Brano: Savoia, Umberto II
che costituiscono i valori italiani ». Nulla di notevole fino all’8 settembre: il principe, nonostante i suoi incarichi militari, rimase estraneo ai travagli che condussero all’armistizio. Amaro risveglio, invece, con la fuga di Pescara (v.) ; ma anche allora prevalse la ragione dinastica confusa con la ragion di stato, secondo gli ordini del re e di Badoglio.
Luogotenente del re
Nei mesi successivi Umberto intese la debolezza della posizione paterna (pur conservando il suo neutrale astensionismo) e fece in modo di non essere del tutto assente daH'impegno del I Raggruppamento motorizzato e, più tardi, del Corpo italiano di liberazione (v.). Di fronte alla nuova vita dell’Italia, si avvertì molto netta nella sua condotta la preferenza per[...]
[...]anche allora prevalse la ragione dinastica confusa con la ragion di stato, secondo gli ordini del re e di Badoglio.
Luogotenente del re
Nei mesi successivi Umberto intese la debolezza della posizione paterna (pur conservando il suo neutrale astensionismo) e fece in modo di non essere del tutto assente daH'impegno del I Raggruppamento motorizzato e, più tardi, del Corpo italiano di liberazione (v.). Di fronte alla nuova vita dell’Italia, si avvertì molto netta nella sua condotta la preferenza per la parte politica più spiccatamente fedele alla tradizione di casa Savoia.
Nella primavera del 1944 venne designato ad assumere la luogotenenza (v.) del Regno, secondo la soluzione studiata da Enrico De Nicola e resa possibile dalla “svolta di Salerno” (v.).
Ma già il 26.4.1944 Umberto rilasciava al Times un’intervista che scagionava il padre da ogni responsabilità nel l’avvento del fascismo, facendola cadere sul popolo e sul Parlamento. Ne seguì una ferma rettifica del nuovo governo BadoglioC.L.N..
La luogotenenza durò quasi due anni, esattamente dal 5.6.1944 al 9.5.
1946. In questo periodo Umberto cercò di fare politica avendo per obiettivo la continuità della corona, secondo una retorica alquanto povera, imperniata suH’accostamento nominalistico dell'Italia e di casa Savoia. Verso la fine del 1944, d’accordo con Bonomi, riuscì a riguadagnare un po’ di terreno nelle prerogative regie, rispetto al mandato e ai poteri del C.L.N.. Come luogotenente, cercò di riattrezzare in primo luogo il partito di corte, provvedendo a nuove nomine dei suoi consiglieri. Sul Quirinale continuarono però a gravitare uomini di stretta osservanza monarchica, militari e nobili, con qualche apertura verso i liberali e la Chiesa. Fu stabilito un rapporto fin troppo stretto con il neonato Partito democratico italiano, l’unico dichiaratamente e pregiudizialmente monarchico.
Il “re di maggio"
Il 9.5.1946, quando ormai mancava
meno di un mese al referendum istituzionale, attraverso l’improvvisa abdicazione del padre Umberto ereditò la corona. Per la prima volta era stato pienamente partecipe della decisione. Con i suoi consiglieri e aiutanti, tra cui il barone Falcone Lucifero (v.) ministro della Reai casa dall’estate del 1944, aveva tentato di sorprendere e dare scacco al governo del C.L.N.. Secondo le sinistre, il 9 maggio si era consumata « l’ultima fellonia dei Savoia » (Togliatti).
Umberto 11 (che fu subito soprannonimato dai repubblicani d’ogni tendenza il “re di maggio”) volle rivolgersi anche ai partigiani, ma in modo goffo e controproducente, tradendo il solito complesso vittimistico (« Ho sempre seguito la vostra lotta col rimpianto di non poter essere tra voi, perché impedito dalle cure del mio ufficio e dalle direttive che il Comando supremo alleato dettava»). Concluse la campagna elettorale con un messaggio agli “Italiani delle Tre Venezie” siglato il 1° giugno 1946. « Non sono insensibile al grido di dolore... ».
