→ modalità contesto
modalità contenuto
INVENTARICATALOGHIMULTIMEDIALIANALITICITHESAURIMULTI
guida generale
CERCA

Modal. in atto: CORPUS OGGETTOdisattiva filtro SMOG

Legenda
Nodo superiore Corpus autorizzato

Nodo relativo all'oggetto istanziato

NB: le impostazioni di visualizzazione modificabili nel pannello di preferenze utente hanno determinato un albero che comprende, limitatamente alle prime 100 relazioni, esclusivamente i nodi direttamente ascendenti ed eventuali nodi discendenti più prossimi. Click su + per l'intero contenuto di un nodo.

ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

tipologia: Analitici; Id: 1549948


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Tavola rotonda di “Rinascita” con dirigenti e quadri di base con Enrico Berlinguer (vice-segretario PCI), Ugo Pecchioli (Direzione, responsabile Sezione di organizzazione), Giuliano Pajetta (Comitato centrale, responsabile Ufficio fabbriche), Franco Aglione (segretario sezione di fabbrica dell'Italcantieri di Sestri, Genova, cantieri navali), Umberto Cerri (comitato direttivo cellula della FATME di Roma, metalmeccanica), Saul Cosenza (responsabile comitato di partito dell'Italcantieri di Castellammare, Napoli, cantieri navali), Giacomo Dolo (responsabile sezione di fabbrica Fiat Mirafiori di Torino, metalmeccanica), Giorgio Impari (segretario sezione fabbrica della FACE-Standard, Milano, elettromeccanica), Francesco Leoni (responsabile sezione operaia della SIR di Porto Torres, Sassari, petrolchimica), Giorgio Lo Turco (segretario sezione di fabbrica della Pirelli di Settimo Torinese, gomma), Francesco Rizzo (Responsabile del comitato di partito della Montedison di Brindisi, petrolchimica), Un grande rilancio del partito in fabbrica [paragrafo introduttivo e E' politico il ruolo in fabbrica, e Differenza fra il Maggio e l'autunno italiano]
Responsabilità
Enrico Berlinguer+++   Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Vice-segretario+++   
Ugo Pecchioli+++
  • Pecchioli, Ugo
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Direzione - Responsabile Sezione di organizzazione+++   
Giuliano Pajetta+++
  • Pajetta, Giuliano ; ente ; ente
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Comitato Centrale - Responsabile Ufficio fabbriche+++   
Franco Aglione+++
  • Aglione, Franco
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Federazione di Genova - Comitato comunale di Sestri Ponente - Sezione di fabbrica dell'Italcantieri+++   (cantieri navali) 
Umberto Cerri+++
  • Cerri, Umberto
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Federazione di Roma - Cellula della FATME+++   (Roma, metalmeccanica) Comitato direttivo di cellula 
Saul Cosenza+++
  • Cosenza, Saul
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Federazione di Napoli - Comitato di fabbrica della Italcantieri, Castellammare di Stabbia+++   (cantieri navali) 
Giacomo Dolo+++
  • Dolo, Giacomo
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Federazione di Torino - Sezione di Fabbrica FIAT, Mirafiori - Segretario+++   (metalmeccanica) 
Giorgio Impari+++
  • Impari, Giorgio
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Federazione di Milano - Sezione di fabbrica FACE-Standard - Segretario+++   (Milano, elettromeccanica) 
Francesco Leoni+++
  • Leoni, Francesco
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Federazione di Sassari - Sezione operaia di fabbrica, SIR - responsabile+++   (petrolchimica) 
Giorgio Lo Turco+++
  • Lo Turco, Giorgio
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Federazione di Torino - Sezione di Fabbrica Pirelli - Segretario+++   (gomma) 
Francesco Rizzo+++
  • Rizzo, Francesco
  Tavola rotonda con+++   [relazione complessa] PCI - Federazione di Brindisi - Comitato di Fabbrica, Montedison - Responsabile+++   (petrolchimica) 
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Temi d'oggi [Rinascita] {Temi d'oggi [Rinascita]}+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
[didascalia p. 4: II cavaliere del massimo profitto (disegno di Gal)]
[didascalia p. 5: Un aspetto della grande sfilata a Roma durante lo sciopero generale per la casa]
Pecchioli
Lo sviluppo di un così ampio movimento rivendicativo — qual è quello cui assistiamo — rappresenta anche una grande esperienza di organizzazione operaia di massa che si esprime, in primo luogo, con una partecipazione di tipo nuovo sia alla definizione delle piattaforme sia alla gestione stessa della lotta e, in secondo luogo, con la nascita di nuovi strumenti di democrazia diretta, destinati a durare anche dopo la fase degli scioperi: il diritto di assemblea in fabbrica, l’elezione dei delegati di reparto, la formazione di comitati di delegati, ecc. In questo incontro con alcuni dirigenti delle organizzazioni comuniste di fabbrica vogliamo discutere i problemi che in questa nuova situazione (a determinare la quale la presenza comunista è stata decisiva) si pongono per l’organizzazione del partito.
Noi sentiamo con acutezza il bisogno di un salto di qualità e di uno sviluppo rapido dell’organizzazione comunista nei luoghi di lavoro per adeguarla ai compiti del momento. Poiché da tante parti si è cercato di contestarlo, è necessario ribadire che il ruolo insostituibile dell’organizzazione comunista nella fabbrica emerge con evidenza nuova proprio dagli stessi sviluppi delle lotte. E ciò prima di tutto, al fine di garantire uno sbocco vittorioso alla lotta operaia; ma anche perchè lo sviluppo stesso del movimento sottolinea l’esigenza di una forza e di una iniziativa politiche capaci di realizzare il necessario collegamento tra lotte rivendicative e lotte di riforma, di inquadrare questa battaglia in più ampi obiettivi di rinnovamento democratico, di far maturare tutti i frutti politici insiti nel processo di unità sindacale, di porre il problema dell’unità politica della classe operaia, di estendere il fronte delle alleanze della classe operaia, di stabilire nuovi rapporti con le assemblee elettive capaci di vivificarle e di rinnovarle.
Aglione
La «svolta» all'Italcantieri di Genova, si può dire sia cominciata con il 19 maggio. Dopo la vittoria elettorale gli operai hanno preso a riunirsi di loro spontanea iniziativa per porre sul tappeto il problema di un aumento salariale. Da allora è andata crescendo in fabbrica una tensione nuova e il partito ha dovuto misurarsi con questa situazione. La nostra forza era considerevole: 800 iscritti su 4.000 operai, una presenza in tutti i reparti. Ma si trattava di una forza un po’ chiusa in se stessa. In passato non facevamo un lavoro politico esterno. Si può dire che la nostra attività si esaurisse nel tesseramento e nella sottoscrizione.
