Brano: [...]l « fare » é primo segno che é caduta ogni autogiustificazione del lavoro: contemplare essendo ancora un riscattare in sé la pena del fare.
Resta possibile il rapporto tecnico con lo strumento, rapporto pur chiuso entro appena un segmento del ciclo produttivo, da gesto a macchina; un « sensibilità di macchina » pu? fisiologicamente e moralmente sostituire la « sensibilità di lima ». Ma quando il lavoro viene organizzato scientificamente, quando cioè la divisione del lavoro viene perfezionata fino a separare dall'esecuzione ogni possibile interpretazione del la voro, allora anche quest'ultimo rapporto tecnico é abolito, e lavorare significa semplicemente inserire gesti in una cadenza rispettando le tolleranze.
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Non solo « l'oggetto del lavoro sorge di fronte al lavoro\ come un ente estraneo, come una potenza indipendente dal producente » e « l'operaio sta in rapporto al prodotto del suo lavoro come ad un oggetto estraneo » (secondo quanto dice Marx); ma l'atto stesso del lavoro è messo come in penosa illimitata p[...]
[...]ento, e il pensiero assente. Esisteva, come monotonia e ripetizione, certo ben prima della rivoluzione industriale, ma è diventato problema, male sociale, solo in seguito ad essa; e subito, sin dai primi anni dell'ottocento studiato e denunciato, é andato per) aumentando, soprattutto dopo la seconda rivoluzione industriale, quella dell'elettricità e del taylorismo, alla fine del secolo scorso.
Nelle fabbriche l'automatismo é raramente assoluto, cioè tale da annullare qualsiasi necessità di attenzione al compito. Inoltre esso si effettua in particolari condizioni di costrizione, di sforzo, di cadenza, di durata, e soprattutto di rumore. E augurabile l'automatismo perfetto, a condizioni ideali, nel comportamento umano di fronte alla macchina, la « marcia all'incosciente » e la possibilità quindi di fantasticherie, di evasione durante il lavoro? A creare tali condizioni mirano gli psicotecnici piú avanzati, soprattutto in Inghilterra ed in Svizzera. L'operaio deve poter ascoltare la musica, parlare con i compagni (questo generalmente é pos[...]
[...]e poter ascoltare la musica, parlare con i compagni (questo generalmente é possibile ai montaggi), deve poter pensare ad altro che al
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suo lavoro: alle sue faccende. Risposta d'inchiesta: «Preferisco il lavoro a nastro che mi lascia libero di pensare a quello che voglio ». Oppure altri, alla domanda: « non vi annoiate troppo a far quel lavoro ? ». «oh no! pensiamo alle nostre faccende ». Cioè tutti i giorni, per nove ore di seguito; cos'è simile fantasticare allora? Una determinata situazione personale può renderlo patologico nella ripetizione e fissazione (preoccupazioni familiari, figurazioni erotiche, e cosí via). Oltre all'esperienza di Simone Weil, si ascolti per esempio Constance Reaveley, in « Industry and Democracy »; anche lei ha lavorato a lungo in lavori parcellari: «Era come se un'idea fosse associata a un movimento della mano sulla macchina, e si riaffacciasse ad ogni ripetizione di quel movimento ». Evasioni allora, è chiaro, che non sono liberazione.
Molti invece [...]
[...]ritualmente l'uomo. Quando il processo di adattamento è avvenuto, si verifica in realtà che il cervello dell'operaio, invece di mummificarsi ha raggiunto uno stato di completa libertà ». Ma anche qui si presuppone che l'operaio opponga al lavoro un diverso interesse, preciso e costruttivo. Precisamente quello politico. Allora si tratta di altro che di liberarsi evadendo dal pensare il proprio lavoro. Significa piuttosto ripensarlo politicamente, cioè nella sua situazione totale e più vera, e in tal modo riconquistarne coscienza e riscattarne la frammentazione (fintanto che carne e nervi reggano). È quanto, per opposto, vien confermato da Elton Mayo (che è il primo teorico delle « Human Relations »), quando mette in guardia contro le fantasticherie degli operai che non siano obbligati a fare attenzione al loro compito di lavoro : potrebbero fissarsi sulle loro rivendicazioni — ostacolo a una buona armonia fra le classi!
