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tipologia: Analitici; Id: 1549952


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Emilia Romagna 1970. Ruolo e alleanze della classe operaia [sopratitolo: Verso la 3a conferenza regionale del PCI], [3] - Rubes Triva (sindaco di Modena), Da “che parte sta” il Comune [sommario: Quando gli operai chiedono ai consigli comunali « da che parte siete », pongono solo l'esigenza di avere un nuovo alleato nel corso delle lotte o la richiesta di un Comune « diverso » ?]
Responsabilità
Rubes Triva+++
  • Triva, Rubes
  autore+++   [relazione complessa] Comune di Modena - Sindaco+++   
Rubrica od altra struttura ricorsiva
[speciale, Rinascita] Emilia - Romagna {[speciale, Rinascita] Emilia - Romagna}+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
Un limite serio e carico di conseguenze negative — sia in un momento politico come l’attuale, sia in prospettiva, dopo l’acuta tensione e lo scontro tanto impegnativo di oggi — sarebbe indubbiamente quello di non cogliere il nuovo che la lotta operaia e popolare ha sollevato e proposto a tutte le forze politiche e a tutto il tessuto sociale e istituzionale del paese.
Il movimento dei lavoratori ha investito è coinvolto tutta la realtà socio-politica: la fabbrica; il ruolo dei lavoratori e dei sindacati nella società; il meccanismo e la collocazione delle istituzioni e delle rappresentanze, e quindi partiti, assemblee rappresentative, schieramenti.
E’ da tutto questo che derivano gli interrogativi che si pongono anche in Emilia — nel quadro dei contenuti che vogliamo dare alla Conferenza regionale del PCI — sull’azione e sulla presenza dei comunisti nelle assemblee degli Enti locali.
Questa realtà — questa componente essenziale — è propria dei momenti più acuti della tensione e della lotta popolare o esiste — sempre essenziale — anche nei momenti di tensioni meno incandescenti e meno pesanti?
Quando gli operai chiedono ai consigli comunali « da che parte siete? », pongono solo l’esigenza di avere un nuovo « alleato » nel corso delle lotte per battere l’intransigenza dei padroni, o aprono anche un discorso «istituzionale», avanzano anche una proposta di riforma dello Stato, la richiesta di un Comune « diverso »? Gli Enti locali, dopo queste lotte, dopo queste chiamate in causa, restano quelli di prima, o no?
Agli interrogativi vorrei aggiungere due costatazioni.
La prima chiama in causa il riflesso delle contraddizioni presenti nella struttura economica e sociale sullo stato delle istituzioni, dell’ordinamento dello Stato, del modo di essere e di esprimersi del potere. Le lotte hanno documentato la non scindibilità del salario contrattuale e del salario sociale; e i sindacati —- chiamando in causa l’interlocutore politico, il governo — hanno aperto vertenze nazionali sull’arretratezza sociale, sulla casa, i servizi, la salute, le imposte.
Tale inscindibilità però non è valida solo per i lavoratori che ne hanno assunto oggi piena coscienza; è valida anche per i padroni e per il sistema, per il mantenimento dell'attuale meccanismo di produzione e di accumulazione, degli attuali prelievi e destinazioni delle risorse.
Così, funzionale alla risposta che la conservazione vorrebbe dare dentro e fuori la fabbrica ai problemi sollevati dai lavoratori e condizione per non modificare gli attuali orientamenti di politica economica, è anche la concentrazione del potere, la mortificazione delle autonomie, la sistematica marginalizzazione del momento di base. L’attacco politico condotto in questi giorni contro il bilancio del Comune di Bologna con un taglio di 7 miliardi di spese destinate ai bisogni sociali da parte della Commissione centrale, è l’ultimo episodio in ordine di tempo che denuncia a che punto è giunta la contraddizione fra la realtà del paese.
I Comuni non reggono, e laddove la situazione è meno esplosiva in termini di bilancio, lo è molto di più sul terreno dell’ arretratezza sociale, della quasi totale assenza di una risposta positiva ai bisogni dei lavoratori. Il dato è generale. E’ da questo dato che bisogna partire, per un giudizio sulle nostre esperienze, per un nuovo arricchimento della qualità e dei contenuti del XII Congresso del PCI, della presenza dei comunisti nelle maggioranze e nelle minoranze degli Enti locali.
