Area dell'identificazioneForme primaria nome | Breve nota di e.v.: la strategia della tensione, al culmine di un processo che aveva screditato le forze democratiche sino alle più assurde teorizzazioni spontaneiste (l'operaismo entro cui agiva anche il fenomeno brigatista, inizialmente troppo tollerato, era privo di qualsivoglia organo di stampa ideologica, e si trovava in balìa del senso comune di turno, alla cui costruzione contribuirà sempre di più la stampa libera, o, come si chiamava all'ora, la stampa padronale), ebbe buon gioco nell'utilizzare una serie di azioni stragistiche per alimentare il caos, suggerendo di volta in volta scenari che trovavano facile colpevolizzazione rapidamente smentita da successivi fatti, rafforzavando lo scoramento generale: il temporeggiamento del governo, la propaganda del senso di inefficacia dei tentativi di riforma del movimento democratico e dei lavoratori che comunque in quegli anni raggiunsero il loro momento più progressivo, il pieno controllo da parte delle forze reazionarie della più vasta parte della stampa, la polarizzazione sociale su temi secondari che alimentavano immaginari divisivi - a partire da divorzio e poi da aborto -, la difficoltà di sintesi politica delle eterogenee tradizioni in cui si erano rifugiate le sinistre ciellenistiche dopo la crisi del secondo risorgimento, gioventù cresciuta in un ventennio di contraddizioni keynesiane, clericali, ma anche di quelle della prolungata inazione di un Secondo risorgimento, che perse - se mai lo aveva avuto - quasi subito il potere; fu impedita la formazione di un blocco storico che potesse opporsi direttamente a quel keynesismo che era giunto a piena crisi nell'unico momento in cui si sarebbe potuta condividere tanto in senso nazionale quanto in senso europeo ed internazionale una storia che mettesse in luce il complesso meccanismo che ci aveva incastrato in quel vicolo cieco. E ciò non poteva che essere affrontato con una riflessione sulla crisi dell'Internazionale [segue in nota] | | | | | |
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Area della descrizioneStoria | (più generalmente al tentativo già azzoppato in partenza di sviluppare quel patto d'unità d'azione che superasse i contrasti fra le forze progressive che si erano assommati nel corso degli anni ma che non erano così dirimenti rispetto alla necessaria unità, e dunque al Secondo risorgimento); da una parte il compromesso storico, prospettato ma non pienamente ottenuto, dall'altra il ricatto di un ancor più massivo sostegno all'autonomia (in tutte le sue forme, dall'autonomia di provenienza socialista a quella di lotta continua, agli anarchici, ed a tutti i vari derivati del maoismo, che già aveva trovato nei giornali padronali massima propaganda - nel caso fiorentino «La Nazione» divenne principale strumento anti comunista della nuova sinistra, ma analogamente quotidiani locali tradizionalmente reazionari di altre città divennero riferimento), impedirono al PCI di raggiungere una nuova unità; il partito in cui divenne segretario Berlinguer, ma nella cui organizzazione predominavano tradizioni che stavano revisionando Togliatti in senso amendoliano, escluse dalla propria riflessione alcune questioni, più o meno giustamente ritenute troppo divisive secondo i difficili equilibri del momento. Il progetto di riflessione storica che ancora nel '69, dallo stesso Berlnguer, ma ancora segretario Longo, si affacciava, avrebbe finalmente fatto luce sulla importanza della Francia degli anni '30, e dunque sul centro parigino dell'Internazionale, nell'alternativa al tentativo dell'imperialismo inglese, che secondo progetto keynesiano, cercava negli Stati Uniti d'America una nuova Costantinopoli in cui rifugiarsi, e da cui lanciare un piano di sviluppo mondiale agevolato da una precedente distruzione bellica più definitiva di quella della prima guerra mondiale. La Francia era l'unico paese capace di influenzare vaste parti del mondo, ed in primo luogo gli Stati Uniti, che sin dai tempi della loro indipendenza trovarono sostegno nella Francia (sin dai tempi monarchici ma ancor più con la Rivoluzione francese e con Napoleone). L'internazionale, ancora alla fine degli anni '30, godeva di grande consenso nel più importante paese industriale del mondo, gli Stati Uniti, ma essa poteva sopravvivere nel conflitto di un paese che aveva innescato il rilancio rooseveltiano - rilancio che potette sopravanzare quello di altri paesi industriali soltanto con il grande indebitamento bellico, e l'organizzazione mondiale che derivava da questo suo investimento -, soltanto sino a quando la Francia manteneva il proprio contrasto con l'imperialismo inglese, che aveva investito nei più efficaci strumenti di propaganda i massimi finanziamenti, a partire da Hollywood. Era un'America che andava faticosamente uscendo dalla crisi del '29, un'America che stava perdendo la sua peculiarità progressiva degli anni '20, con cui si era diffuso l'americanismo anche in Europa: un'America che, pur vertice, era divenuta sede principale del laboratorio di consumismo keynesiano. Al trionfo delle forze reazionarie in Spagna, seguì l'internamento dei vertici internazionalisti in Francia, dove presero campo le prime ipotesi per la limitazione del danno; nel periodo seguente il collasso dell'internazionale fu posto, dall'imperialismo inglese, vincitore della guerra di Spagna non meno dell'imperialismo clericale, come condizione senza la quale, forse Chamberlain ancora al suo posto o forse già ritornato il titoloare, Churchill, non vi potesse essere alcuna alleanza in contrasto all'analogo progetto keynesiano ma di marca nazista. Questi sono stati i problemi dell'Internazionale comunista, e, poi, i vincoli dell'Europa post-bellica sino alla crisi, indotta dai vertici capitalistici già negli anni '60, innescata per dare spazio ad una nuova stagione neo-liberale che dal '73 avrebbe trovato nuovo corso. |
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