Schieppati parlava con voce soffocata si dal bisogno di non farsi
IL FABBRICONE 107
sentire, ma piena poi di dolore e d'indignazione — Perché ormai
lo so con precisione; ti posso dir tu[...]

[...]esso la Schieppati parlava con voce soffocata si dal bisogno di non farsi
IL FABBRICONE 107
sentire, ma piena poi di dolore e d'indignazione — Perché ormai
lo so con precisione; ti posso dir tutto, guarda; e te lo posso dire
per filo e per segno... »
« E allora, dillo ».
« Non far così, Sandrino, non far così con tua madre... »
« Dillo, su, sentiamo, sentiamo cos'è che hai saputo... »
« Ieri, uno dei tuoi zii... »
« Uno dei miei zii ? E cosa vuoi che m'importi, a me, dei
miei zii? »
« Uno dei tuoi zii, lo zio Mario, ecco, lui, ieri, verso sera... »
« Verso sera? »
« T'ha visto... »
« M'ha vista? E dove? »
« Ai Boschetti... »
« Ai Boschetti ?... »
« Si, ai Boschetti, intanto che combinavi con un tale... »
« Ma non farmi ridere! »
« Ah, ti faccio ridere! E allora ascolta: fuori dal coso lá...
Mi fa schifo a dirlo, schifo! Be', fuori di lá, sei poi salito con quel
delinquente sulla sua macchina... Ti basta? Era una macchina
targata Como. E' o non è la veritá? » — giunta a quel punto la
madre che, nel fare quella dichia[...]

[...]dere! E allora ascolta: fuori dal coso lá...
Mi fa schifo a dirlo, schifo! Be', fuori di lá, sei poi salito con quel
delinquente sulla sua macchina... Ti basta? Era una macchina
targata Como. E' o non è la veritá? » — giunta a quel punto la
madre che, nel fare quella dichiarazione aveva sentito d'arrischiar,
forse per sempre, l'affetto del figlio, fissò a lungo il Sandrino come
per impedirgli ogni scappatoia.
« E se anche fosse la veritá, cosa vorresti dire? »
« Che mi fai schifo e che se non la pianti, la vedi li, la porta ?
Prendi, esci e qui, insieme a noi, non tornare piú, ma proprio piú.
Perché se tu vuoi andar alla rovina, va be', vacci; ma io ho gli altri
sei da salvare. Capito? Gli altri sei! »
A quel punto il colloquio ebbe una lunga pausa, in cui la donna
cominciò a tremare e a stringere e torcer le dita una sull'altra:
« Ma cos'ho fatto di male io, per aver un figlio come te? Cos'ho
fatto? ».
« Domandaglielo a lui. Non ti vien più in mente quel che
m'hai gridato dietro due o tre mesi fa? 'Io, soldi da dare a te[...]



da Quinto Martini, Memorie in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 3 - 1 - numero 1

Brano: [...]i » che rinforzavano la dose. So di "un povero uomo che, in seguito a queste bastonate, pochi giorni dopo ci rimise la pelle.
Ma il fatto piú pietoso e più inumano fu l'uccisione di un povero vecchio. Alcuni fascisti bussarono alla porta della sua casa sparando dei colpi di fucile per intimorire e chiedendo di suo figlio. Il vecchio rispose facendosi vicino alla finestra chiusa che suo figlio non c'era, e che era solo in casa. Il figlio, saputo cosa stava succedendo, s'era guardato bene dal rientrare. Quelli della strada insistevano perché si mostrasse alla finestra con la promessa che nessuno gli avrebbe tolto un capello. Il vecchio credé alla parola: acri, si affacciò, e una scarica infernale gli crivellò la testa e il petto. Cadde riverso vicino al suo letto, in una pozza di sangue e subito mori. Appena si fece giorno, delle donne che abitavano di fronte a lui misero una scala alla finestra aperta, salirono in camera, pensarono a sistemare il cadavere e a fargli il funerale. C'era il terrore nell'aria in quei paesi: ad accompagnare il[...]

[...]
« Va bene per la roba, per questi quattro piatti » e portando il suo muso vicino al volto della mamma « vostro figlio la pagherà cara ».
Mia madre con la sua calma di sempre ma con voce più decisa di prima, rispose:
« Mio figlio non ha nulla da pagare. Mio figlio non ha fatto nulla di male e non capisco il perché di tutto quello che sta succedendo ».
« Non capite, vero? Capirete, capirete... ».
« Mio figlio non ha fatto nulla di male, ecco cosa capisco io ».
« Vostro figlio è un delinquente, . è un comunista! ».
« No, mio figlio non è un delinquente, mio figlio non ha fatto del male a nessuno, di questo ne sono certa. Una madre certe cose le sente, specialmente una madre che ama i propri figli ». Le ultime parole le disse con più lentezza come per sottolineare la frase. Un uomo scese le scale accompagnato dai suoi fidi, carabinieri e borghesi. Il Marchese, facendoglisi incontro, disse:

MEMORIE 125

«Ebbene, nulla? ».
« Nulla. Abbiamo frugato in tutti i buchi ».
«Andiamo, non c'é tempo da perdere ». E r[...]

[...] « Ci rivedremo presto ».
Mi feci sulla porta; la mamma mi venne vicino e passandomi la mano sul viso, mi disse:
« Stai calmo, se ne andranno ».
Si riunirono tutti nell'aia, e agli ordini del marchese partirono. Dopo un po' corsi a rimettere la scala al fienile, come un gatto salii
a togliere il fieno che avevo messo sopra al babbo quando s'era disteso
vicino ad un finestrone con la testa accanto ad un foro dei mattoni. «Cosa hanno fatto?» mi disse appena l'ebbi scoperto.
« Nulla, babbo, se ne sono andati ».
Stringendomi a sé mi disse:
Sai, io vedevo delle persone aggirarsi tra le viti nella vigna del Gacidella. Avevano il fucile e alcuni la rivoltella in mano. Ho riconosciuto il figlio di Olinto che sta su al Comune ». E togliendosi il fieno di dentro il colletto della camicia, sputò e aggiunse:
« Brutta carogna, figlio d'un cane! » e portandosi vicino al finestrone scoperto che dl a mezzogiorno disse:
« Vedi, Aldo dovrebbe essere lassù, su quel monte, nella capanna del pastore, e se qual[...]

[...]ettimana. Lo feci passare in casa, si mise a sedere, vicino alla tavola, la mamma gli portò un piatto con la minestra, babbo gli parti una fetta di pane e Andrea gli porse un bicchiere pieno di vino. Mia madre gli disse:
« Da dove venite, Geppo? ».
« Stamane non ho girato molto. Con tutto quello che é successo e che c'è nell'aria preferisco andare a bussare alle case dei contadini per la campagna; nei paesi c'é un'aria poco respirabile ».
«Ma cosa volete aver paura, Geppo, siete vecchio e non avete mai fatto né male né bene a nessuno e così siete sempre a posto, voi ». Rispose Remo con aria ironica:
ei Si, é vero quello che dici. Stamani lassù alle case del Baranti ho visto picchiare un vecchio a sangue. L'hanno bastonato come fosse una ciuca carogna. Poi l'hanno lasciato li a lamentarsi fra il sangue e la terra. Sembra che sia morto. Così ho sentito dire ma non c'é da credere a tutto quello che si dice; sentono dire: `il tale l'hanno cazzottato'; un altro lo racconta e dice: `poveretto, sta male'. Un altro ancora dirà: `Sai, Tizio é [...]

[...]o bastonato come fosse una ciuca carogna. Poi l'hanno lasciato li a lamentarsi fra il sangue e la terra. Sembra che sia morto. Così ho sentito dire ma non c'é da credere a tutto quello che si dice; sentono dire: `il tale l'hanno cazzottato'; un altro lo racconta e dice: `poveretto, sta male'. Un altro ancora dirà: `Sai, Tizio é morto' ». E scuotendo la testa prese le ultime cucchiaiate di minestra alzando con la sinistra il piatto da un lato.
« Cosa aveva fatto quel vecchio? » gli chiese il babbo.
« Nulla ».
«Come nulla? E per nulla...».
« Una donna mi ha detto: c'era un giovane nei campi che scappava tra le viti, passando vicino al vecchio, un gruppetto di uomini si sono avvicinati e tutti insieme gli hanno chiesto:
«Chi era quello che scappava? Dov'è andato? ».
« Io non ho visto nulla ».
«Dov'è andato? ».
« Non so nulla io ».
Uno del gruppo alzando un bastone ha gridato:
« Vecchio maligno, ti faremo parlar noi », e giù a bastonarlo.
128 QUINTO MARTINI
« Povero vecchio » disse la mamma chinando la testa e infilandosi le dita [...]

[...]rto le foglie di cavolo per i conigli...
Non faceva molto caldo, ma prima di arrivare alla fonte mi sentii
la gola asciutta, appena giunto bevvi a lungo, e ripresi a camminare
lesto lesto per la strada del bosco.
Prima di arrivare al leccio incontrai mio fratello. Sono tanto sor
preso di trovarlo per la strada che non sono capace di far parola. Lui
invece, mi abbraccia e dice:
«Bravo Libero, sei veramente un uomo» e prendendo il sacco:
« Cosa c'è qui dentro? » Mi guardai attorno e dissi:
«Entriamo nel bosco...» Lui sorrise, mi prese per mano, ci inerpi
cammo in mezzo al castagneto e ai quercioli. Quando fummo abba
stanza dentro e lontano dalla strada, gli dissi piano piano:
«Sai, Aldo, nel sacco c'è da mangiare e vestire. E babbo che mi
manda ».
Sciolse il sacco e mentre lui frugava con le mani, io dissi ancora:
« Se tu resterai quassù, verrò spesso a portarti pane, carne e da
vestire... ».
Mi prese con le mani alla vita e alzandomi come se fossi stato una
piuma mi disse:
«Bravo Libero» e subito mi mise a sedere vicino [...]

[...]i, sempre acqua in bocca... ».
«Neppure al prete, se andrai a confessarti? ».
« Io non vado a confessarmi, tu lo sai ».
« Lo so. Ma ho detto così per dirti che nessuno deve saperlo ».
« Stai tranquillo. Mi farei ammazzare, ma non direi nulla ».
« Bene così. Sei un vero uomo. Ora raccontami cos'è successo giù
in paese stamani. Ho visto del fumo; penso avranno incendiato cir
colo dei lavoratori ». Il suo sguardo si fece triste, cercando qualcosa
giù nella pianura.
130 QUINTO MARTINI
Raccontai tutto, quello che avevo visto coi miei occhi, e udito con i miei orecchi. Finito il racconto mi mise sulle sue ginocchia, mi strinse forte, sentii male ma non gridai, e ridendo mi disse:
« Bravo, sono fiero di te... » e me lo disse con quel suo modo scherzoso che aveva anche quando parlava di cose serie.
« Mi vuoi a dormire con te questa notte? Posso farti anche la guardia, ad un ragazzo nessuno spara ». Lo pregai molto, gli dissi che sarei restato con lui la notte e alle prime luci dell'alba sarei ritornato a casa. Ma lui mi guardò scuro e[...]

[...] la guardia, ad un ragazzo nessuno spara ». Lo pregai molto, gli dissi che sarei restato con lui la notte e alle prime luci dell'alba sarei ritornato a casa. Ma lui mi guardò scuro e disse:
«Devi andare subito a casa: sarebbe pericoloso se ti vedessero tornare quassù. E poi... andrò via presto di qui. Non bisogna restare molto in un posto, verrebbero a saperlo e allora... ».
« Allora fammi restare con te fino a buio ».
«Non é possibile; pensa cosa si metterebbe in testa la mamma se non ti vedesse tornare appena si fa scuro, e poi guarda lassù ». E con l'indice m'indicò delle grosse nuvole color piombo che salivano dietro alla collina di fronte. Io guardai, spostando una frasca che mi stava davanti e dissi:
« Quelle non sono nuvole che portino la pioggia ».
«Quelle sono proprio nuvole che portano la pioggia, lo vedo al colore, e se non fai presto a partire ti bagnerai come un pesce... e ti prenderai un malanno ».
Ci alzammo: mi abbracciò, lo abbracciai anch'io. Poi mi disse:
« Di' al babbo che vi farò sapere io quando tu dovrai torn[...]

[...]dietro il Monte Albano. Le poche nuvole erano sparite .e il cielo era tornato tutto pulito. Davanti alla porta di casa la mamma ed altre donne stavano chi facendo la treccia, chi cucendo cappelli di pa
MEMORIE 131
glia. Mia madre vedendomi arrivare si alzò e passò in cucina, io la seguii; entrato che fui chiuse la porta e disse:
« Com'è andata? L'hai trovato? ».
« Sì, l'ho incontrato nel bosco mentre salivo per la strada tra i castagni ».
« Cosa ti ha detto? Ti ha chiesto cos'era successo stamani ? ».
« Si, si, gli ho raccontato tutto. Tutto quello che ho vista ed ho sentito. Mi ha detto che siete stata veramente ammirevole. Non vede l'ora di riabbracciarvi per quello che ;vete fatto ».
« Resterà ancora molto lassù? ».
« Non mi ha detto nulla ».
« Nulla? ».
« Mi ha detto solo che non conviene restare molto tempo sempre nello stesso posto; può esser pericoloso ».
« È vero, questo. Qualcuno potrebbe vedere e poi fare la spia ».
« Ha detto di stare tranquilli. Quando cambierà 'albergo', ci manderà un biglietto per Diego, lo scalp[...]

[...]a porta del pianerottolo si fece il segno della
croce, un borghese la vide e le sputò in faccia dicendo:
Prendi, per te e la tua croce...! ».
Lei si fece di nuovo il segno della croce, l'uomo la guardò senza
sputare, le passò davanti e scese la scala.
MEMORIE 133
Altri carabinieri interrogarono i miei fratelli e il babbo. Io pensavo ad Aldo. Mentre scendevano tutti insieme le scale, sentii uno che disse:
« Qui per venire a capo di qualche cosa bisognerebbe arrestar tutti, portarli in caserma e bastonarli a sangue; stetti con le orecchie tese e il cuore sospeso finché non sentii mia madre chiudere la porta e risalire le scale. Sentii mio padre parlare con gli altri figli e il passo pesante e sordo dei carabinieri che si allontanavano nell'aia. Poi un fischio, ancora un fischio più lontano dalla parte del cimitero. Il cane seguitò ad abbaiare ancora un po'. Parlammo dell'accaduto, poi tornò il silenzio fuori e nella nostra casa. Più tardi sentivo uno dei miei fratelli russare e la mamma nell'altra camera che pregava a bassa voce. Mi [...]

[...] del campano mi sembrava sulla mia casa e in certi momenti credevo di sentire anche il tic tac dei secondi.
Dopo qualche ora udii dei tuoni, il vento che soffiava dentro il camino e poi uno scroscio di pioggia che batteva sul tetto con violenza. La mamma che si era addormentata da poco si svegliò. Io scesi il letto piano piano, andai dal babbo. Anche lui s'era svegliato. Quando mi sentì avvicinare al suo capezzale, accese la luce e mi disse:
« Cosa fai? Che c'è? ».
« Nulla, nulla babbo ».
« Ma... come nulla? ».
Si alzò seduto sul letto e allungando un braccio mi prese per il collo tirandomi a sé e disse:
« Hai paura della pioggia? ».
« No. Non ho paura. Ma... ».
« Ma cosa? ».
« Vorrei sapere `se nella capanna ove c'é Aldo ci pioverà ».
Stai tranquillo, é coperta con tegole ed embrici, i muri son fatti di sassi e calcina come una casa. Non é una capanna come quella di Cecchino, fatta con paglia e pali ».
« È vero quello che mi dici? ».
« Certo che é vero ».
134 QUINTO MARTINI
«Non dici così perché io stia tranquillo? ».
« No, no, è vero quello che ti dico, vai a dormire e stai tranquillo ».
Tornai a letto, la pioggia seguitava a cadere a catinelle, il vento anche soffiava sempre forte. Il cane si lamentava. Sentii battere le quattro, poi mi addormentai.[...]

[...]pagni erano già scesi nella strada. Noi guardammo le due morti cancellate ma ancora visibili, in quelle macchie grigio sporco. C'era sopra come un velo che a me dava la sensazione più angosciosa, Scendemmo le scale. Il mio amico mi disse:
« Non lo dire a nessuno, se vengono a saperlo i fascisti, arrestano il mio babbo ».
«Stai tranquillo, nessuno saprà nulla ». Ci unimmo agli altri ragazzi e corremmo a scuola.
In classe tutti raccontavano qualcosa di quello che avevan visto. Io ascoltavo sempre in silenzio e durante tutta la mattina non feci nessun accenno a quanto era accaduto alla mia famiglia e cosa avevo . visto. Un ragazzo raccontò com'era avvenuto l'arresto di suo padre.
« Si, Signora Maestra, sono venuti di notte a prenderlo, erano molti e tutti con armi e bastoni. L'hanno picchiato in presenza mia e della mamma. Quando la mamma vide il sangue venir fuori dalla testa del babbo svenne e cadde sul divano. Il babbo gridava: «Non mi picchiate così in presenza della moglie e del ragazzo, portatemi via... ». Uno di loro gli rispose: «Stai zitto, figlio d'un cane! E bene che tua moglie e tuo figlio vedano ». Poi lo caricarono sul camion insieme a molti altri. Stamani presto li hanno portat[...]

[...]e stavano tre donne. Al nostro passaggio la padrona di casa con la sua voce acida, disse piano alle altre due:
« Vedete com'è triste la Marta, non fa più quell'aria fiera di sempre... ».
Non capii le altre parole; guardai la faccia della mamma che non cambiò espressione e non potei capire se aveva udito o no quelle parole dette con tono sommesso e compiaciuto. Da quel giorno non ho più salutato quella donna. Non posso perdonare a chi fa minima cosa sgradevole a mia madre.
I carabinieri cessarono di vigilare la mia casa. Io non sapevo dove fosse Aldo, e quando lo chiedevo mi si rispondeva:
«Non si sa dove sia andatoa vivere. Nessuno lo sa ».
Era vero? Oppure non mi credevano capace di tenere un segreto? Non potevo pensare a questa sfiducia da parte loro verso di me, e credevo a quanto mi si diceva. Ma mi sentivo umiliato e preso da un forte desiderio di essere uomo. Una mattina invece di andare a scuola, arrivato al ponte, nascosi la cartella nel più folto della macchia e, in parte
138
QUINTO MARTINI

di corsa, in parte a pa[...]

[...] chiedere soldi alla mamma non ne avevo il coraggio, e allora rubavo. La maestra spesso mi diceva: «Scrivi più piccolo, per te ci vorrebbe una cartoleria; manderai i tuoi genitori in miseria ».
Una sera mentre stavamo cenando con la porta mezz'aperta entrò mio fratello e con la calma abituale disse: « Buona sera » e si mise a sedere vicino alla mamma. Andrea usci fuori a far la guardia. Aldo non ci fece nessuna domanda e noi nessun accenno alla cosa. Fu parlato un po' di tutto quello che riguardava la casa e il podere e che gli ultimi giorni di sole erano una manna per la campagna. La mamma non toglieva gli occhi di dosso a suo figlio. Ogni occhiata era una domanda, io guardavo Aldo per indovinarne la risposta. Guardandoci tutti, con un'occhiata piena di sottintesi, disse:
« Questa notte resterò a dormire qui. Non credo ci sarà pericolo, già molte notti che non vengono, e sarebbe scarogna se proprio questa notte mi beccassero ». Voltandosi verso me, disse:
« Libero, tu vieni con me ». Si alzò, spostò la sedia, io lo imitai nel gesto.
[...]

[...]ere sul lavoro ».
« Ma dove lavora? ».
« Non lo so preciso. Credo verso Montemurlo ».
« Dov'è Montemurlo? ».
Prendendo il lenzuolo e la coperta che tenevo fino alle spalle, e buttandola sopra il ferro a pie' del letto disse:
« Su, su alzati, e non fare altre domande ».
Mi alzai, e andai a sedermi sul muro dell'aia, il cane mi venne vicino, gli passavo la mano sulla schiena, lui rizzava la coda e la muoveva in segno di amicizia. Era l'unica cosa che in quella mattina mi desse piacere e non mi facesse sentire tanto solo.
Era di giugno. Nelle nostre camere basse e coperte col solo tetto, entrava presto il caldo. Anche durante le prime ore della ,natte c'era caldo. La mamma stava come sempre a pregare alla finestra. Non c'era la luna; il cielo mi ricordava quegli scenari che mettono di sfondo ai presepi. Il cane fece l'abbaio del lupo: quando i cani abbaiano così c'è chi crede portino disgrazia. lo non ho mai sentito nulla di più straziante, nessun lamento umano é più spaventoso di questo ululato. E una cosa che intristisce l'animo e r[...]

[...] e coperte col solo tetto, entrava presto il caldo. Anche durante le prime ore della ,natte c'era caldo. La mamma stava come sempre a pregare alla finestra. Non c'era la luna; il cielo mi ricordava quegli scenari che mettono di sfondo ai presepi. Il cane fece l'abbaio del lupo: quando i cani abbaiano così c'è chi crede portino disgrazia. lo non ho mai sentito nulla di più straziante, nessun lamento umano é più spaventoso di questo ululato. E una cosa che intristisce l'animo e risecchisce il cuore in un attimo. C'è da supporre che sia veramente l'annuncio di una forte sciagura. Mia madre si voltò verso di me e disse:
«Domani ci sari una brutta notizia ». Si appoggiò con i gomiti sul davanzale della finestra e aggiunse:
« Il cane continua a far l'abbaio del lupo ».
« Ma perché credete che porti disgrazia? Non bisogna credere a tutto quello che si dice ».
«Si, é. vero, Libero, non bisogna credere a tutto quello che si dice;
MEMORIE 141
ricordi quando mia sorella, tua zia Elvira, s'impiccò al trave della sua camera? quella mattina il ca[...]

[...]ssa alle prigioni della città vicina. Un po' di calma stava ritornando, e nei paesi non accadevano piú cose bestiali come nei primi tempi, al sorgere del fascismo.
«Quando si accorgeranno che non ha fatto nulla di male lo rilasceranno in libertà » diceva mia madre mentre ad ognuno di noi versava la minestra col rimaiolo bianco e bleu nei nostri piatti. Remo, sempre diffidente e taciturno, disse:
« Si, va bene, non ha fatto nulla di male. Ma la cosa migliore era quella di non farsi prendere. Quando uno é in prigione...».
« Ma in prigione ci tengono chi ha commesso qualcosa contro la legge, e non si può rovinare la vita di un uomo giovane come Aldo per nulla ».
Mentre parlavo tutti mi guardavano. Remo rispose:
« Tu sei troppg giovane e vivi con la testa nelle nuvole. Quando uno l'hanno messo dentro, chi va a levarlo? ».
I1 babbo interruppe dicendo:
« Ci sarà una giustizia; se uno é innocente, perché punirlo? ».
« È la politica che c'é di mezzo e chi comanda ha sempre ragione; quello che tiene il mestolo in mano, razzola come vuole ».
La mamma sedendosi:
« $ vero, gli uomini non sono sempre giusti con gli uomini. La vera giustizia é quella divina. Solo Dio[...]

[...]n senso funebre ai fogli di carta. Non scriveva gran che; chiedeva che gli si mandasse un paio di volte alla settimana della roba da mangiare per aggiungerla a quella che passava il carcere, e della biancheria pulita, cjhe lui avrebbe rimandata quella sporca. Scriveva di farci coraggio e che presto tutto sarebbe finito. Queste notizie rianimarono un po' tutti. Ma quelle righe nere nascondevano delle parole che avremmo
MEMORIE 145
voluto sapere cosa dicevano. Si cercò di leggerla contro luce ma non fu possibile capire una sillaba. Remo, prendendomi la lettera, disse: «Brutti maiali, non vogliono neppure che uno scriva quello che gli pare...! ».
Più tardi un'altra lettera ci informava che si poteva andare a trovarlo. I primi ad andare al parlatorio furono il babbo e la mamma. Trovarono che stava bene ed era molto tranquillo e di buon umore com'era stato sempre. La nostra vita divenne meno grigia. Il fatto di recarsi tutte le settimane a fargli visita era come si sentisse ancora far parte materialmente della nostra famiglia. Quando mamma [...]

