Brano: [...] splendenti della borghesia al suo sorgere, quale Ibsen la trovò. Negli epigoni, quelle inquietudini si stemperano in fastidi e appetiti, la conquista interiore della piena espressione individuale diventa avidità di conquiste di segni esteriori. Basta osservare la differenza che passa fra l'ibseniano Solners e il Sansone di Bernstein, fra Edda Gabler e la Marcia nuziale. A questo punto la borghesia, come classe, è incapace di sostenere ormai la parte che s'era assunta e che aveva assolto. Il dramma, come ogni altra forma di letteratura, si frantumava ai medesimi scogli; non è piú che questione di appetiti e di indigestioni ».
In quel tempo, in Italia, il teatro ottocentesco non dà che un suono lontano e sordo: quello sentimentaleromantico, infatti, è ormai anacronistico, quello d'intreccio non ha piú mordente, e galleggiano sulle acque del teatro i relitti di quel verismo che aveva cominciato a denunziare la corruzione e la decadenza della società borghese, e si era rivelato troppo povera ed ingenua cosa — borghese esso stesso — di front[...]
[...]vano l'angoscioso e sconvolgitore tempo della guerra e i tormentati anni del dopoguerra. Quanto al teatro di D'Annunzio, esso era franato ormai sotto il peso della sua retorica. La scena italiana, lenta e sospettosa nell'accogliere Ibsen e Shaw — sorda soprattutto ad accogliere il messaggio di Ibsen che tendeva alla ricerca ed alla valorizzazione della personalità umana — si lasciava invadere dal teatro francese, con Bernstein e Bataille da una parte e la pochade dall'altra. Bernstein, « abile alchimista di parole » fra i creatori « per uso industriale » di « un mondo fittizio di avventurieri, di donnine allegre, di vecchi intriganti e di vecchi satiri »; « riduzione meccanica » e « visione artificiosa del mondo, utilissima ai fini del successo, perché offriva un'inesauribile miniera di spunti, di intrighi, di intrecci, non domandava sforzi di fantasia, non domandava
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elaborazioni faticose ». Tentava, ora, Bernstein, di trarre motivi dalle sofferenze e dalle angosce quotidiane dovute alla guerra: ma « la guerra — oss[...]
[...] loro un compito ed un apostolato »; ma i suoi personaggi non sono che « bocche da discorsi ». Fra Bernstein e Bataille, Gramsci preferisce, per absurdum, l'originalità « puramente esteriore » di Sacha Guitry, che è « lieve, vellutata creazione di stati d'animo provvisori » e « non stanca »; ritiene « piú igienica per i nervi » la Dame de Chez Maxim, che, almeno, « non ha pretese e non nasconde il belletto e la sfacciataggine », « tanto piú se l'arte di Dina le toglie la patina piú appariscente di volgarità, e le dà in prestito la sua vita artistica », sovrapponendosi, cosí, per eccezione, al « trimme della produzione comica francese », che rispecchiava quel mondo parigino di tabarin e di separés, di cocottes e viveurs, e di profumate alcove, che dai principi del secolo aveva costituito il Nirvana della provinciale borghesia italiana, e tanto piú oggi, per la guerra, solleticava le velleità dei nuovi ricchi.
Questa borghesia era, del resto, la stessa che, quando mostrava piú casalinghe pretese, faceva buon viso alla facile produzione di [...]
[...]prime erbacce forzaniane, che si faranno, poi, alte e soffocanti sotto il fascismo e saranno, or è qualche anno, premiate in blocco con un milione dal parastatale Istituto del Dramma Italiano, sia le « piante di stanza » del salottierismo, « la pochade che vuol essere " commedia comica " » e questa che si adorna di spiritosaggini « come — dice Gramsci — un pellerossa da carnevale si adorna di penne ». Gli uomini spiritosi, egli dice, « sono una parte molto importante della vita sociale moderna e sono molto popolari... ». L'ideale della loro vita elegante sono « la conversazione fatua e brillante del salotto, l'applauso discreto e i1 sorriso velato dei fre
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quentatori disalotti ». Anche questo genere di commedia, avrà poi suo massimo sviluppo sotto il fascismo.
Una sola opera, maturata in un clima di volontarismo ibseniano, si è, negli ultimi anni (è del 1912), staccata dalla produzione salottiera, oltre che valorizzata da una interpretazione inimitabile. Il Santo è l'opera; Ruggeri l'interprete: per il resto[...]