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L'ozio Arrivo. A simile possibilità, o speranza, di ridurre\ la posizione del lavoratore di fr[...]
[...]an Relations »), quando mette in guardia contro le fantasticherie degli operai che non siano obbligati a fare attenzione al loro compito di lavoro : potrebbero fissarsi sulle loro rivendicazioni — ostacolo a una buona armonia fra le classi!
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L'ozio Arrivo. A simile possibilità, o speranza, di ridurre\ la posizione del lavoratore di fronte alla macchina, o a semplice sorveglianza, o a complesso di gesti « midollari » (che cioè si effettuino senza nessun intervento del sistema corticale), si ricollega anche quella dottrina che potremmo chiamare dell' « ozio attivo » (« loisir actif » dice Georges Friedmann). Quando il progresso meccanico sia tale da tagliare di molto l'orario quotidiano di lavoro, l'uomo avrà nella giornata abbastanza tempo libero da dedicare ad un'occupazione « costruttiva » diversa da quella con cui si guadagna la vita, ,e a quest'occupazione potrà dare quell'impegno tecnico e morale che non gli è piú concesso nel mestiere. Anche in questo caso si ripropone la liberazione attraverso l'evasione; p[...]
[...]nificava trasformazione di materia, o di natura; può conservarlo tuttora : che da una parte, i? complesso piú rilevante di attività sociale consiste in compiti di organizzazione e di sorveglianza; e d'altra parte, alla base stessa del processo produttivo, il limite è la riduzione di ogni compito a sorveglianza o ad incoscienza, e nessun contatto più con la materia? Mentre il lavoro di ognuno tende a coincidere con un'« attesa di comportamento », cioè con l'identificazione ad un ruolo. « Work role » è la nozione principe della sociologia industriale americana, definita : la parte che il lavoratore recita (« plays ») nel suo gruppo di lavoro. Ecco la nuova destinazione del gesto di lavoro, non più nella materia da trasformare, ma nell'occhio che lo sorveglia (pur solo in metafora). Ecco la nuova moralità professionale: norma di relazione umana, «esser ben visto », « farsi degli amici », « essere in buoni rapporti con l'ambiente di lavoro ». E questi rapporti si attuano come se ognuno, dirigenti e dipendenti, recitasse una parte: si realizzano cioè in una dimensione di « personaggi ». Moreno e la sociometria hanno trovato
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[...]ita (« plays ») nel suo gruppo di lavoro. Ecco la nuova destinazione del gesto di lavoro, non più nella materia da trasformare, ma nell'occhio che lo sorveglia (pur solo in metafora). Ecco la nuova moralità professionale: norma di relazione umana, «esser ben visto », « farsi degli amici », « essere in buoni rapporti con l'ambiente di lavoro ». E questi rapporti si attuano come se ognuno, dirigenti e dipendenti, recitasse una parte: si realizzano cioè in una dimensione di « personaggi ». Moreno e la sociometria hanno trovato
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il terreno ideale per diffondere la tecnica del psicodramma: le parti sono invertibili, almeno per gioco — l'operaio diventa ingegnere, il dirigente diventa operaio, e via discorrendo. Ma nessuno suppone che se pu? esser serio quel gioco di invertire le parti, é implicito che reciprocamente appaia un gioco, una « rappresentazione », quella serietà con cui si recitano le parti durante il vero lavoro?
I gesti degli uomini si disegnano allora in un universo chiuso, in funzione di rapporti sociali, gesti di attore fat[...]
[...]o e farsi gli amici, irritati solo quando
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questi metodi non sembrano funzionare perfettamente anche al di là dei mari. E dall'altra parte, ad avvertire dell'urgenza di « relazioni umane », nel '31 le grandi manifestazioni antiFord, nel '37 l'occupazione della General Motors, e le battaglie contro gli squadristi degli industriali, e il massacro del « Memorial Day », in giugno; e lo stesso anno la fondazione dei sindacati C.I.O.; e poi. John Lewis, l'unico nella fase psicologica della rivoluzione industriale.