[...]m'era stato sempre. La nostra vita divenne meno grigia. Il fatto di recarsi tutte le settimane a fargli visita era come si sentisse ancora far parte materialmente della nostra famiglia. Quando mamma preparava, la sera, il cibo e la biancheria da mandargli la toccavo leggermente. Una volta volevo fare un nodo ad un fazzoletto; la mamma mi disse:
« Nan lo fare, potrebbero crederlo un segnale speciale ed Aldo verrebbe punito ».
Io non comprendevo cosa ci potesse essere di tanto brutto e misterioso in un nodo di un fazzoletto. Più tardi ho capito che anche con un fazzoletto annodato si possono dire malte cose e soprattutto a un carcerato.
Finita la battitura fui mandato a passare qualche mese dallo zio in un paese del comune di Vinci. Andai con un mio cugino che . si recava a prender le fastella di scope in un bosco vicino alla sua casa. Fui accolto con gran festa dai miei zii come se fossi stato un loro figlio che da molto tempo non vedevano. Aiutavo lo zio nelle sue faccende e mi piaceva star con lui. Mi declamava interi canti dell'Orlan[...]

[...]re i passi più grassocci. Questo avveniva quando in bottega non c'era sua moglie. Una sera un uomo molto giovane si fece cantare una strofa delle più piccanti per poi ripeterla alla giovane sposa. Quando lo zio poteva cantare liberamente in compagnia di uomini era preso da una specie di insolita frenesia. Un giorno dopo pranzo sentii la zia gridare:
« Canti sempre le stesse cose, ci farai una pazzia ».
«Fai la treccia e rigoverna i piatti, tu. Cosa vuoi sapere di poesia, non é roba per i tuoi denti bacati ».
« Si, va bene; ma potresti cambiare musica qualche volta. Canti ancora le stesse storie di quando venivi a fare all'amore a casa mia ».
« Quando le cose sono belle si possono cantare anche tutta la vita. Saranno sempre belle! ».
« Convinciti che stai invecchiando e che non sei più giovanetto ».
« Perdio! ti dico fin da questo momento che se muoio prima io voglio che tu stessa mi metta nella cassa, sul mio petto « L'Orlando Furioso », e che anche nell'altra vita io possa cantare. Le donne, i cavalier, l'arme; gli amori, le cortes[...]

[...]cavalleria a Firenze.
MEMORIE 151
Ricardo di aver visto una volta suo marito in divisa e con la spada e sentii subito una forte antipatia. La zia considerava suo marito un po' come un ragazzo che ha delle manie e col quale non bisogna esser troppo severi. Una mattina fece uno scherzo un po' azzardato ad una donna li in bottega alla presenza di altre persone. Un vecchietto disse a Giulia che stava a banco a servire i clienti:
«Avete visto, eh, cosa fa Marco? ».
E lei, tagliando il pane e senza scomporsi:
« Raba da vecchi, faccia pure quello che vuole, basta che non me le porti in casa. Se lo trovo con qualche donna in queste stanze, bastono lui e lei ».
Lo zio stava travasando i fagioli da una bigoncia all'altra. La donna che prima era stata oggetto dello scherzo disse:
« Attenzione Marco, vostra moglie ha delle brutte idee ».
« Già, ho sentito, starò con l'occhio alla penna per non farmi pescare. Se no, addio schiena... ».
La zia, porgendo l'involto del pane:
« Se fossi stato un uomo, avrei saputo anch'io come fare. Ci sono tant[...]

[...] Com'è ingiusto questo mondo. Resta da me... Canteremo insieme. Quest'inverno, vicino al fuoco, t'insegnerò a cantare, resta da me, Libero ».
Mia madre lo guardò e disse:
«Non invitare la lepre a correre ».
Anche la zia pregò la mamma di farmi restare.
«Sai, Marta, comincio a considerarlo un mio figliolo, e tu ora me lo porti via».
« Grazie, Giulia, ma non può rimanere. Deve lavorare nei campi e Andrea dovrà cercarsi un lavoro in città ».
«Cosa vuoi che faccia in .città? ».
« Ci sono altri che vanno in città a lavorare: vanno nelle fabbriche e alla ferrovia come sterratori. Prima c'era Aldo che guadagnava, ma ora? ».
Lo zio disse a sua sorella:
« Cosa pensi di fargli fare a Libero? ».
«Non lo sappiamo ancora, bisogna vedere come andrà a finire l'affare di Aldo ».
« Cara sorella, quello che deve fare tuo figlio, mio nipote, é segnato dal destino. Lui sarà pittore, un artista. Capisci? Un artista; un grande artista ».
E rivoltosi a me:
« Com'è bello fare il pittore, dipingere un uomo a cavallo lungo una strada in mezzo ai boschi, con in sella una donna e le vesti al vento!...» e fece il gesto con la mano per disegnare il vestito della donna. Mia madre e la zia lo guardavano compiaciute.
«Prima che tu parta voglio che tu mi dipinga un qu[...]

[...]de la vita felice ».
Infilandosi il cappello e lisciandosi la piuma con due dita disse ironicamente :
« Beh, io mi accontenterò di viver sano perché non so di poesia ».
Il vecchio cominciava a star li con le spine ne' piedi, mia madre se ne accorse e ci salutammo. Dopo esserci un po' allontanati, il guardiaboschi gridò:
« Marta, Marta, ma come va Aldo? C'è nulla di nuovo? » e venendoci incontro:
158 QUINTO MARTINI
« Mi sembrava di aver qualcosa da domandarti, e... ».
Mia madre lo mise al corrente di tutto, e riprendemmo il cammino per ridiscendere 'il monte. Drago ci precedeva a breve distanza, ormai conosceva la strada. Si scendeva all'ombra dei castagni e dei pini. Nell'aria c'era quell'odore che mandano le piante dei boschi di sera nei giorni del solleone. Gli uccelli si chiamavano da un albero all'altro; davanti ai nostri occhi la pianura si faceva sempre più grigia, si vedevano ancora le strade bianche di polvere e lungo i fiumi l'azzurrognolo delle canne. In certi punti del bosco si faceva più scuro ed era in quei momenti che[...]



da Mario La Cava, Il grande viaggio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1954 - 5 - 1 - numero 8

Brano: [...] di capelli bianchi sulla fronte, ed egli per questo, tanti anni prima, aveva tentennato prima di sposarla.
Dalla porta di mezzo che introduceva nella camera del letto, dove vi era pure quello della bambina maggiore, mentre la più piccola dormiva ancora coi genitori, entrava la moglie Rosaria : spesso i due coniugi stavano insieme: la loro vita era tranquilla, se non felice, poiché la felicita é difficile su questa terra, e ora parlavano di una cosa ora di un'altra, talvolta, ma per poco, bisticciandosi.
9U MARIO LA CAVA
Diceva Rosaria : « Hai visto che Maria del povero Carmine non può vestirsi di chiaro, dopo tanti anni che teneva il lutto, nemmeno ora che si era sposata? ».
«Perché? Cosa le é successo? ».
« È morta la cognata! E non era quindici giorni che si era sposata! Va nel paese del marito e deve di nuovo vestirsi a nero... ».
« Sempre con questo lutto Maria! Ma chi é che é morto? ».
«Non the l'ho detto? La cognata, la sorella del marito, una ragazza di vent'anni bella come un fiore, che tanti la volevano... ».
«Pazienza! Il Signore non vuole nessuno troppo contento... ».
Compariva un cliente, un manovale del luogo che diceva di dover partire per trovare lavoro, e chiedeva delle scarpe che aveva dato per accomodare. «No, non l'ho ancora fatte! Ho dovuto fare altro [...]

[...], l' `incaramel lata', che deve sposare, farà le vostre... ».
«Quando dunque debbo ritornare? Ditemi una parola definitiva! » chiedeva il cliente.
« Domani vi avevo detto, venite meglio dopodimani, così saremo più sicuri » prometteva Giuseppe; e la moglie, di rincalzo: « State si curo, compare Domenico, che ve le farà ». Il cliente allora se ne andava.
Interveniva di nuovo la moglie e diceva: «Gliele puoi pure accomodare... ».
« Parlare é la cosa più facile — rispondeva Giuseppe —. Se non ho un minuto libero!... ».
«E lui perché non paga come gli altri? » — diceva il ragazzo che
IL GRANDE VIAGGIO 91
sapeva le faccende della bottega —. Giuseppe non rispondeva, mentre era intento al lavoro, e sorrideva appena.
Correndo e tenendosi per mano comparvero le due figliuole, Ernesta, la maggiore, e Lidia che aveva solo tre anni; la più grande aveva sette anni, andava a scuola, e faceva da guida nella casa alla più piccola. Venivano dai nonni e dalle zie che abitavano vicino, quasi di fronte, e avevano fame. La madre diede loro una fetta di[...]

[...]edi che tutti sono come noi che siamo andati troppo per il sottile? » rispondeva Agata.
« A me non me ne importa niente. Che sposino o non sposino é lo stesso. Mi dispiace che ho dovuto correre tutti i campi per trovare questa minestra! » aggiungeva Peppina.
Parlarono allora di nuovo dei fratelli lontani, in Egitto : li avevano sposato tutt'e due, e da molti anni non venivano. Ma si ricordavano dei genitori ai quali ogni mese mandavano qualche cosa. E proprio il giorno prima avevano scritto una lettera.
y
IL GRANDE VIAGGIO 93
« Filippo dice che la moglie é abortita per la terza volta, e così é rimasto senza nemmeno un figlio. Ma dico io che moglie s'é scelta che non sa fare figli? » disse la madre, che si interessava alle cose della famiglia e aveva la mente lucida. Il padre sembrava assente, era tutto occupato a fiutare tabacco.
« Ah! Ah! » rise Rosaria. « Deve essere forse qualche pupa di legno, bella in viso, ma senza pancia... ». Agata fece colla bocca una piccola smorfia di dispetto contro la cognata che non conosceva, mentre P[...]

[...]O LA CAVA
moglie di Filippo — il postino, che raramente passava di là, entrò nella bottega di Giuseppe e gli porse una lettera : era di Filippo, come Giuseppe riconobbe dalla scrittura, ed egli, senza aprirla, occupato a tirare lo spago dalla suola di una scarpa, chiamò la moglie: «Rosaria! Rosaria! Ti ha scritto tuo fratello Filippo ».
Rosaria rientrò dalla stanza da letto, dov'era a riordinare biancheria nella casa, e tutta allegra domandò: «Cosa dice? ».
« Ancora non l'ho letta. Ora la leggo » rispose Giuseppe. La moglie toccò colle dita la busta chiusa e non l'apri: ella non sapeva leggere.
Subito Giuseppe tagliò la busta col trincetto, e sillabando si mise a leggere: i volti di tutt'e due erano pieni di allegria. 11 ragazzo aiutante aveva smesso di lavorare par la curiosità di sentire.
Dopo aver parlato lungamente della malattia della moglie, e come era stato sfortunato, e poi di varie vicende di lavoro, e del fratello che avrebbe scritto la prossima volta, concludeva, passando però ad altro ragionamento: « Perciò ti dico che fa[...]

[...]« Prima vuole che vada io a vedere come si sta; e poi ti manderei l'atto di richiamo perché mi raggiungessi... ».
t~ E lasceremmo tutto ? » disse Rosaria.
« Bah! Poi si vedrà... ». concluse Giuseppe. La moglie rimase pen
f

IL GRANDE VIAGGIO 97
sierosa, mentre il ragazzo incominciò: «In questa settimana partirà zio Carlo per l'America ».
« Certo l'America é più lontana ». disse Giuseppe; ma per Rosaria l'Egitto o l'America era la stessa cosa. Il marito, scherzando ancora, aggiunse : « Non si danno pace che sono senza figli; e vogliono, si vede, avere bambini dello stesso loro sangue per casa... ».
« Quanto godrebbero vedere da vicino le figliuole; le fotografie che abbiamo mandate non sono chiare, non si capisce niente! ».
« Tu, poi, vorresti le fotografie proprio al naturale! » disse Giuseppe; e dovendo finire per quella sera stessa la scarpa che aveva lasciato sulle ginocchia, riprese il lavoro.
Rosaria prese la lettera e, dopo avere indugiato alquanto, disse: « Ora vado dalla mamma ».
« Va » rispose Giuseppe; e infatti Ros[...]

[...]lavoro.
Rosaria prese la lettera e, dopo avere indugiato alquanto, disse: « Ora vado dalla mamma ».
« Va » rispose Giuseppe; e infatti Rosaria uscì dalla porta per andare a dare notizia della lettera ai genitori e alle sorelle; consegnò la lettera ad Agata, che sapeva leggere, e ridendo annunziò: « Pure a noi ci vuole li! ».
« Stanno bene? » domandò il padre, che non aveva capito le parole della figlia.
« Si, stanno bene! » rispose Agata.
« Cosa vuole Filippo ? » domandò la madre.
« Aspettate che vi legga la lettera; vediamo cosa dice », propose Agata; e a voce alta chiamò Peppina ch'era a conversare più in lá, fuori della casa, colla figlia dei Crispini, quella che doveva sposare.
Il contenuto della lettera suscitò uno straordinario entusiamo in Agata. «È la vostra fortuna; e state a pensarvela? » disse.
((Si vede — aggiunse Peppina — che li si sta tanto bene che in coscienza non può fare a meno di non insistere che ci andiate... ».
« Vorrei essere al vostro posto e andarmene da stasera stessa! » dichiarò Agata; e pensava al fatto ch'era rimasta zitella, mentre se fosse andata altrove, avrebbe trovato marito. Che [...]

[...] — aggiunse Peppina — che li si sta tanto bene che in coscienza non può fare a meno di non insistere che ci andiate... ».
« Vorrei essere al vostro posto e andarmene da stasera stessa! » dichiarò Agata; e pensava al fatto ch'era rimasta zitella, mentre se fosse andata altrove, avrebbe trovato marito. Che almeno avesse fortuna la sorella, e da lontano si ricordasse di loro, con due vecchi in casa che avevano bisogno di tante cure, e mandasse qualcosa, come facevano i fratelli!
«Pure tu vorresti lasciarci, figlia mia? » disse soltanto la madre;
98 MARIO LA CAVA
ma le sue parole caddero nel vuoto; esse non furono intese o capite dalle figlie, tentate, dopo quella lettera, dall'idea del viaggio in paesi lontani.
Il padre, invece, non pareva rammaricarsi al pensiero che avrebbe potuto perdere la figlia maggiore: pensava egli, ch'era tanto vecchio, che avrebbe fatto sempre a tempo a rivederla, al ritorno? Disse semplicemente: «Quando io ero giovane, non si facevano tanti viaggi, nessuno si muoveva; dopo, hanno incominciato a partire, hanno[...]

[...] affezionati; ma concluse che per il momento non si sarebbe mosso. Tutti gli diedero addosso, che sbagliava, che non si sapeva regolare.
A casa quella sera stessa non si parlò più dell'Egitto; ma l'indomani Rosaria, svegliatasi, disse non aveva potuto dormire bene, per via di quel pensiero dell'Egitto.
In seguito fecero la lettera di risposta a Filippo: lo ringraziavano, ma per il momento non era il caso di parlare di viaggi; più in là qualche cosa certamente sarebbe maturata.
Agata venne una sera a parlare con Giuseppe. « Ma siete pazzo di trascurare un'occasione come questa? Se Filippo vi invita, si vede che ha le sue ragioni. Avrà trovato un buon posto per voi. Io gliel'ho detto a Rosaria : ti pentirai! » disse la donna.
« Certo bisogna pensare seriamente. Intanto aspettiamo cosa scrivono sia Filippo che Antonio. Di Antonio é parecchio che non abbiamo notizie » rispose Giuseppe.
Arrivarono le lettere dei due cognati, ed entrambe ripetevano la stessa cosa; per i denari del viaggio non occorreva che Giuseppe si preoccupasse; quanto al posto del lavoro Giuseppe o avrebbe continuato a lavorare da calzolaio oppure sarebbe andato con Filippo a lavorare nella costruzione della diga sul Nilo.
Tuttavia Giuseppe per il momento non decise niente; però é strano che la bambina, scrivendo a scuola un tema dato dalla maestra e che riguardava una lettera a un parente lontano, dichiarasse che presto sarebbe partita colla famiglia per andare in Egitto a raggiungere gli zii.
La vecchia madre era contraria : tanto é vero che una volta disse
100 MARIO LA CAVA [...]

[...]dre non aggiunse parola, restando mesta e pensierosa.
I fratelli d'Egitto sempre insistevano; ma chi sembrava potesse dissuadere dal far intraprendere il viaggio al marito, fu commare Carmela dei Crispini, che disse: « Commare Rosaria, per carità! Non fate partire vostro marito, perché vi pentirete! Come mi sono pentita io! E tanti anni che il marito se n'è andato in America, e ora non ho speranza di vederlo piú, senza utile inoltre: perché che cosa è accaduto di bene per me e per i miei figli? ».
Invece il marito di commare Carmela aveva mandato soldi, aveva migliorato la propria posizione, e aveva potuto sposare bene le figlie. Tutte queste cose la donna sembrava avesse dimenticate; e anche Rosaria non le considerava.
« Se poi ve ne andate anche voi, che ci vogliamo tanto bene, come due sorelle, come faremo a vivere lontana una dall'altra? E ora che sposerò l'ultima figliuola non vi dovrei avere a lato per consiglio e aiuto come fu per le altre? ».
«No, che ancora Giuseppe non se n'é andato; né io l'ho seguito! » prometteva Rosaria;[...]

[...] confortare i poveri genitori.
E alfine un marinaio, pochi passi più in là ritorna colla bambina, tenuta in braccio, e piangente. « Eccola, madre! » disse a Rosaria. «Dov'era? Dov'era? »
« Era dietro quel fascio di corde, seduta per terra, mentre piangeva silenziosamente. Doveva sentire le vostre parole, quando la chiamavate, e non rispondeva per paura! ».
«Siano rese grazie a Dio! » disse il padre; mentre Rosaria ancora piangeva, senza saper cosa dire.
«Ora puoi essere tranquilla! » le disse la donna vestita di nero.
« Siano rese grazie a Dio! » ripeteva Giuseppe, esaltato; e avrebbe voluto tenere lui la bambina per mano, non fidandosi più della moglie, se non fosse stato per via delle valigie. « Sta' attenta! » le disse, riprendendo il cammino verso la cabina fissata, e voltandosi ogni momento a guardare.
Ma la povera Rosaria non aveva più la mente che le reggeva; arrive, al luogo stabilito, e non resisté più; si mise per terra, seduta sul sacco, mentre gocciole di sudore le scorrevano sulla faccia pallida. La piccola era ora tran[...]

[...] treno per il Cairo, dove giunsero la sera, ch'era già notte. Soffrirono il caldo lungo il percorso come se fosse ancora l'estate del loro paese, refrigerio trovando solo quando il treno costeggiava di tanto in tanto il Nilo.
« Guarda che fiume! Sembra il mare! » diceva Giuseppe; aggiungendo per scherzo: «Uguale al nostro Buonamico!...» ch'era un torrente che si asciugava quasi d'estate.
« Che c'entra! — rispondeva Rosaria. — Quello é un'altra cosa! ».
«Le campagne a che sono coltivate? » domandava Giuseppe a se stesso, senza sapersi dare una risposta precisa; e poi soggiungeva : «Non sono belle alberate come le nostre! ».
« Quante palme ci sono! » diceva Rosaria.
« Qui non si uscirebbe pazzi di Pasqua per trovare la foglia da benedire! continuava Giuseppe. E poi : Quelle altre debbono essere le piantagioni delle banane, banane saranno! ».
Ma Rosaria badava ora alla piccola Lidia che seduta in grembo
IL GRANDE VIAGGIO 105
alla madre sembrava volesse appisolarsi. La guardava e temeva che le potesse pigliare la febbre. Il suo viso r[...]

[...] chiese.
Alla stazione trovarono per fortuna i fratelli colle mogli che li aspettavano da più ore; essi avevano capito che gli ospiti si erano sbagliati. «Rosaria! » gridò per primo Filippo, ch'era il più espansivo e il più svelto; usci dal cancello dove si trovava e si buttò tra le braccia della sorella. Antonio abbracciava Giuseppe, ridendo, mentre le mogli stavano indietro.
« Io sono Matilde! » disse la moglie di Filippo. « E io Vanda! ». « Cosa si dice in Italia ? » domandò Antonio.
« Eh! al solito » rispose Giuseppe.
« Come sta il padre? E la madre? E Agata? E Peppina ? » domandarono tutti in una volta i fratelli.
Poi Antonio disse a Filippo: « Va' a chiamare una carrozza. Stiamo qui? ».
« E papà come sta ? » domandava Matilde a Rosaria. Questa non capiva bene. Dopo, disse: «Che volete! Ormai é vecchiarello! Non lavora più! ».
« Oh! » rispose Matilde, come se l'avesse sentito per la prima volta. Le due cognate misero in mezzo Rosaria, ch'era la più magra di tutte. 11 suo vestito scuro, con la veste lunga delle donne del popolo[...]

[...]i gli uni sugli altri; Filippo, ch'era il più giovane rideva nei suoi occhi buoni anche quando le labbra non si muovevano al sorriso; Antonio sembrava più freddo e riservato. Entrambi vestivano bene, con abiti grigi, nuovi, mentre l'abito di Giuseppe, se pure nuovo, rivelava in pieno la povertà di chi lo indossava.
«E avete fatto buon viaggio?» domandarono le cognate.
«Non tanto! » rispose Rosaria.
«Non ce ne parlate del viaggio! Vi dire. poi cosa ci é capitato! » esclamò Giuseppe.
ic Che cosa? Che cosa? » chiese Antonio, e per la curiosità il suo viso si rianimava.
Fu raccontato a pezzi e a frammenti il dolore per lo smarrimento della bambina; e poi arrivati a casa, davanti al tavolo dove Matilde offri il tè coi biscotti, fu ancora ripetuta la storia con maggiori chiarimenti. Nell'attenzione con cui António ascoltava, si capiva che era altrettanto buono che il fratello; entrambe le mogli, però, ridevano al fatto, perché non capivano.
Rosaria non fu capace di bere il té : essa non era abituata e le disgustava. Giuseppe invece lo sorbì, con sforzo, assicurando che era ottimo. Ernesta mangiò[...]

[...] Rosaria assenti, non rimanendo però contenta delle parole del marito.
« E allora andiamo — propose Matilde. — Fate il pomodoro, ché io pulisco la carne ».
«Voi come lo fate? Noi lo facciamo così» disse Rosaria, timidamente.
« No, é bene mettere un po' di prosciutto e di origano ».
« Si, si » s'affrettò a rispondere Rosaria.
Giuseppe, in un canto del tavolo, scriveva ai parenti e agli amici. L'onda dei ricordi del suo paese lo commuoveva. « Cosa vuoi che dica ai tuoi? » chiese, serio serio, a Rosaria.
« Che stiamo bene, che li pensiamo, che io sono contenta. Puoi pure dire il fatto della bambina : tanto, ormai é passato... ».
Stava in faccende nella cucina e andava di qua e di là, senza sapersi orientare: temeva di recare disturbo, si confondeva, poiché non era abituata a tante comodità e tante raffinatezze.
« Quando sarete pratica della vita di città, allora vi potrete impiegare pure voi » progettò Matilde.
« Oh no! io non saprò mai imparare! ».
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Entrò, poco dopo, Vanda con un piatto di lenticchie che port[...]

