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tipologia: Catalogo dei Citati - Epoche, fasi di civiltà o fatti storici; Id: 178+++


Area dell'identificazione
Forme primaria nome
[appunti di e.v.] Indagine quantificativa della percezione ed inquadramento in Il Manifesto della crisi post-industriale e della propaganda post-industrialista in ogni ambito culturale; e della potenziale fuga di capitali resa possibile dal medesimo processo di finanziarizzazione. - Lo sviluppo dei rapporti con gli Agnelli.   
Area della descrizione
Storia Seppure l'intero processo di transizione, per dir così, non molto corrispondente con l'interesse nazionale - tantomeno di quello dei lavoratori -, della famiglia emersa dall'industria dell'auto torinese, caratterizzi tutto il suo secondo Novecento - se non già un processo originato negli anni '30 - anche in opposizione alla Confindustria stessa, sarà soltanto con la rapida transizione dei paesi dell'est europeo e con l'emersione di nuovi mercati internazionali, che Gianni Agnelli affermerà: la festa è finita; nel giro di pochi anni, i sempre più confusi lavoratori, privati delle loro organizzazioni democratiche, sradicati nel corso di alcuni decenni dal loro tessuto sociale preindustriale saranno privati anche delle loro strutture industriali senza le quali quel tessuto sociale consumistico assumerà gravità di vera e propria depressione; qualche prepensionamento od altro benefit effimero o comunque temporaneo, sarà sufficiente a concludere il processo di corruzione sociale; nessun giornale fra quelli diffusi negli anni '90, ivi compresi i vari organi di quella sorta di partiti politici che nacquero nella sinistra liberale anticonformistica o cattolica, laburista o socialista, si impone con una propria nuova grande narrazione; né la CGIL, né Rifondazione comunista, né il PDS, saranno capaci di contrastare la deriva post-moderna, anzi sempre più propagandata quasi fosse una fine inevitabile da incoraggiare, incentivando l'uso di morfina per il malato terminale; la stagione giustizialista concluderà senza ottenere alcun risultato se non addirittura sviando con un facile populismo una più profonda e massiva critica; fra l'altro, questa stagione, coordinata con ampio ricorso al giornalismo capitalistico, accoglie più direttamente l'ondata antipolitica coltivata in tutti gli anni '80 dallo stesso tatcherismo che si proponeva di contrastare, che non le cause stesse entro cui quell'antipolitica era stata sospinta, vergendo la propria azione più verso la chiusura delle residuali tradizioni partitiche costituenti che non verso le loro contraddizioni, allontanando la pur labile possibilità di innsecare una nuova stagione di progresso civile, creando martiri epicuirei piuttosto che riaffermando la purezza delle origini della Repubblica nata dall'anti monarchismo savoia-britannico-fascista e dunque dalla Resistenza; e sul piano economico-sociale, non pone al centro del proprio orizzonte legalistico l'illegittimità di quel revisionismo che vorrebbe intendere la proprietà aziendale libera da vincoli, ben potendosi attestare da ogni fonte del diritto, a partire da quella superiore, già ciellenistica e raccolta nella costituente, e costituita, come la proprietà privata delle aziende sia da considerarsi alla stregua di una custodia temporanea, vincolata comunque all'interesse generale, al progresso umano, e sociale, all'eguaglianza delle persone umane e dunque collettive e vincolate dallo sviluppo dialettico di tradizioni culturali e linguistiche - altrimenti non sarebbero umane, ma soltanto sociali e animali, sia che ci si voglia soffermare al significato di uomo dalla derivazione di significazione del composto latino, in terra, sia lo si voglia più profondamente riportare alla particella om, stesso, alla stregua di come Omer possa significare originato dallo stesso, dal simile). [analisi aperta a nuovi articoli antologizzabili, ma all'oggi non si riscontra, neppure nelle migliori riflessioni - qui di seguito riportate -, una maturazione del riconoscimento della concretezza dei problemi, della post-industrializzazione, della fuga dei capitali verso paradisi globali garantiti - la Exor, ormai divenuta di diritto olandese, ossia un diritto che risulta ben più liberalista che democratico, e riappropriandomi del termine democratico: ben poco europeista]


Saggio di un articolo sulla FIAT. Da indagare quanto la spinta alla depressione post-industriale sia predominante in tutto il Manifesto di quegli anni, ma a rapida scorsa ed a memoria, in modo significativo.