Nell’ultimo anno la situazione è cambiata: tra i nuovi assunti (500 operai) abbiamo reclutato 61 compagni, in gran parte giovani. Perchè?
Io direi che oltre al risveglio politico generale manifestatosi con il 19 maggio, per la prima volta dopo anni non ci siamo limitati a svolgere solo un’azione di tipo propagandistico che ripeteva in fabbrica la nostra tematica generale. Abbiamo cominciato a fare politica in modo autonomo partendo dalla concreta esperienza operaia e prendiamo posizione, come partito, sui problemi che via via si pongono, convinti come siamo che anche le questioni sindacali hanno una proiezione politica e che la presenza del partito è necessaria (checché ne dicano certi elementi della CISL che ora ci criticano « da sinistra »). Condivido l’opinione di Pecchioli: il momento si presta per un grande rilancio del partito sui luoghi di lavoro. Debbo segnalare, infine, un nostro ritardo nella azione verso gli studenti, soprattutto sul terreno dello orientamento.
Giulio
L'esperienza della Mirafiori prova che nel corso delle lotte si salda il rapporto tra l’avanguardia comunista e le masse e si chiarisce il ruolo insostituibile del partito che, nel caso specifico, consiste nel portare alle masse la tematica delle riforme (fisco, casa, assistenza sanitaria, scuola, eccetera). Ma c’è da dire una altra cosa: nel corso della lotta risulta chiaro che i comunisti sono quelli che tirano la carretta, che sollecitano l’iniziativa e la spinta dal basso sulle questioni concrete che interessano gli operai.
E’ vero però che bisogna conquistare ancora tutto il partito a questa linea. Molti compagni credono ancora all’Ora X. Noi abbiamo svolto una grande funzione nella battaglia per conquistare i delegati di linea, insieme con militanti delle ACLI, del PSIUP, della FIM-CISL.
Berlinguer
Con quale criterio si scelgono i delegati?
Giulio
Su un pezzo di carta bianca: e viene fuori sempre il migliore, il comunista.
Berlinguer
Ma nella riunione che ho tenuto la settimana scorsa a Torino è emerso che gli operai eleggono delegati anche non iscritti al PCI.
Giulio
A Mirafiori, però, la maggioranza sono comunisti. La nostra azione è stata decisiva nell'isolare e nel controbattere l'iniziativa dei gruppi estremisti, che ora si preparano a svalutare anche le prossime conquiste contrattuali.
Pecchioli
Sappiamo che un giornale estremista ha già pronto lo articolo sull’autunno tradito.
E’ stato scritto ancor prima che il contratto sia stato conquistato e quindi senza neanche sapere che cosa rappresenterà.
Berlinguer In che misura esiste chiarezza tra gli operai sugli obiettivi da perseguire dopo la conclusione della lotta contrattuale?
Giulio
Nella grande maggioranza degli operai c’è la convinzione che dopo la vittoria contrattuale, dopo che avranno — come dicono — tirato il fiato, bisognerà impegnarsi a fondo per la casa e per la riforma fiscale.
Impari
Alla Face Standard di Milano, proprio nel corso della lotta siamo riusciti a costituire una sezione di partito, a stampare un giornaletto che agita i problemi più sentiti dagli operai: lo sfruttamento, la nocività degli ambienti, l’occupazione. In questa fabbrica non esistono altre forze politiche organizzate. Nel passato vi è stata un’azione negativa di certi dirigenti socialdemocratici della UIL. Questo ha creato un certo clima polemico e favorito la discriminazione anticomunista. Il nostro rilancio come partito data tuttavia dalla campagna elettorale del 1968. Allora ci siamo chiesti: chi, se non i comunisti della Face Standard, ha il diritto di chiedere il voto al PCI agli altri operai della fabbrica?
Cosenza
All’Italcantieri di Castellammare di Stabia, una fabbrica di 1.500 operai e 300 impiegati, la crisi degli anni cinquanta è finita. Gli iscritti, che erano scesi a 250, ora sono 350 e puntiamo a raggiungere i 500 tesserati. Molti li abbiamo reclutati tra quelli assunti attraverso le parrocchie. In gran parte sono giovani che aderiscono sulla base dell’entusiasmo e ci pongono problemi nuovi. Ad esempio, sono attivissimi in fabbrica ma un po’ restii a venire in sezione.
La lotta dei metalmeccanici ha investito tutta la città, ha rivelato una straordinaria carica di combattività operaia. Siamo riusciti a far entrare i sindacalisti in fabbrica, tra due ali di operai che applaudivano. Lunedì portiamo in fabbrica anche il sindaco, che pure è democristiano. Il fatto è che la lotta dell’Italcantieri è diventata la lotta di tutta la città. Abbiamo fatto cortei per spiegare attraverso comizi di quartiere le ragioni degli scioperanti. Ci siamo rivolti alle donne, ai negozianti. Siamo riusciti a impegnare il comune in un’azione di solidarietà con i lavoratori, per sospendere o rateizzare il pagamento degli affitti, della luce, dell’acqua. Sentiamo, attorno a noi, un clima molto favorevole.
Berlinguer
Come mai in questa situazione mentre il partito si muove e si rafforza, la diffusione della stampa è ferma?
Cosenza
Da noi non è così. Domenica scorsa la diffusione dell'Unità ha superato quella del Primo Maggio.
Berlinguer
Ma nelle grandi città operaie la diffusione dell'Unità non si espande.
Rizzo
Io provo un certo disagio: ho sentito che altrove il partito si rafforza, mentre alla Montedison di Brindisi i nostri progressi sono più lenti. Qui la classe operaia è di formazione recente. In gran parte gli operai vengono dalla campagna.
G. Pajetta
Quanti sono i pendolari?
Rizzo
Oltre il 90% e una metà vengono dalle province di Lecce e di Taranto. Inoltre il regime di fabbrica è stato sempre durissimo. Io stesso sono stato un anno in un reparto-confino. A cominciare dall’anno scorso, tuttavia, con la lotta per l’abolizione delle zone salariali, si è notato un certo risveglio della coscienza di classe che si è manifestato in modo ancora più netto durante la lotta per il premio di produzione. Oggi contiamo circa 300 iscritti, ma in gran parte essi svolgono attività nelle sezioni territoriali dei paesi di origine, tant’è vero che non abbiamo ancora una sezione di fabbrica. Come risolvere questo problema? Io penso che, dopo la conclusione della lotta contrattuale, il partito deve impegnarsi a fondo su specifici problemi della condizione operaia: la nocività del lavoro, la casa (il 30 ottobre, a Brindisi, c’è stato uno sciopero generale mai visto su questo tema), la lotta contro l’inflazione. La principale difficoltà sta nella scarsità dei quadri politici e sindacali (anche se abbiamo reclutato alcune decine di giovani attivisti sindacali).
