Brano: [...]ografia finale è strettamente funzionale, cioè esclude titoli anche importanti la cui u presenza » non sia dichiarata o implicita nel mio discorso. Nel caso di lavori stampati piú volte in sedi diverse, si indica di preferenza l'ultima pubblicazione.
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testi diversi, che acquistano rilievo solo se passati in rassegna e valutati in funzione della trilogia. Cosí una percezione adeguata della straordinaria novità delle Smanie, delle Avventure e del Ritorno richiede un esame preliminare dei loro molteplici legami con la « tradizione » goldoniana anche piú minuto di quanto sia necessario alla comprensione delle altre commedie.
1. Il primo contesto nel quale vanno considerate le tre Villeggiature è quello della stagione creativa 17591762, anzi del momento esatto in cui cade la loro composizione, tra I rusteghi e La casa nova da una parte, Sior Todero e Le baruffe dall'altra.
L'accostamento che si impone subito è quello agli Innamorati del 1759; sia, in termini piú generali e ovvi, per l'intrecciarsi delle passioni — amore, gelosia,[...]
[...] » dei cittadini in partenza per la villa è affrontato una prima volta, con indubbio impegno ma con esito poco felice, in una commedia del 1755, I malcontenti, mentre la vita in campagna, « intorbidata » da « gelosie » e « puntigli » 12 costituisce lo sfondo della Villeggiatura del 1756, che è invece a mio parere una delle prove piú felici del veneziano al teatro San Luca prima del grande triennio 175962.
Già nella Villeggiatura prima che nelle Avventure del 1761 abbiamo lo spettacolo di una campagna periodicamente invasa da spudorati scrocconi e superficiali gaudenti, che ignorano la natura (« giorno e notte colle carte in mano. Vengono in villa per divertirsi, e stanno lí a struggersi ad un tavolino »: i, 1, Donna Florida), e frequentano i contadini solo quel tanto che basta a corromperli, secondo un processo opposto a quello vagheggiato poi dall'ingenuo Filippo: « al giorno d'oggi non vi è malizia. Pare che l'innocenza della campagna si comunichi ai cittadini » (Smanie, i, 10).
Ancora come la trilogia, La villeggiatura del 1756 è la stori[...]
[...]one interna, un'agitazione negli spiriti, una lassitudine universale con giramenti di capo ») sono l'involontaria con
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fessione di una condizione isterica, e questa il risultato del disagio con cui la signora si adatta alla perpetua dimensione teatrale della vita patrizia, esasperata dalla paradossale clausura in campagna: pubblico scambio di complimenti, recitazioni d'avventure di viaggio o galanti, bons mots, pungenti malignità, ma anche teatro segreto dei sentimenti, secondo le teorie dell'amore clandestino, o « alla parigina », professate da don Paoluccio. Come un diplomatico che decida di mentire al suo interlocutore perché questi, scartata l'ipotesi troppo ovvia della menzogna, si aspetta da lui la verità, cosí i discreti amanti della Villeggiatura dovrebbero scambiarsi studiate attenzioni solo per evitare che la loro pubblica indifferenza sia interpretata come « occulta parzialità » (III, 13).
Tra la brutale franchezza di don Ciccio e di don Gasparo da un lat[...]
[...]e che tu ora doni al Pub
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blico, non formano che una sola Commedia, in nove atti divisa » (al Ritorno: ivi, p. 1147); sia nella struttura stessa delle tre pièces, moltiplicando i richiami tematici e le simmetrie.
Per fare solo qualche esempio, si veda il motivo della visita, in cui una pioggia di complimenti maschera una dura partita di frecciate e dispetti fra signore rivali:
Smanie, II, 12: Visita di Vittoria a Giacinta
Avventure, I, 10: Visita di Vittoria a Costanza
Ritorno, III, 7: Visita di Giacinta a Costanza Si parla del mariage (abito di foggia nuova venuta di Francia)
Si parla ancora del mariage
Si parla dei vari matrimoni fra i villeggianti Rabbia di Vittoria per il mariage di Giacinta.
Invidia di Costanza per il mariage di Vittoria.
Turbamento di Giacinta all'idea che Vittoria sposerà Guglielmo.
Da una parte, come nella morra cinese o nella regola delle scale reali al poker, le tre scene obbediscono alla legge che nessun giocatore può aver sempre la vittoria assicurata; dall'altra la sequenza conferma i[...]
[...]o fra i due fratelli nelle Smanie:
(« VITTORIA: Io butterei volentieri ogni cosa dalla finestra. LEONARDO: Principiate a buttarvi il vostro mariage »: II, 2) acquista colore di presagio.