[...]lle bambine e non ce le possiamo dimenticare. Lidia, ti ricordi di zia Agata, e di zia Peppina e del nonno e della nonna? E tu Ernestina mia, vai a scuola? Ti porti bene? Mi scriverai una lettera lunga lunga? ».
Giuseppe notò che di tutti quelli ai quale aveva scritto, o a nome
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suo o della moglie, solo alcuni avevano risposto. Fra gli altri aveva taciuto pure Luigi, il pescatore, col quale sempre era stato tanto amico. Se la cosa avesse potuto succedere quando egli era al paese, si sarebbe offeso. Ma qui veramente, con tante miglia di mare, tutto era diverso, una dolce fantasticheria avvolgeva nella lontananza amici e conoscenti. Sentiva dispiacere, si, Giuseppe a vedersi dimenticato, ma non lo dava a vedere, e di quanti aveva conosciuto, lungamente parlava con Filippo e con Antonio che gliene domandavano.
La vita del paese risorgeva nella sua mente e in quella di coloro che lo ascoltavano, mentre il grammofono nella bella stanza da pranzo di Filippo suonava per conto suo, e i cambiamenti avvenuti erano descritti con[...]

[...]ga più vasta che non era a contatto del pubblico, e la soddisfazione di formare tutto da sé un bel paio di scarpe o di vedere in viso il cliente che doveva servire gli era venuta a mancare.
Né il compenso che ricavava era rilevante in rapporto alla vita che si conduceva : i cognati guadagnavano di più alla diga, e Giuseppe a stento li seguiva nelle spese che occorreva fare per il mantenimento della famiglia nella stessa casa. Se metteva qualche cosa da parte ogni tanto, era perché rifiutava di andarsi a divertire con loro e restava a casa con la moglie.
In quel tempo volentieri s'intratteneva con lei, dopo una giornata ch'era stato fuori, e la piccola Lidia, che non sempre usciva cogli zii, appena lo vedeva, gli si buttava tra le braccia. La sua salute era delicata, brevi febbri di tanto in tanto la colpivano; il padre quasi non si preoccupava, ma come affettuosamente si rivolgeva a lei, sollevandola in alto nelle braccia, come la prediligeva al confronto della maggiore, che godeva tanto a fare la signorina colle zie!
Ernesta sola, si [...]

[...]e, pranzi ed eccessi di ogni genere, che Giuseppe era andato a vedere colla moglie per farsi un'idea, quando, nel laboratorio, presente un lavorante arabo di cui egli non si era accorto, cominciò a scherzare sugli usi del luogo. L'arabo, credendosi beffato, si scagliò infuriato contro Giuseppe e lo prese alla gola. I compagni li divisero; altrimenti Giuseppe, finita la sorpresa, avrebbe potuto pure bucargli le budella col trincetto.
Riferita la cosa ai cognati, costoro risposero : « Sono fetenti; bisogna guardarsi, perché non ragionano, specialmente se toccati nella loro religione.
« Ma io non volevo offendere nessuno! » rispose Giuseppe.
« Non hai dunque capito come sono e che s'infiammano per niente? » ribatté Antonio.
In seguito a ciò Giuseppe si decise di andare a lavorare alla diga, in qualità di aiutante muratore; già era incominciato il forte calore dell'estate, e le sofferenze di Giuseppe, non abituato, erano grandi. E dopo tanti anni di lavoro da calzolaio, una nuova attività si iniziava per lui, di cui le conseguenze il Sign[...]

[...] muratore; già era incominciato il forte calore dell'estate, e le sofferenze di Giuseppe, non abituato, erano grandi. E dopo tanti anni di lavoro da calzolaio, una nuova attività si iniziava per lui, di cui le conseguenze il Signore solo poteva sapere quali sarebbero state.
I guadagni ora erano davvero elevati: con essi era possibile non solo vivere bene nella famiglia e permettersi tutte le comodità, ma mettere pure facilmente da parte qualche cosa. Rosaria mandò ai genitori, al pari dei fratelli, il suo regolare assegno mensile.
La salute di Lidia, al solito, diede da pensare; prima furono febbri viscerali, poi una forma di tifo con febbri alte ed estrema debolezza. Furono giorni amari quelli: la vita della loro più piccola figliuola era in pericolo.
Naturalmente anche gli zii e le zie trepidarono per lei; ma la
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malattia durava a Iungo, spesso vi era agitazione in casa durante la notte. Come pensare che essi non si dovessero infastidire, sia pure lievemente, di tanti disagi?
Alfine Lidia guarì; le caddero tut[...]

[...]ti chiedeva quando ritornassero; diceva che essa ardeva dal desiderio di rivederli, e che oramai le bambine dovevano essere grandi. Non solo un anno, ma due erano passati e il terzo stava per finire. E dunque? Le promesse così si mantenevano?
D'altronde, perché non sarebbero partiti pure Filippo e Antonio colle loro mogli, per una breve permanenza al paese, se proprio non avessero voluto rimanervi per sempre, come ella consigliava?
Ma dire una cosa é più facile che farla e il progettare viaggi più semplice del realizzarli: per quanto Egitto fosse, le necessità della vita imponevano a tutti non poche restrizioni; e una di queste era di non poter correre di tanto in tanto a vedere i vecchi genitori e le sorelle al paese.
Si rimandava il viaggio come se quelli fossero sempre giovani e non dovessero mai morire; alla loro morte nessuno pensava; e meno di tutti forse la stessa Rosaria che pure qualche anno prima aveva potuto vedere quanto fossero cadenti.
Agata, da lontano, non aveva fatto capire niente, forse per non allarmare senza necess[...]

[...]imo addio. E ora la nostra casa é divenuta piú sola e pare una barca sperduta, agitata nel mare in tempesta! ».
« E noi non siamo andati a trovarla, quando si poteva fare a tempo! » gridò Rosaria, mentre grosse goccie di lagrime le scorrevano sulle guance, ai fratelli che, ignari, rientravano dal lavoro; Giuseppe era già ritornato e'inutilmente aveva cercato di calmare la donna e le bambine che a vederla in quel modo s'erano messe a piangere.
«Cosa dici? » esclamarono i fratelli; diventando bianchi nel viso, prima ancora di sapere.
« È morta, é morta la nostra mamma! i) gridò Rosaria; e singhioz zando più non sapeva soggiungere.
Presero la lettera i fratelli, e la lessero; si sederono poi a capo chino attorno alla tavola. Matilde e Vanda si davano da fare per consolarli.
«Era l'età avanzata; bisognava aspettarselo! Beata lei che ha avuto una vita lunga! » dicevano le donne.
«Ma se stava bene? All'improvviso é stato! » aggiungeva Giuseppe. S'avvicinava alla moglie che ormai taceva, accarezzava il capo delle bambine.
Chiuse le impost[...]

[...]presto i soldi che ci vogliono per le cinquemila lire! » assicurava Giuseppe.
Rientrava in quel momento dalla casa di una compagna di scuola, Ernesta; e quasi prima della sua aggraziata persona si avverti la sua voce squillante di bambina felice.
« E questa qui non ce la lasciate ancora per qualche po' di tempo, dopo che sarete partiti? » chiese Matilde, anche a nome della cognata e degli altri.
Rosaria non rispose, mostrando dal volto che la cosa non era per niente possibile. « E tu non vuoi restare con noi ? » continuò Matilde,
116 MARIO LA CAVA
rivolgendosi alla figliuola. Ernestina arrossi, senza saper cosa dire. Ed il padre fu che disse: «Rispondi che vi rivedrete ogni tanto o che loro vengano da noi o che tu faccia qualche viaggio per qui, quando sarai grande, e se la fortuna ci aiuterà, come speriamo... ».
Nessuno più parlò della proposta, e solo i preparativi per la partenza da fare fra molti mesi furono discussi, come se si dovesse farla tra poco. Giuseppe chiese ed ottenne di lavorare due ore di più, per avere maggiore guadagno. Per la prima volta si assoggettò ad un'estenuante fatica, con un ardore di cui nessuno forse l'avrebbe creduto capace. Si stancava, nei mesi terribili dell'estate[...]

[...] i parenti, la vita semplice di una volta; non aveva piú genitori, e pensava al vecchio fabbro Felice come a suo padre.
Sebastiano Ricci e altri amici gli scrivevano che si stava meglio di prima, che vi erano costruzioni nuove e che l'ingegnere Talco aveva bisogno di operai scelti e di assistenti. Non sarebbe stato necessario tornare al lavoro di calzolaio : una sistemazione, magari come impiegato, nel campo dei lavori edilizi, sarebbe stata la cosa più semplice di questo mondo.
In tal caso sarebbero potuti ritornare anche i cognati, se avessero voluto; ma è strano come essi si fossero dimenticati del paese natio; forse non si erano dimenticati, ma lo davano a vedere, se non volevano ritornare.
«Sono le mogli che li trattengono» diceva Giuseppe alla moglie per spiegare la cosa.
«No, nemmeno questo — ormai hanno fatto dell'Egitto un altro loro paese ».
E nessuno dei due sospettava che tanto Antonio che Filippo, che del resto sembrava tanto impulsivo ed entusiasta, calcolassero meglio di loro le possibilià di vita nell'Egitto e quelle del loro paese.
« Qui spendono molto. E anche noi, accanto a loro, abbiamo speso tanto » diceva Giuseppe.
« Pazienza! Ma tu lo hai voluto, accettando di fare in tutto vita in comune con loro... ».
« Volevi anche tu allora... ».
IL GRANDE VIAGGIO 117
« Non é vero. Io l'avevo capito, e tu non l'hai voluto. E siamo rimasti tanto tem[...]

[...] poteva dare.
Ritornarono Agata e Peppina dal fiume: esse erano ignare; poggiarono la cesta sulla soglia della casa, dopo aver visto il padre che non rispose al loro saluto, mentre inspiegabilmente si raccoglieva gente attorno a loro, e fecero per rivolgersi alla porta di Rosaria. Una guardia c'era; e come un affronto al loro affetto che voleva sapere la sorte della bambina, voleva vederla e baciarla, crudelmente fu impedito l'ingresso.
Ma che cosa é questa prepotenza che di nuovo si abbatte su di loro? Chi é che ha dato quest'ordine assurdo? La legge, la legge! Ma come mai è possibile tutto ciò? Non c'é cuore dunque in questo paese, non ci sono affetti che valgono, non c'é logica di nessuna maniera ?
Inutilmente piansero le donne nella speranza di poter commuovere il medico e la guardia. L'ordine venne rispettato.
Ritirate nella loro casa, accanto al vecchio padre che pur nella sua tarda età capiva e risentiva la gravità della sventura che stava abbattendosi sulla famiglia della figlia, esse affannosamente immaginavano la tragedia ch[...]

[...]la sua casa, piangeva a dirotto, ripetendo le parole della madre.
«Perché questo destino? Perché? » domandava la madre; e colle guance bagnate di pianto si voltava verso il marito. «Perché? Perché? » ripetevano tutti. Ed esclamavano: «Morte! Terribile morte! ».
Nessuno si era presentato a dar loro conforto; la paura agghiacciava il cuore ardente del popolo. «Perché tutto questo? » continuava Rosaria; e nell'orrore di quanto accadeva vi era qualcosa di più terribile che ancora non veniva pensato.
124 MARIO LA CAVA
«Medico cattivo! Leggi ingiuste! » gridava Rosaria; e le sorelle si trovavano d'accordo con lei. Ugualmente Giuseppe s'abbandonava allo strazio di essere stato ingiustamente offeso dagli uomini.
«Avrebbero potuto fare in altro modo...» dicevano. E da ciò risalivano di nuovo al sentimento della loro sventura senza nome né volto.
Poi a poco a poco la vita della bambina risorse nella loro mente con tutto lo splendore della sua bellezza. Come il cuore era trafitto a vederla! Compariva e scompariva come il sole attraversato da n[...]

[...]davano che il timore aveva loro impedito di fare i doveri abituali; si vergognava di sé, cercava cambiar discorso come se lui fosse il colpevole, come se la sua stessa paternità fosse misera e difettosa.
Aspettava che se ne andassero, in silenzio; ed usciti, si sfogava nell'intimità della famiglia : « Io mai ho mancato verso nessuno! » esclamava.
La moglie continuava a lamentarsi in delirio; bisognava calmarla,
IL GRANDE VIAGGIO 125
fare qualcosa per lei, non farla morire. Gli affari del suo impiego urgevano, Giuseppe non poteva più ritardare a non uscire.
Eppure, in mezzo alle sue maggiori distrazioni, Giuseppe afferrò per primo l'immensità della sua sventura. Egli capi presto, abbastanza presto, quello che significava la morte della bambina, il non averla più con sé, il non poterla giammai vedere, il non poter pensare che qua, in questa vita, o li, nel cielo, esistesse. La nera morte fu visibile per lui; essa gli strozzò il pianto in gola, essa gli tolse l'aria del suo respiro.
Quando dopo alquanti giorni usci, ognuno poteva veder[...]

[...]a di quello che significava la morte della bambina. Ma là, nella casetta abbandonata del « Borgo », chiusa alla vita di fuori, in quella casa che la sventura aveva resa unica fra tante e su cui l'occhio della gente si posava sbigottito, senza osare dimenticare, il dolore maturava lentamente nella mente di Rosaria. Con persuasione si faceva strada, a poco a poco diveniva concreto e visibile. Ecco che la morte della bambina a un, tratto fu qualche cosa di reale, qualche cosa che si poteva afferrare, che esisteva e che aveva le terribili forme del nulla!
« Impossibile! Impossibile! », gridò Rosaria. Aveva visto in un momento il volto tragico della bambina, inghiottito dall'abisso. Di là, dalle tenebre immense, accennava ancora un poco con un terribile ghigno di beffa. Poi le acque infinite si chiusero e l'occhio della mente non poté vedere altro che una nuvola di impenetrabile fumo.
Fu come se le fosse tolta l'aria che respirava, ebbe un attimo di agonia; si dibatté nell'angoscia, come un pesce fuor d'acqua; senti il suo spirito intristire al pari di erba secca [...]

[...]i dibatté nell'angoscia, come un pesce fuor d'acqua; senti il suo spirito intristire al pari di erba secca strappata alla terra.
Forset, a continuare a quel modo, sarebbe diventata pazza; ella non aveva la forza del marito di guardare in faccia il reale. Dopo qualche lieve resistenza trovò una via d'uscita al suo dolore. La religione le venne incontro con le sue pietose speranze.
No, non era vero che niente della bambina esistesse piú; qualche cosa di lei era rimasta, l'ombra della sua vita di un tempo, la forma vaga della sua anima bella. Dal cielo, dove si trovava, scendeva alla terra; si aggirava intorno alle cose conosciute ed amate, indugiava sulla sua tomba stessa abbandonata del camposanto.
Oh come essa avrebbe voluto ritornare alla vera vita, riabbracciare la madre e il padre, rivedere la luce del sole! Come avrebbe lasciato con piacere le sedi celesti che mai sguardo di vivente avevano pene trato e dove chiunque colla morte vi fosse entrato, ineluttabilmente vi sarebbe rimasto prigioniero!
Invano si sarebbe desiderato il rito[...]

[...]he qualche tempo prima minacciava di disseccare le fonti stesse della vita, Rosaria usci di casa : sarebbe andata al cimitero, avrebbe salutato la bambina, avrebbe visto come nel sogno la sua figliuola. Avvolta nel velo nero del lutto, accompagnata da Ernestina spaurita, ella era là, nel vicoletto angusto del borgo, mentre le sorelle accorrevano e commare Carmela, vinta dalla curiosità, saltava gli scalini della sua casa.
«No, commare Rosaria, cosa fate! », esclamó la vicina con voce sorpresa. «Non reggerete al dolore! Io lo so, da quando mi son morti i miei due figliuoletti maschi, che Dio li abbia in gloria! Non la fate andare, Agata, trattenetela, fatela stare qui con noi ancora un poco!... ».
Ma le sorelle avevano capito che Rosaria avrebbe trovato conforto nella visita che si preparava a fare, e non ardirono impedirle il cammino. Si offersero di andare a tenerle compagnia. Ma Agata aveva da cucire d'urgenza un abito da sposa che, malgrado la diminuita clientela, aveva trascurato; e Peppina era ancora stanca del viaggio che aveva [...]

[...]hio sentiva l'eco, come se ripetesse: «Lidia! Lidia!».
La madre, allora, pareva volesse conformarsi ai pensieri di lui, e rievocava : « Mi veniva sempre dietro, e io le dicevo : — Mi sembri un cagnolino! —. Ed ella dolcemente rispondeva: — Perché non mi chiami meglio una pecorella?—».
Spesso però i genitori stavano in silenzio, ognuno dei due pensando
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a cose del passato; se Giuseppe voleva comunicare alla moglie qualche cosa delle difficoltà della vita del presente, s'accorgeva che ella non lo seguiva e non si interessava.
Quello era il tempo in cui l'albero di fico, prima così caro a Rosaria, poteva venir danneggiato dai ragazzi, saliti a rubare e a giocare, il bel ramo che adornava la porta, poteva venire strappato, e nessuno ci faceva caso. La gente si riuniva a giocare ora da un amico ora da un altro, e proprio da Giuseppe non vi era alcuno che pensasse di poter mai fare ritorno. Qualche casa, nell'allegria del cuore, compariva di tanto in tanto imbiancata, ma sempre rimaneva la stessa quella di Giuseppe, gr[...]

[...] per vivere e la dote della figliuola. Con mezzi maggiori, una nuova vita sarebbe sorta nel paese, e gli errori di prima non si sarebbero ripetuti.
Parlò a Rosaria dei suoi progetti. « No, no, meglio restare qua. Non sarei capace di partire dalla terra dove so che dorme la mia bambina! », rispose la moglie che aveva creduto di doverlo accompagnare.
« Tu resterai qui con la bambina. E io in pochi anni farò fortuna. Poi ritornerò. Vedi come ogni cosa mi va male, vedi come è stato un errore ritornare troppo presto dall'Egitto! ».
« E perché non vuoi ritornare al Cairo, dove i fratelli potrebbero aiutarti? ».
« So che in America si possono fare guadagni maggiori coi quali ritornerei più presto a casa... ».
« Io non so... Ma ho paura di restare sola! Vedi come sono ammalata e stanca...».
134 MARIO LA CAVA
«Se tu stessa ti rivolgessi alla famiglia Chirico che sempre ti ha voluto bene, potresti ottenere un prestito per il viaggio con poco interesse, o senza affatto interesse... ».
« Ma davvero vuoi dunque partire? », gridò Rosaria e si m[...]

[...]quali ritornerei più presto a casa... ».
« Io non so... Ma ho paura di restare sola! Vedi come sono ammalata e stanca...».
134 MARIO LA CAVA
«Se tu stessa ti rivolgessi alla famiglia Chirico che sempre ti ha voluto bene, potresti ottenere un prestito per il viaggio con poco interesse, o senza affatto interesse... ».
« Ma davvero vuoi dunque partire? », gridò Rosaria e si mise a piangere come una bambina.
In seguito si discusse a lungo della cosa. Agata e Peppina questa volta non insisterono per la partenza, pur mostrando di non essere scontente. Al contrario, commare Carmela vantò la convenienza di un simile viaggio, dimenticando quanto aveva detto in proposito al tempo della partenza per l'Egitto. Rosaria restava senza parola, mentre la decisione poco per volta si confemava.
Andò, secondo il desiderio del marito, a chiedere i denari alla famiglia Chirico; ma si comportò così confusamente che quelli credettero li volesse avere in dono, per l'amicizia che c'era; e risposero di no.
Giuseppe non ottenne nulla né dall'appaltatore Artú [...]



da relazione di Costantino Lazzari sotto presidenza Azimonti, Discorso Lazzari in Resoconto stenografico del 17. congresso nazionale del Partito socialista italiano : Livorno, 15-20 gennaio 1921 : con l'aggiunta di documenti sulla fondazione del Partito comunista d'Italia

Brano: [...]dirigenti su un terreno e su una base chiaramente socialista. Ed è stato il secondo che si è espresso, dai primi tentativi e conati che venivano da tutta una predicazione idealistica che è stata fatta allora fino dai tempi subito dopo la Comune di Parigi. Ebbene, noi per quarant'anni abbiamo apprezzato i beni della unità: voi, in pochi anni, caro giovinetto, constatate gli inconvenienti della unità. Noi abbiamo sempre saputo che in mezzo ad ogni cosa di
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questo mondo, vi è la parte utile e vi é la zavorra, la parte dannosa. Siamo qui tutti per rimediare ai difetti dell'unità. Anche l'unità ha i suoi difetti. Sono tutti inconvenienti della vita e dell'azione degli uomini. Siamo qui per cercare di rimediare. Ma voi per rimediare chiamate e fantoccio » quello che è sempre stato il nostro culto, il nostra bisogno, verso il quale abbiamo fatto tutti i sacrifici. E voi avete portato un dolore a noi proprio all'inizio di questa discussione. Oggi i giovinetti pero dicono: Cosa importa se i vecchi hanno dei dolori? Noi andiamo avanti per la n[...]

[...] Siamo qui tutti per rimediare ai difetti dell'unità. Anche l'unità ha i suoi difetti. Sono tutti inconvenienti della vita e dell'azione degli uomini. Siamo qui per cercare di rimediare. Ma voi per rimediare chiamate e fantoccio » quello che è sempre stato il nostro culto, il nostra bisogno, verso il quale abbiamo fatto tutti i sacrifici. E voi avete portato un dolore a noi proprio all'inizio di questa discussione. Oggi i giovinetti pero dicono: Cosa importa se i vecchi hanno dei dolori? Noi andiamo avanti per la nostra strada.
Allora, o compagni, è necessario richiamarvi ad un'altra considerazione di carattere etico e morale, che io credo non debba mai sfuggire dai nostri propositi e dalla nostra azione, e nemmeno dalle nostre riunioni. Voi sapete che noi vecchi del Partita, abbiamo passato tanti dispiaceri, tanti fastidi, tanti, di tutte le qualità. Pure noi ci siamo sempre ingegnati di portare come nostro distintivo questo criterio. In tutte le nostre riunioni noi abbiamo cercato di presentarci con quell'alto concetto e quell'alto pat[...]

[...]iviltà, piú ancora, avanti di noi, che nella psicologia sua ha già liquidato questo vecchio culto verso l'eroismo degli altri, che anche per noi è roba vecchia e consumata che non risponde piú alla nostra vitalità. Ebbene, é successo questo: contro Venizelos le varie frazioni della borghesia che gli contrastavano il potere avevano armato la violenza dell'attentato. Egli è stato colpito da una palla di revolver. Ma questo non ha servito a niente. Cosa ha servito per liquidare Venizelos e la sua cricca imperialista? Ha servito semplicemente il suffragio universale ed il libero voto. Il successo elettorale della Grecia è stato quello che ha servito... (proteste dei comunisti) a liquidare Venizelos piú di quello che non abbiano fatto i mezzi violenti dei suoi rivali. (Rumori e interruzioni).
Questo dunque prova come in noi il culto dell'eroismo personale ed i propositi delle frazioni sono condannati a non avere possibilità di
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esercitare, su tutto lo spirito e su tutto l'insieme del sentimento del nostro popolo, quella forza di attrazio[...]