La seconda considerazione che vorrei fare si richiama alle vertenze aperte. Nel passato non è mai o quasi mai accaduto — neppure in una realtà così ricca di impegnata presenza democratica come l’Emilia — che gli obiettivi dell’iniziativa popolare e di massa fossero collegati, con tanta forza e chiarezza, ai contenuti delle autonomie, ai poteri dell’Ente locale, a un nuovo modo di essere e di collocarsi delle istituzioni, all'esigenza di una « ridistribuzione » del potere, a una concreta piattaforma per le Regioni.
E' la realtà stessa che oggi rifiuta il Comune « neutrale », al di sopra delle parti, o impegnato nella routine e nella « gestione », e occasionalmente presente con gli ordini del giorno che chiedono, rivendicano, invitano, ecc. Persino il vecchio Comune « tutelato e vigilato » — anche se amministrato dal centro-sinistra e anche se qualche intervento può essere stato provocato da stimoli strumentali — non ha potuto ignorare la spinta popolare, non ha potuto rinchiudersi nel suo ruolo di anello terminale di un ordinamento centralizzato, ma ha dovuto dire « da che parte stava », ha dovuto proporsi come momento iniziale di espressione di una grande volontà democratica.
Da questi tre elementi — valore permanente del rapporto realtà sociale-realtà politica; stretta correlazione esistente fra la risposta economico-contrattuale e sociale e le scelte e il modo di esprimersi del potere; presenza nuova di un grande movimento unitario sui contenuti dell’autonomia locale — derivano i termini di riferimento per scavare nelle esperienze nostre di comunisti, impegnati anche nelle pubbliche assemblee.
Il bilancio che il partito porta alla Conferenza regionale — immediatamente verificato nel vivo delle lotte e senza inutili trionfalismi — è positivo e ricco di esperienze.
Non è però privo di limiti, di insufficienze e di squilibri fra il livello della tensione sociale e la capacità di fare esprimere, sul terreno delle forze e degli schieramenti politici e nell’area delle istituzioni, tutta intiera la sua carica positiva e la sua capacità rinnovatrice.
Sono limiti che non devono mettere in ombra, ma al contrario porre in evidenza, un problema che a me sembra di rilevare in riferimento alla Regione, e che propongo interrogativamente al dibattito politico.
In quale misura il partito ha compreso che la estesa presenza delle forze di sinistra — quasi ovunque maggioranza nei Consigli degli Enti locali — rendeva più immediatamente visibile — malgrado le gravissime difficoltà dei Comuni e delle Province — il rapporto fra il sociale e il politico, fra la dimensione della domanda e la capacità della risposta? In che misura il partito ha compreso — ricavandone le coerenti consenguenze — che questo « intreccio ravvicinato » rendeva più diretto il riflesso del movimento popolare e di massa sulla posizione e sulla collocazione delle forze politiche?
Questo a me sembra molto importante per vedere in modo giusto, senza scadere sul piano delle pure abilità tattiche e delle aperture strumentali, la mobilità e gli spostamenti avvertibili — per esempio — nella DC emiliana, le più acute manifestazioni di crisi del suo interclassismo, le riconsiderazioni del PSI per quanto riguarda la sua collocazione, il fallimento sostanziale delle operazioni di centro-sinistra.
Questo mi sembra importante se vogliamo esprimere un giudizio giusto e corretto, utile all’azione politica di oggi e di domani sul rientro del PSI nella giunta di Bologna; sulle giunte del ravennate, sulla DC che si astiene sul bilancio del Comune di Modena, su molti altri atteggiamenti che caratterizzano oramai i rapporti fra il partito comunista, il PSI, la DC in molte amministrazioni locali emiliane.
Questo non significa, naturalmente, che i problemi degli sbarramenti e degli steccati siano risolti. E neppure significa che questa dialettica nuova che si è aperta produca automaticamente scelte sempre più avanzate e collocazioni sempre più produttive sul piano politico esterno e nel discorso generale.
Alla distanza anche questa dialettica nuova, se non viene continuamente alimentata dal legame col movimento popolare, rischia di cadere nella routine, di restringersi sino a diventare un fatto di vertice, di prefigurare una sorta di « municipalismo politico » solo falsamente superiore al « municipalismo amministrativo ».
Il dato vero, però, è che questo « intreccio ravvicinato » incide e si riflette sul movimento di massa, ne stimola la crescita politica e la consapevolezza dello stretto legame fra la rivendicazione immediata e la politica delle riforme. E’ proprio da questa componente che noi dobbiamo muovere per arricchire l'azione del partito e il suo ruolo in Emilia.