Lo Turco
Alla Pirelli di Settimo Torinese, cittadella inespugnata del movimento operaio, dove i lavoratori della gomma scioperavano per solidarietà con i metalmeccanici negli anni in cui gli operai della FIAT non partecipavano agli scioperi, il blocco della dinamica del cottimo, nel 1964, ci ha posto in crisi. Fu allora che noi del gruppo dirigente abbiamo cominciato a riflettere sui nostri metodi di lavoro. E’ emerso tra l’altro, che l’orientamento scissionistico di alcuni dei dirigenti CISL e UIL del settore chimico dipendeva in parte anche dal nostro settarismo.
E’ risultato chiaro che certi metodi di direzione burocratica e paternalistica di vecchi quadri sindacali erano controproducenti. La ripresa è cominciata quando abbiamo rovesciato questi metodi, quando abbiamo deciso che bisognava interessare i lavoratori su tutti i problemi della strategia sindacale, facendoli diventare dei protagonisti. I frutti li abbiamo tratti nel giugno del 1968 quando è scattata la lotta che è riuscita a cambiare in modo decisivo la situazione in fabbrica. Non fu dichiarata dalle organizzazioni sindacali direttamente ma dai compagni che nei vari reparti lanciaro[no] la parola d’ordine dello sciopero levando in alto tre dita per fermare il lavoro alle tre. La fabbrica si bloccò, ci furono assemblee operaie sul piazzale, gli operai manifestarono al grido di « Ho Ci Min! ». Puntammo sui giovani, sugli immigrati, soprattutto sui meridionali, arrivati a Torino con una carica di lotta impressionante, anche se restii alla disciplina. Furono loro che diedero prova di una genialità, di una inventiva che ci meravigliava. Riuscimmo infatti a realizzare una forma di lotta difficilissima: l’autolimitazione spontanea e generalizzata della produzione attraverso l’autoregolazione del cottimo (1).
Colpimmo così Pirelli con la stessa arma con la quale aveva colpito gli operai quando bloccò la dinamica del cottimo. Perdendo il guadagno di cottimo, gli operai perdevano circa 20 mila lire al mese, ma infliggevano al padrone l’equivalente di 16 giornate di sciopero.
Cerri
Gli impiegati hanno partecipato alla lotta?
Lo Turco
Passivamente.
G. Pajetta
E il partito?
Lo Turco
Nel corso della lotta siamo passati da 95 a 195 iscritti. Su 90 delegati di reparto, 85 sono comunisti. Si può dire che la lotta sia stata costruita e diretta giorno per giorno dai comunisti. Oggi abbiamo 110 reclutati e puntiamo ai 400 iscritti. Questo sviluppo ci pone problemi. Dobbiamo dare al partito una nuova strutturazione, dobbiamo creare una cellula in ogni reparto. Dobbiamo rispondere alla nuova domanda politica che ci viene dai giovani. Molti che ieri erano disorientati dai CUB e dai maoisti siamo riusciti a conquistarli alla nostra linea impegnandoli nel lavoro.
Per concludere, possiamo dire che l’esempio della Pirelli ha fatto scuola a Settimo. Abbiamo esportato i nostri metodi di lotta in altre fabbriche: alla Oreal, alla Farmitalia. E con successo
G. Pajetta
A mio avviso possiamo dire che oggi cominciamo a ricavare dei risultati dalla massiccia azione svolta negli ultimi anni dal partito in direzione delle fabbriche. Al punto in cui siamo si tratta di utilizzare nella società il potenziale politico accumulato in fabbrica. La crescita della combattività operaia non è un dato meramente sindacale: siamo di fronte anche a una maturazione politica. Si pongono dunque problemi nuovi che investono il ruolo stesso del partito, la sua funzione di avanguardia politica, di educatore (non dall’alto) della classe operaia. Si pone il problema di chiarire la nostra prospettiva, di dispiegare tutta la nostra carica ideale. In certe federazioni si nota una sorta di « complesso » perché oggi, in mezzo agli operai c’è qualcuno che grida più di noi, dopo che per quasi vent’anni non c’era stato nessuno che si dichiarasse più a sinistra del PCI.
Giulio
Sono gruppi anti-partito, antisindacato. Ti viene la voglia di picchiare.
Berlinguer
Si tratta certo di bloccare le iniziative che possono arrecare un danno immediato alla lotta operaia, nel corso degli scioperi, ecc. Ma ciò non deve farci sfuggire al confronto ideale con le questioni poste da questi gruppi.
Cosenza
A Castellammare li abbiamo battuti sfidandoli a proporci quello che bisogna fare oggi, domani, nella fabbrica.
G. Pajetta
Non basta dire: cacciamo i gruppetti estremisti. Bisogna risolvere i problemi reali che la loro presenza pone. E dobbiamo saper cogliere tutte le possibilità derivanti dalla nuova situazione in fabbrica. Dobbiamo avere più coraggio con i giovani. Non possiamo limitarci a reclutarli, dobbiamo affidar loro responsabilità politiche, invitarli a costruire essi stessi nuove cellule. Non dimentichiamo che durante la guerra partigiana abbiamo saputo chiamare i giovani che entravano assumersi responsabilità considerevoli. Ricordiamoci che in queste ultime lotte i giovani operai sono cresciuti anche come coscienza politica. Occorre mutare con agilità le forme del nostro lavoro, collegarci più direttamente alle fabbriche con le nostre sezioni. Bisogna rompere certi schemi, anche nel tesseramento, e rafforzare il ruolo del partito non solo come promotore di certe iniziative ma come educatore. Dobbiamo essere più coraggiosi nella polemica contro le posizioni antipartito che vengono alimentate dal pansindacalismo di certi ambienti della CISL.
Leoni
Alla SIR di Porto Torres il partito si è rivelato impreparato ad affrontare la situazione difficile di un enorme complesso di 7.000 operai, in gran parte di origine contadina, per il 90% pendolari, nell’assenza di un sindacato di classe, con la CISL e le ACLI per anni d’accordo con il padrone e con un gruppo di Potere Operaio capace di proclamare e di gestire con efficacia scioperi alimentati da una forte carica di malcontento (2). C’è voluta la scossa delle elezioni regionali per farci riflettere sulle debolezze e sugli errori di orientamento compiuti nel corso di una attività parasindacale più che politica e anche a causa della resistenza di un certo quadro federale a lavorare in direzione della fabbrica. Dopo le elezioni c’è stata una vera e propria sterzata nel nostro lavoro. Abbiamo colmato il distacco esistente in passato tra le nostre enunciazioni propagandistiche generali e il discorso concreto sulla realtà della fabbrica; ci siamo impegnati nella diffusione dell’Unità, abbiamo combattuto le resistenze a impegnare i giovani in posti di responsabilità; siamo entrati anche in polemica con il sindacato per la sua paternalistica riluttanza a far decidere gli operai, a costruire dal basso la democrazia sindacale, a cominciare dalla Commissione interna che non esiste dopo che nel passato ce n’era una di emanazione padronale. Abbiamo ancora davanti problemi serissimi, ma alcuni risultati incoraggianti li abbiamo già avuti.