Strutturalmente rilevante in un altro senso è il fatto che la crisi sentimentale di Giacinta (« sono stata una pazza ... sono una pazza, e le mie pazzie mi voglion far sospirare ... sono innamorata, quanto può essere donna al mondo ») scoppia nel II atto delle Avventure, cioè esattamente al centro della trilogia, come l'anno seguente le piú intense scene d'amore fra Titta Nane e Lucietta si troveranno esattamente al centro delle Baruffe chiozzotte (II, 27), e sempre nel II atto delle Avventure la prima e l'ultima battuta di Giacinta si corrispondono, questa (« Oh amore! oh impegno! oh maledetta villeggiatura! »: Ii, 12) riecheggiando in forma esclamativa il petrarchismo antifrastico di quella (« Maledico l'ora e il punto che ci son venuta... » II, 1).
Annunciato nelle Avventure, il tema del pentimento domina il Ritorno: « Sconto bene il piacere della villeggiatura. Meglio per me ch'io non ci fossi nemmeno andata! » (I, 4, Vittoria); « Volesse il cielo ch'io avessi
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sposato il signor Leonardo quel giorno medesimo che io mi sono in carta obbligata » (sc. ultima, Giacinta). Questi rimpianti hanno suggerito a Jacques Joly l'acuta osservazione che Giacinta vorrebbe abolire il tempo, cioè « ce qui a permis au drammaturge d'édifier sa trilogie. Le temps qui passe amène le désordre; l'ordre idéal [...]
[...]suggerito a Jacques Joly l'acuta osservazione che Giacinta vorrebbe abolire il tempo, cioè « ce qui a permis au drammaturge d'édifier sa trilogie. Le temps qui passe amène le désordre; l'ordre idéal suppose non la durée mais le présent de l'acte. Toute la trilogie se déroule ainsi dans une sorte de parenthèse, une sorte de rêve » (Joly 1978, p. 214).
Ma il passato non si può cancellare: la viscosità del tempo è evidente in altre due scene delle Avventure, 1 e 10 del iii atto. Nella prima, in un boschetto 14, due servitori relativamente fedeli, Paolo e Brigida, commentano il comportamento dei padroni durante il pranzo offerto la mattina da Filippo padre di Giacinta (un po' come negli Innamorati — ancora scena 1 del iii atto — Tognino e Lisetta avevano commentato il triste desinare dei padroni); nella seconda, in una bottega di caffè, altri due servitori, i cinici Tita e Beltrame, riparlano dello stesso banchetto non piú in chiave eroticopsicologica, bensì in chiave economicogastronomica, per criticarne la povertà, e insieme per vantarsi, con p[...]
[...]un verso l'incalzare affannoso delle ore prima della partenza (« Si han da far cento cose, e voi perdete il tempo ... Le ore passano, si ha da partire da Livorno innanzi sera »: Smanie, i, 1, Leonardo), per un altro il disordine e l'apparente casualità dell'azione dopo l'arrivo, materializza per gli spettatori il labirinto in cui si trovano chiusi i protagonisti.
Un'ultima osservazione di carattere strutturale che gli stessi atti ii e iii delle Avventure suggeriscono, riguarda l'abbondanza e l'importanza dei monologhi: non perché l'autore non riesca a tradurre in dialogo e azione 1'animus dei personaggi, ma perché — di nuovo accade di pensare a Cecov — questi borghesi parlano di sé, « si dicono » e si ascoltano molto piú di quanto non ascoltino gli altri. Vedremo meglio tale aspetto della trilogia quando ci occuperemo di Giacinta, personaggio monologante per eccellenza.
Parlando delle sue tre commedie sulla villeggiatura Goldoni scrive: « nella prima si vedono i pazzi preparativi; nella seconda la folle condotta; nella terza le conseguenze d[...]
[...]azzi preparativi; nella seconda la folle condotta; nella terza le conseguenze dolorose che ne provengono. I personaggi principali sono di quell'ordine di persone che ho voluto prendere precisamente di mira, cioè di un rango civile, non nobile e non ricco » (Opere, VII 1007). Nelle Smanie la partenza di Leonardo per la villeggiatura è amareggiata dai
14 Può essere o non essere un caso che l'unico « esterno » dell'intera trilogia, il boschetto di Avventure, in, 14, sia riservato alla sobria dichiarazione di Paolino a Brigida, e alla lunghissima confessioneripulsa di Giacinta a Guglielmo.