[...]icinava il primo maggio ed era quindi necessario che io fossi in Italia, dissi al compagno Lenin: « Noi andiamo in Italia. Io ho la direzione del Partito socialista italiano. Io vi dico, compagni di Russia: Siamo nel pieno della guerra, nel pieno dei furori, degli orrori che sono scatenati nel mondo dal conflitto degli interessi degli sfruttatori del lavoro. Noi socialisti d'Italia non possiamo promettervi di fare grandi cose: vi promettiamo una cosa sola: noi non ci curveremo mai di fronte al misfatto dei nostri dominatori ». (Bravo !). Il compagno Lenin ha detto: « Questo basta per la nostra coscienza, per assicurarci della fede e della bontà del Partito socialista italiano ». Noi ci siamo lasciati, poi gli avvenimenti ci hanno travolto e oggi troviamo il compagno Lenin e gli altri compagni di Russia informati imperfettamente, non vogliamo dire artificiosamente informati, sulla situazione in cui ci troviamo. Oggi essi vengono a con
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sigliarci ed a spingerci continuamente verso la scissione fra noi, che non è né utile né necessaria.[...]

[...]nsiderare come siamo lontani ancora dall'avere conquistato con la nostra lotta e propaganda l'anima di questo povero proletariato italiano. Pensate alla situazione in cui si sono trovati con l'esito delle elezioni politiche del 1919. Ci avete mai pensato? Non siamo nemmeno raddoppiati come forza elettorale, e siamo quadruplicati di forza parlamentare. C'è una sproporzione evidente in questo successo elettorale politico che deve insegnare qualche cosa. Ma come? Noi abbiamo continuato per tutto il periodo della guerra nel nostro atteggiamento, nella nostra propaganda, nella nostra influenza; noi dopo la guerra abbiamo cercato di rendere sempre piú perfetto il congegno della nostra lotta e siamo arrivati a questo risultato, negativo per me, per i concetti miei, di avere cioè quadruplicato le nostre forze parlamentari e di non avere neppure raddoppiate le nostre forze elettorali. Questo risultato è quello che ci deve ammonire della situazione in cui ci troviamo e deve farci capire come le esigenze e le necessità del nostro movimento non siano[...]

[...]gettare fuori continuamente il prodotto della nostra passione, il fremito delle nostre osservazioni. Bene; benissimo fanno i compagni dell'Ordine Nuovo. Ma ho osservato continuamente una specie di difetto nelle loro manifestazioni ed è una deficenza nel sentimento, in quel sentimento che ci deve guidare continuamente attraverso la nostra azione ed in rapporto al sentimento della fraternità e dell'uguaglianza fra di noi. (Approvazioni).
Guardate cosa mi capita di leggere in questo giornale. Vi si pubblica il programma del Partito comunista il quale viene a dire che il Partito comunista, riunendo in sé la parte piú avanzata e cosciente del proletariato... Modestia a parte, i compagni nostri di Torino si credono la parte piú avanzata e piú cosciente del proletariato. Ho piacere di constatare in essi la superba sicurezza. Noi non ci siamo mai considerati né piú avanti, né piú coscienti degli altri, ma ci siamo sempre limitati a dire che, tenendo conto della situazione in cui ci troviamo, è necessario che tutti quanti uniamo le nostre facoltà[...]

[...]ti sulle basi dei nostri programmi.
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Ecco perché, attraverso tutto questo ragionamento, io vengo a dire che è necessario che noi affrontiamo nelle sue fondamenta teoriche questa situazione che si è venuta a determinare fra di noi, con questa distinzione che viene fatta fra il Partito socialista, (che attraverso i suoi uomini ormai da 40 anni ha scritto la sua storia nel nostra paese e che può dire di essere una forza, di contare per qualche cosa, di avere dato prima di tutti gli altri la sua adesione alla Terza Internazionale), ed il Partito comunista. Mi ricordo quando avevo ottenuto dalla Direzione del Partito l'adesione alla Terza Internazionale, il primo messaggio venuto, attraverso vicende romantiche, da Mosca. Allora vi sono stati compagni che hanno fatto critiche severe a questo atto a me ed alla Direzione di allora. Il compagno Graziadei non ha mosso un dito per difendere le ragioni per le quali abbiamo dichiarato l'adesione nostra alla Terza Internazionale. (Approvazioni).
Noi abbiamo avuto sempre gelosa cura di volere che [...]

[...]nto e dovessero consigliarci a pensare a quello che facciamo: «Proletari di tutti i paesi unitevi ». (Approvazioni, applausi della maggioranza).
Perché dice « unitevi » e non « dividetevi » ? perché dice « unite vi » e non « separatevi » ? (Approvazioni, applausi).
Perché, o proletari, la vostra unione sarà la vostra forza e la vostra divisione sarà la vostra debolezza. (Applausi della maggioranza, interruzioni dei comunisti).
Ma dice qualche cosa di piú, compagni. Meditatela questa conclusione del « Manifesto dei comunisti ». Perché non dice « Proletari comunisti di tutti i paesi unitevi » ?, (approvazioni), ma dice semplicemente: « proletari » ? Perché basta per gli interessi della civiltà futura, basta per gli interessi della rivoluzione, che tutti quei poveri individui, elementi della umanità, che vivono di lavoro e di salario, continuamente, che non hanno proprietà, non hanno ricchezze, e sono proletari, basta che essi si uniscano nella concezione della loro situazione, della loro situazione personale e della loro situazione di cl[...]

[...]Carlo Marx concludeva in quel modo. I compagni dell'Ordine Nuovo credo dovrebbero capire molto dalla precisione di linguaggio di Carlo Marx. (Approvazioni). Io non ho la possibilità e non ho i mezzi intellettuali, ma ricordo che parlando una sera in casa di Engels appunto commentando la precisione di linguaggio di Carlo Marx, Engels ripeteva e spiegava la esattezza meticolosa del compagno Marx, il quale pensava che ogni parola vuole dire qualche cosa, specialmente nella pratica. Allora io dico a voi: Considerate la precisione di quella esposizione, di quella espressione. Al compagno che stava scrivendo su quella tela quelle parole io dicevo: Guardate che Carlo Marx diceva: « Proletari di tutti i paesi », perché i paesi sono quelle formazioni speciali che sono determinate dallo sviluppo dell'umanità e della civiltà. E Carlo Marx era preciso. Siamo diventati socialisti e comunisti appunto per questo e diciamo chiaramente che questa separazione che si vuole fra comunisti e socialisti in Italia è una separazione artificiale e artificiosa. (Ap[...]

[...]ente collaborazionista con le classi dominanti ed hanno dovuto scegliere questo precipitato, questo termine di distinzione, nel Comunismo, il quale rappresenta appunto il futuro ordinamento economico della società comunista. E stato necessario adottarlo in Germania, in Svizzera, in Inghilterra, in Francia, dappertutto dove c'è stata questa confusione. Da noi in Italia, adottare questo nuovo nome sarebbe un fare credere che il Comunismo é qualche cosa di diverso dal Socialismo.
Guardate a che acciecamento si arriva ! C'è stato un buon compagno del nostro Partita, un mio consanguineo, il quale mi scriveva che egli aveva accettato di fare parte della frazione comunista perché «piú avanzata » e che si è trovato poi espulso dalla frazione comunista perché non ha voluto accettare il mezzo di azione della violenza, ed egli aveva creduto, appartenendo alla frazione comunista di essere piú avanzato ! Quando si viene a mettere la questione in questo modo, e l'Ordine Nuovo viene a dire « Siamo la parte piú avanzata e cosciente... » allora si capisc[...]

[...]iolenza, ed egli aveva creduto, appartenendo alla frazione comunista di essere piú avanzato ! Quando si viene a mettere la questione in questo modo, e l'Ordine Nuovo viene a dire « Siamo la parte piú avanzata e cosciente... » allora si capisce che viene a determinarsi una situazione tale che un uomo di buona volontà dice: « Questi socialisti sono gente coi quali
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non c'è da fare niente: andiamo con gli altri poiché il Comunismo sarà qualche cosa di diverso dal Socialismo ».
Per evitare i pericoli che possono avvenire, io vi prego di leggere e rileggere quell'opuscoletto che venne stampato dall'Avanti !, il primo manifesto firmato anche dai compagni Bombacci, Graziadei, Bordiga, il quale finisce col rilevare che l'obbiettivo generale che dobbiamo raggiungere é la civiltà socialista. Ora se noi abbiamo in questo titolo di «c socialista » comunemente accettato in Italia, la espressione chiara e completa del grande scopo che dobbiamo raggiungere, perché noi dobbiamo, nella speranza di rimediare ai mali ed ai difetti della nostra organiz[...]

[...]aordinario, ma non risolve niente della situazione sociale. Siamo sorti contro lo Stato, in nome del nostro diritto imprescindibile, e in Parlamento quando io, ultimo venuto dopo 34 anni di fiaschi elettorali, ho potuto presentarmi, oh ! quanti vecchi parlamentari e vecchi ministri, mentre io parlavo, abbassavano gli occhi e si stringevano nelle spalle e mi lasciavano parlare e non mi facevano oggetto di tanta cagnara.
Tutto questo vale qualche cosa, ed é dunque per questo che io dico che non dobbiamo lasciarci trascinare dalla illusione che creando questa scissione, creando questo Partito comunista possiamo fare realmente uno sforzo maggiore, piú perfetto, piú violento, piú capace di quello che é necessario sia fatto anche col concorso dei nostri compagni che vogliono distinguersi col loro comunismo e che non è che una parte del patrimonio che è stato sempre voluto da noi, che non vogliamo lasciarci defraudare ma che vogliamo sia con noi. (Applausi). Anche essi colla loro forza e col loro sacrificio, col sentimento della solidarietà e d[...]

[...]che proprio soltanto noi abbiamo il monopolio e l'ipoteca di tutte le verità, della completa verità, che soltanto noi abbiamo il possesso di questa forza di vittoria? Tutti quanti accettano la lotta di classe, accettano
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l'espropriazione. Tutti hanno il diritto dì portare il contributo delle loro osservazioni, delle loro manifestazioni. Abbiamo bisogno di tirare il fiato in questa dura lotta che si continua. Ed allora diremo: Guarda Turati, cosa ci è venuto a dire ! (Rumori, interruzioni, approvazioni).
Le sue osservazioni per) non alterano niente per la condotta intransigente rivoluzionaria che si è ribadita nel 1914 quando non è piú stata possibile in Italia né la collaborazione di classe né la partecipazione al potere. E quindi noi vecchi compagni possiamo dire che gli Scheidemann ed i Noske d'Italia noi li abbiamo già liquidati. (Commenti, approvazioni). Sono i Bissolati, i Cabrini e noi da otto anni ci siamo liberati da questo pericolo e ce ne libereremo ancora. Abbiamo fede nella nostra unità, nella nostra compattezza e non ab[...]

[...]l socialismo mondiale. Kautsky è un pozzo di sapienza. Io ho avuto il piacere, la combinazione, di salutarlo e non ho esitato a dirgli: « No, la vostra dottrina è traditrice; vale piú la nostra pratica in
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Italia ». (Approvazioni). Noi non abbiamo scritto trattati, ma abbiamo fatto un'opera continua come quella del compagno Serrati che combatteva di fronte alla grande forza intellettuale anche dei nostri compagni di Russia. E una bellissima cosa. Noi italiani siamo di un'altra natura. Facciamo pochi trattati, pochi manuali e facciamo molte opere. (Commenti, approvazioni).
E da poveri, da semplici, da modesti uomini e proletari che siamo, abbiamo creato in Italia un movimento col quale le classi dominanti devono fare i conti oggi e dovranno capitolare domani. Ieri è venuto qui il rappresentante della Bulgaria a ricordarci le deliberazioni della Terza Internazionale anche sulla questione agraria. Vi siete mai accorti, leggendo i diversi manuali mandati da Mosca e da Pietrogrado come sono belli, pedagogici i consigli per diventare perf[...]

[...]di città, poiché per noi la campagna non è la nebulosa inesplicata e temuta. Noi in Italia abbiamo la superbia di avere affidato la trattazione di questa questione agraria alla Federazione nazionale dei lavoratori della terra, che è il lavoro piú avanzato, piú perfetto, piú grandioso del movimento di organizzazione dei contadini, dei lavoratori della terra che esiste in tutta Europa. (Approvazioni, interruzioni da parte dei comunisti).
MAZZONI: Cosa volete sapere voi, manica di ignoranti ! (Tumulto). La Russia ha un programma agricolo del <c Pipi ». (Nuovo tumulto violentissimo, con scambio di apostrofi fra i due gruppi nella sala e nei palchetti).
LAZZARI: Quindi, noi siamo in questa condizione favorevole. Io vi ricordo, compagni, che le vostre deliberazioni conclusive che prenderete, dovete prenderle con piena libertà di coscienza e di voto. Io non so se si sia adottato ancora il sistema deplorevole adottato al Congresso di Bologna, dei voti imperativi. Noi il giorno che abbiamo ricevuto il mandato di sostenere le ragioni dei nostri c[...]



da Danilo Dolci, Pagine di un inchiesta a palermo, introduzione di Ernesto De Martino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1955 - 11 - 1 - numero 17

Brano: [...]orie, cenciaioli, e infine ladri o peggio. Così intenzionalmente circoscritta ai ceti sociali disgregati di Palermo e provincia l'inchiesta del Dolci si sottrae alla solita obiezione che Palermo e provincia ((non sono soltanto questo »: che è poi la obiezione di coloro che in fondo, per vari motivi, non sono disposti a riconoscere che Palermo e provincia sono ((anche» questo. D'altra parte nei documenti raccolti dal Dolci appare che oggi qualche cosa si muove persino in questi ambienti sociali così obbiettivamente compromessi, e che oltre le forme tradizionali della rassegnazione, della disperazione e della ribellione anarchica, comincia persino qui a farsi luce una più consapevole coscienza civica, mediata da quei partiti che laggiù stanno assolvendo una funzione ((liberale» fra questi oppressi, i partiti di sinistra. Le tre biografie che seguono la breve analisi delle condizioni dei cortili Cascino testimoniano appunto questi diversi livelli di coscienza civica, e relativamente alle prime due la biografia di Gino O. documenta certo il l[...]

[...]tro al capizzo. D'estate fa caldo, si piglia la segatura dal mastro d'ascia e si mette in terra e si dorme anche in terra ».
Ridono intorno, con maliziosi sottintesi negli occhi, anche alcuni bambini mentre un vicino aggiunge che ogni tanto, traballando il letto, c'é qualcuno che deve stringersi ad un altro. Intanto ci hanno buttato addosso da sopra, per isbaglio, dell'acqua calda e ora pioviggina fitta fitta della terricciola. Un blocco di qualcosa, in testa.
« Dormiamo con la porta aperta per respirare meglio; d'inverno la chiudiamo. Pure me soru cun so maritu, s'accurcano cu nuatri. Ma i masculi si curcano vestuti, sono tanto educati. Cu li picciriddi...
Di giorno stiamo tutti fora. Cuciniamo ca fora, sotto la scala, che quandu piove semu riparati chiù assai.
È dodici anni che mi infilai dintra sta grotta che prima serviva di rifugio. Poi c'é venuta me soru. Dodici anni. Vogliono la buona uscita. Ventimila lire, venticinquemila lire. Uno povereddu d'unne l'have?
Venivano a vedere comunista, signorine. Una volta mia nipote curcata [...]

[...]. Vengono alla mattina. C'è quando piove e non escono e si sta morti di fame.
Per riempire una cesta ci vuole certe volte mezza nottata, certe volte un'ora, dipende dalla provvidenza di Dio, dalla provvidenza che manda Santa Rosalia. Quando la cartella é piena, vengono a casa. Se é poco, si possono accucchiare solo 100 lire, tornano fuori ancora. Possono guadagnare 300, 400 lire.
Quando have la cesta in collo, certe volte ci sono le guardie: — Cosa portate in quella cesta! — Risponde: — Stracci, ossa vetro... — E ci
rispondono loro, le guardie: Buttalo a terra per vedere cosa c'è
dentro. Poi le guardie fanno così che coi piedi scalìanu li stracci, per vedere se ci sono cose losche, con le lampadine tascabili. Quando le guardie non ci garbizzano, o che vogliono tornare dentro, dicono: — Favorisce con noi, che domani se ne parla e va a "Casa. — Dicono loro. Di guardie ci sono che dicono: — Lascialo andare — e c'è quello che insiste, che fa l'arrugante.
Quando é già dentro la, ci stanno tre giorni per prendere informazioni. Tre giorni per chiedere in Palermo stesso. Se uno è delinquente, che tipo é una persona. A tempo che stiamo tre giorni chiusi, un pezzo di pane[...]

[...] cenciaioli e piccole lavandaie.
Sono ritornato da prigioniero l'8 ottobre '44. Circa un mese di viaggio. A casa ho trovato la famiglia mezza morta di fame. Allora non ero sposato. Quando sono arrivato a Palermo, si sono presentati due amici miei, mi hanno chiesto se lavoravo, e io ho risposto che non lavoravo. Mi hanno portato con sé a trasportare un po' di legna che era abbandonata tra le macerie. Si é presentata una signora e mi ha domandato cosa facevo io lì, che era stato bombardato. Si sono presentati i carabinieri e mi hanno invitato di venire con sé. La signora diceva ai carabinieri che ci avevano portato via la mobilia di casa. Pere. a me non m'hanno trovato nulla. Il maresciallo mi ha interrogato e mi ha detto se avevo documenti: il giorno proprio prima ero venuto da militare. Io mi trovavo sprovvisto di documenti e il maresciallo mi ha mandato in carcere. Io non ero stato mai arrestato nella mia vita. Circa cinque mesi che ero io al carcere, mi hanno fatto la causa. E mi imputarono per tentato furto, e mi hanno condannato à do[...]

[...] si lavora pochi giorni. Nell'inverno si va da quello della pasta, o quello del pane, per fare un po' di credito. E poi giriamo da una bottega ad un'altra perché uno solo, una volta può fare credito: 1000, 1500 lire.
La gente del cortile nel pomeriggio, stiamo sulla strada al passaggio a livello, con la speranza di guadagnare qualche lira, perché li ci sono i punti di concentramento dei magazzini, e qualcuno può portare un po' di ferro, qualche cosa. C'é chi gioca a caste; c'é chi va alla cantina; c'é chi sta al sole, se non ha soldi. Si parla, nella cantina, di ferro, di rame, della vita della giornata, confortandosi l'uno con gli altri. Io domando a quello: — Quando hai guadagnato? — E lui dice, secondo: — 500, niente, poco. — E ci consoliamo fra noi altri. Questa storia é nata da eredità. La mia famiglia é in questo posto da 110 anni.
Quando noi ci ritiriamo senza nulla, nella maggioranza delle case capitano liti. — Cosa vai a fare per la strada? — dice la moglie — nessuno ti chiama? — Risponde il marito: — Se sono sfortunato che non[...]

[...]i va alla cantina; c'é chi sta al sole, se non ha soldi. Si parla, nella cantina, di ferro, di rame, della vita della giornata, confortandosi l'uno con gli altri. Io domando a quello: — Quando hai guadagnato? — E lui dice, secondo: — 500, niente, poco. — E ci consoliamo fra noi altri. Questa storia é nata da eredità. La mia famiglia é in questo posto da 110 anni.
Quando noi ci ritiriamo senza nulla, nella maggioranza delle case capitano liti. — Cosa vai a fare per la strada? — dice la moglie — nessuno ti chiama? — Risponde il marito: — Se sono sfortunato che non mi chiama nessuno, che cosa ci posso fare... — sperando che il giorno dopo si possa guadagnare qualche cosa. Se passa un'altra giornata la stessa, la facciamo a cazzotti, marito e moglie.
È un cortile cieco: noi siamo al corrente solo del mestiere. Nessuno si interessa di quello che capita fuori del cortile, tranne quando ammazzano qualcuno nella città.
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La religione non conta qui dentro, perché la maggioranza sono compagni (io mi devo iscrivere alla D. C. Non per darci il voto ma per poter fare le cose mie) però, a tempo di votazione, viene il prete e qualche borghese, offrendo qualche coppa di pasta, con la speranza di avere il voto. Vengono, la maggioranza[...]

[...] speranza di avere il voto. Vengono, la maggioranza, la Monarchia; hanno fatto i tesserini, lasciavano l'indirizzo che dovevano andare a prendere un chilo di pasta. La maggioranza c'è chi ha paura e vota per il partito che loro ci dicono. Paura che il partito sapesse che non han votato per lui. La maggioranza non va in Chiesa, non c'è domenica né giorni di festa. La domenica c'è il pensiero come svolgere per pater apparecchiare la tavola con qualcosa da mangiare.
E un rione difficile. Una volta sono venuti due persone per far fotografie e uno di qui, ubriaco alle dieci e mezzo di mattino, monarchico, ha sdraiato le mani d'improvviso e ci ha acchiappato la macchina fotografica, che non vogliono che facciano fotografie. E quelli là, meschini, si misera in paura che si spezzava la macchina fotografica di 80.000 lire.
Chi ci ha otto figli, chi sei, chi dieci: é l'unica delizia avere figli. E l'unica delizia della povertà.
Due tre volte ci son venuti i preti in questo quartiere, per insegnare la dottrina ai bambini : mancavano due mesi alle[...]

[...]he c'era.
Quando si era già avviati, c'è un altro problema, quello dell'omertà del bambino che doveva essere provato, prima di essere affittato a borseggiare. Qualcuno di questi adulti, che veniva pure da questa carriera diceva: — Questo è un bravo ragazzo che non parla — e lo portava in giro per le città d'Italia. Io per la prima volta fui ingaggiato da un certo B. La prima volta ero timido, mi veniva come d'andare al gabinetto. Per me era una cosa paurosa, temevo che quello se ne accorgesse e mi desse botte. Da solo non era capace: ma c'era l'altro e mi dava coraggio. Io non volevo dimostrarmi un timido, un vile, e non essere ingaggiato. I soldi poi lui li portava alla famiglia dove stavo, una parte, perché li mangiavo e dormivo. A me,. non mi dava mai la soddisfazione di sapere quello che si trovava dentro i portafogli: apriva
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lui. Potevo riuscire due o tre volte al giorno. E lui faceva da palo, quello che sta per non far vedere alla gente che passa.
Nella strada dove io abitavo, quasi tutte le[...]

[...]tafogli: apriva
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lui. Potevo riuscire due o tre volte al giorno. E lui faceva da palo, quello che sta per non far vedere alla gente che passa.
Nella strada dove io abitavo, quasi tutte le famiglie avevano un bambino avviato alla mia stessa strada. Via S. Agostino, Cortile Catarro, Cortile Salaro (Scalilla), e quasi in ogni strada intorno, vi era o un borsaiolo o un centro di insegnamento di borsaioli. E la cosa ancora continua, lì e a Ballar) e altrove, ma è meglio non essere troppo precisi se no li vanno ad arrestare tutti: gli fanno più male, invece di aiutarli e dargli lavoro. Che non si ripeta come alla calata del Mori: era suc cesso che per sanare il male, mettevano in galera pure Dio. Se c'era qualcuno che s'accorgeva dell'operazione, in questo rione,' nessuno parlava, anche i proprietari dei negozi: si poteva star sicuri di poter scappare, quando «s'attuzzolava », che significa: era scoperto.
Ci sono anche ora « le squadre » addette per il borsaioli, ci sono gli agenti cosiddetti specializza[...]

[...]emmo un dietrofront e ognuno di noi fuggì nei vicoletti. Io corsi a scattafiato fino a casa, che bastava essere preso per rimanere in carcere a disposizione, minimo tre giorni. Arrivai a casa tutto spaurito che mi spaventavo solo al pensiero che mi avesse riconosciuto. Quando si arriva di corsa a casa, quelli di casa non sanno se si arriva di corsa con « u surci », il bottino, o se si é « attuzzulati ». Bisognava riprendere fiato per spiegare la cosa.
Questa é la vita che conducono, ancora, tutte « le paranze» : soprassalti, spaventi, esaltazioni, la tema d'incontrarsi sempre con la squadra. Che ogni mattina, come escono « le paranze », cos]. escono le squadre.
Quelli che abbiamo detto, sono addetti al borseggio ,delle donne,
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« l'amínule ». Poi ci sono altre « paranze » che operano in direzione « d'u vascu », l'uomo. In che cosa consiste « u sciàmmaru »? Un giovane, spesso dell'età dai dodici ai quindici anni (che sia ben alto d> arrivare con il gomito, allargando il gomito destro o sinistro, a seconda dov'è il portafoglio) passa vicino a quello addocchiato e ci allarga « u sciàmmaru », cioè la mezza giacchetta dalla parte del portafoglio, perché l'altro veda se c'è « u surci ». Se c'è questo poggia la mano destra,. o sinistra, a seconda dov'è il portafoglio, sulla spalla del. giovane apparanzato il quale ripete la prima operazione, allargando la giacca, mentre l'altro si passa la mano sotto l'ascella e acchiappa « u[...]