In dieci giornate di tesseramento siamo arrivati a 442 iscritti con 271 reclutati, in gran parte giovani.
Cerri
La storia politica più recente della FATME di Roma, una fabbrica a capitale svedese dove perfino durante il fascismo c’era stato un certo margine di libertà per operai antifascisti come mio padre, è la storia di un serrato confronto dialettico tra noi e un gruppo estremista di Potere Operaio nato da una scissione del movimento studentesco. Accattivatosi la simpatia dei lavoratori con un attacco violento ai dirigenti dell’azienda (anche a base di parolacce) — attacco che ha rotto un certo clima stagnante e favorito oggettivamente l’iniziativa del partito e del sindacato — questo gruppo estremista è subito passato alla polemica contro la nostra piattaforma di lotta. Il suo cavallo di battaglia era l’abolizione del cottimo: secondo Potere Operaio proporsi di regolamentare il cottimo significava rendersi complici del padrone. Non abbiamo reagito menando le mani ma aprendo un dibattito dinanzi agli operai. Abbiamo detto che sapevamo bene che il cottimo era uno strumento di sfruttamento; ma tanto più lo sarebbe stato se avessimo lasciato al padrone la libertà di regolarlo a suo piacimento. Alla richiesta estremista di un aumento salariale di 20.000 lire per tutti abbiamo quindi contrapposto la rivendicazione del controllo operaio sul cottimo. Nell'assemblea operaia è passata la linea del sindacato e tutta la maestranza si è impegnata nella lotta.
Dobbiamo comunque riconoscere che la presenza di Potere Operaio ha rotto una certa atmosfera di passività, ha contribuito a scuotere la combattività degli operai, ha consentito, per la prima volta dopo anni, di effettuare i picchetti (e picchetti efficaci) dinanzi ai cancelli. Ma va anche detto che se Potere Operaio fosse riuscito a raggiungere il suo obiettivo di liquidare sindacato e partito, questo avrebbe favorito il padrone. La lotta come si sa, è stata lunga e drammatica e nel suo corso è emersa la funzione animatrice e politica del nostro partito, la sua capacità di affermare l’egemonia comunista sulla classe operaia in un confronto diretto con i contestatori estremisti, la sua forza di attrazione sui giovani (molti dei quali abbiamo sottratto all’influenza di Potere Operaio).
Dolo
Il partito, alla Piaggio di Pontedera, dopo aver perduto la metà dei suoi effettivi nel corso della durissima offensiva padronale del 1965-’66, ha recuperato le posizioni quando ha dimostrato di saper assolvere nel concreto dell’esperienza operaia, al suo ruolo di avanguardia. Ciò è avvenuto quando il partito ha svolto una funzione essenziale nel far capire agli operai la natura e gli scopi delle trasformazioni che il padrone imponeva nell’organizzazione del lavoro con il passaggio dal cottimo individuale al cottimo collettivo (3). La vecchia pratica della cinghia di trasmissione è stata liquidata e il partito ha conquistato un suo proprio spazio, sviluppando il dibattito con le altre forze politiche presenti all’interno della classe operaia, stabilendo il necessario rapporto tra rivendicazioni immediate e riforme, impegnandosi in primo piano per l’affermazione dell’unità sindacale. A questo proposito va segnalata la positiva evoluzione della FIM-CÌSL che, spostandosi su posizioni unitarie, ha lasciato alla sola DC il ruolo di avversario di classe. Non abbiamo esitato ad affrontare in un dibattito aperto Potere Operaio, che in provincia di Pisa ha uno dei suoi punti di forza, e siamo riusciti a limitarne considerevolmente l’influenza in mezzo agli operai. Qualche problema nasce ancora dall’accusa che qualcuno ci rivolge di volerci inserire nel governo.
Berlinguer
Prima che i compagni operai riprendano la parola vorrei porre due problemi. Il primo riguarda lo sviluppo della lotta e del movimento (che dobbiamo già prevedere dopo la prevedibile conclusione dei contratti, e che in parte è già in atto) sui grandi temi di riforma: casa, scuola, fisco, assistenza sanitaria.
I compagni ci dicano in che misura è maturata, negli operai e nel partito, la coscienza della concretezza di tali questioni. E ciò per capire che cosa occorre fare per spingere avanti il movimento per le riforme. Il secondo problema riguarda lo sviluppo della campagna per il reclutamento. I compagni hanno insistito finora piuttosto sui dati positivi che su quelli negativi. Ci dicano ora qualcosa sulle difficoltà. Perché non andiamo ancora più avanti? Quali riserve politiche e quali ostacoli organizzativi incontriamo nell’azione di proselitismo?
Giulio
Alla Fiat Mirafiori intendiamo strutturare la sezione di partito in cellule allo scopo di impegnare in un lavoro di maggiore responsabilità i nuovi reclutati. Sul piano cittadino ci proponiamo di sviluppare l’iniziativa dei comitati di quartiere. Il presidente dell’Istituto Case popolari, il democristiano Dezani, ha proposto di abbonare un mese di affitto agli inquilini. Ma intanto il suo Istituto ha già mandato in giro alcune minacce di sfratto per lavoratori morosi. Denunceremo questo doppio giuoco dinanzi all’assemblea della sua zona elettorale.
Lo Turco
Da noi a Settimo si può parlare di crisi ma di crisi di crescenza. I problemi cioè nascono dalle possibilità oggettive di una nostra espansione cui non siamo sempre in grado di far fronte. Vi è qualche difficoltà, ad esempio, nel realizzare un contatto continuato con gli operai, a causa dell’organizzazione stessa del lavoro, dei turni, ecc. Ma la lacuna più importante, a Torino, sta nell’insufficiente rapporto operai-studenti. Salvo il positivo episodio delle Ferriere Fiat, non c’è un contatto organico e permanente.
Berlinguer
A Torino non c'è stato qualcosa di analogo alle assemblee operai-studenti svoltesi nelle sedi universitarie a Milano.
Impari