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debiti che egli lascia in città, dai capricci e dalle spese della sorella Vittoria, ma soprattutto dalla gelosia che gli cagiona la decisione di Filippo, suo vicino in campagna e padre di Giacinta da lui amata, di invitare con loro in villa il giovane Guglielmo. E stata Giacinta a insistere col padre perché l'invito sia mantenuto, anche dopo che lei si è promessa a Leonardo, per « guarire » quest'ultimo da una gelosia che la offende e che potr[...]
[...] e dalle spese della sorella Vittoria, ma soprattutto dalla gelosia che gli cagiona la decisione di Filippo, suo vicino in campagna e padre di Giacinta da lui amata, di invitare con loro in villa il giovane Guglielmo. E stata Giacinta a insistere col padre perché l'invito sia mantenuto, anche dopo che lei si è promessa a Leonardo, per « guarire » quest'ultimo da una gelosia che la offende e che potrebbe aggravarsi dopo il matrimonio 15. Ma nelle Avventure Giacinta si innamora davvero di Guglielmo, e deve lottare contro di lui e contro di sé per tener fede alla parola data a Leonardo. Nel Ritorno, per mortificare la propria passione, la ragazza architetta un matrimonio fra Guglielmo e Vittoria e sposa Leonardo. Questi, seguendo i consigli del mercante Fulgenzio, accetta in conto di dote una proprietà del suocero a Genova, dove la coppia andrà a vivere.
Il debole Filippo e il savio Fulgenzio costituiscono come si è già osservato una nuova versione, piú sfumata e plausibile, di Policastro e Geronimo nei Malcontenti. Filippo è portato ai piaceri [...]
[...] Fulgenzio costituiscono come si è già osservato una nuova versione, piú sfumata e plausibile, di Policastro e Geronimo nei Malcontenti. Filippo è portato ai piaceri della tavola e del gioco, ma ancor piú forte è « quella passione ch'egli ha d'aver compagnia e di farsi mangiare il suo » (Smanie, III, 1, Fulgenzio): « ... solo non ci posso stare. Amo la compagnia » (Smanie, II, 9); « se non villeggio, ci patisco. Se non ho compagnia, son morto » (Avventure, I, 5).
L'« innocente divertimento della campagna » si trasforma cosí nell'evasione illusoria di una nuova ed elaborata costrizione: « In campagna è necessario aver della compagnia [ si noti l'efficacia della paronomasia ] . Tutti procurano d'aver piú gente che possono ... chi ne ha piú, è piú stimato » (Smanie, I, 4, Leonardo). Ma a differenza dei nobili, la cui vita era una perpetua rappresentazione pubblica, o dei contadini, per i quali solidarietà comunitaria ed elementare collettivismo costituivano una prima difesa dalla miseria, i borghesi non potevano rinunciare senza traumi a quella [...]
[...]erata, perché non vi credevo geloso » (Inquietudini, ni, 20).
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Le tre Villeggiature sono percorse da una minuziosa, affannosa casistica delle bienséances: dalla quantità di posate necessaria in villa (« In campagna si suol tenere tavola aperta. Convien essere preparati »: Smanie, r, 1, Leonardo), alle lunghe discussioni su come disporre gli invitati ai tavoli da gioco (Avventure, II, 8), al problema delle partecipazioni e delle visite da fare al ritorno dalla campagna (« Mi ha fatto vedere una lista di trentasette case, alle quali prima del mezzogiorno ha da partecipar l'arrivo loro »: Ritorno, r, 2, Cecco; « Converrà ch'io vada a farle una visita. Come ultima ritornata converrà ch'io sia la prima a complimentarla »: ibid., Vittoria). La funzione caratterizzante dei convenevoli è confermata dalla parodia che ne farà l'inflessibile zio Bernardino (Ritorno, rr, 6).
Da questo punto di vista, la trilogia si potrebbe leggere come un vero e proprio manuale di etichetta sc[...]
[...] bensí di riflessi connaturati, ce lo dice proprio Giacinta quando spiega alla cameriera perché si è innamorata di lui:
« la sua civiltà, la sua politezza; quella maniera sua insinuante, dolce, patetica, artifiziosa, mi ha, mio malgrado, incantata, oppressa, avvilita ... quelle continue finezze, quelle parole a tempo, quel trovarsi vicini a tavola, sentirmi urtare di quando in quando (sia per accidente, o per arte), e poi chiedermi scusa ... » (Avventure, ii, 1).
