Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: L’ARCI nazionale (Associazione ricreativa culturale italiana) ci propone, con un « numero zero » dedicato all’impostazione generale della politica del tempo libero, cui seguiranno testi dedicati a singoli problemi (il prossimo tratterà della condizione umana dei lavoratori), un nuovo tipo di strumento propagandistico che, sostituendo la tradizionale rivista o bollettino, tenta di parlare agli associati che frequentano le case del popolo e i circoli culturali di base con un nuovo linguaggio di comunicazione immediata. Il modello cui l’iniziativa si ispira è il « giornale murale », ricco di immagini e disegni con testi-slogan e parole d’ordine, secondo una vecchia tradizione delle organizzazioni del movimento operaio che vide la propria fase ascensionale negli anni ’45-’5O. La differenza primaria tra quella lontana esperienza e l’attuale esperimento consiste nel fatto che il vecchio « giornale murale » era composto, con mezzi spesso assai rudimentali, dalle singole organizzazioni di base, offrendo cosi un panorama che, pur contenuto nei fondamenti della linea generale e delle parole d’ordine generalizzate, si presentava ricco dì risultati, con qualche implicazione notevole anche nel campo creativo linguistico e rappresentativo. Oggi il prodotto è offerto dal vertice, e vuol essere, speriamo, soprattutto uno strumento di stimolo capace di trasformare l’informazione e la parola d’ordine in dibattito di base. Esperimento non facile: tanto che i compilatori hanno dovuto ricorrere a un tipo di rappresentazione grafico-didattica abbastanza tradizionale, presentando i concetti fondamentali in moduli figurativi del tipo « vignetta » e rinunciando all’uso dell’arte grafica più recente e nuova. Evidentemente, per un testo proposto dal vertice, e quindi fondato sulla necessità di generalizzare le parole d’ordine anche per le zone meno progredite del movimento, questo ritorno a un’espressione di tipo popolaresco tradizionalistico si presentava invogliante. Ciò creerà, è facile ipotizzare, qualche imbarazzo nelle zone più avanzate, che vedranno nella proposta una concessione a un modulo facile e superato. Ma veniamo ai contenuti (useremo anche noi questa distinzione di comodo tra forma e contenuto): una novità in senso assoluto per l’Associazione è costituita dalla parola d’ordine generale « tempo libero come rivoluzione »: parola d’ordine mutuata dai movimenti di liberazione del terzo mondo, che tuttavia, secondo un’avvertenza che si legge a introduzione del « murale », deve essere assunta, per quanto attiene alle cose di casa nostra, esclusivamente come un richiamo alla necessità di una azione di « rottura » nei confronti di situazioni arretrate della società italiana. Ma perchè non usare allora, a evitare confusione di concetti, una parola d’ordine più inerente al contesto in cui l’ARCI opera, e che è quello di un paese di capitalismo avanzato, caratterizzato da forti lotte operaie e di massa, dove la funzione rivoluzionaria è affidata in primo piano a una classe operaia organizzata? Ma tale parola d’ordine vuole anche presentare una possibile cultura della classe operaia come cultura alternativa, globalmente, alla cosiddetta « cultura del sistema », e vuole altresì coinvolgere nel discorso sulla trasformazione delle strutture e delle istituzioni culturali i contenuti della cultura. I limiti dell’esperimento sono da ricondurre, a parer nostro, ai limiti stessi del discorso sulle due culture: e il rischio, avvertibile anche nel « murale » propostoci, non è solo quello di accettare acriticamente certe impostazioni avanguardistiche (intendiamo riferirci alle avanguardie della negazione assoluta dell’« industria culturale consumistica»: portatrici di non pochi equivoci — e veda il lettore il recente fascicolo del Contemporaneo dedicato alla «negazione della letteratura»); ma anche, o soprattutto, quello di ritorni indietro: per intenderci, a quella cultura di estrazione positivistica che caratterizzò il movimento operaio ai suoi albori e che proponeva appunto una « cultura popolare » separata dalla cultura dei « signori ». Certe formulazioni sono evidenti nel murale dell’ARCI: da cultura come anticultura a