I problemi, da noi, ce li pongono i giovani, che poi sono la maggioranza tra i reclutati. Sono una massa fluttuante con la quale è difficile consolidare un rapporto: vanno alle scuole serali e spesso cambiano lavoro perché sono sempre alla ricerca di qualcosa di meglio. Comunque i giovani restano i protagonisti del risveglio operaio milanese e io credo che debbono essere francamente elogiati per il solo fatto che, pur non avendo una grande esperienza politica, sono sempre alla testa delle lotte e riescono a spostare e a trascinare la massa operaia. Qualche problema ce lo ha posto anche Potere Operaio, che alla Face Standard ha sviluppato un discorso serio, non astratto, ma collegato con i problemi reali della fabbrica. Alla fine l'abbiamo spuntata noi, ma bisogna dire che, per come la lotta era stata impostata, molte delle critiche di Potere Operaio un qualche fondamento lo avevano.
Leoni
A Porto Torres le insufficienze e le possibilità riguardano lo sviluppo della iniziativa politica verso forze, come le ACLI, che hanno partecipato in prima fila all’organizzazione dei picchetti. Dico questo perché noi vediamo con chiarezza la necessità di partire dalla fabbrica per investire con la nostra iniziativa gli istituti rappresentativi, dai comuni fino alla regione, collegando i problemi della classe operaia a quelli generali della società.
Cerri
Il nostro difetto principale, alla FATME, è che ci siamo identificati un po’ troppo col sindacato. Occorre quindi che nell’azienda ci caratterizziamo di più come organizzazione di partito e che riusciamo a sviluppare il dibattito politico in fabbrica: il che non è facile, sia per l’assenza delle altre forze politiche, sia per il diffondersi di una certa prevenzione contro i partiti che non distingue tra di essi.
Rizzo
L'aspetto più negativo della situazione alla Montedison sta nell'assenza di una struttura di partito in fabbrica e nella scarsità dei nostri quadri. Ciò è tanto più grave perché la CISL mostra una certa tendenza a spoliticizzare le lotte. Il problema di una risposta anche politica alla linea del padronato è urgente: basti dire che noi ci troviamo ad affrontare, in una prospettiva ravvicinata, il piano della Montedison che punta al raddoppio della produzione senza aumento della manodopera e con intensificazione dello sfruttamento.
Berlinguer
Insisto nel sollecitare i compagni a riferirci le difficoltà che essi incontrano nell'opera di proselitismo al partito. Perché molti operai combattivi e coraggiosi non si iscrivono al partito? Cosa pensano? Cosa dicono? Quali critiche fanno al partito?
Cosenza
Io credo che qualche difficoltà deriva dal fatto che a volte ci presentiamo alla base con posizioni contrastanti e non teniamo sempre conto, come invece ha fatto opportunamente l’ultimo Comitato centrale, che con gli operai bisogna essere precisi. Penso poi che a molti non risulta chiara che cosa è la via italiana al socialismo. Non si spiegherebbe, altrimenti, perchè la maggioranza degli operai, all’Italcantieri, era favorevole all’intervento militare sovietico in Cecoslovacchia.
Berlinguer
Ma ci sono pure operai che votano per la DC, per il PSI, per il PSU.
Giulio
Socialdemocratici, tra gli operai, ce ne sono pochini.
Cosenza
Insisto col dire che la difficoltà principale sta nel fatto che sono pochi ad aver capito la « via italiana » e che la maggioranza degli operai non partecipa alla vita politica. In passato a Castellammare si è realizzata una specie di delega dagli operai al PCI: tu sei comunista, io ho fiducia in te e ti affido la funzione di dirigere il movimento. Il punto è che oggi dobbiamo riuscire a far capire alla maggioranza degli operai che non possiamo essere noi soli a risolvere i problemi. O i lavoratori stessi diventano protagonisti o non si va avanti.
Dolo
A mio avviso c'è un problema da chiarire, chiamando in causa anche il sindacato, quello posto da certe tendenze pansindacaliste.
Berlinguer
Vuol dire che, perché ci sia uno spazio per partito in fabbrica, il sindacato dovrebbe limitare il proprio?
Dolo
E' un fatto che il sindacato, così come agisce oggi da noi, lascia un certo spazio al pansindacalismo.
Berlinguer
Ma se il pansindacalismo ha una certa presa, questo avviene anche per una carenza del partito.
Dolo
Se in fabbrica si dice che la lotta unisce e la politica divide, vuol dire che il problema del rapporto tra sindacato e partito e dei rispettivi spazi di iniziativa deve essere chiarito.
Lo Turco
Non vi trovate di fronte, forse, a un'errata interpretazione dell'autonomia sindacale, con la pretesa che il PCI non faccia politica come partito?
Leoni
Anche da noi, in Sardegna, c'è lo stesso problema.
Dolo
Una via d'uscita la vedo nei giovani. Bisogna impegnarli sia sul terreno sindacale che su quello politico. Voglio poi aggiungere che l'esigenza di costruire sezioni di partito nelle fabbriche non deve assolutamente tradursi nella svalutazione delle sezioni territoriali.
Aglione
Debbo riconoscere che nella mobilitazione degli operai sui problemi generali di riforma siamo in ritardo. Ma non è questa la sola nostra carenza. Non siamo ancora riusciti a convincere gli operai che i comitati di reparto hanno una funzione che va oltre la direzione della lotta e debbono assumere una caratteristica politica. Non siamo riusciti a sottolineare abbastanza che il problema non è solo dell’unità sindacale ma della maturazione dell’unità politica della classe operaia.
Qualche difficoltà, tra i giovani, ce la crea chi riesce a convincerli che abbiamo perduto la nostra carica rivoluzionaria, che vogliamo inserirci nel governo. Vi sono poi i danni provocati dal centro-sinistra, con il dilagare del malgoverno e della corruzione, della sfiducia nei partiti, messi confusamente un po’ tutti sullo stesso piano. Ecco perchè se vogliamo fare una seria campagna di reclutamento dobbiamo presentarci con il nostro patrimonio rivoluzionario, far sapere chi siamo e cosa vogliamo.
Impari
Sono d’accordo. Il PCI, nella mia fabbrica, ha conquistato prestigio quando ha cominciato a presentarsi agli operai con il suo proprio volto. In questo modo ha posto in difficoltà l’avversario di classe, che tende a far credere che la presenza attiva del PCI possa creare ostacoli all’esito positivo delle lotte.
Leoni
Le posizioni estremiste sono alimentate spesso dai nostri errori. Alla SIR, ad esempio, è avvenuto che i sindacati, senza consultare gli operai, si sono accordati con la direzione per una trattenuta di 500 lire per la tessera sindacale. Naturalmente questo episodio è stato sfruttato da Potere Operaio nella polemica contro i sindacati. Ciò non toglie che quando siamo riusciti a impegnarci in un confronto politico diretto sui problemi concreti della lotta di classe, le posizioni di Potere Operaio sono state sconfitte ed emarginate. In definitiva, tutto, dipende da noi: se la presenza del partito è costante, efficace e bene orientata, gli estremisti non hanno spazio politico.