« Carattere freddo e flemmatico » (come leggiamo due volte in dieci righe nella prefazione alla Avventure), « carattere che non arrivo ancora a
comprendere » (rincalza Leonardo nel Ritorno, i, 9), Guglielmo vive tutto ed esclusivamente in questa dimensione delle convenienze, un po' come
l'Agilulfo di Calvino in quella della cavalleria. Questa sua paradossale virtú gli acquista l'amore di Giacinta, e al tempo stesso lo rende inaccessibile a lei non meno che al pubblico, « personnage ... imparfait précisément dans la mesure où il n'existe pas en tant que personnagepersonne mais seulement comme prétexte à la passion de Giacinta » (Joly 1978, p. 211).
Rispetto a Guglielmo Leonardo, l'uomo al quale[...]
[...] la sua solitudine — una solitudine quasi ibseniana — e dunque la piena responsabilità delle sue scelte. Al tempo stesso, la palese inadeguatezza del padre e dei due innamorati lascia sgombro il campo, per cosí dire, all'unico contrasto profondo delle Villeggiature, che determina come vedremo la condotta di Giacinta, fra la ragazza e il vecchio amico di casa Fulgenzio.
3. Giacinta, che si definisce esattamente una « fanciulla saggia e civile » (Avventure, in, 3), appartiene al gruppo delle borghesi goldoniane piú evolute, come Giannina, la spigliata e studiosa olandese dei Mercatanti (1753); d'altra parte l'autore poteva contare sul « temperamento » della Bresciani, l'attrice destinata a interpretarla sulla scena, perché una plausibile emotività venisse a insidiarne la canonica e lodevole flemma. Cosí si potrebbe dire che la protagonista della trilogia è una GianninaIrcana mise en situation, cioè immersa in una realtà equidistante dagli estremi ugualmente f avolosi della schiavitú persiana e dell'emancipazione nordica.
L'arma principale di G[...]
[...]esta intelligenza, rispetto a quella di altre donne goldoniane, è la lucidità introspettiva: per cui, ad esempio, quando Brigida cui Giacinta si è confidata osserva che la colpa è di Filippo, che ha invitato Guglielmo a villeggiare con loro, la padroncina risponde: « Sí, è vero, vo studiando anch'io di dar la colpa a mio padre », ma insiste che se si è esposta alla tentazione la colpa è sua, per « la maledetta ambizione di non voler dipendere » (Avventure, ii, 1).
Di fatto, la storia di Giacinta è un tessuto di comprensibili errori e di riflessioni autocritiche, in cui l'eroina si fa di volta in volta storica severa del proprio dramma: « Ho avuto fretta di maritarmi, piú per uscire di sog
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gezione, che per volontà di marito. Ho creduto, che quel poco d'amore ch'io sentia per Leonardo, bastasse per un matrimonio civile ... » (Avventure, III, 2). A questo primo errore, di sottovalutare la possibilità di un sentimento piú forte, di credere che a una fanciulla civile basti sempre un matrimonio civile, segue l'altro dell'invito a Guglielmo per « educare » Leonardo alla fiducia. Una volta innamorata dell'ospite, la ragazza teme di perdere
« il decoro, la reputazione, e l'onore », e precipita le cose, forzando praticamente Guglielmo a dichiararsi per l'ignara Vittoria.
In questa situazione si è visto spesso un conflitto di tipo cornelliano fra amore e dovere, e anzi un autorevole goldonista si è rammaricato che la conclusione a[...]
[...] conclusione della trilogia si potrebbe osservare intanto che i matrimoni senza amore di Giacinta e Leonardo, Vittoria e Guglielmo, obbediscono alla stessa, distorta logica della villeggiatura per cui si va in campagna col freddo, si dorme di giorno e si veglia di notte, ecc. Non sarà un caso che l'unico matrimonio che si annuncia felice, alla fine della trilogia, sia quello fra Brigida e Paolino, gli stessi domestici che nelle prime scene delle Avventure s'erano mostrati capaci di godere davvero la campagna: « BRIGIDA: A giorno la padrona mi ha fatto chiamare ... l'ho messa a letto ...
e mi sono bravamente vestita. Ho fatto una buona passeggiata in giardino, ho raccolto i miei gelsomini, e ho goduto il maggior piacere di questo
mondo. PAOLINO: Cosí veramente qualche cosa si gode. Ma che cosa
godono i nostri padroni? ».
Ma la ragione piú profonda del comportamento di Giacinta si farà chiara, senza ricorrere a ipotesi « infratestuali » come quella ricordata, quando avremo risposto alla domanda che sta veramente al centro della storia: perch[...]
