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tipologia: Analitici; Id: 1549946


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Tipologia Periodico
Titolo Aniello Coppola, Una sconfitta del PSU [sopratitolo: UIL: il dato più chiaro emerso dal Congresso di Chianciano] [sottotitolo: Alla componente repubblicana è toccato dare organicità alle tesi della destra. LA discriminante tra la concezione moderata e la spinta a un sindacato nuovo si intreccia con le divisioni di partito. Un macchinoso compromesso]
Responsabilità
Aniello Coppola+++
  • Coppola, Aniello
  autore+++    
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Politica italiana [Rinascita]+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
[didascalia p. 7: I falchi (disegno di Chaval sulVExpress di Parigi)]
Con le assise nazionali della UIL, alle Terme di Chianciano, la stagione dei congressi sindacali si è chiusa. Al terzo appuntamento il dialogo tra le confederazioni ha fatto un altro passo avanti. Lo ha notato con soddisfazione Agostino Novella. Il risultato era auspicato e previsto ma tutt’altro che scontato per questa organizzazione che rappresenta, a detta di un suo autorevole leader, « l’anello più debole della linea unitaria ».
Paradossalmente si può osservare come il tema dell’unificazione sindacale fosse l'unico sul quale il congresso, in cui pure sono stati tanti i motivi di scontro, non si dividesse profondamente.
Polemiche anche molto aspre investivano tutto: i contenuti dell’azione sindacale, l’autonomia, il giudizio sulle altre centrali, la valutazione del passato e la ricerca della prospettiva, i nessi tra rivendicazioni contrattuali e riforme, la concezione del sindacato e il suo ruolo nella società. Ma il paradosso era solo apparente giacché sullo sfondo di queste contrapposizioni c’era anche il problema dell’unità: e nel diverso modo di intenderlo si rifletteva la diversità delle componenti e delle linee strategiche che si contrapponevano di fronte a cinquecento delegati, una platea irrequieta, di anzianità media piuttosto alta, con due sole donne.
Il fatto che il tema dell’unità sia stato il minimo comun denominatore di quasi tutti gli interventi ha un rilevante senso politico. Dopo la scissione socialdemocratica, e nel momento in cui le sue finalità moderate (per non dir peggio) emergono con nitidezza (nei fatti di Pisa come nelle polemiche al vertice del centro-sinistra), è importante che l'operazione Ferri-Tanassi non sia riuscita a trovare il suo corrispettivo immediato sul piano sindacale.
Si discute ancora su chi ha vinto il congresso, ma non c’è alcun dubbio su chi lo ha perduto: la componente socialdemocratica è la vera sconfitta delle giornate di Chianciano. I 75 membri del nuovo Comitato centrale sono suddivisi così: 37 fanno capo al PSI (che ha avuto il 49 per cento dei voti), 20 al PRI (27 per cento) e 18 soli al PSU (24 per cento). I socialdemocratici, dunque, non sono riusciti a ottenere neanche la metà dei seggi conseguiti dai socialisti e sono rimasti sotto ai repubblicani.
La sconfitta, prima ancora che numerica, è politica. Sin dall’inizio l’ala socialdemocratica deve aver avvertito che l’enunciazione delle sue posizioni reali l’avrebbe tagliata fuori dal giuoco congressuale. Ha cercato quindi di conquistarsi uno spazio attaccando le tesi altrui più che esponendo le proprie, parlando cioè più per negazioni che per affermazioni. Si è arroccata insomma su una linea arretrata, ma comunque qualificata a destra, per le acidità contro la contestazione, per la richiesta di « garanzie » contro « unificazioni troppo affrettate », per la polemica contro la sinistra della CISL. Dal discorso del suo leader, quel Bruno Corti che è poi il responsabile del lavoro di massa del PSU, è emersa la visione di un sindacato che con saggia moderazione sollecita il superamento degli squilibri più acuti muovendo dalla premessa che l’equilibrio sociale complessivo è precostituito e non può essere posto in discussione dalle fondamenta: un sindacato, insomma, fatto più per chiedere concessioni (perfino la cogestione delle imprese, che pure è finita tra i ferri vecchi di altre socialdemocrazie) che per conquistare poteri, un sindacato cinghia di trasmissione delle ideologie e delle opzioni politiche democratico-borghesi.