Al momento della proclamazione della Repubblica, Umberto sembrò in un primo tempo acconciarsi ai risultati del voto, ma cambiò parere in seguito al ricorso presentato alla Corte di Cassazione dall’avvocato Enzo Selvaggi, a nome del Partito monarchico. Da quel momento la condotta di Umberto divenne cavillosa, oscillante e provocatoria. Soltanto quando Alcide De Gasperi, spalleggiato da Togliatti e Pietro Nenni, si fece avanti, l’ex monarca si decise a lasciare il paese.
Dall’esilio
Umberto aveva già preso in considerazione la prospettiva dell’esilio
Umberto 11 lascia IJ Quirinale (13.6.1946)
e la scelta era caduta sul Portogallo, che richiamava il precedente di Carlo Alberto. Alcuni giorni prima di lui partirono Maria José e i quattro figli: Maria Pia, Vittorio Emanuele, Maria Gabriella e Maria Beatrice. Egli stesso lasciò Roma il 13 giugno, sostenendo che contro di lui si era « compiuto un gesto rivoluzionario » di sopraffazione. Su queste basi, unitamente al barone Lucifero, sarà poi tessuta la tela di un ininterrotto legittimismo, per sua natura falsamente “democratico”. Nel 1956 Umberto volle rievocare
il presunto “colpo di stato” antisabaudo di dieci anni prima e nel 1958 rilasciò pubbliche dichiarazioni in cui rivangava i [...]
[...]la e Maria Beatrice. Egli stesso lasciò Roma il 13 giugno, sostenendo che contro di lui si era « compiuto un gesto rivoluzionario » di sopraffazione. Su queste basi, unitamente al barone Lucifero, sarà poi tessuta la tela di un ininterrotto legittimismo, per sua natura falsamente “democratico”. Nel 1956 Umberto volle rievocare
il presunto “colpo di stato” antisabaudo di dieci anni prima e nel 1958 rilasciò pubbliche dichiarazioni in cui rivangava i rapporti fra Vittorio Emanuele e Mussolini, in modo assolutorio e mistificante, forse per spianare la via a un'intesa fra monarchici e neofascisti. Per anni egli colse qualsiasi occasione per inviare messaggi a ogni categoria di italiani, ovviamente privilegiando il partito monarchico, con grave imbarazzo quando questo si scisse in due fazioni clientelari.
Un po’ per la confluenza dei residui monarchici nella Destra nazionale neofascista (1972), un po’ per il venir meno dei consensi e delle speranze, ma anche per il discredito degli eredi di Umberto e soprattutto per il processo della vecchiaia e delle malattie, la tenace contestazione dell’ex re, tenuta artificialmente in piedi per oltre un quarto di secolo, andò infine attenuandosi. Sulle soglie degli anni Ottanta, fu sostituita da una breve orchestrata campagna per il rientro in patria dei vivi e dei morti di casa Savoia. Umbe[...]
[...]eofascista (1972), un po’ per il venir meno dei consensi e delle speranze, ma anche per il discredito degli eredi di Umberto e soprattutto per il processo della vecchiaia e delle malattie, la tenace contestazione dell’ex re, tenuta artificialmente in piedi per oltre un quarto di secolo, andò infine attenuandosi. Sulle soglie degli anni Ottanta, fu sostituita da una breve orchestrata campagna per il rientro in patria dei vivi e dei morti di casa Savoia. Umberto morì all’Ospedale cantonale di Ginevra e fu sepolto nell’abbazia di Altacomba, in Savoia.
Bibliografia: F. Garofalo, Un anno al Quirinale, Roma 1947; Italicus (E. Saini), Storia segreta di un mese di regno, Roma 1947 (pref. di E. Selvaggi); G. Salvemini, Il “Re di maggio", in “Belfagor”, A.V., n. 1, gennaio 1950;
F. Lucifero (a cura di), Il pensiero e l’azione del re U. Il dall’esilio, Milano 1966; ld., Il Re dall’esilio, Milano 1978; A. Cambria, Maria José, Milano 1966; S. Bertoldi, Umberto, Milano 1966; Idem, Umberto. Da Mussolini alla Repubblica: storia dell’ultimo re d’Italia, Milano 1983; G. Artieri, U.ll e la crisi della monarchia, Milano 1983.
E.Sa.
Savoia, Vittorio Emanuele III
N. a Napoli l’11.11.1869, m. ad Alessandria d’Egitto il 28.12.1947; terzo re d’Italia.
Figlio di Umberto I (v.) e di Mar
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