Brano: IL SILENZIO
Ormai, del mucchio d'abiti posati prima del bagno in una macchia di mentastri, non restavano tra loro che la maglietta e i calzoncini di Michele. Via via che Marco e Nino, rivestendosi, avevano cautamente sfilato di sotto i loro indumenti, la maglietta s'era arrotolata e i pantaloni erano scivolati di traverso sugli steli. Un limone succhiato, scuro di liquerizia, era sfuggito di tasca. Marco rimase un attimo a guardarlo, con una contrazione della gola arsa. Le tre paja di scarpe erano ancora lá, in fila: quelle di Michele un po' più piccole, sulla sinistra il bordo di gomma era in parte staccato dalla tela, e Marco ricordò come ciò impacciasse talvolta Michele, nella corsa.
Il riverbero della costa lo feriva negli oc[...]
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ta, mordendosi piano il labbro inferiore. Vivi e morbidi, i lunghi capelli scuri le sfioravano le guance chine.
Voltandosi un attimo, Antonio vide che Bertolli continuava a guardarli con un ghigno acido.
Ad un tratto Costanza scosse la testa, rigettando bruscamente indietro i capelli, e si fermò:
«Non mi va di rincasare subito. Venderò ancora qualche pacchetto, non so... Tanto, neppure Michele sarà in casa, a quest'ora ».
Antonio alzò la mano verso la sua come per carezzarla. Costanza abbozzò un sorriso. Mentre Antonio accennava ad avviarsi, staccò impulsivamente un garofano che teneva infilato nella blusa «Lo vuole? Ha ancora un po' di profumo ».
Egli prosegui da solo, tenendo il fiore tra le dita un po' impacciate.
« Tuo padre. Non dirglielo », sussurrò Nino vedendo comparire Antonio Stura in fondo alla discesa, e corse via.
Antonio andava piano. Vicino a lui, seguendo il muoversi del corpo nel passo, oscillava la piccola macchia rossa del garofano. Marco fu per scappare anche lui: ma poi gli parve più facile attender[...]
[...]o, la strada d'Oregina s'intagliava sul colle, nuda nel suo asfalto screpolato. In mezzo ai dossi che, dorati da un ultimo sole, mordevano il cielo illimpidito, l'isola d'alte case ingrigiva nella sua squallida opacità di cemento: fitto alveare frettolosamente progettato per una popolosa periferia, che qualche caso amministrativo aveva concretato in quella vastità deserta. Con un sospiro, distolse gli occhi da quell'immagine familiare. Esitando, alzò alle narici il fiore. Era buono, l'odore del garofano: acre, come d'arsura. Il rosso dei petali s'era incupito appena.
Già era vicino, quando dalla china bruna d'erbe disseccate s'alzò, scorrendo tutto intorno il giro dei colli, il grido dei ragazzi: ragazzi di Oregina, dei quartieri più in basso, tumultuosa e sfuggente tribù che passava là intorno le sue giornate. Era un gioco che avevano inventato
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da poco, Antonio non ne conosceva le regole: ma di tanto in tanto, sorgendo da buche invisibili che dovevano aver scavato come trincee, s'alzava limpido un grido : « All'erta! ». Una dopo l'altra, nuove voci lo riprendevano, avvolgendo l'isolato.
Anche Marco ascoltava. Una voce vicina, che non riconobbe, lo chiamò per nome. Si strinse nelle spalle, e andò [...]
[...]sospiro. « Lascialo stare », disse. «È stanco ».
Lavorava sull'asticciola che aveva piallato prima, già incisa di foglie. L'altro pezzo di legno non era più sul tavolo. Il suo viso, piattamente illuminato dalla lampada, era stanco, le sue mani sembravano mortificarsi con impazienza a quel minuzioso lavoro. Teresa diceva che non ne poteva più, Marco non sapeva di che. Antonio depose l'asticciola sul tavolo e la sua mano, serrandosi lentamente, s'alzò greve come se dovesse battere un pugno per accompagnare un violento « basta! »
Ma poi si rilassò e ricadde.
Così impalliditi, nel crepuscolo che tutto intorno scuriva la valle in una morbida densità quasi notturna, i muri d'Oregina facevano avvertire a Marco la presenza di quel mare fermo e ancora bianco, spalancato alle sue spalle.
Stava appoggiato contro la sua casa. Sul campo di calcio, che ave
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vano un po' alla volta intagliato sul colle, e dove la terra si scopriva rossa e polverosa, dei ragazzi giocavano. Non lo videro.
Dall'entrata venne un rumore di passi, e la vo[...]
[...] bocca. Infine, dalla gola, gli usci con improvvisa violenza una voce dura e stentata, da cui poi si delineò, come a balzi bruschi, un canto lamentoso e discontinuo. Di tanto in tanto l'uomo alzava il braccio velloso per asciugarsi la fronte con un gran fazzoletto a scacchi. Marco non riusciva a vederlo bene. Eppure gli pareva proprio Baglietto, uno scaricatore taciturno che abitava a Oregina, e non parlava mai con nessuno.