[...]ione degli altri, che è del 1915, Pensaci Giacomino, Liold e Il berretto a sonagli, che sono del 1916, Il piacere dell'onestd, del 1917, Cosí è (se vi pare) e Il giuoco delle parti del 1918, L'innesto, del 1919, Tutto per bene e Come prima, meglio di prima del 1920; conobbe, cioè, il Pirandello che precedette i Sei personaggi e l'Enrico IV, che sono del 1922; il Pirandello, cioè, non ancora completamente riconosciuto nella sua grandezza da gran parte della critica maggiore; ed è noto che Gramsci ricorderà piú tardi, con compiacimento (lettera alla cognata del 19 marzo 1927) come in quel tempo in cui Pirandello era « amabilmente sopportato o apertamente deriso » , egli, dal 1915 al 1920, avesse scritto tanto (e lo ricorderà nei Quaderni del carcere) « da mettere insieme un volumetto da 200 pagine ». In quella lettera famosa di opere da compiere, egli includeva tra queste, come è noto, « uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato ed ha contribuito a determinare».[...]
[...]ltà cattolica e dei critici teatrali cattolici contro Pirandello — osserverà che, in effetti, il grande scrittore siciliano si stacca dal verismo borghese e piccoloborghese del teatro tradizionale perché la concezione umanitaria e positivistica del verismo non era anticattolica; e, invece, la tendenza filosofica pirandelliana, qualunque ne siano il contenuto, i limiti, la coerenza, è sempre
indubbiamente anticattolica ».
Nel chiudere la prima parte di questa comunicazione riguardante le recensioni teatrali, mi si permetta di osservare che ai critici d'oggi Gramsci offre lezioni di costume e di stile.
Caratteristica della sua critica teatrale è il suo antiintellettualismo. Il linguaggio di Gramsci è semplice: familiare il tono; chiara l'esposizione del fatto e limitata all'essenziale. I giudizi non cadono dall'alto ma emergono spontanei dal discorso come naturale conseguenza di senso comune. Cosí quando stronca, mancano la malignità e il gusto dello stroncamento: egli non fa che parlare franco; ed è tutto. E poiché l'idea è chiara e la [...]
[...] il 5 febbraio 1916, egli lamenta: « ormai è invalso, nella organizzazione delle nostre migliori compagnie, l'uso di circondare gli elementi ottimi con altri molto scadenti, se non addirittura pessimi, che servono solo per il chiaroscuro, per dare maggiore risalto ai primi, con quanto scapito dell'effetto generale di una recita, è facile a chiunque capire ».
Alla completezza della compagnia deve, per Gramsci, rispondere l'integrità dell'opera d'arte. Qualche mese dopo, loda lo sforzo di Ruggeri « per dare di Amleto una raffigurazione pienamente umana »; ma censura l'interpretazione dell'opera « perché nelle opere del tragico inglese non c'è solo il protagonista, e la tragedia non è solo la tragedia di questo. La caratteristica del capolavoro (detto cosí all'ingrosso) consiste nella saturazione di poesia di ogni parola, di ogni atto, di ogni persona del dramma; niente c'è di inutile, niente da trascurare, ogni anche piccolo accenno concorre alla catastrofe ed è indispensabile per giustificarla. Rendete solo tragico Amleto e lasciate nella[...]
[...]ea, per la capacità di dimenticare in questa ricreazione se stesso come tal dei tali, per assorbire, assimilare ed esprimere integralmente tutti quegli elementi di individuazione concreta coi quali lo scrittore ha realizzato la sua intuizione drammatica ».
Loda l'attore, che non si dà a « montare le situazioni fortemente impressionanti » per « raggiungere gli acuti e spasmodici culmini della drammaticità. Ma da artista che sente la dignità dell'arte sua, non abusa di queste droghe piccanti. E si tiene nei limiti dell'umanità normale, riuscendo lo stesso, e anzi più efficacemente, a far risentire l'angoscia piú profonda e la gioia piú spirituale ».
Talvolta egli censura l'eccesso di quella ricca dote che è cosí tipica e tradizionale dell'attore italiano, lo spirito di improvvisazione, stimolato dalle ragioni particolari, soprattutto diremmo geografiche, della scena italiana. « Le rappresentazioni solite, di ogni giorno, — egli scrive nel 1917 — non dànno mai occasione a una espressione di sé completa. Sono frammentarie, incerte, provviso[...]
[...] — egli scrive nel 1917 — non dànno mai occasione a una espressione di sé completa. Sono frammentarie, incerte, provvisorie: le abitudini del teatro italiano obbligano gli attori ad una varietà di interpretazione che non può non es sere a danno della profondità, della compiutezza. C'è sempre un po' di dilettantismo, di nomadismo, di improvvisato nei nostri attori. Le elaborazioni minuziose, capillari, sono ignorate. L'intuizione può supplire in parte, ma non riesce mai a dare quella pastosità intensa di luci che dà la preparazione, il lavoro critico ».