Fatto sta che qualcosa realmente mutò, in quel periodo, nelle industrie; e i nuovi insegnamenti (che, come é noto, da qualche anno professori americani stanno introducendo anche in Italia) incominciarono a farsi pratica e norma. Per cui, dopo la fase tecnica (introduzione delle macchine) e la fase organizzativa (taylorismo) si entrava nella fase psicologica della rivoluzione industrile.
Il succo di questi nuovi insegnamenti si può formulare così: la capacità produttiva di un lavoratore è in funzione non solo d[...]
[...]i, dopo la fase tecnica (introduzione delle macchine) e la fase organizzativa (taylorismo) si entrava nella fase psicologica della rivoluzione industrile.
Il succo di questi nuovi insegnamenti si può formulare così: la capacità produttiva di un lavoratore è in funzione non solo dell'attrezzatura e dell'organizzazione, ma anche dell'importanza che egli attribuisce al suo lavoro. Taylor diceva che il suo sistema permetteva di « dare a chi lavora, ciò di cui ha bisogno : alto salario ». Le « Human Relations », in seguito a inchieste, studi, esperimenti, giungono alla conclusione che l'alto salario non é il solo, né il principale, dei bisogni dei lavoratori; e che egli là lavora meglio — « where he sees the purpose of his work and feels important in achieving it» — dove vede lo scopo del suo lavoro e si sente importante nel farlo.
Non che Taylor avesse completamente trascurato l'importanza del « fattore psicologico » per l'incremento della produzione. Per esempio là dove dice, con puritana ingenuità, che lui credeva che assegnandosi esclus[...]
[...]to, che spesso passa inosservato nelle descrizioni del taylorismo. Quando nella sua « deposizione davanti alla commissione speciale della Camera dei Rappresentanti » Taylor vien costretto dalle domande dei parlamentari a dedurre con coerenza le conseguenze del suo sistema, egli afferma che l'applicazione di questo sistema « comporta una completa rivoluzione mentale ». Consiste
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proprio in ciò « l'essenza dell'organizzazione scientifica », nell'esser convinti che grazie ad essa verrà instaurata una nuova era, nella quale il « surplus » produttivo sarà tale che ogni lotta per la divisione dei profitti (quali finora sono le lotte fra operai e padroni) diventerà inopportuna, e i bisogni di ciascuno troveranno senz'altro la loro soddisfazione. Il dovere di cooperare all'instaurazione di tale «era» sarebbe anzi uno dei due principi fondamentali dell' O.S.L.; l'altro essendo invece la « scientificità » dell'organizzazione; morale l'uno, tecnico l'altro. Un vero e proprio messianismo quin[...]
[...]i di conoscenze empiriche e tradizionali, comunicate finora da operaio a operaio, debbono invece venir determinate scientificamente. L'operaio deve trasferire alla direzione ogni conoscenza, ogni iniziativa, ogni responsabilità; non gli é più accordato di « pensare il suo lavoro ». Una volta, al meccanico Shartle che gli faceva delle domande, Taylor rispose : « Non vi si chiede di pensare! Ci sono altre persone qui, pagate apposta per questo ».
Ciò é quanto ci permette anche di distinguere il taylorismo da quell'altro metodo di incremento della produzione che é lo stacano
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vismo. Entrambi tendono ad aumentare la produzione migliorando la organizzazione nella quale l'operaio si trova a lavorare, utilizzando meglio le macchine, la divisione del lavoro ecc. Li accomuna anche la morale universalistica che entrambi presuppongono e quella specie di messianismo finale, che abbiamo trovato, anche se solo marginalmente, nel taylorismo, e che é caratteristico dello stacanovismo in quanto metodo per realizzare la società c[...]
[...]dirizzare il suo sforzo « non più soltanto ad effettuare correttamente il suo lavoro secondo le direttive che riceve dai suoi superiori, ma anche sul miglioramento del suo metodo di lavoro» (come é stato osservato dall'ingegnere francese L. M. Allain).