in 17 febbraio 1989, pag. 9, Loris Campetti, L'incubo a quattro ruote. Il declino dell'automobile. Parlano gli intellettuali della città FIAT [sottotitolo: Forse non ha tutti i torti chi sostiene che la ricaduta della giunta di pentapartito torinese fosse prevedibile, e prevista, al di là delle motivazioni occasionali. Fatto sta che la sgangherata coalizione è stata macinata dalle ruote di una metropolitana sfortunata, che non vuole partire. Torino è la città dell'auto per eccellenza, Torino è sempre vissuta di auto. Ora rischia di morirne. Gli intellettuali torinesi processano sua maestà l'automobile.

Torino. Non sono pochi, ancor oggi, i «sabaudi» nostalgici di "Torino capitale". Ciclicamente spunta nel dibattito politico chi contrappone i "valori resistenti" sotto la Mole - etica, lavoro, efficienza - ai disvalori romani. L'ultimo attacco antiromano partito dalle sponde del Po porta la firma di un intellettuale prestigioso come Luigi Firpo. Le polemiche tra torinesi e milanesi, infine, sono all'ordine del giorno: caso Fiat, salone del libro, ecc.
Ma in realtà, gli scandali e le violazioni della questione morale, tanto per fare un esempio, più che uno spartiacque sono diventati un cemento nazionale, un filo nero che unifica la penisola e, di conseguenza, spunta le armi della riscossa sabauda.
Eppure, di qualosa Torino resta capitale indiscussa: la capitale dell'auto, il «laboratorio» dell'italian way of life a quattro ruote. Un vanto, fino a ieri, un primato di cui andare orgogliosi. Ma oggi, piombo e ossido di carbonio sembrano inquinare il primato torinese. Le città intasate dalle troppe automobili, le autostrade paralizzate dal modello esclusivo del trasporto su gomma puntano il dito contro la città Fiat. Che ne pensano gli intellettuali torinesi del modello dell'auto, come vivono i fumi della metropoli, quali acorgimenti e quali svolte suggeriscono?
Abbiamo interrogato l'intellighenzia, sollecitati da un incontro casuale con il fisico Tullio Regge. Davanti a un piatto di agnolotti, seduto accanto ad Achille OCchetto, all'improvviso Regge ci ha chiesto: «Che ne pensate voi della chiusura del centro storico di Torino? Mi incuriosisce saper che cosa ne pensa la gente. Io, ve lo dico subito, sono favorevole, anzi, credo che dovremmo muoversi in fretta e non fermarci alla chiusura dei centro storici nelle città. Che ne pensate dell'idea di costringere i costruttori, la Fiat, a fabbricare automobili piccole, non inquinanti, capaci di muoversi in città senza fare troppi danni?».
Sarebbe bello, balbetto, ma come rendere praticabile questa non semplice ipotesi? «E' evidente . risponde senza riprender fiato Tullio Regge - tassando le automobili non in proporzione alla cilindrata, ma all'inquinamento, gas e ai prodotti tossici che buttano fuori». E infine, conclude Regge cosa si aspetta a sviluppare mezzi di trasporto pubblico, le ferrovie, ma anche i porti per il trasporto delle merci?
Come il fisico Tullio Regge, tanti intellettuali, scienziati e ricercatori torinesi si stanno schierando per la chiusura dei centri storici, in tanti, allarmati dal peggioramento della qualità della vita nelle città, chiedono di intervenire in fretta per modificare il modello di sviluppo, per ripensare le forme di trasporto, per ridisegnare un'automobile che migliori invece di peggiorare la vita di tutti.
