Brano: [...]on ordinario e giudicato dall'insegnante che glielo aveva dato « fuori del consueto » — l'episodio è raccontato ne Le parole tra noi leggère —, Lalla Romano ha apposto questa chiosa: « Comunque sono certa che non solo per furore logico né per desiderio di singolarità interpretò a quel modo il tema, la ragione prima — della quale non poteva essere consapevole allora — era che la sola lettura interessante per lui era quella dal punto di vista dell'autore: il fatto creativo insomma » (Torino 1969, p. 156). La postilla (postilla verba auctoris, ne è il caso) contiene un pensiero altrimenti espresso, in modo ancora piú esplicito e in una sede propriamente critica, nella Presentazione della ristampa di Maria fatta per le scuole (Torino 1973). « Cosa c'è da dire sullo stile, sul linguaggio del libro Maria? » è la domanda. E la risposta: « L'incontro, la simpatia che si verificò nella realtà si è attuata anche nel libro attraverso lo stile ». « E come altrimenti? » si stupisce la scrittrice, che torna a domandarsi in un contraddittorio pensato a[...]
[...], che pure non sono mai senza revisioni, Le parole tra noi leggère (1969), L'ospite (1973), Una giovinezza inventata (1979) e tra L'ospite e Una giovinezza inventata due libri coevi, uno di racconti, La villeggiante, e l'altro di fotografie commentate, Lettura di un'immagine (1975). Senza dimenticare l'esercizio della poesia, che ha dato nel '74 Giovane è il tempo, frutto di una scelta riveduta delle due raccolte precedenti (Fiore prima, e poi L'autunno, 1955) e di molte poesie nuove. Si tratta di un percorso segnato negli anni da stazioni ben pausate, quasi periodiche, come esistesse una misura ritmica anche nel licenziare, oltre che nel comporre, i propri lavori. Ci siamo cosí voluti liberare d'un colpo del curricolo editoriale per non tornarci poi piú sopra, assegnando alla Penombra, non senza ragioni, un ufficio di discrimine
La consapevolezza drammatica di voler raccontare il proprio « mondo » (non nel senso, larghissimo, che ogni scrittore racconta sempre il proprio mondo) in Lalla Romano è certamente anteriore, ma, fino alla Peno[...]
[...] come saggiato delle varianti. Cosi è stato, nel modo forse piú evidente, con L'uomo che parlava solo. (Il « parlare da sola » sarà curiosamente annotato ne La Penombra come un tratto della Romano bambina: « Io "parlavo da sola", e la mamma mi lasciava fare, non mi interrompeva », p. 21). L'uomo che parlava solo è il romanzo piú « obiettivo » di Lalla Romano, anche se poi la storia narrata in prima persona e lo stile cosí netto (ma un'ombra di inautentico vi si annida a tratti nel ritmo, specie dei dialoghi, che sente di Pavese) rendono l'opera facilmente apparentabile alle altre.
Cosí ci pare che sia di Tetto murato. Ma Tetto murato conta di piú soprattutto per il segno lievitato delle figure, incardinate in un'atmosfera ferma, chiusa, perfetta e insieme misteriosa, fiabesca, quasi magica, un'enclave nel clima della guerra che sta come un sogno vagamente shakespeariano (« come quando si sogna e si sa di sognare » 3), una « metamorfosi » continuata (« ... cosa sarebbe stato, un giorno, Tetto murato, se non un sogno? », p. 81). In Tetto [...]
[...]: « ... la mamma non inventava niente, anzi, lei spogliava, sfrondava, non "raccontava", propriamente: alludeva soltanto ». Ma se Lettura di un'immagine ha nella Penombra la sua couche, anche se ne distacca perché ne è come l'essenza.
3. Con La penombra che abbiamo attraversato inizia dunque un periodo che non sapremmo deciderci a dire nuovo. Nuovo infatti propriamente non è, e basterebbe leggersi il capitolo xxii di Maria:
Rividi, quando fu l'autunno, i boschi del Villar: velati da una sottile bruma.
Era il primo pomeriggio, quando passai il ponte sul Maira, e cercai con gli occhi il balconcino alto sul Borgo Sottano, dal quale Maria aveva salutato il bambino diventato grande che ripartiva sulla sua motocicletta.
Prima di scendere, per la gradinata di pietra, al vicolo di Maria, volli rivedere il paese.
Rividi, nell'attraversarlo, la villa dei Maina, che dietro l'alterigia della f acdata celava le sue storie oscure, e le fastose alcove, che Maria spolverava con tanta fatica.