Ma quando un altro s'alzò, e venne in mezzo alla stanza, fu ben certo di riconoscerlo: e riconobbe allora anche altri di quegli uomini che_ stavano sulle sedie allineate contro il muro oltremare, gravi come se assistessero a una cerimonia. Era tutta gente d'Oregina o di quel quartiere al limite della città: operai, artigiani, piccoli impiegati. Quello che stava in mezzo era Giuseppe Spinola, un loro vicino, usciere al municipio : il fratello di Caterina, la vecchia che stava per morire di cancro. Quando le avevano scoperto quel male, s'erano tutti impietositi; ma erano passati tanti mesi che nesssuno si ricordava più [...]
[...]ano tutti impietositi; ma erano passati tanti mesi che nesssuno si ricordava più di lei se non quando, all'improvviso, s'udivano quei suoi urli di bestia, e suo fratello correva stravolto a chiamare la vicina che le faceva le punture per calmarla.
Si, era proprio Spinola, che con aria riflessiva si passava la mano sul risvolto consunto della giacca; e che per quanto fosse assurdo, aveva tutta l'aria di prepararsi a cantare anche lui. Finalmente alzò la testa, e cominciò. Aveva una voce tremante, che sforzava sugli acuti, facendosi tutto rosso: ma la voce cadeva. Il piccolo usciere continuava allora, esitante, la stessa melodia, con un'attenzione quasi penosa sul viso, come se stesse aspettando qualche cosa. Ogni volta che un acuto s'avvicinava, vi si preparava per tempo, inarcandosi, tendendo il petto, annaspando con le mani come se l'aria fosse una corda cui si potesse aggrappare. Portò a termine la nota, alla fine, in un grido un po' stridulo. Ebbe un leggero sorriso che gli continuava ad aleggiare sul volto mentre, con aria contenta e[...]
[...]il garofano. Marco ebbe di nuovo voglia di fuggire : non aveva più paura soltanto della propria voce, non voleva udire quella di suo padre. Ma non osava spostare i nuovi arrivati per farsi strada verso la porta.
E poi, era in qualche modo attirato dal vecchio. Pareva stesse aspettando che qualcuno cantasse anche per lui: o di poterlo fare lui anche per gli altri, impaziente di vedere che non riuscivano al modo che avrebbero dovuto. Finalmente s'alzò, e venne in mezzo alla stanza. Furono due o tre piccoli gridi rauchi dai quali il canto cercava di svin= colarsi. Poi, scuotendo la testa, disse di no, che stasera non andava. Evitarono di guardarlo quando tornò a sedere : tutti, anche il vecchio, con un'aria quasi colpevole.
Sembrava adesso che esitassero ad alzarsi; e quando uno si fece avanti, un giovane, lo fece come se si vergognasse. Cantò bene. Ma gli
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altri parevano meno attenti di prima. E Marco pensò che anche qui ognuno faceva soltanto per sé.
Ritrovò la sua angoscia, e in più uno stupito rimorso di essersene [...]
[...]he quasi non si occupasse di quello che gli altri dicevano.
Marco s'accorse a un tratto che lo sguardo di Nino cercava i suoi occhi. Tutti gli sguardi erano su di lui. Capì che gli avevano fatto una domanda che non aveva udita, e quasi non se ne preoccupò, gli pareva che almeno suo padre e Costanza ormai sapessero tutto. Fu quasi stupito di sentir dire da Nino: « Come può averlo visto, se siamo stati insieme tutto il pomeriggio? ».
Ma Costanza alzò il viso, girò sugli altri degli occhi interrogativi, supplichevoli. « Sarà andato al Lido » disse Filippo alzando la voce. Non era la prima volta che tardava fino a sera, aggiunse, e un'ora più un'ora meno, i ragazzi non se ne accorgono. « Sará rimasto a guardare la gente che balla », annui Teresa. Aveva cominciato con calore, ma poi, come Antonio s'avvicinava a Costanza, Marco notò che lo sguardo della madre mutava di colpo. « Ha talmente l'abitudine di starsene in giro come vuole », concluse con tono diverso. « Non c'é ragione di preoccuparsi ». « Non c'é ragione », ripeté Filippo con aria [...]
[...]mergli una spalla. Era una mano stranamente leggera, come quando seguiva il contorno dei suoi intagli. Si voltò pensando d'incontrare il suo sguardo. Gli vide invece un viso opaco, tanto che pensò l'avesse sfiorato involontariamente. Però gli rimase vicino. Rimase che se n'erano andati, e non aveva quasi visto come.