C'è chi sostiene . l'avvocato Gianni Agnelli in primis - che l'automobile è l'emlema della libertà. Perché «la prima delle libertà è quella di movimento». Dal lato opposto della barricata ci sono i detrattori delle quattro ruote, responsabili della morte della libertà primaria, proprio quella di muoversi. LA nostra domanda semplice e schematica è proprio questa: l'auto è la rivoluzione francese, oppure la tomba della libertà? «Il modello dell'auto, la sua esclusività - mi dice Cesare Cases, germanista - e i guai che ha provocato nel nostro paese non sono il prodotto del capitalismo impazzito, ma del capitalismo tout court. Giò, la follia è inerente il capitalismo. Soluzione tecniche per rendere vivibili le città sarebbero certo possibili, basterebbe mettere pochi ingegneri intorno a un tavolo per individuare i primi accorgimenti. Ma l'auri sacra fames finisce sempre per prevalere sulla razionalità»:
Cases pensa che oggi, al punto a cui siamo giunti, l'automobile non sia portatrice di libertà, ma ne sia la tomba. «Sono stato un anno via da Torino, in Germania Ho trovato che in dodici mesi l'aria in città è diventata irrespirabile, non se ne può più. Ciò che era latente è diventato evidente, la quantità, e penso alle leggi di Friedrich Engels, si trasforma in qualità, trasforma la qualità. La qualità dela vita a Torino sta diventando pessima. A Milano i servizi pubblici funzionano meglio che a Torino, ma a Pilliteri che se la prende con i pendolari che vengono a ingorgare la metropoli, posso ricordare che in Germania le metropolitane si allungano fuori dalle città di 50 chilometri, e così i pendolari non vanno a intasare i centri con le automobili private. Di accorgimenti e aggiustamenti se ne possono trovare tanti: tutti palliativi finché c'è il capitalismo. Mi viene in mente una proposta divertente lanciata da Krusciov negli anni '50, mai realizzata ma ripresa in ITalia nel dibattito tra alcuni amici sostenitori del leadeer sovietico: perché non fare un grande parco pubblico di automobili da dare ai cittadini per i Week-End, o in altre circostanze speciali?».
«Come tanti, anch'io ho vissuto l'automobile come esperienza, occasione di libertà - è invece la risposta del filosofo Gianni Vattimo - perché il movimento è libertà, ed è più libero chi può muoversi di più. Negli ultimi anni, però, uso la vettura soltanto per andare fuori città, quasi non so più guidarla. Certo, sono favorevole alla chiusura del centro storico e ad altre misure drastiche per ridurre l'inquinamento. Torino è una città curiosa; non basta che tutte le nostre squadre di calcio perdano regolarmente, abbiamo anche una squadra di Verdi contrari alle misure per ridurre il traffico (il riferimento è alla lista verde civica, guidata da Angelo Pezzana, Ndr). Sia ben chiaro, non voglio far chiudere la Fiat e sono contrario a proposte demagogiche. I numeri chiusi sono una violazione della libertà, e non possiamo dimenticare che c'è ancora chi, soprattutto tra i giovani, vive l'auto come libertà e conquista dell'autonomia. Non possiamo negare agli altri quel che noi abbiamo vissuto, ma nulla nega che in ITalia si usi una benzina pulita, come negli Stati Uniti».
Non è semplice disegnare i confini tra l'auto vissuta come libertà e l'auto vissuta come status simbol.
«L'automobile intesa come mezzo di trasporto è libertà, se invece intorno all'auto costruiamo i valori della società, si trasforma nella tomba della libertà. Io non demonizzo le quattro ruote - risponde lo storico Nicola Tranfaglia - ma è un fatto che da noi, i valori del denato e del successo sono diventati determinanti. LA chiusura del centro storico dev'essere il primo dei provvedimenti atti a ridurre i veleni che uccidono le città, e deve andare in parallelo allo sviluppo e al miglioramento dei servizi pubblici, a una ridefinizione del rapporto tra centro e periferia. Ma con questo ceto politico, che vuoi fare? Il trasporto su gomma ha ormai assunto un ruolo spropositato, si eliminano di fatto le alternative all'automobile privata. Ti sembra sensato che Torino non sia collegata con Roa da una linea diretta, rapida, funzionale?».
«Di una sola cosa mi pento, rispetto alle mie battaglie passate: di essermi schierato contro la metropolitana - dice il direttore dell'"Indice", Gian Giacomo Migone, professore di storia del nord-America - che invece è una alternativa positiva all'auto e avvicina la periferia al centro. Oggi, il modello dell'auto sta uccidendo la libertà di movimento.
Non predico l'abolizione della macchina che resta uno strumento importante per i giovani, per scappare dalla città o magari per fare l'amore. Resta indispensabile in alcuni casi grazie al disservizio pubblico che è funzionale al profitto privato; a Zurigo per spostarti sai di poter prendere un pullman, sai che il pullman arriverà, che potrai persino sedere e leggerti il giornale. Dopo di che, sono favorevole alla chiusura del centro alle auto, alla benzina verde, alle marmitte catalitiche e alle auto elettriche».