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Per i nostri attori, in genere, Gramsci ha simpatia, senza padreternismi né paternalismi; ammira il loro sforzo quando esso è dedicato a compiti ingrati. Quando si tratta di attori che profondamente stima (Virgilio Talli, per esempio, da lui definito, per la sua opera di direttore, « forse il piú acuto critico letterario che oggi esiste in Italia »; Emma Gramatica, Tina Di Lorenzo, Luigi Carini, Ruggero Ruggeri, Dina Galli), si accosta ad essi con rispett[...]
[...]oggi con le ardite speranze del domani ».
E qui è da notare che egli non istalla nella rubrica teatrale dell'Avantil una cattedra staccata dalla vita teatrale. Egli si rivela uomo di teatro; e cioè consapevole delle necessità pratiche a cui la vita del teatro è sotto:posta e dei mezzi che devono non ostacolare ma favorirne lo sviluppo. Sarebbe stato da ricordare il suo insegnamento l'anno scorso, in occasione di una polemica che fu intitolata « Arte e cultura » e che piú esattamente sarebbe stata intitolata « Arte e Teatro ». Gramsci sostenne che i diritti e i valori dell'arte dovevano essere rispettati in teatro come essenziali ai suoi fini nel tempo stesso ideali e pratici, perché senza di questi ultimi non esisterebbe teatro e la sua opera rimarrebbe nell'ambita della letteratura. Battendosi contro « l'insincerità psicologica, la bolsa espressione artistica », la forma « crassamente sguaiata » o « romanticosentimentale » della vita sessuale, Gramsci denunzia l'impresa teatrale Ghiarella che, a Torino, sta « lentamente abituando » il pubblico « a preferire lo spettacolo inferiore, indecoroso, a quello che rappresenta una necessità buona dello spirito » . Scrive: [...]
[...]er essere degnamente rappresentati, sono anche al di fuori di ogni banale concorrenza ». Ma nello stesso tempo afferma che « il teatro non si nutre solo di capolavori »; e, parlando del successo di quegli artisti che
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si son fatta una maschera della comicità, onde il loro successo è semplicemente un fatto commerciale, aggiunge che esso è anche un fatto « necessario, in quanto anche la produzione drammatica è in grandissima parte un fatto commerciale e perciò rispettabile ». Questa produzione di ordinaria amministrazione, cioè, sempre che abbia un minimo di dignità e di buon gusto, ha lo scopo di assicurare la funzionalità ininterrotta degli spettacoli; a tener « caldo », come si dice in gergo, « il locale », condizione prima perché i capolavori possano giungere al pubblico; Gramsci, nel suo realismo, ne aveva la perfetta comprensione.
La seconda parte di questa comunicazione riguarda l'atteggiamento di Gramsci di fronte al teatro considerato come fatto economico, con contributi ancora validi nell'attuale fase della vita teatrale italiana. Piú particolarmente ci riferiamo ad un gruppo di articoli che, scritti in occasione di una agitazione della categoria capocomicale contro gli esercenti di teatro, considera l'organizzazione pratica, cioè economica, del teatro come fatto avente fine in se stesso e per la sua influenza sull'espressione artistica.
La prefazione posta alla pubblicazione di Letteratura e vita nazionale avverte, per quanto rig[...]
[...]tistica.
La prefazione posta alla pubblicazione di Letteratura e vita nazionale avverte, per quanto riguarda le cronache e critiche teatrali, che esse offrono un quadro pressocché completo della vita teatrale torinese di quel periodo. In verità, data, come vedremo, la particolare organizzazione del teatro italiano in quel tempo, la vita teatrale di Torino era strettamente legata a quella di Milano, di Genova, di Bologna e di Roma: e quindi era parte integrante della vita teatrale italiana. Possiamo dire, senza preoccupazioni, che le note di Gramsci hanno un valore di testimonianza e di giudizio su piano nazionale.
Fu, come è noto, quello della guerra e dell'immediato dopoguerra, un periodo di grande prosperità economica per qualsiasi genere di spettacolo. Certo, i locali piú affollati erano i caffèconcerto, dove si river
sava la gente favorita dalle nuove e facili fortune di guerra e, durante la guerra, i privilegiati sottrattisi al servizio militare, spettacolo poco
edificante per i combattenti che venivano in licenza dal fronte (tan[...]
[...]atti piú frequenti e piú notevoli gli investimenti capitalistici nella formazione di compagnie drammatiche.
« Il teatro — si legge a p. 365 di Letteratura e vita nazionale — come organizzazione pratica di uomini e di strumenti di lavoro, non è sfuggito dalle spire del maelström capitalistico... l'industrialismo ha determinato le sue necessarie conseguenze. La compagnia teatrale, come complesso di lavoro retto dai rapporti che intercedevano nell'arte medioevale tra il maestro e i discepoli, si è dissolta: ai vincoli disciplinari generati spontaneamente dal lavoro in comune — lavoro di natura particolare, perché tendente a fini di creazione artistica — sono successi i " vincoli " che legano l'intraprenditore ai salariad, i vincoli della forca e dell'impiccato ».