Quando poi la discussione è entrata nel vivo, la componente radicata nel PSU è praticamente scomparsa dalla tribuna. E non perché le sue batterie avessero esaurito i colpi, quanto per la convinzione, non del tutto erronea, che una certa discrezione al momento della stretta avrebbe potuto giovarle nella ripartizione degli incarichi negli organismi dirigenti. Si è così assistito al singolare spettacolo di una social-democrazia la quale aveva assoluto bisogno di recuperare posizioni di dominio nel sindacato tradizionalmente socialdemocratico ma si trovava nella necessità di dover delegare ad altri, e cioè all’ala di orientamento repubblicano, la rappresentanza e la mediazione delle proprie tesi.
E’ toccato così ai repubblicani dare organicità e anche dignità alle posizioni della componente moderata della UIL, sfrondandole dai risentimenti e dai personalismi fomentati dalla scissione del PSI, ma adottando un tono pedagogico di chiara origine lamalfiana. Lo stesso tono, per intenderci, col quale il segretario del PRI pretende che le forze della sinistra italiana siano tutte e pienamente disponibili per le operazioni di ammodernamento e di razionalizzazione di cui ha bisogno un settore determinante del capitalismo italiano.
L'indubbia abilità di cui gli oratori repubblicani, e in particolare Raffaele Vanni, hanno dato prova nel corso della discussione non è riuscita tuttavia a compensare l'intima contraddittorietà delle loro posizioni. Lo sforzo di elaborare una piattaforma teorica e politica per un sindacato efficientistico, capace di farsi carico delle esigenze essenziali del sistema si scontrava, da un lato, con la sostanziale rozzezza della zona più vecchia della UIL, (con tutti i suoi deteriori problemi personali e « di bottega ») e, dall’altro, con l’ala rinnovatrice che, almeno nella sua parte migliore, è apparsa più preoccupata di collegarsi e di dare una risposta alla spinta operaia che di esaurirsi nei problemi di potere e di gestione interni all’organizzazione.
Forse lo handicap più serio la corrente repubblicana l’ha trovato nella scarsa credibilità oggettiva del suo discorso sul ruolo stesso del sindacato, visto come mosca cocchiera della programmazione capitalistica e quindi chiamato a riempire il vuoto lasciato dalle esperienze fallimentari del centro-sinistra e dal rifiuto dei partiti politici di recitare la parte loro assegnata nei disegni lamalfiani. Bastava un po’ di spirito critico per comprendere che questa prospettiva o era una fuga in avanti per compensare sul terreno sindacale le frustrazioni di certi teorici del riformismo neocapitalistico, oppure era una mistificazione.
In realtà, la vera dialettica che ha animato il congresso nasceva dalla contrapposizione tra questo gruppo, che aveva assorbito ed egemonizzato le proposizioni della socialdemocrazia, e quello di estrazione socialista. Se comunque di mediazione si vuole parlare non è certo per l’inesistente equidistanza dei repubblicani dai socialisti e dai socialdemocratici ma per la situazione creata dalle differenze tra gli uomini e i gruppi militanti nel PSI, in un arco che va dal nenniano Polotti, ai manciniani Viglianesi, Simoncini e Benevento, ai demartiniani Ravenna e Rufino, fino a Giorgio Benvenuto, esponente d'avanguardia dei metalmeccanici.
La varietà delle posizioni espresse dai socialisti è tale da far apparire non soltanto strumentale ma addirittura artificioso il tentativo di attribuire ai militanti del PSI in quanto tali il merito delle posizioni più avanzate. E’ vero che la differenziazione tra questo gruppo e quelli di origine socialdemocratica e repubblicana è netta. Ed è altrettanto vero che la discriminante principale nella UIL passa attraverso ben precisi confini di partito. Tuttavia una eccessiva insistenza su questo punto può dar luogo a qualche equivoco. In primo luogo perché c’è il rischio di vedersi riproporre dalla finestra quella sciagurata tematica del « sindacato » socialista che ad iniziativa dei socialisti stessi è stata opportunamente cacciata dalla porta delle confederazioni. In secondo luogo perché su questo terreno non si vede come si possa conciliare a lungo l'insistenza sulla importanza della matrice socialista operante nella UIL con la presenza del grosso delle forze socialiste all’interno della CGIL e di qualche gruppo di militanti all’interno della CISL.