scuola come antiscuola a teatro come antiteatro e via dicendo. Si osservi però che, mentre tale discorso risulta abbastanza rischioso e anche approssimativo per quanto attiene alle voci citate, si fa invece più articolato e persuasivo quando si volge a manifestazioni già di massa, come lo sport, la caccia, l’edilizia e l’assetto della città. Ciò è dovuto senza dubbio (il fatto, intendo, che per tali voci si propongano concrete riforme precisate in punti assai chiari) allo stato di più avanzata elaborazione di queste voci nel movimento dell’ARCI. (Per quanto, non qui, ma in altri documenti che abbiamo potuto vedere, si faccia strada anche una proposta di edilizia popolare come edilizia comunitaria, come casa-anticasa ). Per certe altre voci, ripetiamo, l’elaborazione è più indietro evidentemente: e si pensi alle discussioni di anni fa sul teatro e la musica « in fabbrica » o nelle sedi operaie, proposte come alternativa alle istituzioni tradizionali, e rifiutate generalmente come tentativo di evasione dai problemi di fondo della trasformazione democratica delle istituzioni culturali. Ora, queste ultime sono così invecchiate, che non vedremmo poi tanto male un’operazione di rottura decisa e netta: purché, però, non si corra il rischio di tornare indietro, a un tipo, magari apparentemente nuovo, di « cultura popolare »; che veda ancora le due culture procedere parallelamente, senza incontrarsi sì, ma anche senza scontrarsi (c’è infatti da credere che, se creeremo una produzione culturale — teatro, cinema, ad esempio — per operai, nelle sedi operaie, questo non darà affatto noia al « sistema »; il quale sarà invece colpito dall’ingresso di nuovi impulsi nelle istituzioni culturali pubbliche trasformate). Il pericolo, insomma, di un ritorno a una sorta di ghetto culturale è evidente. Queste nostre preoccupazioni si sottolineano, riguardo al « murale » in discorso, per quanto attiene all’espressione linguistica degli slogans; che in più punti scade al livello di linguaggio goliardico, dialettale, addirittura da teatrino vernacolo della domenica (strofette pseudopopolari, battute anche di dubbio gusto), in curiosa mistura di linguaggio da guerriglia (si vedano le serie dedicate all’antiteatro) e testi di basso folclore (le dive del cinema, da stendere il sabato sera nella « balera », a riprova di un modulo virilistico... non molto rivoluzionario). Del resto, il murale sembra comporsi di due facciate in sè antitetiche, diciamo che la facciata relativa alla denuncia tiene di un linguaggio, mentre l’altra, dedicata agli obiettivi che l’Associazione si propone, torna al modulo del discorso costruito, logico, motivato e persuasivo, evidentemente risultato di analisi precise. All’iniziativa dell’ARCI, diremo concludendo, è importante dedicare ogni attenzione e ogni contributo fattivo: soprattutto da parte degli intellettuali di sinistra (anche i « grandi intellettuali»), ai quali indichiamo intanto questo numero zero e il necessario dibattito che esso richiede per l’indispensabile precisazione dei concetti, come un momento davvero concreto di discorso con l’associazionismo di base. Quanto all’ARCI — e nella severità della nostra critica c’è, oltre la necessità di parlar chiaro fra di noi, anche la lezione di un lungo impegno nell'associazionismo — pensiamo che saprà subito evitare quello che indicavamo come il pericolo più serio: quello di una iniziativa di vertice, che per recepire delle istanze avanzate da istanze di tipo intellettualistico finisce per avere riflessi negativi sulla base di massa dell’associazionismo. Il numero uno, dedicato alla condizione operaia, ci darà, pensiamo, in questo senso risultati positivi: chè se debole ancora può essere considerata l’elaborazione di iniziative autonome di base in campo direttamente culturale, ciò non si può affermare per il tema « condizione operaia », per il quale non c’è, si può dire, organizzazione, non c’è fabbrica che non abbia sperimentato nella ricerca, nell’analisi e nelle proposte iniziative concrete e importanti, emarginando nel vivo delle lotte unitarie sia i residui di una vecchia « cultura popolare », sia le avanguardie pseudo-rivoluzionarie. | |
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