[...]maggior parte dei borseggiati sona dei contadini, venuti dalla provincia o per entrare in una clinica o in cerca di lavoro a per fare la provvigione, e portano i risparmi della loro fatica. E poi vanno ricercati « i fardaioli »: quelli che vengono dalle Americhe, dopo aver lavorato laggiù per molti anni: questi spesso hanno « u surciu abbuzzatu » : pieno di soldi. Poi ci sono gli specialisti per gli autobus, ché non sono tutti capaci di fare una cosa. Qui la difficoltà sta nell'alzare, soprattutto d'inverno, quando c'è il cappotto, per sfilare dalle tasche dei calzoni.
Fino a dodici anni, sempre la stessa cosa. Tante volte per far « lavorare » bene i piccioteddi, gli promettevano che li avrebbero portati ai casini. I ragazzini si facevano le seghe in comune, ognuno per conto
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suo, una specie di gara a chi godeva prima. « Calava u' duce »: che a quell'età non c'era ancora sperma. Una specie di estasi.
Una volta ci hanno portato in quattro in camera da una donna che dedicava le sue opere particolarmente a questi bambini: essa si gettò nel letto supina; il più grandicello, appunto perché tale, ci andò sopra proprio, e gli altri più piccoli, contemporaneamente, l[...]

[...]atiche. Lasciamo stare queste cose che ripugnano, che altrimenti dovrei dire che certe volté a chi faceva la spia lo inculavano per sfregio, ecc. ecc.
A dodici anni (c'era una specie di mercato), uno sapeva che ero capace ormai di borseggiare: e quindi venne a parlare con la famiglia e si rimase d'accordo che giravo con lui. Le mie prime esperienze, di più alto livello, sono cominciate: siamo andati anche in continente. Che si faceva? La stessa cosa. Solo a ricordare fa male. Certe volte si faceva « l'appiccico ». Io fingevo di essere un bambino scappato di casa e l'altro, con una cinta in mano, fingeva di cercarmi da tre giorni: mi, vedeva, fingeva di volermi cinghiare, io mi ripavaro abbracciando i ginocchi di uno che prima ci eravamo assicurati che avesse « u surci » ne « la culatta ». Io gridavo, gli stringevo i ginocchi gridando — perdono —, e chiedendo aiuto a quell'uomo. Quello si impietosiva, si chinava cercando di proteggermi dalle busse, e intanto l'altro gli sfilava il portafoglio. Perché io fossi messo a conoscenza che l'oper[...]

[...]va di essere commercianti. A Milano, Torino: tutta mezza l'Italia ho conosciuto. Una volta il mio apparanzato era in possesso della tessera di giornalista. E tornavamo ogni tanto a Palermo, alla base.
Una volta, in una città, eravamo in tre, abbiamo incontrato una donna che poi portammo all'albergo. Io avevo un quattordici anni, gli altri erano maturi. Prima ci andarono gli altri, per ultimo io ci passai la notte e questa mi ha fatto raccontare cosa facevamo. La mattina dopo, questa é sparita senza farsi pagare. E ci siamo accorti, quando la polizia ci ha arrestato, che la polizia sapeva tutto quanto io avevo raccontato alla donna. Li s'era a farci da « nona » un brigadiere dei carabinieri, palermitano come noi, che conoscevamo. Perché abbiama pensato che la donna era una spia? La polizia insisteva nel voler sapere da me se il brigadiere, che poi hanno fatto maresciallo, era dei nostri, come io nel... m'ero lasciato scappare.
A quindici anni sono stato proposto per il riformatorio di Santa. Maria Capo a Vetere, provincia di Napoli. Uno [...]

[...]i nostri, come io nel... m'ero lasciato scappare.
A quindici anni sono stato proposto per il riformatorio di Santa. Maria Capo a Vetere, provincia di Napoli. Uno di quelli con i quali lavoravo, dispiaciuto che dovessi essere rinchiuso, mi accompagnò sulla nave (ma incognito, la guardia non sapeva niente), quasi fino a destinazione. E sul treno mi porse un medicinale da strofinarmi negli occhi, perché fossi riformato alla visita al Riformatorio. Cosa che feci, perché anch'io volevo starmene libero e ormai mi piaceva girare l'Italia. Difatti dopo Otto giorni fui riformato: ma ancora oggi agli occhi mi é rimasta un po' di congiuntivite cronica, per quello. Tornato a casa, ripresi a gironzolare per l'Italia. In questo periodo riportai due condanne di venti giorni e trenta, segnate ma non scontate perché minorenne. Un giorno fui arrestato a Roma, e da quella questura ebbi fatte le pratiche per essere rinchiuso, questa volta nell'Istituto Vittorio Emanuele III,. in provinzia di . Mantova. E qui fu la mia prima esperienza « rivoluzionaria ». Ci[...]

[...]à. È andata a finire che il Direttore, quando son tornato, mi ha puntato la rivoltella addosso, ma lui poi é stato costretto ad andarsene.
Tre anni sono stato 11: vita di recluso, si pub immaginare. Si sacrificava certe volte una parte del pane per cambiarlo, coi contadini che venivano 11, in sigarette fatte a mano. Strada lunghissima fino alla scuola e tutta la gente che diceva: — Povarin, povarin, daghe un pezo de pan, una gota de vino —. Che cosa ci avevano di educatori quelli là non si sa: se il primo lasciava tutto alla legge dell'anarchia, quell'altro voleva fare andare dritto tutto e invece andava tutto storto. Non si sa se andava peggio prima o peggio dopo.
Li ho incominciato dalla terza, per finire alla sesta elementare: mi han portato li perché sapevo un po' leggere per conto mio, avevo quasi la barba e ero came il padre dei bambini del paese, che erano mischiati insieme nella classe. Mi ricordo ancora che il primo giorno di scuola c'era il maestro che aveva disegnato un triangolo alla lavagna e diceva: — L'area del triangolo [...]

[...]iù renditizio. Questo parlò con un pezzo di novanta, il malandrino, vecchio e paralitico, che comandava dal di fuori una fabbrica del cemento, disponendo a suo piacimento l'assunzione o il licenziamento degli operai. Come manuale, li lavoravo come una bestia da soma, ora alla fornace ora traspl,rtavo pietra rotta con una roncola di ferro. Io non ce la facevo; per sfuggire il lavoro andavo tre, quattro e anche cinque volte alla latrina; quando la cosa venne a conoscenza del pezzo di novanta, mi cacciarono fuori dicendo ch'ero lagnusu.
Sempre per guadagnare i soldi occorrenti per il matrimonio, ho fatto il rappresentante di cera, il battitore: vendevo statuine, stoffa, orologi «d'oro» eccetera. Finanche lo spicciafaccende, e ho imparato malamente il parrucchiere. Malgrado tutti questi mestieri non sono riuscito mai a accucchiare i piccioli pel matrimonio. La mia fidanzata, che
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vedeva nel matrimonio la soluzione oltre che amorosa anche economica, mi voleva lasciare. In questa sua decisione io vedevo l[...]

[...]iare. Ci sposammo con la semplicità da poveri. Poco dopo mia moglie s'ammalò, la ricoverammo all'ospedale, io continuavo a non lavorare, le difficoltà aumentavano di giorno in giorno, andavo spesso a letto senza mangiare perché non avevo soldi, andavo a trovare mia moglie all'ospedale a mani vuote. Era assai umiliante per me, non mi sentivo uomo, marito; un giorno che mi fu possibile portarle un'arancia, mi parve giorno di festa. Un'arancia. Che cosa é un'arancia? Eppure per me era tutto.
Mi sentivo isolato da tutti, andavo da un barbiere all'altro per avere lavoro: niente. Volevo andare a trovare qualche mia vecchia conoscenza per rifare quell'altro « lavoro »: la paura di lasciare mia moglie solo mi teneva. Incontrai un giorno un mio amico che borseggiava: mi regalò cinque lire che mi servirono per mangiare due giorni e portare qualche cosa a mia moglie. Mia madre, che comprendeva la mia intima lotta, una sera mentre a tavola mangiavo un piatto di minestra, mi disse: — A Gi', stai attento a quello che fai. Ricordate che adesso ci hai moje e nun poi fa' quello che te pare, speciarmente che quella na regazzina —. Quel consiglio mi rasserenò e, pare, mi portò fortuna. Pochi giorni dopo trovai lavoro in un barbiere napoletano guadagnando 25 lire la settimana oltre le mance dei quali il padrone teneva conto, altrimenti avrebbe dovuto darmi 35 lire. Mi sentivo finalmente felice.
Poi mia moglie usci dall'ospedale e siamo andati ad abi[...]

[...]cchier di vino, la vita gli era diventata un tormento, ed io in riconoscenza di quanto avevano fatto per me, cercavo di accontentarlo
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e, qualche volta, quando litigavano lei e lui, perché lui si era trattenuto qualche coserella di nascosto, cercavo di metter pace: a settant'anni ancora costretto a fare le marachelle. Durante la settimana raschiava tutto il tartume che c'era intorno a la pipa per metterlo in bocca e sentire qualcosa del gusto del tabacco. Quando veniva un po' ubriaco, al sabato, mi strofinava in faccia i baffi umidi e mi diceva: — Povero fijo —. Poi abbiamo litigato con la cugina e siamo venuti a stare a Palermo.
A Palermo (mio padre lo conoscevano, me l'additavano; conoscevo anche mio nonno al quale chiedevo qualche nicheletta per la strada), venni senza niente, solo biancheria. Fui costretto ad andare a parlare a mio padre. Siccome avevo avuto pochi contatti, non lo sentivo questo affetto di padre: ma la necessità mi costrinse a parlarci. Egli permise che io e mia moglie andassimo ad abitare in casa s[...]

[...], stava racchiusa nelle sofferenze che avevo passato: comunismo voleva dire, per me, vita nuova e per tutti, lavoro per tutti e redenzione, quindi non più Sciabbica, perché se c'é lavora, non c'é ladri, tranne che per i cleptomani. Questo nell'idea, ora ti dico il contatto fisico come è stato. Io avevo il salone, si viveva d'intrallazzo, io vendevo le sigarette di contrabband che mi venivano fornite direttamente da una guardia di finanza. Io la cosa la facevo senza scrupoli perché si può dire che la facevano tutti i saloni. Mangiavo bene così, mentre intorno c'era fame. Un giorno volevo organizzare una dimostrazione contra l'affamamento: l'ho organizzata. Mi appartai nel retrobottega, scrissi MI manifesto nel quale finivo: — Viva Stalin, viva Roosvelt, viva il Comunismo siciliano.
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Raccolsi soldi per stamparlo, comprai la colla, e fécimo per conto nostro il partito Antifascista d'Azione: e nella nostra intenzione era quello di dare bastonate ai fascisti. Con l'aiuto di alcuni altri miei conoscenti, [...]

[...]ssati; ogni tanto cade una vite, cade uno sportello. Per cui é necessario, per aggiustarli, la collabora zione di tutti quelli che sono sul treno. E quando tutto é messo a punto, si viaggia speditamente verso la città del socialismo. M'ero fatto una cultura marxista, e continuavo a lavorare da barbiere. Siccome questo mestiere, specie a Palermo, non é tanto redditizio e io ormai ero padre di quattro bambini, cercavo di evadere, far qualche altra cosa. Un giorno parlai ad un compagno qualificato il quale mi propose di andare a fare il fattorino alla Federbraccianti. Ed io accettai. In questo periodo la direzione del partito aveva indetto un corso politico per corrispondenza, al quale io partecipai. So io quale sforzo facevo e quale impegno mettevo nello studio, perché avevo coscienza che più mi sarei educato politicamente, piú avrei dato al partito. E ` in questo studio, ricordavo ancora una volta un detto di Gramsci il quale in un suo libro dice: Istruitevi, perché la rivoluzione é rivoluzione di uomini. La società ha bisogno di uomini n[...]

[...]icevuto una lezione dura, dal punto di vista pratico: perché mentre io, con la lettura dei kolcos in Russia, invitavo i contadini alla coltivazione collettiva, essi invece procedevano allo spezzettamento e alla lavorazione individuale. Si preoccupavano di delimitare la loro porzione, con una cinta, delle pietre, le redini del mulo, come quando sul treno si precipita la gente all'occupazione dei posti, buttando cappelli, borse, giornali.
A me la cosa sembrava strana e chiamai un contadino, dicendo che la cosa non era giusta; e questo mi rispose — Scusami compagno Gino: se io lavoro il terreno col mulo, e quello lo lavora solo, all'ora del prodotto io n'ho a pigliare più assai.
La sera prima, quando si decise di occupare la terra (noi cerchiamo di non dare la sensazione di essere noi che organizziamo, ma di andare sul posto per sentire quali sono le esigenze vive, e aiutarle a riuscire), i contadini ci dissero che dovevano essere tutti all'alba in un punto. Difatti ci trovammo li, noi per i primi i dirigenti, e via via venivano tutti gli altri contadini, con i muli, con le zappe, bambini, giovani.[...]

[...]ti rimasero soli, vennero ad arrestarli.
Non so con precisione come siano andate a finire le cose perche la sera, stessa, tornato da li, andai a Montelepre, per l'occupazione del feudo vicino e poi li mi misero in galera.
Nello stesso tempo anche i contadini di Cinisi, Carini, Partinico,. Terrasini e Montelepre si agitavano per avere le terre del Piano degli Aranci. Si stabili che io dovevo andare a visitare questi comuni per rendermi conto di cosa avveniva. Intanto era stato organizzato un comizio a Carini dove avrei dovuto parlare io. Siccome nella piazza v'era la festa del Santo Patrono, si decise che avrei parlato dentro i locali della Camera del lavoro che trovai affollatissima. I pressi della Camera del lavoro e le vie vicine erano perlustrati dai gruppi di carabinieri, tra questi anche quelli della C.F.R.B. (Comando Forze Repressione Banditismo). Seppi che si voleva a qualunque costo evitare l'occupazione del feudo. Partii per Terrasini, visitai Partinico e da qui a Montelepre. Ovunque mi portavo, ovunque leggevo chiaramente nel [...]

[...]re é venuto un carabiniere che mi invitò a seguirlo in caserma perché mi voleva parlare il maresciallo. Ci dissi che ci sarei andato appena finito. Vi andai, una ventina circa di contadini mi vollero accompagnare. Il maresciallo, che già mi aspettava, ostentando una certa calma, mi invitava a sedere — Mi scusi se I'ho disturbata. Sa, qui é una zona pe
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ricolosa ed è nostro compito sapere chi sono i forestieri. Scusi, ma lei che cosa è venuto a fare a Montelepre? Senta, non creda che io ce l'abbia con la camera del lavoro, anch'io sono operaio, anzi le dico di più: ho conosciuto personalmente a Torino la moglie di Togliatti... ». Quando me ne andai trovai i braccianti che erano rimasti fermi ad attendermi.
Durante quest'altra mia esperienza mi accorsi quanta fosse lontana, dalla mente della stragrande maggioranza dei contadini, la vera funzione del sindacato. Quasi che questa fosse per loro un'opera esclusivamente assistenziale. Pochi comprendevano che non era solo la lotta economica che bisognava fare, ma era necessario[...]

[...]er terra che credevo di non farcela piú.
Arrivammo verso le sette. Attendemmo. Via via venivano gli altri: trecento circa. Aprimmo le bandiere e partimmo verso Sagana. Appena
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arrivati vicino alle case, scorgemmo da lontano un altro gruppo di contadini con le bandiere: erano di Partinico.
Ci unimmo e ci baciammo. Ma intanto s'era schierata in un piazzale la C.F.R.B.: si fece avanti un ufficiale e ci disse cosa eravamo venuti a fare. Dicemmo la verità, eravamo venuti a occupare il feudo. Questo ci voleva distogliere, minacciandoci: — La legge, la galera... — Intanto un maresciallo s'era diretto in un gruppo di contadini che tenevano le bandiere: uno teneva la bandiera italiana, un altro la bandiera rossa. Abbassi queste bandiere! Qui non siamo comunisti — disse il maresciallo: — Via la bandiera rossa, questa non é italiana. — C'era il pericolo di cadere nella loro provocazione, come seppi poi era avvenuto a Bisaquino, che per via della bandiera era successo un pandemonio: ci sono stati feriti nella[...]

[...]ale cercava di prender tempo dicendo che a Montelepre c'era il Prefetto che stava parlamentando con i contadini e mettendosi d'accordo che il terreno lo avrebbero dato senza bisogno di occuparlo.
Aspettavamo che venissero i contadini, di Montelepre, e ci mettemmo a giocare a « lignicedda ». Si attese, si attese, questi compagni non venivano. C'era qualcuno che diceva di cominciare ad andare a occupare il terreno. Si mandò uno incontro, a vedere cosa succedesse a Montelepre. Intanto che si attendeva, si vide da lontano sulla strada qualcosa che si faceva sempre più distinguere. Qualcuno diceva già: — Compagni, compagni che arrivano. — Invece era una massa di carabinieri che luccicavano da lontano per le armi e le mostrine. Altro che compagni: armati fino ai denti, mettici quattro erre. Che per loro eravamo tutti banditi. E forse i banditi intanto stavano guardandoci da qualche pizzo col binocolo, a godersi lo spettacolo.
Erano arrivati con degli autocarri. Poi ci presero tutti e ci fecero entrare in un cortile grande, dove c'era una vecchia galera dei Borboni. Il maresciallo si mise su un tavolino (che li avevano il loro comand[...]

[...]l carcere (dove avevo intanto potuto approfondirmi nello studio delle questioni sociali; avevamo costituita la cellula « Sagana » e abbiamo fatto qualche reclutato), ritornai alla Federbraccianti, alla mia attività normale.
Quando é venuto Eisenhower in Italia per ispezionare le truppe, la popolazione aveva inscenato una dimostrazione contro la guerra. Io mi trovavo in piazza Massimo, perché volevo partecipare anch'io. Ad un dato momento non so cosa é avvenuto, una confusione, ho visto spingere una donna su una camionetta e l'Onorevole Colajanni che,
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qualificandosi come deputato regionale, cercava di dissuadere la polizia ad arrestare quella donna. Si è gridato: — Viva la Sicilia. Viva il Parlamento Siciliano — credendo che stessero arrestando Colajanni. E successo un parapiglia. Cominciò la solita girandola della celere e mi sono sentito afferrare per il collo da un scelbino. Pur mostrando il mio distintivo (lo porto «abusivamente », la galera c'è, perché è un mio diritto: lo Stato mi passa la pen[...]

[...]ra un articolo sotto forma di lettera aperta, sottoscritta da tutti gli organismi di massa e da alcuni deputati, nel quale si diceva: — Chi è Gino O.? —E li la mia biografia e il maturarsi della mia lunga redenzione alla testa delle lotte per la libertà e per la pace. Se non ci fossero stati i compagni a difendermi, sarei andato sicuramente per cinque anni al confino.
Nella commissione per l'ammonizione, c'era il Prefetto il quale voleva sapere cosa stessi facendo in mezzo la folla. Anzi, mi disse apposta :
Nella folla mancano i portafogli. — Io mi sentivo come male, umiliato. Intorno a me, in un ambiente di gran lusso, sentivo i profumi di alcuni paltò posati sui divani di velluto e delle sigarette di lusso. Insiste, indicando il mio paltò che avevo comprato sulla bancarella della roba « americana)): — Come, lei porta questo cappotto di lusso?
Fui ammonito per due anni (non potevo far più attività politica perché non potevo più andare nei paesi, secondo il regolamento di polizia. Dovevo forse andare dai marescialli e dirgli: — Sono un[...]

[...] c'é. Chi ci ha bisogno, per esempio i venditori di mussu o milza, di avere per forza la merce da uno, perché ce n'é poca, lo considerano come un loro piccolo Dio: che basta che questo gli levi la partita, per morire dalla fame. Questi poveracci poi votano dove dice questo piccolo ras; votano per la partita, che a loro glie ne frega della politica, in genere. Qui ci si infilano i mafiosi per portare voti dove dicono i ras. Ma la mafia é un'altra cosa: quando a una bottega ci fanno uno scasso, questi si interessano nei diversi quartieri del ricupero della merce del loro protetto. Il proprietario poi ci paga « un pizzu : i picciotti vonno mangiare ».
Adesso faccio di nuovo il barbiere ambulante, che ho sei figli e il partito é povero e non ha la possibilità di stipendiarmi. Ho alcuni clienti già fissi che ci vado a casa secondo i giorni stabiliti, per? solo con questi clienti non potremmo vivere. Siccome sono conosciuto soprattutto nel rione Capo, la gente mi chiama, quando passo con la borsa, e mette sulla strada una sedia e dell'acqua in[...]

[...] mano in tasca accarezza la vicina. Piove, ci si vorrebbe riparare dentro l'ufficio. Si spinge. Dal di dentro si respinge e la guardia grida: — Indietro! — Si insiste per entrare. Un invalido si fa largo coni gomiti. — Documenti? Scusi lei dove va? —
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Minasola! Minasola! — Il portone si chiude, si riapre. — Scusi ha chiamato Geraci? — Per favore il mio tesserino. — Venga domani. — Ma io sono ammalato. — Che cosa posso farci io?
È una torre di Babele, non un ufficio di collocamento.
Certe volte rifletto che son trascorsi quarantadue anni di vita senza aver approdato a niente. Però penso che parte dei miei anni li sto spendendo per agevolare gli altri, perché altri non siano costretti a fare le mie esperienze. Poi, ritengo di vivere per un obbligo verso la mia famiglia, verso i miei figli, verso il partito, che ritengo sono state le lotte, le esperienze del partito che mi hanno reso uomo nuovo. Spesso la mattina, quando mi alzo prima di andare a lavorare, vado al lettino dove dor mono due dei miei ba[...]

[...]i non siano costretti a fare le mie esperienze. Poi, ritengo di vivere per un obbligo verso la mia famiglia, verso i miei figli, verso il partito, che ritengo sono state le lotte, le esperienze del partito che mi hanno reso uomo nuovo. Spesso la mattina, quando mi alzo prima di andare a lavorare, vado al lettino dove dor mono due dei miei bambini e, baciando il più piccolo, penso che almeno lui ha le carezze e i baci che io non ho avuto. — A qualcosa servo anch'io — mi viene da pensare anche se mi rimane...
Questa mia vita passata così e che a un certo momento mi dava una specie di complesso di inferiorità nei confronti degli altri, malgrado questa mia nuova concezione della vita, è affiorata qua e là in certe occasioni. Specie quando bisognava avere la forza politica e morale di fare trionfare alcuni princìpi di democrazia interna del partito.
Ad esempio. Ero responsabile provinciale degli Amici dell'Unità. Un giorno, durante la penultima campagna elettorale, entrando nella stanza adibita a mio ufficio, non trovai più né tutto il mater[...]