4 La villeggiante, Torino 1975, p. 95.
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[...]orosa che mi ispirò rispetto. E malinconia come tutte le cose felici » (p. 84).
Anche il dramma ne La penombra è redento da una pietas sobria, discreta, venata spesso di un umorismo improvviso, che s'accende. La memoria insegue il suo equilibrio tra l'interno domestico e borghese, e il modo dei contatti con il piccolo cosmo provinciale, che è sempre sul punto di svelare, insieme con gli incanti, le sue angustie. Si pensa per questo agli Scritti autobiografici di Hesse con la consapevolezza di una proposta non peregrina visto l'appetito onnivoro e spregiudicato di letture (« l'inguaribile eclettismo », anche, della sua cultura) che la Romano ha sempre denunciato. Anche perché poi Hesse funziona per Il mio credo, per il suo tentativo di comporre la scissione tra fantasia e intelletto, tra concetto e immagine. Nella Weltanschauung della Romano possiamo infatti sistemare Kant accanto a Schopenauer, e meglio ancora mettere lo zio matematico Giuseppe Peano, che ebbe diretta influenza sulla sua formazione e sul suo « implacabile illuminismo »6[...]
[...]ondivide il destino, ne ricerca le dissonanze, ne suggerisce, o ne dice, le affinità. Borlenghi molto acutamente, a proposito della presenza della scrittrice nella Penombra, ha parlato di « una propria storia in minore, nel cerchio delle memorie ».
C'è sempre una dialettica intensa — un dramma — in questo rapporto tra personaggio e personaggi (il punto estremo sono Le parole tra noi leggère), spesso doloroso fino allo spasimo perché la memoria (autentica) non vuole patire inganni. In questo senso, l'opera della Romano è memoriale e non autobiografica: una differenza, che ha la sua ragion d'essere e che è
stata polemicamente ribadita piú volte dalla scrittrice nelle interviste, con taglio perfino troppo netto:
È vero che un romanzo, in quanto tale, brucia e ricrea ogni dato, ogni fatto — reale o immaginario — cosí che i fatti stessi costituiscono appunto un materiale; ora, questi dati si possono sempre far risalire all'esperienza piú o meno diretta — esistenziale, culturale storica o fantastica — dell'autore; nel mio caso poi si tratta effettivamente di un rapporto molto stretto fra « vita e narrazione »: senonché io non amo i[...]
[...]enza, che ha la sua ragion d'essere e che è
stata polemicamente ribadita piú volte dalla scrittrice nelle interviste, con taglio perfino troppo netto:
È vero che un romanzo, in quanto tale, brucia e ricrea ogni dato, ogni fatto — reale o immaginario — cosí che i fatti stessi costituiscono appunto un materiale; ora, questi dati si possono sempre far risalire all'esperienza piú o meno diretta — esistenziale, culturale storica o fantastica — dell'autore; nel mio caso poi si tratta effettivamente di un rapporto molto stretto fra « vita e narrazione »: senonché io non amo il termine usuale « autobiografia ». Anzi, lo considero il piú lontano dal mio gusto, dalla mia idea della narrativa. Io non scrivo affatto per dar notizie sulla mia vita; però la mia vita è tutto quello che ho, è me stessa 8.
Di quest'ultimo concetto, fondamentale, come abbiamo già tentato di dire, ritroviamo nella Penombra, e proprio nella chiusa del secondo capi
tolo della prima parte, di cui abbiamo citato l'esordio, la concordanza piú piena:
Piazza Nuova: è uguale nell'insieme, vuota. Su due lati la chiude ancora l'antica lea di ippocastani.
Il nome ora è quello di un partigiano; ma la storia, « quello che [...]
[...]ina di provincia (« Cuneo città "d'antan" », p. 133) dove ha compiuto gli studi ginnasiali e liceali. Il suo approdo torinese coincide con gli anni dell'Università, con gli umori, le inquietudini, le contraddizioni di una vitalità ispida e inappagata.
È la storia di una iniziazione, dei rituali e delle sofferenze che tale iniziazione comporta; la storia di un personaggio di angoscia (e di allegria?) dentro la « grande misteriosa città » (p. 73) autunnale, che sta come una favola dal fascino intenso, come un amore doloroso e senza futuro: che anzi con quest'amore fatalmente coincide. La Torino di una tardiva belle époque vibra di una sua doppiezza ed è il luogo emblematico dei fatti memorabili. La vita della ragazza si snoda per frammenti tra le pareti protettive di un pensionato (molto esclusivo) di suore, e le ciance, le alleanze, i ripicchi di una comunità di giovani curiose e anche petulanti, tra le lezioni all'Università e le sedute di pittura, tra zie e compagni, tra affabulazioni epistolari e incontri divisi, fatti un po' di audac[...]