E' politico il ruolo del PCI in fabbrica
Pecchioli
Pecchioli Avete citato molte esperienze positive. Posso aggiungere che dal 1° al 10 novembre abbiamo reclutato 10.500 nuovi comunisti, la maggioranza dei quali sono giovani operai.
Questo dimostra che è oggi possibile un rilancio generale della organizzazione comunista nelle fabbriche italiane, recuperando con slancio il terreno perduto negli anni difficili e adeguandoci alla nuova situazione.
Bisogna però aver presente che questi risultati positivi presentano ancora dei limiti.
Quali ne sono le cause? Cominciamo da quelle di ordine generale. Vi è innanzi tutto l’azione del nemico contro le organizzazioni di classe e contro il nostro partito in modo particolare, nel quadro di una generale opera di denigrazione del sistema democratico.
Questo attacco è condotto non solo a parole, ma anche con atti concreti di svuotamento della democrazia da parte del governo. A tale azione oggettivamente si collega quella di certi gruppi estremisti che tendono a trasformare ogni battaglia operaia in resa generale dei conti cercando di adottare delle forme esasperate di lotta che, se passassero, dividerebbero, isolerebbero e porterebbero allo sbaraglio il movimento.
Vi sono poi i limiti che derivano da nostre carenze. Non basta avere nella fabbrica una organizzazione di partito che limiti la sua funzione a destinare le sue forze migliori all’attività sindacale. E’ certo molto importante che i comunisti siano fra i migliori militanti sindacali. Ma ciò non è sufficiente a definire il ruolo del partito, a testimoniare la insostituibilità della nostra presenza, della presenza cioè di una organizzazione politica che dallo sviluppo stesso delle lotte operaie è capace di trarre conseguenze più generali, di indicare una prospettiva politica, una nuova scala di valori. Il lavoro del partito, abbiamo detto più volte, non incomincia là dove finisce il lavoro del sindacato.
I migliori esempi li abbiamo dove i comunisti, muovendo dalle condizioni concrete dei lavoratori in quella fabbrica, sono riusciti ad aprire un dibattito e a promuovere iniziative che colleghino le lotte rivendicative di fabbrica alle lotte di riforma, la conquista di nuovi poteri in fabbrica con l’esigenza di uno sviluppo della democrazia in tutta la società, l’unità sindacale alla costruzione dell’unità politica dei lavoratori per il rinnovamento del paese; il collegamento tra nuovi organismi di democrazia operaia e le assemblee elettive che anche così possono rinnovarsi.
Io penso che da tutta la fase presente, così fortemente segnata dall’esaltante sviluppo delle lotte operaie, il partito possa e debba compiere un grande balzo in avanti. Solo attraverso il partito le grandi lotte operaie possono con più forza incidere positivamente nella situazione politica nazionale. Ma è altresì necessario che in tutta la vita del partito si abbia un riscontro maggiore del peso crescente della classe operaia, e dei problemi che essa pone.
Questo vuole anche dire che tutte le nostre organizzazioni compiano scelte di lavoro, abbiano iniziative adeguate e decidano misure di organizzazione in questa direzione.
Il sostegno alle lotte in corso e a quelle che seguiranno e il collegamento tra lotte rivendicative, lotte di riforma e lotta generale per il rinnovamento politico del paese implica, tra l’altro: 1) una forte capacità di direzione politica unitaria degli organismi dirigenti a tutti i livelli; 2) un più stretto rapporto tra organizzazioni comuniste di fabbrica e organizzazioni territoriali, anche come mezzo per saldare le lotte rivendicative alle lotte di riforma e per accelerare tutti i processi di unità tra classe operaia e altri ceti, tra comunisti e altre forze politiche; 3) un collegamento maggiore tra le diverse organizzazioni di fabbrica del partito (per esempio con la costituzione di consigli o attivi provinciali di operai comunisti); 4) un più rapido avanzamento di quadri operai in tutti gli organismi dirigenti del partito.
Vorrei ancora aggiungere che la situazione odierna consente un pieno « reingresso » dell’organizzazione comunista in fabbrica, nel senso che la attività comunista deve tendere a svolgersi « dentro » e non più soltanto « ai cancelli ». Infine, e soprattutto per le grandi aziende, si pone con urgenza la necessità di una articolazione in « cellule » (di officina, di reparto, ecc.) delle nostre sezioni.