Il dato prevalente della realtà emiliana si riassume allora nella ricca pluralità di iniziative, di azioni politiche e rivendicative estremamente complesse e articolate, ma da cui traspaiono chiari, sempre o quasi sempre, i contorni e i contenuti di un disegno e di una linea unitariamente concepiti e finalizzati.
Il secondo dato, che ci riguarda direttamente, è rappresentato dalla « costante » del momento politico-istituzionale — dell’assemblea consiliare di base — che, anche nei tempi di maggiore esaltazione dello spontaneismo, ha costituito in Emilia un punto di riferimento, di confronto, di iniziativa e anche di rilievo critico. Vanno viste, in questo quadro, quelle che vorrei definire le « aperture » dei Consigli comunali verso la realtà esterna e lo ingresso di tale realtà allo interno dei Consigli comunali.
Gli esempi sono numerosi, e ogni esperienza ha in sè la duplice componente di verifica e di moltiplicazione. Il ripetersi con una certa frequenza — anche se la generalizzazione di tali forme è ancora insufficiente — di riunioni dei Consigli comunali alle quali partecipano, con diritto di parola, rappresentanze delle associazioni sindacali e di altre categorie, o esponenti del movimento studentesco, costituisce uno dei modi attraverso i quali questa scelta politica diventa sostanza. E, da una parte, diventa il terreno per l’individuazione di obiettivi e di piattaforme programmatiche coincidenti con esigenze immediate e dirette delle masse popolari e, dall’altra parte spinge le masse popolari all’iniziativa e alla lotta perché il momento locale, conquistato all’obiettivo, conquisti il potere e i mezzi necessari alla più larga risposta positiva.
Poiché però l’attuale distribuzione delle risorse e l’attuale articolazione del potere non rispondono a esigenze di modelli astratti di società, ma sono funzionali e finalizzate al nostro « attuale » tipo di società, la lotta per un diverso potere dello Ente locale territoriale e per una più larga capacità di rispondere al bisogno sociale, inserisce elementi nuovi di contraddizione nella realtà economica e fa maturare contradizioni nuove negli schieramenti politici.
La presenza dei sindacati, ad esempio, al Consiglio comunale di Modena per discutere l’istituzione di un servizio di medicina preventiva e l’iniziativa del Comune per la difesa della salute degli operai nelle fabbriche, non rappresentano soltanto la risposta positiva a una esigenza di « partecipazione », ma sottolineano anche l’individuazione di una piattaforma comune e convergente che assume il significato, per l'assemblea consiliare, di un reale, autonomo e più esteso potere e, per il movimento sindacale di una reale concreta risposta a esigenze operaie.
Il rifiuto opposto all'iniziativa del Consiglio da parte delle diverse « tutele » diventa quindi un rifiuto non solo all'assemblea che ha deciso, ma anche ai lavoratori che hanno partecipato alla decisione. La lotta contro tali rifiuti riapre e ripropone il discorso dell’intreccio della presenza politica e della azione delle forze sociali.
Non solo; ma libera i discorsi sulla riforma dello Stato, sulla istituzione della Regione, sulla conquista delle autonomie, da ogni generico e astratto « istituzionalismo », e li collega strettamente alla domanda del consumo sociale, agli obiettivi immediati e diretti per i quali i lavoratori lottano.
La battaglia per le autonomie entra così nella fabbrica e le esigenze popolari sollecitano, in termini sempre più chiari, un potere diversamente ordinato. Gli schieramenti politici che, sotto lo assillo di esigenze non rifiutabili, si erano dilatati al di là delle tradizionali maggioranze, vengono nuovamente verificati a un più elevato livello di impegno e investiti o da contraddizioni più acute o da convergenze più qualificanti.
Le tre sedute del Consiglio comunale di Modena dedicate al problema della casa, con la partecipazione e l’intervento dei sindacati, del movimento cooperativo, delle associazioni del ceto medio urbano e contadino, delle organizzazioni femminili; la decisione di promuovere il dibattito in tutti i Consigli di quartiere e successivamente di concluderlo al Consiglio comunale e di promuovere contestualmente l'assemblea generale dei Consigli comunali del comprensorio; la decisione del Comune di Bologna di portare nei quartieri le scelte urbanistiche, e quella di Ferrara e di Parma di entrare nelle fabbriche occupate dagli operai con i Consigli comunali; la costituzione presso ogni scuola d'infanzia comunale di molti Comuni — con l’obiettivo di generalizzare queste presenze alle altre scuole — di comitati di base costituiti su iniziativa del Consiglio di quartiere e composti da genitori, da cittadini e da personale scolastico; la costituzione di analoghi organismi di partecipazione popolare per gli asili-nido, le biblioteche, gli impianti sportivi, ecc.: tutti questi episodi sostengono una linea che complessivamente potrebbe definirsi di inserimento del Consiglio comunale nella realtà e di presenza della realtà nel Consiglio comunale.
