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Seneca (in SM, ir, p. 719 ss.): qui, in modo ancor piú esplicito, dichiarava « immenso » il fascino della dottrina epicurea sulla morte, « la virtú consolatrice dell'annullamento mortale »; e mostrava, citando l'epistola 54 a Lucilio, come neanche negli ultimi anni Seneca fosse diventato un fermo credente nell'immortalità. E non a caso l'autore cristiano da lui piú amato (cfr. Voci di antichi, p. 159 ss.) è Arnobio, un retore pessimista e materialista, piú lucreziano che cristiano, negatore dell'immortalità dell'anima.
4. L'« antiromanità » della letteratura latina. — Ci siamo, senza volerlo, discostati alquanto dal tema dell'« homo » et « civis »: dobbiamo adesso ritornarvi. Fin dai profili anteriori alle opere di maggior mole (i profili formigginiani di Marziale, Petronio, Giovenale, ai quali La Penna, con piena ragione, attribuisce importanza decisiva per la formazione del critico), Marchesi fa consistere il vero valore della letteratura latina non nell'esaltazione dei valori civici, nell'attaccamen[...]
[...]ieste di Seneca, del De magia di Apuleio, dell'Ars amatoria di Ovidio; .considera con maggiore benevolenza alcune ricerche su codici di autori antichi (molte di piú, e piú fruttuose, il Marchesi ne compi su codici di autori medievali e umanistici) e in particolare mette in risalto il valore degli studi sugli scolii a Persio (SM, II, pp. 907983); sottolinea che un progresso criticotestuale assai notevole fu compiuto dal Marchesi con l'edizione di Arnobio (Torino 1934, 19532). Tuttavia anche riguardo a quest'ultima il La Penna ammonisce che « va lodata con misura », e vi ravvisa il difetto di tutta la critica testuale marchesiana, l'indirizzo troppo conservativo, di cui fornisce (a p. 30 e in un'appendice a pp. 101103) parecchi esempi, discutendo intelligentemente vari passi e proponendo anche qualche suo contributo persuasivo.
Sia la valutazione generale di Marchesi filologo, sia le discussioni lapenniane di singoli passi sono in massima parte giuste. E rimane ovvio che per la sua indole stessa di criticoartista, per la sua polemica contro i[...]
[...]e ovvio che per la sua indole stessa di criticoartista, per la sua polemica contro il « filologismo » che assieme al filologismo tendeva a svalutare la filologia, Marchesi non poteva riuscire un filologo di prima grandezza: il centro della sua personalità e dei suoi interessi era altrove.
Su due punti, tuttavia, mi sembra necessaria una precisazione. Per quel che riguarda il primo periodo dell'attività criticotestuale di Marchesi (cioè fino all'Arnobio escluso), mentre le edizioni dell'Orator, del De magia e dell'Ars amatoria vanno abbandonate senza rimpianti al giudizio negativo del La Penna — si potrà sempre discutere su qualche singolo passo, ma il quadro d'insieme non muta —, quella del Tieste di Seneca è un'edizione che presenta alcune imprecisioni di metodo nella trattazione sui codici, alcune scelte di varianti erronee o discutibili, purtroppo anche un terribile manes in fine di trimetro giambico (al v. 93: fra i « guasti » segnalati dal La Penna a p. 27 manca questo, che è certamente il piú spiacevole, tanto più in quanto rappresent[...]
[...]le nel modello virgiliano non è privo di finezza, e la lezione che egli preferisce non è tramandata dal solo Riccardiano, ma dall'intera classe A.
Questa mia difesa dell'edizione del Tieste va considerata, intendiamoci, come una difesa ben delimitata: i grossi difetti a cui già abbiamo accennato restano, e l'edizione rimane il lavoro di uno studioso non privo di qualità anche in critica testuale, ma immaturo.
Diverso è il caso dell'edizione di Arnobio. Su essa il La Penna si sofferma ampiamente, mostrandosi ottimo conoscitore del testo arnobiano e aggiungendo alle osservazioni sull'edizione di Marchesi propri contributi originali (pp. 29 s., 101103; altri contributi originali il La Penna pubblicherà prossimamente). Egli nota con ragione che,nell'Arnobio « la tendenza conservatrice », che aveva pesato negativamente sulle vecchie edizioni curate da Marchesi, « non è affatto generale e molto raramente è acritica »; aggiunge che « l'editore avanza anche congetture nuove, in parte felici » (p. 29).
Quali le spinte che possono aver contribuito a questa cosí notevole e quasi sorprendente maturazione? (Sorprendente anche se si pensa che quando compí la prima edizione di Arnobio, 1934, Marchesi aveva già cinquantasei anni, un'età in cui l'acume filologico, se non si è già rivelato, difficilmente fa la sua comparsa; e nella seconda edizione del 1953, a settantacinque anni e nel pieno di un'attività intensa di tutt'altro genere, fu ancora capace di arrecare al suo lavoro numerosi miglioramenti). Una delle ragioni, suppone il La Penna, può essere ravvisata nell'influsso di un critico testuale anticonservatore, amico di Marchesi e direttore del « Corpus Paravianum » in cui l'edizione del Marchesi apparve: Luigi Castiglioni. Le congetture che il Castiglioni comunicò priva[...]