È inoltre da notare che mentre nel taylorismo i valori chiamati in gioco sono utilitari: la realizzazione degli interessi dei singoli; lo stacanovismo fa appello principalmente a valori politici, cioè di solidarietà con una comunità (ma non unicamente, perché gli incentivi finanziari sono anche molto forti).
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Il taylorismo è perciò definito soprattutto da questo spogliare il lavoratore di ogni possibilità di decisione, di partecipazione intellettuale al compito che gli viene assegnato. Il lavoro tocca il limite massimo dell'astrazione: lavorare significa compiere gesti, rispettando delle norme e delle tolleranze. Viene quindi perfezionata quell'estraneità dell'uomo al proprio lavoro, apparsa con la condizione industriale, e in un certo modo costitutiva di essa. D'altra parte il taylorismo, psicologicamente, poneva ancora sullo stesso piano dirigenti e dipendenti: la massima in nome della quale si doveva regolare la cond[...]
[...]eva regolare la condotta di ognuno era la stessa: realizzare il proprio interesse. Inoltre, certo senza
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proporselo, esso creava uno stato di fatto, per cui all'operaio era reso possibile (almeno teoricamente, ed entro limiti, come abbiamo visto, di ordine fisiologico) un eventuale atteggiamento di distacco, e in conseguenza, di giudizio, o almeno di rifiuto, della propria condizione. Era ciò che Gramsci avvertiva. Era anche ciò che molto tempo prima Sorel, senza porsi sul piano tecnico, si augurava : i padroni facciano il loro mestiere, e gli operai il loro; proprio così verrà determinato ed accelerato il moto inevitabile verso la rivoluzione ed il socialismo.
Le nuove « relazioni umane » nell'industria, invece, tendono ad assorbire totalmente la condizione del lavoratore, impegnando positivamente tutte le sue facoltà (e non soltanto quelle funzionali al suo lavoro). Infatti esse mirano a ristabilire il nesso psicologico dell'uomo con il proprio lavoro : è la personalità intera dell'operaio che esse chiamano in que[...]
[...]luzione ed il socialismo.
Le nuove « relazioni umane » nell'industria, invece, tendono ad assorbire totalmente la condizione del lavoratore, impegnando positivamente tutte le sue facoltà (e non soltanto quelle funzionali al suo lavoro). Infatti esse mirano a ristabilire il nesso psicologico dell'uomo con il proprio lavoro : è la personalità intera dell'operaio che esse chiamano in questione.
Ma il nesso che stringono è appunto « psicologico », cioè di consapevolezza soggettiva (« sentirsi importante »). Il rapporto del lavoratore con la forma finita del prodotto, proprio dell'economia artigianale, si è spezzato per l'introduzione delle macchine. Il rapporto tecnico con lo strumento di lavoro, quale poteva ancora sussistere ai primi passi dell'industria, è stato spazzato via dall'organizzazione scientifica,. Ciò che si vuole allora fondare e rendere soddisfacente non è più un rapporto obbiettivo con il prodotto del lavoro ma la relazione soggettiva con l'ambiente dove si lavora, cioè praticamente con i dirigenti; o d'altra parte con il cliente.
Ecco questi due movimenti nell'esempio di un tentativo un po' alla Menenio Agrippa, di riaffermare il rapporto con il prodotto (da una pubblicazione annuale della General Motors):
I nostri lavori (iobs) sono importanti
Oggi ci sono in giro per le strade oltre 15 milioni di automezzi con ingranaggi Saginaw. Circa due milioni se ne aggiungono ogni anno. Il benessere, e persino la vita, degli autisti e dei passeggeri sono nelle nostre mani — molte delle parti che noi fabbrichiamo sono vitali alla salvaguardia del veicolo. Consider[...]
[...]ato un po' di più — fino a quando, avvicinandosi al posto Z, potrà ritenere di accedere a una vera e propria aristocrazia operaia; pur compiendo esattamente lo stesso lavoro di quando era in A.