Piccoli impresari locali, in verità, non erano mai mancati; erano sorti già dopo il crollo del mecenatismo principesco ed aristocratico; ma, come fenomeno generale, il mondo dei comici era costituito da compagnie girovaghe, piú o meno zingaresche, di tipo paternalistico, sotto una[...]
[...]ta dal teatro in Italia, lo strato capitalistico dominante, costituito dai tre proprietari di teatro già nominati, si era consolidato con un accordo monopolistico, il cui primo e immediato programma, in previsione del triennio 191821, doveva esser quello di consolidare con un contratto tipo il dominio dei loro interessi sulle aziende capocomicali. Contro il trust SuviniZerboniChiarelliParadossi costituitosi sotto forma di Consorzio, la Lega dell'Arte Drammatica dette il grido d'allarme ai capocomici; e questi, appoggiati anche dalla Società degli Autori, trovarono il piú battagliero rappresentante dei loro interessi in Ermete Zacconi, proprietario della compagnia a lui intitolata.
Sull'Avanti! di Torino, prima ancora che questa lotta fosse impostata sul terreno economico, Gramsci aveva rilevato i pericoli del trust sul terreno culturale. « Torino — egli aveva scritto il 25 maggio 1916,
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sotto il titolo « Sfogo necessario » — è diventata una buona piazza per il trust che regola il mercato artistico italiano »[...]
[...]e, essi sono oggi ancora, sostanzialmente, quegli stessi del contratto tipo preparato a quel tempo dal trust degli esercenti e che costituiscono l'impalcatura della struttura economica del teatro italiano; il quale ha una delle sue principali cause di rovina nel regime contrattuale fra teatri e compagnie, fondato su due predisposti scompartimenti stagni dell'utile; che non va diviso, volta per volta, fra teatro e compagnia in ragione della loro partecipazione al costo del prodotto spettacolo, ma secondo una proporzione fissa fra teatro e compagnia, che mette, in ogni caso, il teatro al sicuro dei rischi, e tutti li addossa alla compagnia. La quale si difende attuando il criterio del minor rischio e del minor costo possibili: periodi sempre piú brevi, complessi sempre minori, occasionalità, provvisorietà sempre maggiori, e sempre maggiore decadenza artistica: fondamentale causa ed immediato effetto, questa, della crisi del teatro.
Quanto alle ingerenze, e cioè alle possibili limitazioni della libertà del capocomico nella formazione delle [...]
[...]sfuggito di sopprimere.
Nel conflitto scoppiato fra il consorzio monopolistico degli esercenti ed i capocomici, Gramsci prese posizione contro il Consorzio, pur mettendo in evidenza il rapporto di forca ed impiccato, fra capocomico e scritturato. Su tutta una serie di sfruttamenti, infatti, quello del capocomico, quello dell'esercente, e — diventato oggi sempre piú grave — quello del proprietario delle mura (che ha cominciato ad imporre la sua partecipazione agli incassi lordi dello spettacolo) poggia la struttura economica del teatro italiano; sfruttamenti tutti che aggravano la crisi del teatro, ele
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vando il costo dello spettacolo e del biglietto d'ingresso, e che possono essere eliminati soltanto dai teatri comunali.
Gramsci muove contro la gretta politica degli « accumulatori di quattrini » , che, avendo in programma l'accondiscendere ai gusti degli amatori di banalità, contribuisce all'abbassamento di livello del gusto generale.
Alla reazione della ditta Chiarella, che aveva id monopolio dei teatri t[...]
[...]ssamento di livello del gusto generale.
Alla reazione della ditta Chiarella, che aveva id monopolio dei teatri torinesi e genovesi e che protestava contro le note dell'Avanti! egli risponde informando i lettori dell'Avanti!: «II trust del Consorzio teatrale ha già escluso dai teatri di Torino Ermete Zacconi; ora anche Emma Gramatica è caduta in ostracismo ». E poiché questa nobilissima artista, che Gramsci loderà per un tentativo di lotta per l'arte, non accettava le forche caudine del trust, l'organo milanese del Consorzio attaccò volgarmente l'artista, rimproverandole di « non fare interesse », di non rendere, cioè, tanto in quattrini, quanto ne rendevano le compagnie di pochades.
Per completare l'accenno al conflitto fra il trust degli esercenti ed i capocomici, che impegnò Gramsci a favore di questi ultimi, ricorderemo che, dopo un inutile convegno del luglio a Milano, di cui Gramsci parla negli articoli « Ancora i fratelli Chiarella », e « L'industria teatrale », fra esercenti capocomici ed attori, si formò, 1'11 ottobre 1917, pres[...]