Differenza tra il Maggio e l'autunno italiano
Berlinguer
Uno degli aspetti più positivi e interessanti di questa riunione è che essa ci consente di vedere la questione della presenza e del ruolo del partito in fabbrica non in termini di definizioni generali, di principio (che pure sono necessarie), ma in termini concreti, strettamente collegati alle caratteristiche dell’attuale movimento e anche in rapporto allo sviluppo della situazione politica e sociale complessiva. Abbiamo insistito affinchè i compagni ci dicessero più chiaramente i problemi e anche le difficoltà che incontrano nel loro lavoro, perchè siamo convinti che ci troviamo in una fase nella quale i problemi della iniziativa politica del partito e del suo rafforzamento organizzativo vanno posti in modo diverso che nel passato. E ciò perchè siamo di fronte non solo a una ripresa operaia ma a una crisi, a un processo di maturazione politica profonda, a una fase di vera e propria offensiva del movimento operaio, che ha già portato a una serie di conquiste, che ha fatto crescere a un più avanzato livello la coscienza non soltanto sindacale ma politica della classe operaia, che ha dato vita a nuove forme di organizzazione e di democrazia sindacale non destinate ad esaurirsi, ma che sta a noi far pesare sul terreno politico. E’ in rapporto a tutte queste novità che noi non riteniamo sufficiente lo sviluppo della lotta sul terreno economico, pur cogliendone e sottolineandone l’importanza materiale, e poniamo con forza il problema della funzione del partito e sollecitiamo non un semplice rafforzamento ma un vero e proprio balzo in avanti della nostra presenza e della nostra iniziativa politicità in fabbrica. Questa è oggi una delle condizioni decisive perchè i grandi movimenti di massa trovino una risposta adeguata anche sul terreno della politica.
Il problema si pone in modo molto concreto e ravvicinato.
Infatti, già si intravede la necessità, conclusa la battaglia contrattuale, di assicurare in primo luogo una solidità e una « durata » alle conquiste sindacali, di impedire lo svuotamento sostanziale o il riassorbimento di ciò che si riuscirà a strappare al padronato. Ottenere ciò non è solo un problema sindacale, ma è un problema politico, che chiama in causa anche il nostro partito. Dobbiamo noi, i comunisti, evitare che sia male affrontato, non risolto questo problema per non deludere le masse, perchè esso non divenga materia di recriminazione, di malcontento e offra così un terreno favorevole alla polemica estremista. Al momento opportuno, dobbiamo sì valorizzare le conquiste ottenute ma, in pari tempo, denunciare subito il pericolo di un loro riassorbimento, sia all’interno della fabbrica sia ad opera dei meccanismi di reazione economica del sistema. Di più: si tratta di muoverci perchè questo svuotamento non avvenga e, anzi, si abbia una avanzata generale della classe operaia, delle sue condizioni economiche, della sua posizione sociale e civile, del suo peso politico, del suo potere nella società.
Il grande obiettivo che sta dunque dinanzi a noi è ottenere un reale spostamento dei rapporti di forza tra le classi in tutti i campi e di spingere a un mutamento positivo tutto il quadro politico.
Si tratta di un obiettivo non facile. E qui sta una delle differenze tra l’« autunno italiano » e il « maggio francese »: in Francia il grande movimento di lotta sfociò in una serie di conquiste sidacali importanti; ma esse furono in parte riassorbite dal dispiegarsi dei meccanismi economici del sistema, anche perchè non ci fu una avanzata delle posizioni della classe operaia in altri campi. Ecco perchè da noi hanno acquistato una grande rilevanza, da un lato, la questione della contrattazione articolata e della lotta integrativa e, dall’altro, la questione della lotta per quelle riforme sociali che trasformino l’assetto delle città, l’ordinamento sanitario, le strutture scolastiche, le condizioni delle campagne e del Mezzogiorno.
Contrattazione articolata, riforme, rafforzamento, anche in forme nuove, dell’organizzazione operaia, iniziativa politica devono convergere per fornire alla classe operaia gli strumenti per far fronte alla reazione « di rigetto » che il padronato e il governo cercheranno di mettere in movimento nella fabbrica e nel sistema per annullare le conquiste che i lavoratori stanno ottenendo e possono ottenere con la lotta contrattuale.
Dobbiamo tener presente, a questo punto, che l’acquisizione della consapevolezza che è necessario estendere la lotta operaia anche fuori della fabbrica, saldando il movimento rivendicativo sindacale con una più generale battaglia politica per le riforme sociali, non può avvenire in modo spontaneo e non può nascere soltanto da una riflessione sulla condizione operaia all’interno del processo produttivo. Questa coscienza si acquista allargando lo sguardo a una visione generale dei problemi sociali del paese, sulla base di un giudizio necessariamente politico su come è ora organizzata tutta la nostra società nazionale e sui rapporti esistenti in Italia tra la struttura economica e la sovrastruttura politica. '
A questo proposito si è fatto riferimento alla presenza, in certi settori del movimento operaio, oltre che di tendenze corporative, anche di tendenze pansindacaliste, le quali mirano a far assolvere al sindacato praticamente anche le funzioni che sono proprie del movimento politico proletario, negando il ruolo dei partiti.
Bisogna fare attenzione a questa tendenza, anche perchè, nella misura in cui essa si diffonde nella classe operaia, costituisce l’elemento rivelatore della esistenza di punti deboli nella nostra azione politica generale, sottolinea che una serie di nostre risposte sul terreno dell’azione e anche sul piano della propaganda, del dibattito politico, della prospettiva ideale sono inadeguate.
Non possiamo pensare, però, di risolvere tale problema puntando a una riduzione del ruolo dei sindacati. Tutto ciò che spinge il sindacato a battersi non soltanto per le rivendicazioni immediate, quelle che scaturiscono dalla necessità di migliorare la condizione della classe operaia in fabbrica, ma anche per quegli obbiettivi sentiti dai lavoratori, che lo portano a intervenire nella lotta per le grandi riforme sociali, è positivo, è utile, è necessario.
Ciò offre anche una base più solida e apre uno spazio più ampio per lo sviluppo della specifica iniziativa politica del partito. Si tratta piuttosto di combattere contro ogni tendenza a negare la insostituibile funzione dei partiti e, in particolare, del nostro partito.
La lotta contro il pansindacalismo può essere oggi condotta in modo molto positivo, concreto e convincente. Faccio un esempio. Il compagno Aglione ci ha detto che la situazione nella sua fabbrica cominciò a cambiare dopo il 19 maggio 1968 perchè gli operai sentirono che quella vittoria elettorale aveva creato le condizioni per uno sviluppo offensivo della lotta operaia. Un altro esempio è fornito dalla questione delle pensioni. Questa esperienza ha dimostrato che sul piano sindacale si possono raggiungere certi risultati, ma che per andare più avanti è necessaria una battaglia politica generale e sono necessarie, e possibili, conquiste anche sul terreno della legislazione. Le stesse considerazioni possiamo fare per le altre grandi questioni che sono sul tappeto: lo statuto dei diritti dei lavoratori, la modifica della imposta di Ricchezza mobile sui salari e, più in generale, la riforma fiscale, la questione delle 40 ore, che vogliamo sia risolta con una legge che ci accingiamo a proporre, la questione della riforma mutualistica e sanitaria; le questioni della casa e altre ancora.