[...]ere questa ipotesi; ma confesso che ci credo poco. Le decine e decine di congetture del Castiglioni, tranne forse una o due, erano, diciamo la verità, del tutto inutili, normalizzatrici a sproposito; il Castiglioni, congetturatore spesso troppo analogista come il suo maestro Vitelli, ma quasi sempre ottimo conoscitore dell'usus scribendi degli autori da lui presi in esame, non si era minimamente curato di studiare a fondo la lingua e lo stile di Arnobio, cosí personali pur nell'ambito del latino tardo. Non direi che un simile profluvio di congetturalismo ozioso costituisse il miglior modo di ispirare a un critico conservatore come Marchesi fiducia nelle congetture; e infatti Marchesi relegò pressoché tutte le congetture di Castiglioni nell'apparato critico, e nell'apparato critico stesso le menzionò, è da credere, piú per cortesia verso l'amico che per fiducia in una loro sia pur vaga probabilità, e parecchie ne omise nella seconda edizione (citandone, in cambio, poche altre, a dire il vero non migliori). Queste mie parole non suonino offesa[...]
[...]on suonino offesa né sottovalutazione nei riguardi di Castiglioni, uno dei piú acuti e rigorosi filologi del nostro secolo, certamente superiore a Marchesi come crítico testuale: ma non come critico testuale arnobiano.
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Di un altro impulso, secondo me molto piú valido, ricevuto da Marchesi il La Penna fa menzione: « i grandi progressi fatti nella conoscenza del latino tardo soprattutto grazie al Löfstedt, che proprio ad Arnobio aveva dedicato cure particolari ». Ora, il Löfstedt fu, come è noto (non solo nei suoi studi dedicati ad autori o a fenomeni linguistici singoli, ma nella grande opera Syntactica), un critico testuale conservatore, che molto imparò dal Vahlen e dal Wölfin e formò in Svezia una scuola di alto livello. C'è stato, nell'Ottocento e in buona parte del Novecento, un conservatorismo criticotestuale « all'italiana », che in gran parte era rinuncia a interpretare il testo, tendenza a giustificare tutto in ossequio alla « tradizione », rivendicazione grottescamente patriottica di una sorta di « buon se[...]
[...]'è stato, nell'Ottocento e in buona parte del Novecento, un conservatorismo criticotestuale « all'italiana », che in gran parte era rinuncia a interpretare il testo, tendenza a giustificare tutto in ossequio alla « tradizione », rivendicazione grottescamente patriottica di una sorta di « buon senso italico » contro le folli audacie dei filologi tedeschi. Di questo tipo era stato il conservatorismo di Marchesi nelle edizioni anteriori a quella di Arnobio (il che non esclude, come si è visto, che in parecchi casi, a proposito del Tieste di Seneca, egli avesse ragione): sia pure con minore virulenza di un Romagnoli, aveva anch'egli accolto la connotazione patriottica del proprio indirizzo criticotestuale: nell'introduzione al Tieste il Leo e il Richter sono chiamati, in contesti polemici, « gli studiosi tedeschi », « gli editori tedeschi » (pp. 29, 38), e di « pernicioso influsso germanico », di « metodiche aberrazioni della cultura germanica » a cui gli italiani devono opporre « una cultura latina [ ... ] fondata sul "buon senso" ch'è sapienti[...]
[...]anti: lotta che in parte (e senza dubbio con qualche esagerazione) investiva i testi classici stessi, lo stesso Cicerone, meno ligio ad un uniforme ciceronianismo di quanto fosse apparso fin allora. E la scuola svedese aveva avuto come s'è accennato, i suoi precursori in Germania (oltre a precursori italiani piú remoti e rimasti isolati, come Giacomo Leopardi)
e aveva seguaci e alleati, di nuovo, nella Germania del Novecento. Ora, l'edizione di Arnobio non è soltanto una continuazione piú cauta
e bibliograficamente piú aggiornata del vecchio conservatorismo « all'italiana » del Marchesi giovane: è una svolta e un'adesione a questo nuovo conservatorismo, particolarmente necessario per un autore come Arnobio, cosí pieno non solo di volgarismi e arcaismi, ma di espressioni personali, di hapax, quasi tutti disconosciuti dal mediocrissimo editore anteriore al
IL « MARCHESI» DI ANTONIO LA PENNA 667
Marchesi, August Reifferscheid. Per la prima volta nella sua vita Marchesi si mise a studiare un testo parola per parola, facendo i conti con la linguistica e la filologia fiorite fuori d'Italia, abbandonando (non nella concezione generale dei rapporti tra filologia e critica letteraria, ma nella tecnica filologica sí) il provincialismo. E non si limitò a far tesoro dei contributi altrui: notò egli per p[...]