L'automobile è stato uno strumento di libertà, non è assurdo il riferimento alla rivoluzione francese: quanti vincoli spazio-temporali sono stati smantellati sono parole dello storico dell'arte Enrico Castelnuovo - con l'avvento dell'auto? La proliferazione del mezzo di trasporto privato ha però prodotto una profonda crisi di questa libertà e impone interventi urgenti e radicali per rendere di nuovo vivile la città e respirabile la sua aria. La moltiplicazione delle automobili avvelena la vcittà con i suoi vapori, deteriora i monumenti e il nostro patriomonio artistico, che si concentra proprio nei centri storici? Se la salvaguardia degli uomini e della loro storia è, un dovere primario, come si fa a non muoversi subito? I mezzi pubblici consentono di attraversare rapidamente Londra, PArigi e tante altre città europee, perché non dovrebbe essere possibile da noi? Eppure, da noi sono intasati i centri e sono intasate persino le autostrade, perché spesso all'auto privata non c'è alternativa. Hai mai provato ad andare da Pisa a Macerata con i mezzi pubblici»? Parlare dell'auto in sé, attribuire valori o disvalori all'auto è un'astrazione priva di senso. L'intasamento e l'inquinamento da gas di scarico non sono un problema nelle città degli Usa, per come sono fatte. Ben diversa è la situazione, per fare un esempio, a Siena. «Istintivamente - dice il filosofo Diego Marconi - sarei favorevole alla chiusura dei centri storici, ma bisogna calibrare i vari interventi per ridurre e decongestionare il traffico, nella individuazione delle aree da chiudere al traffico privato, nel potenziamento dei mezzi di trasporto privato, nel potenziamento dei mezzi di trasporto pubblici.E' vero, in Italia si è privilegiato il trasporto su gomma e oggi ciò costituisce un problema. Ma negli Stati Uniti la situazione, da questo punto di vista, è ancora peggiore:per trasferirsi da uno stato all'altro, spesso non ci sono alternative pubbliche all'automobile. MA lmeno c'è l'aereo, che da noi resta un mezzo di trasporto carissimo, e quindi fruibile da ristrette minoranze».
Alberto Conte è vicedirettore dell'Università di Torino e preside del Dipartimento di matematica. E' il nostro ultimo interlocutore. Allora, professor Conte, assolve o condanna l'automobile? «Io sono un automobilista appassionato, mi piace guidare, mi piaceva anche correre in macchina e devo confessarti che ho sofferto per il decreto Ferri. Però non posso foderarmi gli occhi di prosciutto: senza una vera alternativa, l'automobile è la fine della libertà. L'auto rende la metropoli ancora piace violenta, la rende più invivibile soprattutto per i più deboli, per i bambini, per gli anziani, per gli handicappati. A Torino non si attuano neppure i palliativi possibili, gli acorgimenti più semplici per ridurre l'impatto dellauto sulla città. Anche a Parigi circola una marea di automobili, ma l'impatto + meno drammatico. I palliatici non bastano a risolvere il problema, ma intanto vanno attuati: migliorare il servizio pubblico, chiudere il centro e alcune aree al traffico privato e avviare un sistema di navette, ecc. E' però arrivato il momento di far decollare una grande riflessione sul modello di sviluppo e lavorare per costruire l'ecopolis, la metropoli ecologica, mettendo in campo tutte le conoscenze scientifiche e i modelli matematici disponibili per reinventare la città. Città che convivano con un certo tasso di motorizzazione privata e di industria senza restarne vittime. Viviamo un momento chiave, confrontabile con il secondo ottocento e la nascita delle città. La metropoli del 2000 non può essere pensata come nell'800 E' questo il punto, dando per scontate marmitte catalitiche e benzina verde. Dando per scontato che deve essere progettata una nuova automobile: i supercalcolatori ci consentono di analizzare i processi di combustione e di ottenere insieme un rendimento maggiore del motore e una riduzione dei gas tossici. Per rispondere alla tua domanda - continua Conte - non propongo la condanna a morte dell'auto, ma una riconversione dell'uso di una (nuova) automobile. L'automobile che circola oggi nelle nostre strade va contro gli interessi di tutti, dei cittadini naturalmente, ma in prospettiva anche dei costruttori. E' ovvio che contemporaneamente, ma in prospettiva anche dei costruttori. E' ovvio che contemporaneamente vanno riallacciati i trasporti pubblici, su rotaia e su acqua, e colmando il dislivello che ci separa dagli altri paesi europei.»