Non si arriverà a uno sbocco positivo se alle lotte sindacali non si accompagneranno una iniziativa e una lotta politiche. Potremmo citare ancora le iniziative degli enti locali a favore della lotta operaia a Venezia, a Torino, a Bologna, a Milano per dimostrare quanti argomenti concreti si possono opporre vittoriosamente a certe tendenze spontaneiste, pansindacaliste. Infine, anche su una questione come quella della casa, che pure ha impegnato i tre sindacati in un grandioso sciopero generale, vi è da compiere un grosso lavoro di conquista delle masse e dell’opinione pubblica, sviluppare cioè la nostra iniziativa politica, per indicare con chiarezza gli obiettivi da raggiungere (non soltanto il blocco dei fitti e dei contratti, ma conquiste più di fondo, come una vera politica di edilizia popolare, il riconoscimento del diritto all’abitazione, la riforma urbanistica) per assicurare al movimento la profondità e la tenuta necessarie in una battaglia di lungo respiro e garantire la certezza che le conquiste ottenute per via sindacale non vengano riassorbite.
Ma la questione politica centrale che ci sta dinanzi, quella che ci metterà davvero alla prova è — lo accennavo all’inizio — come fronteggiare la reazione del sistema alle conquiste contrattuali. Il padronato, siamone certi, non starà fermo. Ma è davvero fatale che la reazione del sistema sia analoga a quella del ’63-’64, quando il padronato riuscì a far pagare alla classe operaia il prezzo delle precedenti conquiste contrattuali? Il capitalismo italiano riuscirà anche oggi, come allora, a usare con vantaggio prima l’arma dell’inflazione poi quella della deflazione, con tutto quello che ne derivò, sul piano economico-sociale e sul piano politico, per i lavoratori? Oppure si può lavorare contro questa prospettiva con efficacia?
Il problema dobbiamo porcelo con forza e di esso dobbiamo parlare francamente anche agli operai. Solo chiarendo questo punto decisivo noi riusciremo a dimostrare il valore essenziale di una lotta politica, oltre che sindacale, per riforme che investono la casa, la scuola, l’assistenza sanitaria, il fisco. Tutte le rivendicazioni che noi avanziamo su questi temi scottanti hanno infatti un punto in comune: tendono a intaccare, introdurre modifiche abbastanza profonde nell’attuale sistema economico, mirano a far prevalere i consumi sociali su quelli individuali e, di conseguenza, a ottenere una direzione diversa dell’insieme della politica economica, con ovvie implicazioni sull’indirizzo del governo, sui rapporti tra le forze politiche, sullo sviluppo della democrazia, nel Paese e nel Parlamento.
Del resto, proprio portando la classe operaia a lottare per le riforme economiche e per i consumi sociali, entriamo in quel terreno che solo ci consente di costruire delle nuove e più ampie alleanze sociali attorno al proletariato, e di dar vita a una nostra iniziativa politica unitaria, che instaura rapporti nuovi e crea dislocazioni nuove nelle forze politiche e tra le forze politiche.
Siamo a un momento davvero cruciale: oggi in Italia esistono le forze per impegnare una battaglia, che non è stata mai impegnata con possibilità così grandi per cambiare certi meccanismi e certe regole che sembrano inalterabili, per introdurre una rottura in una certa logica dello sviluppo del sistema.
Sappiamo che tentativi di reazione antioperaia si svilupperanno nelle fabbriche più in generale, attraverso le leve della politica economica, su tutte le masse popolari.
Non dobbiamo farci cogliere impreparati, ma muoverci sin d’ora per sviluppare un movimento talmente forte, talmente ampio, talmente articolato e democratico da scoraggiare, sconfiggere e superare la reazione del sistema, assicurando la salvaguardia e lo sviluppo delle conquiste contrattuali attraverso le riforme e attraverso l’acquisizione di un maggior peso politico della classe operaia a tutti i livelli della società e della politica nelle istituzioni, sugli indirizzi governativi, sugli schieramenti dei partiti.
Un’ultima cosa, brevemente, sul tema del proselitismo.
E’ evidente che si conquistano gli operai al partito rendendo chiare questa strategia di lotta e questa prospettiva politica. Non vedo chi altro, se non il partito comunista, possa dare una visione degli obiettivi d’insieme che si vogliono raggiungere e inquadrarli in quella che noi chiamiamo la via italiana al socialismo. Il confronto con altre posizioni politiche, con altre ipotesi strategiche non deve essere evitato ma, al contrario, ricercato per trarre tutto il positivo possibile da una discussione sulla nostra strategia e sulle nostre caratteristiche, di partito proletario, nazionale e internazionalista. Questo vale per le posizioni pansindacaliste, come per le tendenze estremiste.
Del resto molti compagni hanno riconosciuto che il confronto con queste posizioni ha fatto maturare la coscienza di classe e ha creato già una larga immunità contro posizioni astratte e avventuristiche. Ma questo vale anche — e non è bene che i compagni qui intervenuti lo abbiano trascurato — nei confronti delle posizioni di destra che pure esistono nella classe operaia, come riflesso della influenza che vi hanno altri partiti politici. Compito dei comunisti è di confrontarsi con tutte queste posizioni e far venire fuori anche da tale confronto una maturazione della coscienza operaia e un consolidamento della loro unità anche sul piano politico.
Sulle questioni organizzative sono d’accordo con Pecchioli. Sono anche d’accordo su ciò che ha detto il compagno Dolo, che ha sottolineato come lo sforzo che dobbiamo fare oggi con grande impegno per portare l’organizzazione del partito in fabbrica e per far vivere il partito nella fabbrica, non debba portare a una svalutazione del ruolo delle sezioni territoriali. Proprio la necessità di sviluppare ampiamente il movimento sul terreno delle riforme e di cercare nuove alleanze con strati popolari, ma non operai, ci porta a intendere meglio la funzione che possono avere le nostre organizzazioni territoriali, che vivono a contatto diretto con le esigenze di tutti gli strati della popolazione, che fanno le spese dello sviluppo distorto e squilibrato dell’attuale sistema. Di questa esigenza politica bisogna assolutamente tener conto.
(1) Per una descrizione di questa lotta vedi: « Pirelli: una vittoria dell’inventiva operaia »
di Aniello Coppola, su Rinascita del 20 dicembre 1968.
(2) La situazione alla SIR è stata esaminata nell’articolo « La petrolchimica accanto ai nuraghi» di Luca Pavolini, su Rinascita del 23 maggio 1969.
(3) Un’ampia informazione sulla Piaggio di Pontedera si trova in «La lotta dei 5.000 operai assegnati in dote ad Agnelli » di Aniello, Coppola, su Rinascita
dell’11 luglio 1969.
 
Area delle relazioni generali
Relazioni Multiple ++


(0)
(0)






in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32759+++
+MAP IN RIQUADRO ANTEPRIMA


Area unica
Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 11 Giorno: 21
Numero 46
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 11 - 21 - numero 46


(0)
(0)










MODULO MEDIAPLAYER: ENTITA' MULTIMEDIALI ED ANALITICI





Modalità in atto filtro S.M.O.G+: CORPUS OGGETTO

visualizza mappa Entità, Analitici e Records di catalogo del corpus selezionato/autorizzato (+MAP)




Interfaccia kSQL

passa a modalità Interfaccia kSQL