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« ... Non esser tosi inquieto ». Gli accarezzò piano la testa. « Deve tornare », aggiunse con forza.
Teresa alzò le spalle. Sarebbe ben tornato, disse, non c'era da stupirsi se stava a girovagare anche di notte, quel povero ragazzo, con un padre che sapeva solo ubbriacarsi, e quella... Lasciò la frase in sospeso con un gesto sprezzante, e si mise a riporre i piatti rimasti sulla credenza.
Antonio andò verso il tavolaccio. Alzò l'asticciola che aveva cominciato a incidere, prese un ferro, poi posò di nuovo l'una e l'altro e si mise a disporre tutto in ordine. Metteva da parte le asticciole finite, allineava pazientemente gli arnesi. Tolse anche, una a una, le schegge di legno cadute mentre piallava. Quando ebbe finito, si mise a rifare la punta della matita, poi s'alzò e fece un giro per la stanza, e sedette ancora.
« ...Si potrebbe andare a vedere se c'è niente di nuovo », disse infine senza voltarsi. « Vedere che cosa? » ribatté Teresa. Se n'erano andati da neppure un quarto d'ora. E poi erano quasi le undici, e lei aveva sonno. Il ragazzo sarebbe magari rimasto in giro fino a mezzanotte. Andasse lui, se due lagrime di Costanza lo avevano tanto commosso.
« Ma no », disse Antonio. « Pensavo d'andare se venivi anche tu ».
Mente, si disse Marco. Gli conosceva quel viso spento, quella voce rassegnata. Ma almeno oggi, che si trattava di Michele, avrebbe pot[...]
[...]na sola rigida linea, fino al petto. Si sentiva stranamente unito e compatto, in quella compostezza e in quel pensiero fermo e tranquillo: posso fare anch'io come Michele.
Gli diede fastidio, quando si coricarono, sentire il calore del corpo di sua madre sotto il lenzuolo.
Dopo qualche tempo, il levarsi della luna gli fece scorgere il viso di Antonio, di una rigidezza senz'abbandono. Pensò che anche lui non dormiva, fingeva soltanto.
Teresa s'alzò un momento sul gomito per vedere, al di lá di Marco, il marito. Si lasciò ricadere con un sospiro. Doveva aver creduto al suo sonno. S'avvicinò a Marco, la sua mano ruvida lo toccò piano sulla fronte. Un movimento involontario per cacciare una ciocca di capelli della madre che gli vellicava il collo lo tradì. «Dormi?» chiese piano Teresa. Trattenne il respiro. Teresa gli accostò iI viso alla guancia. La senti umida. Mormorava piano, in modo sommesso e tenero: con la voce, forse, si disse Marco, con cui gli parlava quando lui non poteva ancora capire. A lui non poteva accadere, diceva Teresa; [...]
[...]le.
***
Aveva udito i rumori consueti della mattina: il cigolio del letto, il frusciare della veste infilata in fretta da Teresa, il leggero tonfo dei piedi d'Antonio, premuti l'uno dopo l'altro a terra per calzare bene la scarpa; e mormorii, e la porta che si apriva : rumori precisi eppure lontani, nel dormiveglia cui s'aggrappava.
Infine, una presenza l'aveva destato.
« Marco », sussurrò la voce di Nino. Si rassegnò ad aprire gli occhi e s'alzò a sedere sul letto.
Nino era appiattito contro il muro, vicino alla porta aperta. L'accostò gettando fuori uno sguardo. « Ho aspettato che tua madre uscisse », mormorò. « Si sono rivolti alla questura. Tuo padre e Luigi li hanno accompagnati ». Certo, aggiunse guardandolo timorosamente, sarebbero venuti per le ricerche: avrebbero dovuto stare attenti. Insistette su questo, Marco capi che aveva paura che parlasse. Non rispose, neppure con un cenno.
Nino esitava, come se avesse ancora qualcosa da dire.
Mio padre vuole che faccia la comunione stamattina. Per Michele, dice ».
Marco s'alzò di [...]
[...]ua madre uscisse », mormorò. « Si sono rivolti alla questura. Tuo padre e Luigi li hanno accompagnati ». Certo, aggiunse guardandolo timorosamente, sarebbero venuti per le ricerche: avrebbero dovuto stare attenti. Insistette su questo, Marco capi che aveva paura che parlasse. Non rispose, neppure con un cenno.
Nino esitava, come se avesse ancora qualcosa da dire.
Mio padre vuole che faccia la comunione stamattina. Per Michele, dice ».
Marco s'alzò di scatto dal letto e gli venne vicino.
« Dovrai confessarti ».
Ancora non l'aveva mai fatta, lui, la comunione. Guardò fisso Nino. Bisogna dire tutto, no? »
Nino sfuggi con imbarazzo il suo sguardo.
« Anche quello?... » insisté Marco.