Per quanto il congresso della UIL sia stato quello in cui erano più trasparenti ed esplicite le matrici partitiche delle sue tre componenti, questo condizionamento, preoccupante e grave per tanti versi, ha anche un risvolto positivo. Esso sta a testimoniare, al di là di certe accortezze diplomatiche, che il processo unitario non può svilupparsi nell’indifferenza o nella neutralità dei partiti che pure hanno impresso una così marcata caratterizzazione, ideologica oltre che politica, ai vari filoni del sindacalismo italiano.
Il fatto negativo non sta tanto nell’origine socialdemocratica o repubblicana di certe posizioni esposte a Chianciano quando nella loro natura moderata. (L’organo del PSU ha attaccato apertamente la strategia contrattuale della UIL). E, per converso, i moderati non menano certo scandalo perché certe posizioni avanzate provengono dal PSI, quanto per il carattere stesso di tali posizioni.
Ciò è tanto vero che, al di là di certe apparenze, ogni discorso ha finito inevitabilmente per collocarsi e per essere interpretato sulla base di quella discriminante che in modo assai netto era emersa al congresso della CISL e che vede da una parte i fautori della moderazione e delle negoziazioni diplomatiche tra le componenti sindacali e dall’altra i promotori di un sindacato davvero nuovo: per la sua reale autonomia, per la sua sotanziale democraticità, per la sua capacità di assicurare una rappresentanza e una presenza attive alle forze che sono venute crescendo al di là delle vecchie divisioni e dei condizionamenti degli anni cinquanta e sessanta. E’ in questa ottica (e non solo in quella rigidamente partitica) che si possono definire avanzati i discorsi (parliamo soprattutto di Ravenna e di Giorgio Benvenuto) che hanno prospettato un sindacato non paternalistico ma profondamente democratico e una strategia sindacale mirante a mettere in discussione gli equilibri del sistema, la compatibilità delle rivendicazioni contrattuali con le scale di valori e gli ordini di priorità che si sono andati consolidando in questi anni e contro i quali si rivolge la più grande ondata di lotte di questo dopoguerra. Può essere considerato emblematico che Ravenna abbia fatto risalire allo sciopero per le pensioni, imposto dalla base contro le scelte fatte dal centro, l’inizio della svolta per la UIL: svolta che ha investito sia la sua politica sindacale che il suo rapporto con le masse.
Non è un caso che il moderato Vanni abbia polemizzato non soltanto contro l’ala avanzata della UIL ma anche contro Camiti e Vittorio Foa. Né è privo di significato che il segretario della CISL, Bruno Storti, dopo avere invitato tutta la UIL a unirsi per arrivare senza divisioni all’unità, abbia poi lanciato velenose frecciate contro quella cospicua minoranza della sua propria confederazione che ha una visione del processo unitario meno diplomatizzante e meno idillico di quella della maggioranza.
La peculiarità del congresso della UIL sta, tra l’altro, nel fatto che tra i due schieramenti contrapposti si è arrivati, alla fine, a un modus vivendi un po' macchinoso nell’assetto degli organismi dirigenti. Si sono risolte solo formalmente le profonde divisioni interne ma si sono evitate le lacerazioni che permangono invece nella CISL.
Al vertice dell’organizzazione, nella influente posizione di presidente del Comitato centrale e del Direttivo rimane Italo Viglianesi, che lascia la segreteria generale occupata dalla fondazione della UIL e resta parlamentare nonostante il congresso abbia scelto per le incompatibilità. La segreteria sarà collegiale: probabilmente ne faranno parte Ravenna per il PSI, Vanni per il PRI e Ravecca per il PSU.
E’ stato deciso che occorre una maggioranza qualificata per le decisioni del Comitato centrale, salvo quelle riguardanti le scelte di linea sindacale. In tal modo nessuna delle tre componenti della UIL potrà controllare da sola l’organizzazione e le due più deboli (PRI e PSU) non potranno far blocco contro l’ala socialista.
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32757+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 11 Giorno: 7
Numero 44
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 11 - 7 - numero 44


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