E' una linea, però, che non si chiude in questo cerchio così da ridursi a una sorta di microdemocrazia comunale — quasi fosse possibile una sostanziale e non formale democrazia, a livello di Comune, mentre dominano nella realtà generale l'autoritarismo e il centralismo — ma che tende a modificare il modo di collocarsi della assemblea di base, ricavando dal confronto fra risposta necessaria e risposta possibile i motivi politici che liberano gli schieramenti dai municipalismi velleitari e inconsistenti e dalle omogeneizzazioni mortificanti e antidemocratiche.
Una linea quindi che muove dal bisogno di case, dagli aumenti degli affitti, dalla esigenza del verde e dei servizi di quartiere, per ricercare insieme con le masse gli obiettivi immediati e per convincerle che le poche lire destinate all’edilizia pubblica non rappresentano la scelta di un potere distratto o assonnato — che è sufficiente richiamare e svegliare perché le cose cambino — ma rappresentano una necessità del sistema così come è oggi, del tipo di potere che oggi hanno i grandi gruppi finanziari e monopolistici, di come oggi è regolata la destinazione delle risorse.
Cresce così la coscienza che le necessarie riforme — per sconfiggere la rendita, per affidare ai Comuni ogni potere nell'esproprio e nella manovra delle aree, per sottoporre alla disciplina dello equo canone l’abitazione fonte di profitto — non nascono solo da una corretta e avanzata concezione urbanistica riassunta in un moderno Piano regolatore, ma dai bisogni reali dei lavoratori: dalle baracche o dalle soffitte dei centri storici, dalle incredibili falcidie sui salari degli operai e sui redditi degli artigiani, dei commercianti, dei professionisti, dal verde che manca e dal cemento che soffoca, dalla consapevolezza che per una risposta diversa occorrono scelte politiche diverse.
Questo il quadro della presenza comunista negli Enti locali in Emilia. Un bilancio che, a mio giudizio, ha saputo cogliere in positivo, e quindi ha contribuito a mettere in evidenza, la componente nuova ed essenziale delle lotte attuali.
Nessun aspetto, però della complessa realtà nazionale e quindi della nostra realtà emiliana si propone oggi e si proporrà domani — concluse sul terreno contrattuale le lotte operaie — negli stessi termini di ieri. Siamo e saremo in presenza di una più elevata coscienza popolare, di una più accentuata politicizzazione di tutto il tessuto sociale, di una dilatazione della consapevolezza del rapporto fra salario e consumo sociale, fra rivendicazioni immediate e riforme strutturali e istituzionali.
Ci stiamo muovendo dunque e andremo al confronto per l’Ente Regione con una realtà politica più ricca, più carica di componenti positive. Gli organismi che sono nati e si sono formati nel processo produttivo, nelle fabbriche e nelle campagne, nel vivo delle lotte, rappresentano una realtà nuova.
Movendo dal positivo bilancio che i comunisti hanno accumulato con la loro lotta e con il loro impegno politico in Emilia, il partito deve avanzare ancora nella costruzione di un più largo blocco sociale di forze antimonopolistiche e di nuovi schieramenti per una politica di riforme e per nuove scelte economiche.
La nuova giunta di Bologna
La ricomposizione della giunta unitaria (comunisti, indipendenti di « sinistra, PSI e PSIUP) nel comune di Bologna è un fatto che si colloca nel quadro più generale della situazione politica nazionale e assume il valore di una forte, positiva spinta a sinistra proprio mentre più insidiosa è divenuta la manovra neocentrista della parte conservatrice della coalizione di centro-sinistra. Non si tratta di un avvenimento scoppiato a freddo. La ricomposizione della giunta unitaria a Bologna è maturata nella fase di sviluppo del movimento unitario di lotta, come indicazione popolare alla soluzione della crisi generale nella quale si dibatte il paese con il fallimento del centro-sinistra, la scissione socialdemocratica e la rottura dell'antico equilibrio moderato all'interno del partito democristiano.