« Non c'é mica peccato », disse Nino con voce dura. « Ho detto una bugia, é tutto ».
Mai Marco aveva provato, prima, l'ira che in quel momento l'assalì. Si gettò su Nino che non resisteva, inerte, e lo colpi furiosamente, alla cieca, con un gusto come di sangue nella bocca serrata. Il corpo di
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Nino cedeva, scrollandosi sotto i colpi [...]
[...]onare di legno vuoto gli indicò che la penitente s'alzava. La vide andare ad inginocchiarsi vicino alle altre donne. S'udì attraverso la chiesa un rumore strascicato di passi, poi, in fondo, il cigolio di una porta che s'apriva e si richiudeva. Il confessore doveva essere rientrato in sacrestia. Era solo, nella luce piatta della grande navata.
Vedeva la donna pregare, il viso tra le mani. Rimase qualche minuto. Poi si fece un segno di croce, s'alzò e usci.
Anche Nino avrebbe fatto questo. E poi? tutto finito?
E Michele?
Alzò gli occhi verso l'altare. Il prete era immobile, chino verso la tovaglia candida. Una campanella tintinnò. Le donne abbassarono il capo. Sapeva di doverlo fare anche lui: era la prima cosa che Teresa gli aveva insegnato, e che in quel momento c'era il Signore, sull'altare, vivo nell'ostia. Chinò un momento gli occhi, preso dal solito timore riverente : ma subito, come per uno sforzo volontario, li rialzò. La campanella insisté. Continuò a guardare. Gli turbinavano nella mente racconti che aveva udito, di segni terribili apparsi all'elevazione; gocce di sangue, una voce. Il prete alzò il calice, che scintillò debolmente; poi si chinò di nuovo sull'altare. Marco guardava. Aveva paura: ma doveva guardare. Un terzo tintinnio : poi, nella mano del prete, s'alzò un piccolo cerchio bianco. Adesso, si disse. Tutta chiusa nel suo biancore opaco, l'ostia, tra le dita che appena ne toccavano l'orlo, rimase qualche momento alzata contro il fondo scuro della cappella. Poi scomparve dietro la schiena curva del prete. Un tintinnio rapido, come sollevato, della campanella, un suono di respiri trattenuti che riprendevano, un leggero scalpiccio, qualche urto contro i banchi.
Era finito.
Camminò per un pezzo quasi di corsa, senza chiedersi dove sarebbe andato.
Solo quando, passate le strade del centro, si trovò sul declivio dei caruggi del porto, si rese co[...]
[...]o inerte, lo stesso sguardo immobile.
Antonio aveva alzato la testa : Marco gli vide le orbite peste e gli occhi arrossati. Anche lui, ora, fissava la malata; poi rivolse di nuovo a Marco quello sguardo rapido e timoroso.
« Fa lo stesso » ripeté Caterina. E Marco udì un no sommesso ma violento, e stranamente rauco, come se a stento Antonio avesse trattenuto un grido.
Il viso di Caterina rimase immutato, quasi essa non avesse udito.
Antonio s'alzò, venne verso Marco, e con una pressione della mano sulla spalla gli indicò che uscisse. Ma come accennando a parlare, le labbra della morente vibrarono di un lieve tremito, denudando le gengive pallide.
«Si sta bene sul Righi », disse infine con un tremito più forte delle labbra, che abbozzarono faticosamente un sorriso. Si voltò adagio verso la finestra. « Tira a piovere », disse ancora, lo sguardo alla foschia livida che pesava sull'orizzonte. « $ buono... quando sa tutto di pioggia ».
« ...E di sale » prosegui piano Antonio. « La terra, i capelli... ».
Marco aveva indietreggiato, scosta[...]
[...]quell'impotenza al pianto che dal giorno prima l'attanagliava : era, piuttosto, come se il pianto
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lo avesse ormai scavato, lasciandolo duro e asciutto e compatto come un ciottolo levigato dall'acqua.
Un aroma forte saliva intorno, insieme a un leggero crepitio, dalle erbe corte e dure. Più tardi si levò il vento: il cielo sembrò indurirsi.
Già impallidiva, quando Marco senti venire di lontano il solito grido: « All'erta! ». S'alzò, aggrappandosi con le mani all'orlo della trincea. Il grido s'avvicinava, meno fitto del solito: così isolata, ogni voce sembrava chiara, e fragile, in quella cerchia nuda. Non c'era più nessuno sulla strada. In fondo, tra le facciate scialbe, i vetri chiusi di Caterina mandavano un riflesso verdastro. Il grido si fermi). Una lunga lunga pausa : le trincee vicine dovevano essere vuote, certo mancavano tutti i ragazzi d'Oregina. L'eco del grido pareva essersi fissata nell'aria. Attese, trattenendo il respiro, che qualcuno lo continuasse; come sperso in quel vuoto in cui la catena si spezzava. [...]