[...]volta nella sua vita Marchesi si mise a studiare un testo parola per parola, facendo i conti con la linguistica e la filologia fiorite fuori d'Italia, abbandonando (non nella concezione generale dei rapporti tra filologia e critica letteraria, ma nella tecnica filologica sí) il provincialismo. E non si limitò a far tesoro dei contributi altrui: notò egli per primo molte particolarità, inconcinnità sintattiche, stranezze individuali del latino di Arnobio (ricordo un solo esempio fra i tanti: l'uso di homo = corpus contrapposto all'anima, cfr. p. 51, 1 della 2a ed., e aggiungi ai passi citati dal Marchesi p. 58, 17 s.). Alcuni casi di conservatorismo eccessivo vi sono, e il La Penna ha quasi sempre ragione nel notarli (quasi sempre: io credo ancora, e tornerò eventualmente a discuterne altrove, che a pp. 3, 17; 26, 2527, 1; 399, 4 la lezione tramandata sia giusta). Ma sarebbe stato opportuno dare anche, qualche esempio di congetture felici (ne segnalo qualcuna: p. 35, 2 neque omni alioquin qui; 44, 24 et iudicationis; 88, 20 at; 90, 18 sermoni[...]
[...]tenuto la lezione tramandata; vedi anche a p. 33, 4 l'ottima interpunzione dopo capere, che restituisce il senso della frase). Se lo Hagendahl in « Gnomon » 1940, p. 24, pur movendo al Marchesi alcune obiezioni giuste, dette della prima edizione un giudizio ispirato a meschina acidità, Löfstedt, scrivendo a Castiglioni, definí prächtig l'edizione stessa (Franceschini, op. cita, p. 20, cfr. p. 270). Ora è imminente la nuova edizione commentata di Arnobio a cura di Henri Le Bonniec, che occuperà parecchi volumi della collana delle « Belles Lettres ». A giudicare da alcuni articoli preparatori, in alcuni punti il Le Bonniec sarà ancor piú conservatore di Marchesi; credo anch'io che, mentre in qualche punto bisognerà emendare dove Marchesi ha conservato, in qualche altro dovrà avvenire il contrario; e molti resteranno i punti dubbi, nei quali, come dice La Penna (p. 101), « non si sa se attribuire la lezione a un errore di scriba o all'estro del retore ». Ma l'edizione di Marchesi rimarrà sempre una tappa molto importante negli studi arnobiani.
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[...]opere di studiosi tedeschi; ma, come dimostrano proprio le tante recensioni ora ristampate in SM, quasi sempre con frettolosità e (si ricordino le espressioni già da noi riportate) con la convinzione, piú o meno esplicita, che la forza d'intuizione latina avesse poco di importante da imparare dalla pedanteria teutonica. Sul finire degli anni Venti accadde evidentemente in lui un ripensamento, senza il quale non sarebbe immaginabile l'edizione di Arnobio. Il Franceschini, filologo di prim'ordine ma non disposto a esprimere sul suo Marchesi alcuna riserva e quindi nemmeno a compiere alcuna periodizzazione, riconosce nell'Arnobio il culmine della filologia di Marchesi ma considera eccellenti anche le edizioni critiche anteriori (op. cit., pp. 267, 308309); tuttavia testimonianze dello stesso Franceschini come: « Ricordo le lunghe discussioni sulla scelta di una variante, le ragioni valide per l'una o per l'altra parola, le ricerche lessicali e stilistiche, e ancora i dubbi e le incertezze, prima della decisione » (p. 94 s.); o: « Quante volte lo incontrai dopo una notte passata insonne per lo studio di una variante! » (p. 130, e ancora p. 167) non possono riferirsi che all'Arnobio (per « varianti » il Franceschini int[...]
[...] cit., pp. 267, 308309); tuttavia testimonianze dello stesso Franceschini come: « Ricordo le lunghe discussioni sulla scelta di una variante, le ragioni valide per l'una o per l'altra parola, le ricerche lessicali e stilistiche, e ancora i dubbi e le incertezze, prima della decisione » (p. 94 s.); o: « Quante volte lo incontrai dopo una notte passata insonne per lo studio di una variante! » (p. 130, e ancora p. 167) non possono riferirsi che all'Arnobio (per « varianti » il Franceschini intenderà, insieme alla lezione tramandata, le varie proposte congetturali, ché il codice di Arnobio, come si sa, è uno solo) o forse a esercitazioni di seminario su testi medievali: non certo, per ovvie ragioni cronologiche, alle edizioni degli anni 190418, quando Marchesi non aveva ancora quel gusto per la filologia « puntuale » che gli venne piú tardi. Io suppongo, diversamente da Franceschini (op. cit., p. 157), che sia stata questa svolta a non fargli ripubblicare in alcuno dei suoi volumi piú tardi la prolusione Filologia e filologismo, e, aggiungo, a fargli apprezzare lavori di filologia « arida » come gli Studi sui Topici del Riposati (dr. Franceschini, p. 44). Ma, detto tutto ciò, v[...]