E' un successo che va attribuito alla chiara, tenace impostazione unitaria dei comunisti e delle forze della sinistra socialista e democratica, laica e cattolica, che hanno saputo tenere viva e operante la presenza e la linea di azione popolare che l'antifascismo e la resistenza, con la Liberazione, avevano affermato alla direzione della cosa pubblica locale.
L'unificazione PSI-PSDI aveva segnato l'interruzione di una ricca esperienza di governo comune delle sinistre. Non passò, tuttavia, la cosiddetta « omogeneizzazione » tra centro e periferia che era uno degli obiettivi antipopolari del centro-sinistra. Ci fu una sorta d'incontro a mezza strada fra socialisti e social-democratici. Il PSI uscì dalla giunta e il troncone socialdemocratico cessò l'opposizione che aveva condotto dalla scissione di Palazzo Barberini all'amministrazione di sinistra.
Si giunse all'appoggio esterno del monocolore che il gruppo « Due Torri » di maggioranza relativa, formato da comunisti e indipendenti di sinistra, attuò con grande senso di responsabilità e rispettando gli impegni programmatici assunti dalla passata gestione di sinistra.
Si è, anzi, cercato di sviluppare e potenziare l'impostazione democratica e popolare che aveva caratterizzato l'esperienza interrotta così da rendere possibile, nel contesto dell'intera vicenda nazionale, la ripresa di un cammino comune su posizioni più forti ed avanzate.
Il documento politico comune firmato dalle segreterie del PCI, del PSI e del PSIUP sottolinea, infatti, questa continuità d'impostazione con una piattaforma di accordo che riafferma la scelta « aperta ai contributi creativi di tutte le componenti democratiche nella prospettiva di un rapporto dialettico fecondo tra le forze di ispirazione socialista».
Nella nuova giunta unitaria a Palazzo D'Accursio sono entrati tre compagni socialisti (Crocioni, eletto vice sindaco, Babbini, vice segretario della Federazione a cui è andato lo assessorato all'edilizia privata, e Colombari, già del PSDI, con l'assessorato alla polizia urbana) e l'unico rappresentante del PSIUP in consiglio comunale, compagno Adamo Vecchi, segretario della federazione provinciale.
La destra politica, la DC e il PSU bolognese hanno reagito con irritazione. Costoro tentano di coprire — ha detto il sindaco Fanti — il senso di quanto avviene con la «pretestuosa denuncia di un puro e semplice ritorno a forme di " neo-frontismo ": in questo i socialisti sarebbero condannati, e non soltanto a Bologna, a ricadere, ogni volta che mettano in discussione il centro-sinistra». Siamo, come si vede, al richiamo anticomunista viscerale, senza fantasia e, peggio ancora, alla negazione di una realtà che avanza e nella quale i comunisti rappresentano una convincente forza trasformatrice.
[tabella p. 18]
Risultati elettorali complessivi in voti e in % della regione Emilia - Romagna
LISTE
Camera dei Deputati 1958
1963
1968
Diff. in delle % + o — del 1968
Senato 1968
Voti % Voti % voti % rispetto al 1958 rispetto al 1963 voti %
P.C.I. 880.806 36,67 1J017.689 40,70 1.114.802 43,34 +6,67 +2,64
1.105.942 46,81
P.S.I.U.P. — -, —• — — 127.332 4,95 ■— +4,95
P.S.I.
P.S.U.
P.S.D.I.
394.326
152.924
16,42
6,36
353.925
167.430
14,15
6,69
370.948 14,42 —8,36 —5,42 363.632 15,39
P.R.I.
D.C.
81.068
734.300
3,37
30,57
73.937
650.981
2,95
26,03
79.416
687.576
3,08
26,73
—0,29
—3,84
+0,13
+0,70
76.883
630.318
3,25
26,68
P.L.I. 70.959 2,95 140.609 5,62 119.955 4,66 + 1,71 —0,96 120.527 5,10
PDIUM (PNM) 21.311 0,88 11.411 0,45 9.542 0,37 —0,51 —0,08
[64.926 2,74]
M.S.I 65.174 2,71 74.247 2,96 62549 2,43 0,28 —0,53
Altre liste 468 0,01 9.867 0,39 — — — — — —
VOTI VALIDI 2.401.336 100,00 2.500.096 100,00 2.572.120 100,00 — — 2.362.228 100,00
 
Area delle relazioni generali
Relazioni Multiple ++


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32760+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 11 Giorno: 28
Numero 47
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 11 - 28 - numero 47


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