Ad Alberto Conte, un'ultima domanda: vuoi mostrarci qualche istantanea della tua città futura? «Io penso a una città meno concentrata. Intanto nelle nostre metropoli possiamo inventare un diverso utilizzo delle tante aree liberate dalla chiusura delle fabbriche e che possono essere trasformate in polmoni verdi e zone adibite a servizi. Penso a città fatte a isole, fradevoli, caratterizzate urbanisticamente. Mi vengono in mente due esempi: Berlino Est, ricostruita dopo la guerra con aree verdi e piccoli quartieri rifatti sul modello dei precedenti, oppure, all'opposto, Manhattan e la verticalizzazione della città con i grattaceli, che non sono una follia. De resto, Manhattan è l'unica città del '900».
Non emetteremo un verdetto contro l'auto, e, neppure un'assoluzione. Non è compito nostro. Ci sentiamo però di assolvere i nostri interlocutori, intellettuali nella città dell'auto, ma non schiavi del modello dell'auto e della Fiat.




In «Il Manifesto», martedì 21 gennaio 1992, Anna Maria Merlo. Agnelli scivola sull'acqua. Suez e Nestlè bloccano la campagna di Francia [sottotitolo: Suez e Nestlè si intromettono tra gli Agnelli e l'impero Exor-Perrier, con bastonate finanziarie e giudiziarie. Una guerra agroalimentare europea, o una messa in scena tra vecchi alleati?]

Una battaglia tra i grandi dell'industria e della finanza europee per l'acqua minerale? Ieri Suez e Nestlè, alleate, hanno lanciato un'Opa (offerta pubbica di acquisto) sulla maggioranza del capitale della Perrier. E' una controffensiva contro un'altra Opa, quella che Agnelli aveva lanciato a fine novembre sul 66.6% del capitale di Exor, la società che controlla Perrir. 1475 franchi per azione Perrier, contro 1320 per l'azione Exor. Inoltre, la controffensiva attraverso Opa, è rafforzata da una battaglia legale su più fronti, che Suez e Nestlè hanno intrapreso ieri, in sostanza per togliere il diritto di voto del 13.8 % delle azioni Perrier, che erano detenute in autocontrollo e poi, sotto l'egida di Agnelli, sono passate alla Saint-Louis. In più per aggiungere complicazione, la compagnia finanziaria Suez azionista di Exor, la società concupita da Agnelli, all'altezza del 10% circa del capitale. Così Suez, come azionista di Exor, chiede a quest'ultima di prendere Perrier a se stessa attraverso la propria Opa lanciata in alleanza con Nestrè.
L'acqua Perrier è appetibile, è per la sua conquista che si sono mossi Agnelli, Suez, Nestlè Lazard e Société Générale, vale a dire i grandi nomi della finanza europea. Dietro questa battaglia frontale, ci potrebbe essere una più grossa guerra, quella per l'agroalimentare europeo. E in Francia, la lotta per la conquista di Bsn, un colosso che ha però un capitale molto frammentato, in cui sono presenti gli Agnelli come secondi azionisti (5.8% del capiitale, ma sono alleati della famiglia Fossati che ha il 4%) dopo la banca Lazard che ha il 5.9% del capitale e il 9.5% dei diritti di voto. Agnelli ha corteggiato la Bsn, gli ha ceduto di recente la Sangemini per 240 miliardi.[...]
Lazard e Agnelli si trovano davvero in due campi avversi oppure il maggior azionista di Bsn è già d'accordo con il suo alleato torinese (con cui, tra l'altro, ha molti affati italiani in piedi, e siede fianco a fianco nelle Generali e in Mediobanca)? Solo il tempo potrà rispondere a questo interrogativo. E' ancora troppo presto per dire se la battaglia di Parigi ripete altre guerre in cui sono stati protagonisti gli italiani. Carlo De Benedetti con la Société Génerale de Belgique e Leopoldo Pirelli con la Continental sono i fallimentari precedenti? Quello che c'è di simile sono alcuni elementi all'origine, cioè, per esempio, la speranza di poter fare i furbi, comprare a minor prezzo, prendere in velocità il mondo economico-finanziario straniero. Come negli altri casi, la battaglia finanziaria ha dei risvolti di carattere giudiziario, l'economia si decide nei tribunali. Per ora, le similitudini si fermano qui.


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