[...]anica giustapposizione non basta piú: Giacinta rappresenta appunto una ponderata risposta alle coriacee filosofesse della letteratura alla moda, la dimostrazione che carriere libere e dall'esito felice come quelle della Francese e della Pellegrina — cosí come, fuori d'Italia, di Pamela e di Marianne — sono possibili solo al prezzo di un distacco iniziale del personaggio dal proprio ambiente, e della sua successiva immersione in quell'universo di avventure, pericoli e piaceri che costituiva allora la condizione del romanzo picaresco, e costituirà piú tardi, opportunamente intellettualizzato, quella del Bildungsroman '.
n Per La pastorella fedele v. qui sopra, p. 378: e cfr. per esempio la protesta di Ottiana nella Bella Giorgiana di Goldoni: « O ingratissimo sposo! o indegno abuso / Di viril libertà! Non siam noi donne / Metà dell'uom che ci calpesta e opprime? » (n, 5).
zs Entrambi i generi erano e resteranno « piante esotiche sul nostro suolo », per estrapolare da De Sanctis. Al posto dell'individuo che cresce nell'attrito col « mondo » fin[...]
[...]d'io non fossi da me medesima persuasa » (III, 12). Giacinta sacrifica la propria felicità alla propria immagine, o meglio rifiuta di concepire una felicità che implichi la correzione e la banalizzazione di tale immagine: « E che vorresti tu ch'io facessi? Che mancassi alla mia parola? che si lacerasse un contratto? L'ho io sottoscritto ... È noto ai parenti, è pubblico per la città. Che direbbe il mondo di me? ... Si tratta della reputazione » (Avventure, II, 1).
In mancanza di meglio, fra linguaggio metastasiano e linguaggio mercantile Giacinta sceglie quest'ultimo. Trascurati ormai dal padre, i vecchi valori dei mercanti vengono ricuperati dalla figlia, che cerca di asserire la propria intelligenza e autonomia all'interno del sistema che essi rappresentano, non fuori e contro di esso, sperando di forzare Fulgenzio al rispetto invece che alla condanna. « Ringrazio il signor Fulgenzio del bene che dall'opera sua riconosco, e vi assicuro, signore, che non me ne scorderò fin ch'io viva », gli dirà nel commiato, un commiato in cui tutte le espr[...]
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land scriverà di sé, in attesa di esser condannata a morte: « dans des situations périlleuses, je suis restée sage par volupté, lorsque la séduction m'aurait entraînée à oublier la raison ou les principes » 30. « Io non la prenderei, se avesse centomila scudi di dote », osserva Fulgenzio in controscena dopo la grande « arringa » della ragazza alla fine delle Smanie; e Goldoni nella prefazione alle Avventure: « La baldanza di Giacinta è mortificata, ... I pronostici di Fulgenzio verificati ... » (Opere, VII 1079).
In un unhappy ending raro per lui, e tanto piú eccezionale in quanto preparato da ben nove atti, l'autore guarda impassibile la sua creatura avviarsi al sacrificio (« Si ha da penare, si ha da morire... »), pietosa vittima in mariage e spolverina di un superego cui per ragioni diverse entrambi obbediscono. Ma proprio nel clima rilassato delle Avventure, quando il balletto dei convenevoli si fa piú rapido e la voce del calcolo e del pettegolezzo piú stridula, Goldoni concede alla sua pr[...]
[...]a baldanza di Giacinta è mortificata, ... I pronostici di Fulgenzio verificati ... » (Opere, VII 1079).
In un unhappy ending raro per lui, e tanto piú eccezionale in quanto preparato da ben nove atti, l'autore guarda impassibile la sua creatura avviarsi al sacrificio (« Si ha da penare, si ha da morire... »), pietosa vittima in mariage e spolverina di un superego cui per ragioni diverse entrambi obbediscono. Ma proprio nel clima rilassato delle Avventure, quando il balletto dei convenevoli si fa piú rapido e la voce del calcolo e del pettegolezzo piú stridula, Goldoni concede alla sua protagonista una momentanea rivalsa: « Lode al cielo, son sola. Posso liberamente sfogare la mia passione, e confessando la mia debolezza... Signori miei gentilissimi, qui il poeta con tutto lo sforzo della fantasia aveva preparata una lunga disperazione, un combattimento di affetti, un misto d'eroismo e di tenerezza. Ho creduto bene di ometterla ... » (sc. ultima). Giacinta reagisce al distacco dell'autore rifiutandosi di collaborare: il che vuol dire, fuor di [...]