[...]ti continuamente, questi due
178 DANILO DOLCI
elementi si confondono; il momento in cui ti fermi, l'olio, che per me rappresenta la verità, viene a galla, per forza di cose deve venire a galla.
Con questa fiducia, pur guadagnandomi il pane, continuo insieme agli altri ad operare per il bene della collettività. Ogni qual volta si presenta un'occasione di una lotta che interessi un determinato cortile, o una famiglia, mi trova pronto. Leggi che cosa ci ha scritto un compagno in questi giorni: « ...desidero ringraziare te e tutti gli altri compagni per ciò che avete fatto per farmi passare meglio i miei mesi di noia che ho passato a Palermo. Ringraziarvi per l'esperienza politica che mi avete dato modo di acquisire (e che vi prometto di farne buon uso), ringraziarvi per la indimenticabile cena che mi avete offerta prima di venirmene via; ringraziarvi infine per tutte le gentilezze e le cortesie che avete usato per me e per i miei compagni militari. Non vi dimenticherò mai. E quando sarò vecchio e mi prenderò i miei nipotini sulle ginocchi[...]



da (9 Domande sul romanzo) Italo Calvino in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1959 - 5 - 1 - numero 38

Brano: 6 ITALO CALVINO
ITALO CALVINO
1) Definiamo bene i termini della questione. Cosa intendiamo per romanzo? Cosa intendiamo per crisi? Molti intendono per romanzo: « romanzo di tipo ottocentesco ». Allora non c'è più nemmeno da parlare di crisi. Il romanzo dell'Ottocento ha avuto uno sviluppo così pieno, lussureggiante, vario, sostanzioso, che quel che ha fatto basta per dieci secoli. Come può venire in mente di aggiungergli qualcosa ? Coloro che vorrebbero che si scrivessero ancora romanzi ottocenteschi, fanno torto a ciò che dicono di amare.
Recentemente, il romanzo è stato definito da Moravia (in contrapposizione al racconto) come romanzo d'ossatura ideologica. C'è stata crisi, in questo senso ? Si, ma nell'ideologia, prima che nel romanzo. Il grande romanzo fioriva in un'epoca di sistemi filosoficï che cercavano di abbracciare tutto l'universo, in un'epoca di concezioni del mondo totali; oggi la filosofia tende — più o meno presso tutte le scuole — a isolare i problemi, a lavorare su ipotesi, a porsi obiettivi precis[...]

[...] per secoli l'accusa d'immoralità da parte di religiosi e moralisti; accusa non del tutto ingiusta, si badi bene, e simile a quella che ora anche noi spesso muoviamo al cinema e alla televisione, quando ce la prendiamo con la coatta passività dello spettatore, portato ad accettare tutto quello che lo schermo gli riversa nel cranio senza poter dare forma a una partecipazione critica. A parte le differenze sostanziali tra la lettura — sempre « faticosa », pausata e critica — e lo star li come stupidi a guardare il video, bisogna dire che questo pericolo di « cattura » del lettore era già nel romanzo tradizionale (sempre nel romanzo deteriore, ma spesso anche nei capolavori) e ne costituiva una ragione di fascino ineguagliabile come anche d'impalpabile fastidio per chi non vuol. essere « catturato » da niente e da nessuno. Nel romanzo del Novecento l'elemento « avvincente » s'è andato perdendo (restando caratteristico di quel tipo di letteratura commerciale noto appunto col nome di suspense) e la partecipazione richiesta al lettore é sempre [...]

[...]aborazione. Crisi o non crisi, questa ? Crisi senz'altro, ma positiva. Anche se la narrazione non si propone altro fine che di creare un'atmosfera lirica, è solo con la collaborazione del lettore che questa nasce, perché l'autore può solo limitarsi a sugge
8 ITALO CALVINO
rida; anche se non si propone altro che un gioco, lo stare al gioco presuppone sempre un atto critico.
Dunque, nessuna di queste varie definizioni di romanzo ci parla di qualcosa che è necessario o possibile tenere in vita oggi. Non ci sarebbe che da concludere che continuare a discutere del romanzo, a fissarci su questo concetto, è una perdita di tempo. L'importante è che si scrivano dei bei libri, e, nella fattispecie, delle belle storie: se sono romanzi o meno, cosa importa ? Come il romanzo aveva avocato a sé funzioni di tanti generi letterari, così ora ridistribuisce le sue funzioni tra il racconto lirico, il racconto filosofico, il pastiche fantastico, la memoria autobiografica o di viaggio o di confronto di sé con paesi e società ecc...
Non esiste più la possibilità d'un'opera che sia tutte queste cose insieme ? Ecco una nostra lettura recente: Lolita. La virtù di questo libro è che può esser letto contemporaneamente su molti piani: storia realistica oggettiva, « storia di un'anima », rêverie lirica, poema allegorico dell'America, divertimento lingu[...]

[...]libri come questi Denis de Rougemont può scrivere il recente saggio a proposito di Musil, Nabokov, Pasternak; saggio che è una delle cento chiavi in cui possono essere letti quei tre libri). E, riflettendoci un momento, non tarderò ad ammettere che le possibilità di lettura su piani multipli è una caratteristica di tutti i grandi romanzi di tutte le epoche: anche di quelli che la nostra abitudine di lettura ci porta a credere di leggere come qualcosa di stabilmente unitario, unidimensionale.
Ecco dunque che giunto a questo punto mi pare di poter azzardare una nuova definizione di quel che oggi (e perciò sempre) il romanzo é: un'opera narrativa fruibile e significante su molti piani che si intersecano. Considerato alla luce di questa definizione, il romanzo non é in crisi. È anzi la nostra un'epoca in cui la plurileggibilità della realtà é un dato di fatto fuori del quale nessuna realtà può essere accostata. E c'è una corrispondenza tra alcuni dei romanzi che oggi si scrivono o si leggono o si rileggono e questo bisogno di rappresentazion[...]

[...]truzioni, usi che si rifanno ad altre tradizioni. Questo sistema può servire e dare coerenza e perspicuità a un linguaggio narrativo, finché non diventa una limitazione alle facoltà d'espressione; allora non c'è che mandarlo al diavolo.
8) Il romanzo storico può essere un ottimo sistema per parlare dei propri tempi e di sé.
9) Amo soprattutto Stendhal perché solo in lui tensione morale individuale, tensione storica, slancio della vita sono una cosa sola, lineare tensione romanzesca. Amo Pusckin perché è limpidezza, ironia e serietà. Amo Hemingway perché è matter of fact, understatement, volontà di felicità, tristezza: Amo Stevenson perché pare che voli. Amo Cechov perché non va più in là di dove va. Amo Conrad perché naviga l'abisso e non ci affonda. Amo Tolstoj perché alle volte mi pare d'essere li li per capire come fa e invece niente. Amo Manzoni perché fino a poco fa l'odiavo. Amo Chesterton perché voleva essere il Voltaire cattolico e io volevo essere il, Chesterton comunista. Amo Flaubert perché dopo di lui non si può più pensare [...]



da Giovanni Pirelli e Piero Malvezzi (a cura di), Lettere di condannati a morte della Resistenza europea in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1953 - 7 - 1 - numero 3

Brano: [...]a morte. Ah, come posso descrivervi ciò? Nel pomeriggio venni a sapere che mamma e papá erano stati visti sul piazzale. Dovevo continuare a lavorare, non potevo aiutarli. Ho creduto di impazzire. Ma non si impazzisce. Poi seppi che le donne che non lavoravano, le semplici donne di casa, non le si poteva salvare. Ora, dovevo piangere e lamentarmi per aver perduto la mamma, o rallegrarmi di aver salvato il papa? Non lo sapevo. Si può concepire una cosa simile? La si può comprendere ? Non sarebbe normale che il cervello e il cuore scoppiassero?
Così continuammo a vivere senza la mamma, la nostra cara e fedele mamma, il buon cuore di mamma...
Intanto continuavano le preoccupazioni quotidiane, la dura lotta per l'esistenza che era diventata stupida, priva di senso.. Si dovette cambiare casa ancora una volta, il ghetto doveva essere ancora ristretto. Infatti le case degli uccisi erano venute libere. E si continuava a vivere.
Il 5 novembre era domenica. Improvvisamente, alle undici del
6 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA[...]

[...]ero uscita. Col tempo ci si abitua a tutto. Si diventa così ottusi. Anche se si perdeva qualcuno degli amici o parenti più prossimi, non si reagiva quasi piú. Non si piangeva, non si era più esseri umani, si era di pietra, senza più sentimenti, nessuna notizia ci faceva più impressione. Ci si avviava alla morte, anzi, con calma assoluta. La gente sul piazzale era indifferente e tranquilla.
20 aprile 1943
Sono ancora viva e vi voglio raccontare cosa è avvenuto dal
7 aprile ad oggi: dunque, dicono che ora toccherà a tutti. Vogliono liberare l'intera Galizia da tutti gli ebrei. E soprattutto vogliono che il ghetto entro il 1° maggio sia liquidato. Negli ultimi giorni sono state fucilate altre migliaia di persone. Il nostro lager era il centro di raccolta. Di lì venivano scelte le vittime umane. A Petrikow la cosa si presenta così: dinnanzi alla fossa si è spogliati nudi, ci si deve inginocchiare e si attende il colpo. Le vittime stanno in riga ed attendono il loro turno. Intanto devono sistemare ordinatamente i primi, i fucilati, nelle fosse, in modo che lo spazio sia ben sfruttato e ci sia ordine. L'intera procedura non dura molto. Dopo una mezzoretta gli indumenti dei fucilati sono di nuovo nel lager. Finita l'azione il consiglio degli ebrei ha ricevuto un conto di 30.000 zloty per pallottole consumate, da pagare... Perché non possiamo gridare, perché non ci possiamo difendere ? Come si può veder sc[...]

[...] di me con tristezza, ma con quella gioia con la quale io ho sempre vissuto. (Seguono alcune parole cancellate dalla censura) ...nasce. Queste sono idee così, lo so che fareste voi stessi tutto il possibile. Ma se anche non riuscirete a nulla, non disperatevi per questo, né siate infelici. Una volta o l'altra dietro ad ognuno si chiude la porta. E per quanto riguarda papà pensateci sopra, se sia il caso di non dirgli nulla o di fargli capire qualcosa.
8 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Meglio sarebbe di non angustiare con niente la sua vecchiaia. Decidete voi, siete, ora, più vicini a lui e alla mamma.
Scrivetemi, vi prego, che ne è di Gustina e mandatele i miei più affettuosi saluti. Che sia sempre forte e coraggiosa e che non rimanga sola col suo grande amore, che io sento continuamente. Vi è in lei ancora tanta giovinezza e sentimento perché possa avere il diritto di rimanere vedova. Volevo che fosse felice e vorrei che lo fosse anche senza di me. Dirà che non è possibile. Ma è possibile. Nessun uomo è insostit[...]

[...]e suppliziata a Berlino il 9 settembre 1944. (Lettera tratta dalla raccolta « Poslední Dopisy », Svoboda, Praga, 1946)
Berlina Ploetzensee, 8.9.1944
Mio caro Kájus"ka,
mi ricordo di te, passerottino mio caro, e ti penso, ti penso, ma ormai non posso mai più ritarnare da te. Debbo lasciarti, per quanto ti abbia voluto tanto bene. Ma tu non essere triste, la tua mamma sta ormai molto bene e (seguono 2 righe cancellate dalla censura).
Una sola cosa desidero da te: studia bene, in modo da comprendere tutto bene e da diventare alla fine un uomo tutto d'un pezzo. Di me anche ti ricorderai certamente, come di tua papà, che ha dovuto morire, sebbene non lo volesse. Káia, non posso scriverti tutto quello che sento, ma quando sarai grande e ti immedesimerai nella mia situazione, allora capirai. Non ho potuto fare altrimenti, la vita é stata dura e crudele, rimpiango solo di non esser morta assieme al papà. Tu, Kájusenka caro, sta con la zia e voglile bene, come hai voluto bene a me, poiché anche la zia e gli altri ti vogliono tanto bene. Sta s[...]

[...]edo la piena disfatta del fascismo.
So che vivrai con difficoltà senza papà e che dovrai penare. Ma il socialismo, nel nome del quale io muoio, verrà e vi metterà in ottime condizioni di vita.
Sii un combattente anche tu e ama la giustizia. Ama tua madre, figliolo caro, essa sarà per te una difesa nella vita.
Bacio te, tua mamma, i fratelli, le sorelle e il nonno.
Tuo padre
Vanío
21 novembre 1943
L'unico desiderio che ho è di vivere.
Qualcosa ti soffoca, ti porta via, ti toglie lentamente la coscienza; lo spazio della cella diventa stretto, la cella sembra senza aria. Eppure, avere tanto desiderio di vivere!
14 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
E il bambino! Caro il mio figliolo, che fin da adesso sente la mancanza del suo papà. Sono ancora commosso delle sue parole: « Papa, quando vieni mi compri un tramvaiuccio, il trenino, le scarpe ».
Mio figlio sente la mia mancanza, ha nostalgia di me, della carezza e del pensiero del papà. Quando gli ho risposto che non mi lasciavano andare da lui, mi ha detto: «Ma a[...]

[...]el giorno del tuo compleanno. Questa è l'eterna legge della vita, la natura. Tutto quello che nasce deve anche morire. Io muoio, ma in te sta sorgendo nuova forza che continua la vita: u ...der Weg, die brennende Strasse geht weiter, wenn auch dein Weg, wenn auch mein Weg Kamarade zu Ende geht ». Ancora tu non puoi capire quello che sta succedendo intorno a te. Quando sarai grande, tua madre, . e anche altri, ti racconteranno come era tuo padre, cosa fece, e che grande guerra c'è stata. Giá, cara Márta, questa guerra è orrenda. Sono convinto che, tra poco tu potrai continuare la tua vocazione, interrotta dalla tua malattia e da altri motivi. Ma intanto cerca di procurarti un lavoro che ti assicuri una indipendenza economica. Trovo naturale che tu, se credi, ti sposi nuovamente. Spero che Gyuri possa avere un padre che gli voglia bene e che lo educhi bene.
Bisogna cercare che Gyuri venga educato all'indipendenza e non venga viziato da un esagerato affetto, che non abbia una educazione esclusivamente intellettuale, ma anzi severa, affinché[...]

[...]a critica di prim'ordine, e nessuno può sapere se tra ventiquattr'ore sarò ancora in questa cella, se fra trenta ore sarò ancora vivo. Ma alla morte é tolta ogni amarezza, non la tristezza, naturalmente, ma non é forse que
20 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
sta quasi dolce? Proprio ora lo sento fortissimo, ora che da una indefinibile e profonda unione con te ritrovo la via verso le parole, le idee.
Donde ci verra questa cosa che con magica forza tocca i nostri animi e li unisce? Perché questa sorgente non sgorga sempre? Sedevo sul duro sgabello della mia cella, come cento e cento ore prima d'allora, e mi trovai profondamente immerso nel tutto: nella natura, nell'uomo, nell'arte. La differenza fra la vita e la morte era scomparsa in un'unica gioia, quella d'esistere...
28 marzo 1943
Mezzogiorno e trenta. In questo momento quattro compagni di martirio sono stati prelevati dalla cella... Così, due o tre volte la settimana, mi conducono sull'orlo dell'abisso, e mentre mi costringo di guardarvi dentro con calma, asp[...]

[...]ria terrena, e «Dio detergerà ogni lacrima dai loro occhi ». Quale consolazione, quale mirabile forza emana dalla fede in Cristo che ci ha preceduto nella morte. In Lui ho creduto, in Lui credo oggi più fermamente e so che non sarò distrutto. Come tante volte, vorrei anche oggi citarvi San Paolo. Rileggete i seguenti versetti: 1 Cor. 15/43 e Romani 14/8. Ovunque ci si guardi attorno, ovunque troviamo giubilo per la grazia di essere figli di Dio. Cosa mai può capitare ad un figlio di Dio? Cosa avrei da temere? Al contrario: rallegratevi. Ancora vi ripeto: rallegratevi!...
Ora a voi! Io so il vostro stato d'animo. Se penso a voi, il cuore mi diventa greve. Era duro il peso che si é abbattuto sulle vostre spalle negli ultimi mesi, e più dura é questa fine. E bene che ora ci sia P ... Voi tutti mi darete una grande gioia se saprete sopportare questo dolore virili e forti, da veri cattolici. Offritelo dunque a Colui che ha sofferto per noi e sopportato la più grande di tutte le pene. In Lui tutto possiamo sopportare. Vedete, i legami dell'amore che ci uniscono non sono spezzati dalla [...]

[...]fficile superare questo colpo. Eravamo insieme da sette settimane. Già dal 7 settembre era stato condannato a morte e si trovava nella cella. Era maturo da molto tempo. Durante i temuti giorni delle esecuzioni egli se ne stava spesso ore ed ore davanti alla porta e cercava di capire se e quanti venivano condottii alla esecuzione. E poi, il 6 gennaio, del tutto inatteso venne il suo turno. Nel bel mezzo del lavoro, senza sospetto, sperando in qualcosa di meglio, lasciò sorridendo la cella senza un addio. Da allora siamo Walter ed io soli.
In due si sta meglio, per l'aria e perché ci figuriamo sempre di essere in tanti. Walter sarebbe stato uno dei migliori con cui costruire un nuovo mondo di pace. Pur sentendomi triste al pensiero che non potrò vedere la pacifica ricostruzione che seguirà questa guerra spaventosa, mi consola tuttavia il pensiero che essa vi libererà dal bisogno e che non dovrete peroccuparvi del vostro futuro benessere.
Nella serena attesa della mia morte imminente ho spesso riflettuto sulla mia vita passata e l'ho riesa[...]

[...]enti religiosi é dovere elementare di un uomo educato e perbene. Anche dal punto di vista nazionale non mi sento colpevole. Non ho mai concepito l'internazionale come un fattore ostile, avverso al nazionalismo, ma come una intesa ragionevole dei vari interessi nazionali nell'interesse di un fecondo sviluppo di tutta l'umanità. Mi sono sempre riconosciuto come parte della mia Patria e del mio popolo, perché considero popolo e nazione non come qualcosa di artificioso e casuale, ma come fenomeno naturale, storicamente determinato. La mia posi
26 LETTERE DI CONDANNATI A. MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
zione democratica mi conduce verso il socialismo internazionale che unisce i popoli.
Sono una vittima di questi tempi terribili, come molte, molte migliaia prima e dopo di me. Devo morire perché la solidarietà umana mi é filtrata nel sangue e nell'animo, perché stimo superiore alla mia salvezza personale il rispetto verso il mio prossimo, verso i miei compagni di lavoro.
I più affettuosi, caldi saluti e baci d'addio dal vostro
papà
LEOPOLD[...]

[...]derio ci anima tutti: la libertà. A questo fine sacrifichiamo tutto. Ma la nostra morte richiede che voi continuiate ad essere forti, fino ad incassare il debito che ancora deve essere saldato, oggi. Vi posso assicurare che nemmeno il vostro Poldi si nasconde dietro i nostri eroici caduti, e non rimpiange in nessun modo la sua vita perché ora vogliono la sua testa! No, per me c'é solo un avanti, e non una vergognosa diserzione della bandiera. So cosa mi attende, ed aspetto con animo sereno quella giornata.
28 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
Già il mio avvocato mi ha fatto un quadro del mio nuovo ambiente, cioè nel suo intimo mi ha dato per perduto. Io sapevo e conoscevo la mia posizione sin dalla prima giornata del mio arresto, ma non mi volevo arrendere, per quanto Kohim avesse rivelato tutto. Il mio motto era: guadagnare tempo vuol dire guadagnare mezza vita. Ma, se quest'ultimo atto non mi sarà risparmiato, lo saprò sopportare da combattente.
La mia vita l'avevo già conclusa il 3 dicembre '42, e non ho perciò [...]

[...]nel suo intimo mi ha dato per perduto. Io sapevo e conoscevo la mia posizione sin dalla prima giornata del mio arresto, ma non mi volevo arrendere, per quanto Kohim avesse rivelato tutto. Il mio motto era: guadagnare tempo vuol dire guadagnare mezza vita. Ma, se quest'ultimo atto non mi sarà risparmiato, lo saprò sopportare da combattente.
La mia vita l'avevo già conclusa il 3 dicembre '42, e non ho perciò desideri, soltanto vi pregherei di una cosa: Anni, finché se lo merita, consideratela come mia moglie. Essa è giovane, forse non mi ha capita, ma ci siamo amati, e se il destino non ci avesse toccato così duramente, forse sarebbe diventata più saggia. Essa, dopo tutto, è stata tirata su in un altro mondo. Il suo destino mi addolora molto, e sono triste perché non sono stato in grado di aiutarla.
Era mio destino essere lottatore, e non l'ho mai dimenticato. Voglio ancora salutare tutti i conoscenti qui, i Leder, anche essi mi comprenderanno e ciò fa bene. Salutami anche Prinz, le mie zie, i miei zii e le cugine. Peperl mi resterà sempr[...]

[...]enderci vicino a sé così giovani. Mammina e papa, vivete voi per vedere giorni migliori, se per noi era destino di non vedere questi giorni buoni.
Chiediamo per l'ultima volta la vostra benedizione. Perdonateci. Se potete sapere in quale cimitero ci seppelliranno, allora vi aspettiamo. Venite ad accendere la nostra piccola candela.
Vi mandiamo tutta la nostra roba e siamo certi che giungerà nelle vostre mani. Non vi agitate! Non é poi una gran cosa. Per l'umanità sono stati uccisi milioni di giovani. Forse loro non avevano una mamma ? Questo pensiamo e non sentiamo tanta pena. Non abbiamo altro da dirvi perché non ci viene in mente nulla_
Vi abbracciano i vostri figli
Marinos Anghelos
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 31
KIM MALTUEBRUN
Danese, nato ad Edmonton (Canada) l'8 luglio 1923. Nel 1944 interrompe la carriera nella Marina Mercantile per dedicarsi alla lotta clandestina. Nel dicembre dello stesso anno é arrestato dalla Gestapo e suppliziato nell'aprile successivo. (Lettera tratta da u Kim P, Thaning e Ap[...]

[...] dello stesso anno é arrestato dalla Gestapo e suppliziato nell'aprile successivo. (Lettera tratta da u Kim P, Thaning e Appels Forlag, Copenaghen, 1945)
Cella 411, 4 aprile 1945
Cara mamma,
con Jt rgen, Niels e Ludvig sono stato condotto davanti al tribunale militare. Siamo stati condannati a morte. So che sei una donna forte e che ti rassegnerai, ma non ti devi limitare a rassegnarti, devi anche rendertene conto. Io non sono che una piccola cosa, ed il nome sarà presto dimenticato, ma l'idea, la vita e l'ispirazione che mi pervasero continueranno a vivere. L'incontrerai ovunque, sugli alberi in primavera, negli uomini sul tuo cammino,. in un piccolo e dolce sorriso. Incontrerai ciò che ebbe un valore per me, l'amerai e non mi dimenticherai. Crescerò e diventerò maturo, vivrò in voi, i cui cuori ho occupato, e voi continuerete a vivere, perché sapete che mi trovo davanti a voi e non dietro voi, come forse eri portata a credere. Ho scelto una strada di cui non sono pentito, non sono mai venuto meno a quanto era nel mio cuore, ed ora mi[...]

[...]stato un Socrate, ma il pubblico é mancato. Sento la sua stessa calma, e vorrei che ve ne rendeste completamente conto.
In fondo é assai strano esser seduto qui, intento a redarre questo documento per la vita. Ogni parola resta impressa, non può esser modificata, mai mutata.
J¢rgen scrive di fronte a me, abbiamo vissuto insieme, ora moriamo insieme, due compagni. Sono stato con Poul, avevamo molte opinioni differenti, ma egli sa cos'ho in me e cosa posso dare. Senti come una lama che ti taglia l'animo, é il dolore, si dice, ma
32 LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
guarda l'infinito, dobbiamo morire, e né io né te possiamo dire se sia bene o male che il mio trapasso avvenga un po' prima o un po' dopo. Ricordati, ti giuro che è vero, che agni dolore si muta in gioia, ma solo pochi vorranno riconoscerlo di fronte a se stessi. Si sono avvolti nel dolore e l'abitudine fa credere loro di esser sempre avvolti nel dolore. La verità è che dopo il dolore giunge la profondità e dalla profondità sorge il frutto.
A me niente t[...]