[...] che questa è la mia verità poetica di quelle persone e di quel tempo. È la giovinezza che diventa poetica nella vecchiaia. Del resto la verità dell'artista non è la verità storica, ma la verità delle sue impressioni, e queste impressioni nel mio libro sono assolutamente
10 L'accostamento e la citazione successiva ci vengono dalla « Lettura della domenica » di P. CITATI apparsa sul « Corriere della Sera » del 6 aprile 1980.
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autentiche » 11. I documenti che compaiono in Una giovinezza inventata non sono documenti inventati (ma potrebbero anche esserlo e non cambierebbe nulla). Lettere, diari e persino i frammenti di un romanzo non compiuto servono a comporre un ritratto dell'autore, e questo ritratto è anche l'effigie di un'epoca che vien fuori non soffusa di beatitudine postuma, piú scandalosa forse, ma più vera.
5. Da L'ospite, cit., pp. 121122:
Dell'ultimo giorno, l'indomani, sono rimasti due momenti. Uno, di allegria un po' favolosa. A colazione, Emiliano, eccitatissimo, fa la spola tra il nostro tavolo e Rachele in cucina; zampetta velocissimo tanto che i piedini sollevati dietro battono uno contro l'altro, e intanto ride e strilla di gioia guardando sua madre. Come ripetesse in una « fantasia » di balletto il buttarsi di ieri dalle braccia dell'una a quelle d[...]
[...]za (distratta).
Ma soprattutto io non rinunzio a tentare di conoscerlo, discorsivamente voglio dire. So bene che le domande sono un sistema sbagliato; ma ci ricasco. Lui è seduto davanti a me, immerso in un libro (magari un fumetto). Io provo a incominciare un discorso, e per di piú su temi generali. Senza alzare il capo risponde: — Non so (p. 9).
GIOVANNI TESIO
BIBLIOGRAFIA
OPERE DI LALLA ROMANO. Poesia: Fiore, Torino, Frassinelli, 1941; L'autunno, Milano, Edizioni della Meridiana, 1955; Giovane è il tempo, Torino, Einaudi, 1974. Poesie di Lalla Romano sono apparse in Prima antologia di poeti nuovi, Milano, Edizioni della Meridiana, s.d. [ma 1950]
Prosa: Le metamorfosi, Torino, Einaudi, 1951 (poi, riveduta e ampliata, nei « Coralli », 1967); Maria, ivi, 1953 (poi nei « Coralli », 1965; nelle « Letture per la scuola media », 1973; nei « Nuovi Coralli », 1975); Tetto murato, ivi, 1957 (poi nei « Supercoralli », 1972); Diario di Grecia, Padova, Rebellato, 1959 (poi, con qualche variante, presso Einaudi, nei « Nuovi Coralli », 1974); [...]
[...]l Carlino »,
2 settembre 1964; V. Volpini, « La Fiera Letteraria », 4 ottobre 1964; F. Bolzoni, « Orizzonti », 18 ottobre 1964; M. Rago, « L'Unità », 18 ottobre 1964; C. Salinari, « Vie Nuove », 22 ottobre 1964; A. Borlenghi, « L'Approdo letterario », ottobredicembre 1964; B. Marchiaro, « 45° Parallelo », 11 dicembre 1964; P. Padovani, « L'Italia che scrive », 11 dicembre 1964; F. Bruno, « I diritti della scuola », 15 dicembre 1964; M. Forti, « Aut Aut », maggio 1965; A. Guiducci, « Avanti! », 29 giugno 1967; A. Sala, « Corriere d'Informazione », 16 luglio 1967; G. Calcagno, « Stampa Sera », 21 luglio 1967; C. Mosca, « RomaNapoli », 3 agosto 1967; P. Milano, « L'Espresso », 6 agosto 1967; G. Gramigna, « Amica », 15 agosto 1967; M. Rago, « L'Unità », 30 agosto 1967; G. Vergani, « Giovani », 7 settembre 1967; A. Grosso, « Il Nostro Tempo », 10 settembre 1967; D. Porzio, « Panorama », 19 settembre 1967; A. M. Catalucci, « Paragone », febbraio 1968; G. Spagnoletti, « Il Messaggero », 22 aprile 1969; E. Montale, « Corriere della Sera », 27 a[...]