Non son tutte qui, certo, le «Human Relations »; né nelle manate amichevoli agli operai; né nelle visite alla fabbrica delle famiglie dei dipendenti (che costoro possano dire: «ecco, questa é la macchina che io maneggio »...). Già molto più utile è tutto ciò che serve a far conoscere a tutti, il congegnarsi dell'organizzazione amministrativa e produttiva, per esempio. E mille altre trovate ed espedienti, che servono a rendere più sopportabile ed umana la condizione operaia; che ne ha bisogno. Il loro senso positivo é nel comporsi e formularsi di un atteggiamento, di un costume, di un galateo. Ma che non diventi sistema, che non voglia impostare i rapporti di lavoro su di un piano psicologico, sul mito della « presa di coscienza », mentre questi si effettuano ancora su di un piano di potenza.
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[...] ripropone un equilibrio. L'economia contemporanea non distingue più i singoli oggetti o i singoli lavoratori, distingue una classe produttrice e la produzione. E fra classe produttrice e produzione che va riallacciato un rapporto. Il quale non potrà essere ovviamente un rapporto tecnico ma un rapporto giuridico e politico. E politicamente che essere operaio é importante, non tecnicamente.
È la politica stessa, del resto, nel suo senso moderno, cioè di intervento dell'economia (del lavoro) nella vita dello Stato, che si può dire esser nata con tale funzione. Si presenta cioè a ristabilire sul piano pubblico il rapporto fra produttore e destino sociale del prodotto, quando la divisione del lavoro a livello industriale rende impossibile il precedente rapporto morale e tecnico.
Inutile dire che invece le « Human Relations » spoliticizzano la posizione del lavoratore: si, tornato a casa, nessuno potrà impedire al lavoratore di far della politica, di votare per il partito che gli pare e piace. Ma in tal modo, trasferita fuori dell'ambiente di lavoro, cioè del solo luogo dove l'individuo possa verificare la propria realtà sociale, l'opzione politica viene privata del[...]
[...]o il rapporto fra produttore e destino sociale del prodotto, quando la divisione del lavoro a livello industriale rende impossibile il precedente rapporto morale e tecnico.
Inutile dire che invece le « Human Relations » spoliticizzano la posizione del lavoratore: si, tornato a casa, nessuno potrà impedire al lavoratore di far della politica, di votare per il partito che gli pare e piace. Ma in tal modo, trasferita fuori dell'ambiente di lavoro, cioè del solo luogo dove l'individuo possa verificare la propria realtà sociale, l'opzione politica viene privata del suo mordente, isolata nei limiti dell'« opinione », cioè di un atteggiamento astratto, irresponsabilizzato, soggetto ad influenze di facili propagande, di valori costituiti; scalzato dai problemi e dalle lotte di una situazione precisa, ben conosciuta dal lavoratore.
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A questo punto l'analisi della situazione industriale si deve connettere alla situazione politica complessiva, per esserne chiarita e per chiarirla a sua volta. Né, nel nostro caso, é senz'altro dato di definire tutta questa recita ideologica come un mascheramento, o una mascherata: mentre il taylorismo corrispondeva all'assestamento della borghesia capita[...]
[...]« Human Relations » corrisponderebbero al ritrarsi e al difendersi di essa borghesia, che si copre ed elude il problema grazie ad un'ideologia psicologistica. Siamo sicuri che dietro a questa scena esistano veramente delle onnipotenti « coulisses »? O che non si versi tutta in questo gioco di rapporti sociali, la realtà del sistema economico ? Ma già il porre questi interrogativi deve significare un superamento delle concezioni implicite nella sociologia industriale delle « relazioni umane ». La quale ritiene che i problemi del lavoro si riducano esclusivamente a problemi di rapporti fra le persone che lavorano; e ricompone cosí quel circolo che avevamo scoperto implicito nell'atteggiamento industriale : di persone che restano al di qua di un ambiente, senza che il loro lavoro intenda esserne la trasformazione e il superamento. Ma non é fatta di uomini che « stanno insieme », una società, bensì di uomini che lavorano insieme a trasformare la natura, l'ambiente (e a comporlo in «mondo »).
ALESSANDRO PIZZORNO