[...] sia bene o male che il mio trapasso avvenga un po' prima o un po' dopo. Ricordati, ti giuro che è vero, che agni dolore si muta in gioia, ma solo pochi vorranno riconoscerlo di fronte a se stessi. Si sono avvolti nel dolore e l'abitudine fa credere loro di esser sempre avvolti nel dolore. La verità è che dopo il dolore giunge la profondità e dalla profondità sorge il frutto.
A me niente taglia l'animo, è così, e te ne devi render conto. Ho qualcosa che vive e arde in me, amore, ispirazione, chiamala come vuoi, tuttavia qualcosa che non riesco ad esprimere. Ora muoio, e non so se ho acceso una piccola fiamma nell'anima di qualcuno, una fiamma che mi sopravviverà, ma sono ugualmente sereno, perché ho visto e so che la natura è ricca, nessuno nota se un germe viene calpestato e muore, perché dovrei dunque rattristarmi io, (panda vedo tutta questa ricchezza che vive ?
Ci sono poi i bambini, che mi sono sentito vicini in queste ultime ore, ero felice di rivederli e di vivere nuovamente con loro. Ho sentito il mio cuore palpitare al pensiero di loro, e spero che cresceranno da uomini che sanno guardare oltre gli argini d[...]

[...]o animo possa svilupparsi liberamente e mai sotto un'influenza unilaterale. Salutameli, il mio figlioccio e suo fratello.
Vedo che svolta prendono le cose nel nostro paese, ma ricordati, e ve ne dovete ricordare tutti, che il sogno non deve essere di tornare ai tempi primi della guerra; i1 sogno per voi tutti, giovani e vecchi, deve esser di creare un ideale per noi tutti che non sia unilaterale. Il nostro paese tende verso una grande méta, qualcosa a cui anche il piccolo contadino aspirerà, mentre con gioia sente che il suo lavoro e la sua lotta hanno fatto suo questo c< qualcosa ».
In fine c'é lei che é mia. Falle capire che le stelle brillano an cora ed io non era che una pietra miliare. 'Aiutala, ora potrà diventare molto felice. In fretta, tuo figlio maggiore = ed unico
Kim
LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA 33

LEIF DINES PEDERSEN
Danese, nato a Copenaghen il 3 dicembre 1921, studente in Agraria. Organizzatore di un gruppo di guastatori e ricercato dalla Gestapo, riprende l'attività clandestina a Silkeborg, dove viene arrestato dopo l'azione contro le officine di Darr e suppliziato nel marzo 1945. (Lettera tratta dalla raccolta « De S[...]

[...]di guastatori e ricercato dalla Gestapo, riprende l'attività clandestina a Silkeborg, dove viene arrestato dopo l'azione contro le officine di Darr e suppliziato nel marzo 1945. (Lettera tratta dalla raccolta « De Sidste Timer », Berlingske Forlag, Copenaghen, 1946)
13 marzo 1945
Cara mamma e papà,
questa mia lettera sarà dunque il mio ultimo saluto a voi. Oggi ho saputo la mia condanna. La pena capitale. Molto probabilmente avrete già saputo cosa ho fatto. Ho partecipato a varie azioni di sabotaggio e sono corresponsabile dell'uccisione di un ufficiale tedesco, ed ora é finita. Il pensiero non mi preoccupa eccessivamente, perché, da (panda partecipavo a quelle cose, ero preparato alla possibiltà che il peggio si verificasse.
Mi dispiace soltanto di non avervi avvertiti, quando mi recavo da voi in ferie, ma ogni volta pensavo che sarebbe andata bene, e non c'era dunque ragione di informarvene. Per quanto riguarda il motivo che mi ha spinto ad agire come ho agito, non mi resta che dire che ho obbedito alla mia convinzione, e l'avvenire[...]

[...]ito (dove avevo avuto la gioia e insieme il dolore di vedere la mia cara moglie, non ancora liberata) il 10 giugno, per raggiungere la Santé, dove mi trovo da quella data. Do
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LETTERE DI CONDANNATI A MORTE DELLA RESISTENZA EUROPEA
vevo subire l'interrogatorio da parte dei tedeschi 1'11 e il 17 giugno, poi il 14 luglio. Non fu peggiore di quello che avevo dovuto subire da parte dei francesi. Quelli, almeno, hanno la scusa di difendersi, ma cosa dire dei poliziotti francesi?
Il vero supplizio é che dal 10 giugno al 1° ottobre ho avuto giorno e notte le mani legate dietro la schiena: se volete aggiungere quanto ero martoriato nella mia carne (sotto i colpi le mie natiche s'erano talmente gonfiate che i calzoni si sono spaccati), mi era quasi impossibile sdraiarmi. Solo, senza notizie, senza niente e la pancia vuota, ho tuttavia tenuto duro...
Vi sono state 18 condanne a morte su 24.
Dopo la fine del processo ci hanno tolto le manette e ci prestano dei libri e soprattutto grazie a voi ho dei pacchi. Vi dico mille volte grazie. Noi o[...]

[...]ondannati a morte della resistenza italiana », Einaudi, Torino, 1952)
Mimma cara,
la tua mamma se ne va pensandoti e amandoti, mia creatura adorata, sii buona, studia ed ubbidisci sempre agli zii che t'allevano, amali come fossi io.
Io sono tranquilla. Tu devi dire a tutti i nostri cari parenti, nonni e gli altri, che mi perdonino il dolore che dò loro. Non devi piangere né vergognarti per me. Quando sarai grande capirai meglio. Ti chiedo una cosa sola: studia, io ti proteggerò dal cielo.
Abbraccio con il pensiero te e tutti, ricordandovi
la tua infelice mamma
GUGLIELMO JERVIS
Italiano, nato a Napoli il 31 dicembre 1901, ingegnere. E uno dei primi organizzatori delle formazioni partigiane della Valle d'Aosta e commissario delle formazioni G. L. nelle valli Pellice, German asca e Chisone. Arrestato ai primi di marzo 1944, tradotto nelle carceri Nuove di Torino, più volte seviziato viene fucilato nella notte fra il 5 e il 6 agosto 1944 nella piazza principale di Villar Pellice (Torino). (Messaggio scritto con uno spillo sulla coperti[...]



da Liliana Magrini, Il silenzio in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1958 - 7 - 1 - numero 33

Brano: [...]ttire a fatica: « Dopo tutto, non era mica venuto con noi... ».
Guardava a terra, le dita del piede nudo si contraevano sui ciottoli. Poi, lentamente, si diresse verso il folto di mentastri dove tra il grigio delle foglie risaltava la macchia rossa della blusa di Michele. Marco lo segui. L'uno e l'altro s'infilarono le scarpe, e quando risollevarono la testa i loro occhi s'incontrarono per la prima volta. Nino sembrò in procinto di dire qualche cosa : ma distolse gli occhi e guardò i vestiti. Per un momento parve esitare, poi bruscamente si chinò, li raccolse, e andò verso una striscia di terra nuda ai piedi della roccia. Accovacciato, si mise a scavare con le mani. Marco lo vide deporre in fondo alla buca i vestiti e ricoprirli frettolosamente.
Marco guardò le scarpe di Michele: pensò di alzarle, non avrebbe voluto che Nino portasse via anche quelle, ma non osò muoversi e fu ancora Nino a prenderle e seppellirle allo stesso modo. Quando si risollevò e gli tornò vicino, aveva le braccia tutte intrise di fango. Rimasero immobili qualche [...]

[...]indugiò un momento, battendo la cenere dalla pipa, prima di passare dall'acciottolato dell'ultima erta alla strada asfaltata. Tra due cortine scialbe di case, le prime scintille del tram salivano con lievi scoppiettii nel cielo che andava spegnendosi.
Sorrise : una svelta figura traversava di scatto il marciapiede. Soltanto Costanza sapeva avere quell'impeto nel passo. Andava verso qualcuno che usciva da un negozio. Gli s'accostò e sussurrò qualcosa: l'uomo annui. Costanza Cataldo cominciò allora, come in un gioco, a far uscire da vari punti del suo corpo dei pacchetti lucidi e lisci;
156 LILIANA MAGRINI
sembravano scaturire spontaneamente, tant'erano lievi i suoi gesti. Alcuni sbucavano come musi prudenti di bestiole tra l'ampia gonna frusciante e la blusa candida; altri balzavano vivi dalla piega del braccio rotondo, o guizzavano lungo la coscia col balenare brevissimo di un ginocchio bruno.
Antonio s'era lentamente avvicinato. Allo sguardo cauto e come divertito che girò intorno ricomponendosi la veste, Costanza lo vide, e gli rivo[...]

[...]te lo scorcio di strada inquadrato dalla finestra. La blusa risaltò bianchissima contro l'asfalto, come raccogliesse la luce del giorno al declino. Istintivamente, Marco aveva cercato su quel bianco il fiore rosso che le aveva visto sul petto quando, nelle prime ore del pomeriggio, era scesa verso la città.
Prima di riabbassare lo sguardo sul lavoro, Antonio lo portò un attimo sul figlio: ma come se non lo vedesse.
Con la mano, toccò piano qualcosa nella tasca destra : la stessa tasca dove Marco gli aveva veduto nascondere il garofano. Si, proprio nascosto, lo aveva, si disse il ragazzo. E perché ora non lo guardava, non gli diceva niente?
« Come? » chiese con aria assente Antonio, in risposta a una domanda di Teresa, come se cercasse solo di prendere tempo fermando un rumore che lo infastidiva. Continuò a incidere un segno che si piegava in una curva slanciata: « Come? ah, si, la cornice che ho portato al dottore? » Con un ferro acuminato modificò lievemente il segno. « Duemila ».
Ecco, disse Teresa. Al solito, lui non aveva saputo f[...]

[...]
Filippo Bertolli, il padre di Nino, gli era arrivato vicino senza che l'avesse udito. Veniva dalla città. « Come va, giovanotto? » chiese con giovialità un po' enfatica, battendogli una mano sulla spalla. Minuto di corpo, il pasticcere serbava, di un'originaria pinguedine, gli occhi sottili, le fossette sul mento e sulle guance, le estremità delicate, e l'affannata lentezza. « Eh, siete nella bella età, voi... Tredici anni Nino, tu dodici: che cosa si può volere di più? »
Non se ne andava. Aveva cominciato uno dei suoi soliti racconti sul tempo che anche lui era ragazzo, e metteva da parte tutti i soldi, e che poi s'era comperato un orologio. Marco s'accorse che parlando non cessava di sorvegliare la strada, sulla quale Giacomo Cataldo stava venendo lentamente verso casa. Quando fu vicino, Filippo si voltò verso di lui con un largo sorriso, come preparandosi a fermarlo.
Giacomo camminava con aria assente. Scorse Filippo all'ultimo momento: gli fece appena un cenno di saluto, e distolse subito lo sguardo, con quella sospettosa e schiva[...]

[...]on sapeva sentire del risentimento per Costanza: aveva solo voglia di piangere udendo il suo riso. Ma gli altri, no. Si sentiva gonfio d'odio contro tutti. Contro Nino che aveva paura. Contro gli altri, così distratti, così pigri a rendersi conto.
La cena era stata come tutte le sere. Luigi Stura, il fratello maggiore di Marco, era rientrato come sempre all'ultimo momento. Eri poco tempo che aveva un lavoro fisso: solo un anno prima, faceva qualcosa qua e lá come avventizio, e il resto della giornata Io passava a pedalare su e giù per i colli, perché diceva di voler diventare un corridore. Poi, s'era trovato la ragazza, e lei l'aveva convinto a cercarsi un posto giù ai cantieri: per potersi sposare, diceva. Ma era mutato, da allora: parlava poco, e non stava mai con Marco. Anche stasera era uscito di nuovo, dopo mangiato l'ultimo boccone.
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IL SILENZIO
Era già un sollievo, l'essersi alzati da tavola. Mai le pause erano parse a Marco così lunghe. Quella sensazione gli era diventata cosí greve che s'era domandato, per un attimo, se sa[...]

[...] che passavano correndo, si fermarono:
« Vieni a giocare? »
Fece silenziosamente cenno di no. Lo guardarono un po' stupiti. S'allontanarono, uno si voltò a guardarlo ancora.
Filippo Bertolli stava venendo avanti, con la sigaretta in bocca. Faceva sempre due passi, dopo cena, per digerire.
In quel momento Costanza si sporse dalla finestra e guardò in direzione della città.
« Niente », disse voltandosi verso l'interno. « Si fa tardi ».
« Che cosa c'è? » chiese Filippo.
166 LILIANA MAGRINI
Costanza si ritirò. Filippo scrollò le spalle, mentre la brace della sigaretta gli illuminava sulle labbra un sorrisino. Una volta di piú, il ragazzo dei Cataldo se ne stava in giro per conto suo, certo pensava. Tornò piano sui suoi passi.
Marco girò intorno alla casa, e stette un po' a guardare di lontano i compagni che giocavano a calcio. Poi tornò indietro : voleva sapere se Giacomo e Costanza erano ancora là.
Arrivò, strisciando lungo il muro, fino al punto dal quale si vedeva dentro al pianterreno dei Cataldo. Non poté scorgere che la nonna,[...]

[...]pre vista così; non significava niente, neppure che fosse veramente sola: sola nella stanza, cioè, e non di quella solitudine che era la sua da quando il marito le era morto, e il figlio maggiore era stato ucciso in guerra, e Giacomo era diventato una specie di straccio. Per lo niù stava seduta, senza un gesto, nello stesso angolo, più polveroso degli altri perché non lo lasciava neppure quando Costanza scopava. Non sembrava occuparsi di qualche cosa che quando vegliava, per delle ore, il figlio ubriaco.
Fuggi per non vederla piú, senza neppure pensare agli altri due. Aveva paura.
Una qualunque porta d'osteria, con la parte superiore di vetro smerigliato. In alto, un'insegna debolmente illuminata da un fanale lontano : La Grotta. Antonio Stura vi andava spesso : per trovarsi con gli amici, diceva vagamente a Teresa. Marcò esitò: non v'era mai entrato.
Un passo risuonò dietro di lui, dalla parte di Oregina: spinse il battente. C'era un piccolo gruppo in piedi davanti alla soglia. Per un momento, Marco non riuscì a scorgere che il soffit[...]

[...]io Spinola, che con aria riflessiva si passava la mano sul risvolto consunto della giacca; e che per quanto fosse assurdo, aveva tutta l'aria di prepararsi a cantare anche lui. Finalmente alzò la testa, e cominciò. Aveva una voce tremante, che sforzava sugli acuti, facendosi tutto rosso: ma la voce cadeva. Il piccolo usciere continuava allora, esitante, la stessa melodia, con un'attenzione quasi penosa sul viso, come se stesse aspettando qualche cosa. Ogni volta che un acuto s'avvicinava, vi si preparava per tempo, inarcandosi, tendendo il petto, annaspando con le mani come se l'aria fosse una corda cui si potesse aggrappare. Portò a termine la nota, alla fine, in un grido un po' stridulo. Ebbe un leggero sorriso che gli continuava ad aleggiare sul volto mentre, con aria contenta e confusa, tornava al suo posto.
Dietro a Marco, ogni tanto, la porta s'apriva per lasciar entrare un nuovo arrivato. E se qualcuno fosse venuto a cercarlo fin là? Almeno avesse potuto raggiungere suo padre. Non era ancora riuscito a scor
168 LILIANA MAGRINI
g[...]

[...] perché l'aria era così pulita. Si, disse Antonio, era raro vedere tante stelle. Meno male, disse Spinola; perché nella giornata, in quelle sale chiuse del municipio, si soffocava. Poi li lasciò. Andava a cercare una farmacia aperta, disse. Doveva prendere una medicina per Caterina.
« Sei amico di Spinola ? », chiese quasi involontariamente Marco, con voce timida. « ...Si », rispose Antonio in tono un po' stupito. Parve voler aggiungere qualche cosa. Ma poi tacque.
Il passo d'Antonio era lento, mentre salivano il colle, ma non più goffo: era un modo pacato di posare il piede, calcandolo bene, come per sentire le asperità e la levigatezza di quel vecchio asfalto tormentato. Eppure parve così breve, a Marco, la strada, e così animata la notte, piena di cigolii di tram, di brusii che salivano dai vicoli lontani della città, attorcigliati come i meandri di una conchiglia e punteggiati di lumi. Davanti a lui, fissi in un rettangolo bianco contro il nero dei dossi, s'avvicinavano i fanali d'Oregina, diversi e soli.
Fissò un cespuglio che st[...]

[...]tte la mano aperta sul petto, vicino alla gola : i suoi occhi rotondi e sbigottiti si fecero lentamente lucidi. Si voltò verso Marco, la sua mano trasalì come se avesse voluto chiamarlo, tria sembrò trattenersi e la premette di nuovo sul petto.
Con aria imbarazzata, Filippo spegneva tra le dita la sigaretta appena acccesa.
Costanza continuava a singhiozzare.
Marco vide suo padre stringersi una mano contro l'altra, come ansioso di fare qualche cosa, e non sapesse che. Fece un passo avanti. Anche Marco, involontariamente, s'avvicinò.
S'udì infine Antonio chiamarla piano per nome : « Costanza ».
Fu suo padre, ora, a parlare. Avevano taciuto tutti, si diceva Marco. Perché proprio lui, adesso, faceva così? Con una voce sorda, la supplicava d'aspettare, che non poteva essere accaduto niente, che se voleva sarebbe andato lui a cercare.
Dapprima tremante, la voce di Antonio si faceva via via più pacata. Ma il padre non credeva a quello che diceva, si disse Marco. Lui sapeva perché suo padre parlava. Voleva soltanto che Costanza non piangess[...]

[...]ese un ferro, poi posò di nuovo l'una e l'altro e si mise a disporre tutto in ordine. Metteva da parte le asticciole finite, allineava pazientemente gli arnesi. Tolse anche, una a una, le schegge di legno cadute mentre piallava. Quando ebbe finito, si mise a rifare la punta della matita, poi s'alzò e fece un giro per la stanza, e sedette ancora.
« ...Si potrebbe andare a vedere se c'è niente di nuovo », disse infine senza voltarsi. « Vedere che cosa? » ribatté Teresa. Se n'erano andati da neppure un quarto d'ora. E poi erano quasi le undici, e lei aveva sonno. Il ragazzo sarebbe magari rimasto in giro fino a mezzanotte. Andasse lui, se due lagrime di Costanza lo avevano tanto commosso.
« Ma no », disse Antonio. « Pensavo d'andare se venivi anche tu ».
Mente, si disse Marco. Gli conosceva quel viso spento, quella voce rassegnata. Ma almeno oggi, che si trattava di Michele, avrebbe potuto non mentire. Che cosa li faceva dunque tacere, tutti, per paura o per pietá? che cosa nascondevano?
Teresa gettò con violenza le posate in un cassetto[...]

[...]sa. Se n'erano andati da neppure un quarto d'ora. E poi erano quasi le undici, e lei aveva sonno. Il ragazzo sarebbe magari rimasto in giro fino a mezzanotte. Andasse lui, se due lagrime di Costanza lo avevano tanto commosso.
« Ma no », disse Antonio. « Pensavo d'andare se venivi anche tu ».
Mente, si disse Marco. Gli conosceva quel viso spento, quella voce rassegnata. Ma almeno oggi, che si trattava di Michele, avrebbe potuto non mentire. Che cosa li faceva dunque tacere, tutti, per paura o per pietá? che cosa nascondevano?
Teresa gettò con violenza le posate in un cassetto.
Finirono per andare. Marco pensare che avrebbe pianto, quando fosse rimasto solo. Ma non poté. Chiuse gli occhi: non sopportava più di vedere le cose, e la cucina, e il bricco del caffè, e gli ultimi piatti sulla credenza, e i rigidi fiori intagliati sulle asticciole, né se stesso, quelle mani che stringevano le ginocchia e poi s'alzavano inquiete.
Si sdraiò sul letto senza svestirsi. Gli pareva che si sarebbe assopito subito, stordito com'era. Ma appena ebbe posata la testa sul cuscino, si senti lucido e desto, col peso deg[...]

[...]e: col suo viso breve, gli occhi maliziosi. Si sporgevano insieme dal predellino del tram in corsa, attaccati con un braccio alla maniglia e il corpo teso, un po' storditi dal passare veloce del selciato, per essere i primi a saltare giù a terra e arrampicarsi su una palizzata da dove si vedeva la partita. Michele, il suo amico Michele.
176 LILIANA MAGRINI
Soltanto in lui, gli parve finalmente di trovare aiuto: come se anche la sua morte fosse cosa loro, da difendere contro gli altri.
S'era seduto sul costone. Dietro a lui, le facciate di Oregina rivolte verso la valle erano tutte buie: solo nell'ultima casa, una luce brillava alla finestra di Caterina, la vecchia malata. I suoi occhi, assuefacendosi, percepivano nella piana oscurità che si dilatava oltre la città, lievi balenii bianchi di spume: e in quella voce piena e uguale, l'orecchio distingueva ora mormorii diversi, e come un ansito, uno strisciare lento e paziente.
Sarebbe bastato scendere giù attraverso i colli, e poi nuotare verso il largo. Era colpa sua, dunque? Si sentiva [...]

[...]lte aveva visto delle coppie come quella, sedute sul colle per delle ore: l'uno mordicchiando un filo d'erba, l'altro palpando piano un ciottolo, come faceva ora Luigi. Gli poteva distinguere il volto, girato di profilo : aveva la fronte corrugata e la smorfia testarda della bocca che gli conosceva in certi momenti di mutismo, quando anche Teresa evitava di andargli vicino.
Maria teneva la testa appoggiata alla sua spalla. Poi alza il viso. « A cosa pensi? » la udì mormorare.
IL SILENZIO 177
Luigi si riscosse. « A niente ».
Poi Marco vide di nuovo quelle mani; e subito quelle di Luigi sulla veste chiara. Dure, come ostinate a far presa.
La stretta lama di un riflettore si fermò un attimo sulla lontana oscurità del mare: apparve una breve superficie, scialba e ,vuota.
Fu in quel momento che s'udì il grido di Caterina. Alto, ininterrotto. Un grido d'appello che non lasciava modo a risposta alcuna.
Seguì un rumore lontano di porte chiuse, un mormorio di voci. Giuseppe Spinola doveva aver chiamato la vicina per l'iniezione. Il grido co[...]

[...]ominò di nuovo Michele e Costanza. Fermò un momento l'asciugamano che faceva scorrere dietro la schiena. « Povera gente! come si fa, in quelle condizioni...» Finì di asciugarsi. «Bisogna riuscire a non farsi fregare », disse con voce più sorda, riponendo l'asciugamano.
Si pettinò, poi si voltò a un tratto verso Marco:
« Sai in quanto tempo sono venuto su oggi, in bicicletta, da Piazza
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Principe? Tre primi e dodici secondi. Cosa ne dici? ». Alla prossima gara per dilettanti, disse, era sicuro di vincere. « Voglio vedere la faccia di Maria! » Ebbe un bel sorriso, che gli restituì il suo viso di ragazzino.
Andò finalmente nel bugigattolo adiacente, dove dormiva. Si mosse a lungo, infine Marco udì il cigolio delle molle del letto.
Era stanco di sentir parlare. Di nuovo pensava a Michele come sul colle, e che non gli importava più di nulla, perché poteva fare come lui. « Avrei parlato, se volevano. Bastava che avessero voluto ». Ma ormai, non si trattava più di questo. Era come se la cosa non li riguardasse piú. In qua[...]

[...] Ebbe un bel sorriso, che gli restituì il suo viso di ragazzino.
Andò finalmente nel bugigattolo adiacente, dove dormiva. Si mosse a lungo, infine Marco udì il cigolio delle molle del letto.
Era stanco di sentir parlare. Di nuovo pensava a Michele come sul colle, e che non gli importava più di nulla, perché poteva fare come lui. « Avrei parlato, se volevano. Bastava che avessero voluto ». Ma ormai, non si trattava più di questo. Era come se la cosa non li riguardasse piú. In qualche modo, l'aveva presa su di sé. Con Michele.
Quando Teresa e Antonio entrarono, finse di dormire. Bisbigliavano piano. Attraverso le palpebre appena socchiuse, vedeva la punta dei propri alluci tendere il lenzuolo in una sola rigida linea, fino al petto. Si sentiva stranamente unito e compatto, in quella compostezza e in quel pensiero fermo e tranquillo: posso fare anch'io come Michele.
Gli diede fastidio, quando si coricarono, sentire il calore del corpo di sua madre sotto il lenzuolo.
Dopo qualche tempo, il levarsi della luna gli fece scorgere il viso di [...]

[...]tradì. «Dormi?» chiese piano Teresa. Trattenne il respiro. Teresa gli accostò iI viso alla guancia. La senti umida. Mormorava piano, in modo sommesso e tenero: con la voce, forse, si disse Marco, con cui gli parlava quando lui non poteva ancora capire. A lui non poteva accadere, diceva Teresa; non era vero, che non poteva accadere? Lei gli stava attenta, Marco lo sapeva che era sempre attenta. Gli voleva troppo bene, perché potesse accadergli la cosa che era accaduta a Michele, Non era vero, che era sempre preoccupata di lui?
Gli parlava, ma non aspettava risposta, come se lo supponesse in un vago dormiveglia o come a un bimbo molto piccolo. Era stanca, diceva ora, tanto stanca; e poi, poi, oh, perché Antonio era così? Ma Marco no, Marco non l'avrebbe mai abbandonata. Non era vero che sarebbe rimasto lá, sempre, con lei? Il suo Marco.
Marco si sentiva avvolgere dal calore che emanava dal corpo di
i
IL SILENZIO 179
sua madre, e da quell'odore noto e vivo, un odore di stanchezza e di lagrime. Il corpo angoloso dì Teresa si faceva, da v[...]

[...]tro il muro, vicino alla porta aperta. L'accostò gettando fuori uno sguardo. « Ho aspettato che tua madre uscisse », mormorò. « Si sono rivolti alla questura. Tuo padre e Luigi li hanno accompagnati ». Certo, aggiunse guardandolo timorosamente, sarebbero venuti per le ricerche: avrebbero dovuto stare attenti. Insistette su questo, Marco capi che aveva paura che parlasse. Non rispose, neppure con un cenno.
Nino esitava, come se avesse ancora qualcosa da dire.
Mio padre vuole che faccia la comunione stamattina. Per Michele, dice ».
Marco s'alzò di scatto dal letto e gli venne vicino.
« Dovrai confessarti ».
Ancora non l'aveva mai fatta, lui, la comunione. Guardò fisso Nino. Bisogna dire tutto, no? »
Nino sfuggi con imbarazzo il suo sguardo.
« Anche quello?... » insisté Marco.
« Non c'é mica peccato », disse Nino con voce dura. « Ho detto una bugia, é tutto ».
Mai Marco aveva provato, prima, l'ira che in quel momento l'assalì. Si gettò su Nino che non resisteva, inerte, e lo colpi furiosamente, alla cieca, con un gusto come di sangu[...]

[...]ato! « Va via! » mormorò poi guardando fisso Nino. Nino tentò di parlare. « Va via! ». Il ragazzo, con espressione attonita, si passò una mano sui capelli, e faceva con la gola uno sforzo come se inghiottisse. « Via! » urlò.
Nino indietreggiò lentamente verso la porta, la spinse con la schiena, e poi fuggi lasciandola spalancata.
Marco si guardò intorno stordito. Tutto, nella stanza non ancora rassettata nonostante la luce già piena, aveva qualcosa d'insolito che richiamava un disordine di giorni festivi. Le tazze da caffè non sciacquate, sul tavolo; quel letto ancora sfatto, col cuscino sgualcito e pesto dalla parte di Teresa, da quella d'Antonio diritto e quasi liscio; c'era perfino, attaccato alla finestra, lo specchietto punteggiato di spruzzi di sapone, come di domenica. Era forse per andare in questura che Luigi s'era fatto la barba alla mattina, e non come il solito al ritorno del lavoro. Teresa doveva anche aver pulito le scarpe buone d'Antonio, perché c'era fuori il lucido nero e la spazzola.
Si vesti, poi sedette sull'orlo de[...]

[...]cchietto punteggiato di spruzzi di sapone, come di domenica. Era forse per andare in questura che Luigi s'era fatto la barba alla mattina, e non come il solito al ritorno del lavoro. Teresa doveva anche aver pulito le scarpe buone d'Antonio, perché c'era fuori il lucido nero e la spazzola.
Si vesti, poi sedette sull'orlo del letto, preso da una grande spossatezza. Non comprendeva più la propria ira. Soltanto, si sentiva come derubato di qualche cosa. Provò a ritrovare il viso di Michele, come l'aveva visto la sera prima : ma non ne era capace. Per un istante,. gli pareva di afferrarne una linea, isolata: le sopracciglia schiarite dal sole sugli occhi mobili, l'orecchio un po' sporgente sul collo esile. Ma subito lo perdeva.
Pensò vagamente che i questurini sarebbero venuti, e che forse li avrebbero arrestati per aver taciuto; ma senza paura, piuttosto con un'acre soddisfazione.
Fu solamente il ritorno di sua madre a farlo muovere. Teresa mise subito sul fuoco la pentola per il brodo, e vi gettò dentro un pezzo di carne che aveva nella [...]

[...]rientrato in sacrestia. Era solo, nella luce piatta della grande navata.
Vedeva la donna pregare, il viso tra le mani. Rimase qualche minuto. Poi si fece un segno di croce, s'alzò e usci.
Anche Nino avrebbe fatto questo. E poi? tutto finito?
E Michele?
Alzò gli occhi verso l'altare. Il prete era immobile, chino verso la tovaglia candida. Una campanella tintinnò. Le donne abbassarono il capo. Sapeva di doverlo fare anche lui: era la prima cosa che Teresa gli aveva insegnato, e che in quel momento c'era il Signore, sull'altare, vivo nell'ostia. Chinò un momento gli occhi, preso dal solito timore riverente : ma subito, come per uno sforzo volontario, li rialzò. La campanella insisté. Continuò a guardare. Gli turbinavano nella mente racconti che aveva udito, di segni terribili apparsi all'elevazione; gocce di sangue, una voce. Il prete alzò il calice, che scintillò debolmente; poi si chinò di nuovo sull'altare. Marco guardava. Aveva paura: ma doveva guardare. Un terzo tintinnio : poi, nella mano del prete, s'alzò un piccolo cerchio bi[...]

[...]na ignota condanna impedisse a chiunque d'intervenire. Sulla porta, l'uomo continuava a torcersi le mani.
Riuscì a voltarsi. Corse a lungo. Non aveva che un pensiero : salire, lasciare quelle strade precipitanti tutte verso il mare, che ogni tanto balenava in fondo ai crocevia. Ma a mano a mano che saliva, il mare si dilatava sempre più tra le scure fessure dei tetti d'ardesia, fino ad abbracciare, abbacinante, tutta la costa.
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«Ma che cosa, dunque, che cosa? » diceva la voce di Costanza. « Una macchina? Ma si sarebbe saputo. E neppure il mare. Era calmo, ieri, e Michele sa nuotare. E chi avrebbe potuto volergli fare del male? Ma no, é assurdo. E poi, qualunque cosa si sarebbe saputa ». Parlava in modo monotono, uguale nelle domande e nelle risposte, come se le avesse troppe volte ripetute.
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IL SILENZIO 185
Marco s'era seduto a lato della casa, sul filo d'ombra che la separava dalla strada assolata. Udiva Costanza senza vederla. Non l'aveva vista neppure passando rasente al muro, sebbene le imposte fossero spalancate.
«E voi perché tacete? » proruppe all'improvviso Costanza, con voce diversa, spezzata e violenta. « Perché tacete, tutti e due? Non avete detto una parola. Che cosa pensate? »
Nessuno rispose.
« Che cosa pensate? Dio, che nessuno par[...]

[...]e risposte, come se le avesse troppe volte ripetute.
rr
IL SILENZIO 185
Marco s'era seduto a lato della casa, sul filo d'ombra che la separava dalla strada assolata. Udiva Costanza senza vederla. Non l'aveva vista neppure passando rasente al muro, sebbene le imposte fossero spalancate.
«E voi perché tacete? » proruppe all'improvviso Costanza, con voce diversa, spezzata e violenta. « Perché tacete, tutti e due? Non avete detto una parola. Che cosa pensate? »
Nessuno rispose.
« Che cosa pensate? Dio, che nessuno parli? »
« Anch'io ho tanto gridato », disse una voce fredda e spenta. Marco comprese che era quella della vecchia, sebbene gli sembrasse di non averla mai udita parlare.
« Sta zitta. Parli come se fossi già sicura! Ma tu, Giacomo, tu l'hai visto prima che uscisse! Non ti ha detto proprio niente? Non ti ha detto dove pensava d'andare... quando sarebbe tornato? ».
Ruppe in singhiozzi; diversi da quelli della sera prima, ammorbiditi di lagrime: erano striduli, ora, esasperati.
« Perché mi guardi in quel modo? Tu sai qualche cosa ».
« Te l'ho detto, non so niente »[...]

[...]rese che era quella della vecchia, sebbene gli sembrasse di non averla mai udita parlare.
« Sta zitta. Parli come se fossi già sicura! Ma tu, Giacomo, tu l'hai visto prima che uscisse! Non ti ha detto proprio niente? Non ti ha detto dove pensava d'andare... quando sarebbe tornato? ».
Ruppe in singhiozzi; diversi da quelli della sera prima, ammorbiditi di lagrime: erano striduli, ora, esasperati.
« Perché mi guardi in quel modo? Tu sai qualche cosa ».
« Te l'ho detto, non so niente », rispose stancamente Giacomo. « Perché io? Perché io e non tu? Perché non eri là, a chiedergli dove era che andava? Ne avevi abbastanza ,di vedermi, non è vero? Forse, se tu fossi stata qui... Avevi il diritto di stare in giro, no? Perché sei giovane, è questo che pensavi? E io, non lo ero come te? E anche colpa tua ». La sua voce era diventata tagliente. « Tu, si... E anche colpa tua, se è andata così ».
Così?! allora tu lo sai. Lo sai! ». C'era dell'odio, in quella voce, una collera trattenuta che lo fece rabbrividire.
La risposta di Giacomo, stanca e [...]

[...]empre, esitando. Caterina aveva chiuso gli occhi. La cornea e la pupilla s'intravvedevano, ugualmente chiare, tra le palpebre. Sulla facciata di fronte, dei panni stesi s'agitavano sotto lievi raffiche. Era lo stesso vento di quel giorno, ma più molle, estenuato. Sarebbe andato bene ugualmente l'elicottero, si disse Marco. Poi si vergognò di averci pensato : e lo stupì che potesse venire in mente a Caterina.
IL SILENZIO 187
Non capiva più che cosa fosse venuto a cercare lá. Si chiese perfino se fosse stata proprio lei a gettare quel grido : cosi stremata come era.
Alle spalle di Marco, la porta del pianerottolo s'aperse piano. Qualcuno si avvicinava, si fermava incerto sulla soglia : poi entrò. Antonio. Evitando di guardare Marco, si diresse verso la seggiola accanto al letto. Sedette con pesante lentezza.
« Ecco », disse questa volta Caterina.
Per un attimo, il respiro di lei parve più rapido. Una lieve contrazione degli zigomi fece risaltare più duramente, nel viso scarno, il suo naso affilato. Poi si rilassò.
« Fa lo stesso », d[...]

[...]ente rauco, come se a stento Antonio avesse trattenuto un grido.
Il viso di Caterina rimase immutato, quasi essa non avesse udito.
Antonio s'alzò, venne verso Marco, e con una pressione della mano sulla spalla gli indicò che uscisse. Ma come accennando a parlare, le labbra della morente vibrarono di un lieve tremito, denudando le gengive pallide.
«Si sta bene sul Righi », disse infine con un tremito più forte delle labbra, che abbozzarono faticosamente un sorriso. Si voltò adagio verso la finestra. « Tira a piovere », disse ancora, lo sguardo alla foschia livida che pesava sull'orizzonte. « $ buono... quando sa tutto di pioggia ».
« ...E di sale » prosegui piano Antonio. « La terra, i capelli... ».
Marco aveva indietreggiato, scostandosi dal letto, come avesse voluto fuggire. Guardava fisso la morente.
C'era quell'odore di pioggia e di sale, ricordò a un tratto, un giorno
188 LILIANA MAGRINI
che lui e Michele correvano su una striscia sabbiosa lambita dal mare. I piedi lasciavano sulla sabbia bagnata un'orma chiara che poi un velo[...]

[...]o così confuso. Riandò con la memoria a quel grido : non sapeva più ritrovarlo.
Caterina aveva lo sguardo fisso alla cresta del Righi. Si vedevano ora lassù, nitide, lontanissime, due persone : una delle tante coppie che salivano con la funivia e vagavano per il colle.
La mano d'Antonio gli premeva di nuovo la spalla, guidandolo verso la porta. Lo segui.
Gli parve, mentre scendevano le scale, che il padre cercasse le parole per dirgli qualche cosa. « Dio, Dio, Dio... » si limitò a borbottare tra i denti.
C'era sulla strada un assembramento di gente, appena fuori del quartiere. Guardò, attraverso la finestra aperta, nel pianterreno dei Cataldo : deserto. Capi che qualcuno della questura doveva essere arrivato. « Ora m'interrogheranno », si disse « e sarà finita ».
Nino era tra altri ragazzi che, dietro agli adulti, si serravano per vedere: pallidissimo, ma avevano tutti un'aria così spaurita. L'agente, un uomo dal viso bruno e pigro e dalle palpehre pesanti sugli occhi molto neri, sembrava sorridere mentre parlava : ma forse era solo [...]

[...]he devo fare », disse l'agente seccamente. « So io quello che serve per l'inchiesta ».
Antonio strinse i pugni. Un gruppo di donne davanti ai ragazzi mormorava; l'agente si voltò a guardarle irosamente, le sue labbra si serrarono facendosi dure e sottili. I suoi occhi vagarono dall'una all'altra, infine si appuntarono sui ragazzi, e parve a Marco che fissasse Nino.
« E voi andatevene », gridò con la stessa voce stridula, ma ancora più forte. « Cosa state qui a far confusione, manigoldi? Via, marmaglia! »
190 LILIANA MAGRINI
Non aveva guardato dove fossero andati gli altri ragazzi, era corso su per il colle.
Quando si fermò, ansimante, e si voltò, vide due uomini che arrivavano.
Camminavano piano su per la strada. Portavano grossi zoccoli, e piantavano solidamente il corpo sul passo largo. Pescatori. Il gruppo era ancora là, verso le case, compatto intorno all'agente. Nessuno si voltava a guardare i due uomini. Com'erano lenti! Marco li seguiva con gli occhi, passo a passo. Tremava alle folate più fresche che grandi rapide nuvole sem[...]

[...]escatori. Il gruppo era ancora là, verso le case, compatto intorno all'agente. Nessuno si voltava a guardare i due uomini. Com'erano lenti! Marco li seguiva con gli occhi, passo a passo. Tremava alle folate più fresche che grandi rapide nuvole sembravano smuovere, segnando strie di un biancore di pietra sull'incupirsi del mare. Finalmente gli uomini raggiunsero il gruppo. Qualcuno si voltava, parlava con loro, il gruppo si apriva. Non sapeva che cosa attendesse, spasmodicamente. Era come se qualcosa dovesse prorompere: forse un grido. Ma non s'udì nulla.
Passarono lunghi momenti; infine Marco vide Costanza uscire tra la gente che ondeggiava. Camminava rigida, il corpo inclinato in avanti, tra i due pescatori che le si erano messi a fianco. Egli distingueva anche Antonio, adesso, che procedeva rapido come per raggiungerla;. e Giacomo. Gli altri seguivano più lentamente. Per un poco Antonio continuò da solo con dietro Giacomo che arrancava. Poi si fermò ad aspettarlo, e prosegui con lui. Andavano più adagio dei tre che precedevano: eppure Giacomo, oscillando scompostamente sulla gamba di [...]

[...]ta dalla sua fissitá dura di sempre, pareva che invece di una morte piangesse la pena di un'offesa. C'erano altre donne che parlavano sommesse, sedute intorno a lei, con le mani in grembo. Egli stupì di vederla, per la prima volta, intenta a un lavoro: cuciva, china, senza cessare quel suo lamento. Poi riconobbe la stoffa che teneva in mano, stava rammendando l'abito da festa di Michele.
Si diresse verso casa.
Per Giacomo e Costanza, c'era qualcosa da dire: com'era accaduto, e che Michele rideva, prima, sul greto.
E accettava ormai di sapere che, anche se avesse parlato di questo, nulla di ciò che avrebbe voluto dire sarebbe stato veramente detto.
LILIANA MAGRINI



da Pietro Citati, Ideologia e verità in KBD-Periodici: Nuovi Argomenti 1960 - 1 - 1 - numero 42

Brano: [...]za dell'arbitrio. Tra le sue mani il morto eclettismo diventa stile; e la combinazione stri
72 PIETRO CITATI
dente e grottesco pastiche intellettuale. Quello che lo salva alla fine, e lo rende di tanto superiore agli ideologhi del nostro tempo, non é la ricchezza delle idee; ma proprio la sua natura di artista, la estrema e disperatamente gelata violenza del suo temperamento, che raccoglie insieme tutte le possibili suggestioni intellettuali.
Cosa manca dunque agli intelligenti, acuti e brillanti pensatori ed ideologi del nostro tempo ? La loro lettura non riesce mai a soddisfarci: ne usciamo eccitati e irritati, piuttosto che meditativi e persuasi. Manca loro, dicevamo, la fiducia in se stessi, neI valore assoluto e creativo del proprio pensiero: la ricchezza nutriente della semplificazione: il coraggio delle posizioni individuali; o, che è lo stesso, la forza immaginosa della fantasia, quella dote continua di invenzione che permette ad un'idea di arricchire di sé gli uomini con una suggestione che non ha fine. Nessuno sembra più capa[...]

[...]rda e cocciuta forza di resistenza che la distingueva: é divenuta infinitamente recettiva e plasmabile, cede e si trasforma docilmente sotto gli impulsi continui della mente organizzata.
Con la medesima facilità con cui le idee si incarnano nelle cose, i fatti non hanno nemmeno avuto il tempo di manifestarsi che già trovano la loro esatta trascrizione ideologica. Mai un'epoca é stata capace di rappresentarsi con una simile perfezione. Qualsiasi cosa accada: qualsiasi fenomeno appaia all'orizzonte — lo sport o la televisione, la letteratura commerciale o l'avanguardia — e sembri modificare la nostra vita associata, ecco che subito schiere di interpreti sono pronti a descriverli, a qualificarli, a storicizzarli. E di rado queste interpretazioni riescono arbitrarie, e mancano il segno. Sono, se mai, troppo vere, come se la stessa realtà quotidiana si offrisse spontaneamente in esame, e venisse fedelmente registrata e ricalcata nei grandi quaderni dell'ideologia. Questi neutri e fedeli negativi di idee, queste perfette e sbiadite decalcomani[...]

[...] i rapporti che corrono fra le cose; per
IDEOLOGIA E VERITÀ 77
capire, rinuncia a capire. Si costringe a non guardare più lontano del proprio naso, tuffa i propri occhi da talpa nell'indifferente groviglio umano, rifiutando di andar oltre, di trarre conclusioni, di affermare verità. Seconda lo spirito di identificazione che lo spinge ad esplorare profondamente la realtà, non esistono mai due cose, al mondo, assolutamente simili fra di loro.
« Cosa è l'immaginazione — scriveva Berenson — se non il senso vivo e spontaneo di tutto se stesso al posto di un altro ? L'immaginazione non é altro che la facoltà di sentire in se stessi quello che l'oggetto rappresentato si suppone che debba sentire, non solo coscientemente, ma anche incoscientemente; fisicamente sentire come quello respira, come poggia sul terreno quando è in piedi, come pesa quando é seduto, come le sue braccia, le sue mani, i suoi piedi si rilassano. Tutto rientra nel mettiti tu al suo posto in ogni circostanza, in ogni incontro, in ogni esperienza ». Ma a forza di mettersi al[...]

[...] progressione dal tempo all'eterno, dallo schema all'individuo, tornerebbe a nascondersi — essi pensano — la presunzione ottimistica che il mondo gode ottima salute, e che una nuova età dell'oro ci attende. Non credo di farmi eccessive illusioni sulla natura dell'uomo. Ma l'unico pessimismo serio é quello che non uccide mai la speranza, si conserva lo sguardo libero, rifiuta i paraventi utipici o catastrofici, e continua a dar credito, qualsiasi cosa accada, agli uomini e ai fatti. Ignoro quale volto stia per assumere il nostro futuro. Tuttavia, se il mondo futuro si é per la prima volta incarnato nelle nuove città americane o svedesi,. con le periferie disseminate di discrete e convenzionali villette col piccolo giardino erboso, gremite di elettrodomestici e di utilitarie,
78 PIETRO CITATI
lo scrittore moderno potrà, io credo, accoglierlo con la medesima naturalezza che spingeva i contemporanei di Elisabetta o di Luigi XIV ad accettare i loro tempi. Purché la civiltà moderna resti un fatto: una pura realtà. Purché i giardini erbosi, gl[...]

[...]ssale compresenza dovrà per forza suscitare le tensioni più violente, stridenti e grottesche. Viviamo in un mosaico, in un coacervo di sentimenti e di culture, nella mescolanza continua dei più estremi contrasti. Il barocco sembra la vocazione spontanea del nostro secolo. A codesta ipotesi affascinante e ricchissima andrebbero, se mi è lecito confessarlo, tutte le mie simpatie naturali.
Non so se queste contraddizioni rappresentino tuttavia qualcosa di più di un fiorito e spettacoloso caleidoscopio. La verità essenziale, il fuoco umano e doloroso non starà forse di là da queste apparenze, le quali intanto cadranno via via, mentre insieme ai bluejeans anche i cuori e le menti diventano simili in tutto il mondo? E codesta ricchezza di contrasti superficiali non costituisce propriamente il regno prediletto dell'ideologia? È presumibile, difatti, che col passare degli anni la parte del falsetto, l'amore ironico ed acre per la contraddizione verrà sovente riservato, come già sta accadendo, agli scrittori più legati al costume e, in una pa rol[...]

[...]ntare nuove verità psicologiche. Si parlava di nuances; ma qui tutta la vita rischia di diventare una sola ombra, un indefinibile alone, prima ancora di venir approfondita ed analizzata. Il canone della verità sembra stabilito per sempre. Si rinuncia a qualsiasi sperimentazione psicologica. Non so come questa impoverita, pura e monotona linea musicale possa riuscire ad esprimere qualcuno, come l'uomo moderno, di cui in fondo ignoriamo quasi ogni cosa.
Un filo sottile continua a legare, malgrado tutto, la prosa astratta e ragionieresca dell'ingegnere agronomo Alain RobbeGrillet a quella, ancora poetica e segretamente sontuosa, di Gustave Flaubert. Ma il regno degli oggetti si è trasformato, in un secolo, in quello dell'assenza. I sentimenti, che Flaubert nascondeva e realizzava liricamente negli oggetti, si sono lasciati ormai completamente assorbire e risucchiare, e sono scomparsi del tutto. Hanno abbandonato, al loro posto, un enorme vuoto, una muta ossessione visiva; o corrodono appena le cose, scrostano la vernice di un muro, allungan[...]


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Cosa, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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