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tipologia: Analitici; Id: 1549945


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Marcella Ferrara, Il partito in fabbrica [sopratitolo: Parlano i dirigenti del PCI di Sesto San Giovanni e delle sezioni milanesi dell'Alfa Romeo e della Pirelli]
Responsabilità
Marcella Ferrara+++
  • Ferrara, Marcella ; ente ; ente
  autore+++    
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Politica italiana [Rinascita]+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
[didascalia p. 5: Il Portello, giornale della sezione comunista Pirelli, e La Fabbrica, giornale della sezione comunista Alfa Romeo]
[didascalia p. 6: I colloqui di Parigi (disegno di Blazic)]
[riquadro p. 6]
Poverino -
«Il governatore della Banca d'Italia è rimasto solo con i gravi problemi che lo tormentano » (da un editoriale della Voce Repubblicana).
Respiriamo
«Nessuno vuole la dittatura di Gui­ do Carli » (da un editoriale della Voce Repubblicana).
[corsivetto]
Milano, novembre. — Incontrare, all’una di notte, un corteo di giovani, un corteo con tante bandiere rosse, che avanza scandendo le parole d'ordine con cui in tutto il mondo si chiede la fine della guerra contro il Vietnam, sembra normale, qui a Milano.
Oppure, il grido « balorda » che rimbalza di bocca in bocca fino a diventare un coro: sono gli operai e gli impiegati della Siemens in sciopero che gridano il loro disprezzo alla segretaria di un dirigente che va a lavorare. O anche vedere l’Università statale o il Politecnico invasi da migliaia di operai che vanno a discutere con gli studenti: la polemica è serrata. Sono gli operai ad attaccare: « Perché siete così pochi? Noi perdiamo due ore di lavoro per venire a parlare con voi. Lo sapete perché lottiamo? Bene, vogliamo batterci a modo nostro. Voi ci potete aiutare, ma certo non potete pensare di egemonizzarci. Lottiamo anche per voi, andiamo avanti insieme ». E le risposte degli studenti: « Il problema non è cercare una unità retorica: la realtà è che al Politecnico ci sono solo due figli di operai. Il problema è l’alleanza politica tra due movimenti che sono diversi ».
E ancora cortei per tutta la città, di tutte le categorie di lavoratori in sciopero. Sono mezzo milione. Una grande compattezza e una notevole combattività. Certo siamo a una stretta: lo scontro è più ravvicinato su tutti i temi che sono al centro delle lotte, dal rinnovo dei contratti alle lotte per le riforme e per gli obiettivi intermedi.
E nuove categorie sono scese in agitazione: i bancari, che hanno realizzato uno sciopero fra i più massicci, i lavoratori dei servizi pubblici. Non c’è famiglia, a Milano, che non sia interessata direttamente alla lotta: o perché uno dei suoi membri appartiene a una delle categorie in agitazione, o perché viene ad ogni modo coinvolta dalla più generale battaglia per le riforme, la casa, le tasse, l’assistenza sanitaria, e via dicendo. E poi i figli studenti, i contestatori di ieri che cercano di ricucire le fila di un discorso che conserva tutta intiera la sua validità.
Una cosa è chiara: gli operai devono vincere e devono vincere rapidamente. L’ampio ventaglio delle loro rivendicazioni aderisce perfettamente alla realtà della loro condizione: i padroni devono cedere, devono pagare.
La lotta continuerà finché i padroni non si renderanno conto di essere sconfitti nonostante la repressione poliziesca, nonostante la maggiore durezza con cui l’Intersind ha condotto le trattative nell’ultima settimana, nonostante le restrizioni creditizie con cui si cerca di portare i piccoli imprenditori nel carro dei grandi, nonostante le nuove linee di politica economica destinate a colpire ancora una volta chi lavora.
Si sono già ottenuti alcuni successi, per alcune categorie, e poi nelle fabbriche ci sono già le assemblee, sono nati i comitati di reparto. Sono prime, parziali conquiste. Anche le forze politiche si muovono, spinte dalla forza delle cose: si incontrano, cercano e accettano il contatto con il partito comunista; si prendono iniziative comuni, il linguaggio politico diventa più serrato, l’attacco ai padroni e al governo più preciso.
Siamo a una nuova fase della lotta, la più dura. Qual è, in questo quadro, il ruolo del partito? Come si muove?
Quali sono i suoi obiettivi? Qual è il rapporto fra il partito e le lotte? Su questi temi abbiamo intervistato tre compagni, qui a Milano: Piero Fantini, segretario della sezione comunista « Angelo Fiocchi », quella dell’Alfa Romeo; Valentino Mejetta, segretario del Comitato cittadino del PCI di Sesto San Giovanni; Marco Baccalini, segretario della sezione « Temolo », la sezione della Pirelli, e membro del CC. Ecco il testo delle loro risposte.
[tondo]
Valentino Mejetta segretario del Comitato cittadino del PCI di Sesto San Giovanni
Il ruolo del partito è prima di tutto raffermazione della sua linea: il progresso unitario delle lotte e anche la autonomia sindacale sono una conferma della giusta linea che il partito si è dato al XII Congresso. Certo, a Sesto San Giovanni tutto questo non è ancora chiaro a tutti: nelle discussioni con i compagni, nei dibattiti nelle sezioni, si avverte che non è ancora sentita e valutata in tutta la sua importanza la linea che il partito ha difeso all’interno della fabbrica.
Molto si discute sul modo di condurre le lotte. Sulla questione dei blocchi stradali, ad esempio: a Sesto ce ne sono stati, bastavano 4 o 5 operai a bloccare tutta la città. Abbiamo fatto riunioni su riunioni, abbiamo discusso con i compagni e siamo riusciti a convincerli che non era quello il mezzo di lotta più incisivo. Ci siamo battuti anche contro alcune azioni estremistiche attuate da un gruppo di studenti ai danni degli esercenti di Sesto, i quali, nella loro maggioranza, danno il loro appoggio alla lotta degli operai.
Quando gli operai conducono una lotta lunga e dura come quella ora in corso, hanno bisogno non tanto di un aiuto materiale, ma della solidarietà di tutta la popolazione, dell'impegno di tutta la città. L'operaio che torna a casa con lo stipendio dimezzato deve avere l'appoggio della sua famiglia; e perchè vi sia comprensione e appoggio alla sua lotta, occorre la presenza continua del partito, per spiegare, per convincere, per dare la certezza nella vittoria. Questo è il sostegno morale e politico che il partito deve dare, e questa funzione diventa essenziale ora che la stretta si fa più dura. Gli operai vogliono « arrivare presto », si vede lo sciopero generale come il momento finale di una battaglia, e sulle difficoltà dei lavoratori fanno leva taluni gruppi che puntano soltanto sulla esasperazione delle forme di lotta: con questi gruppi abbiamo spesso polemiche e discussioni interminabili davanti alle fabbriche.
Nelle riunioni, la discussione sul ruolo del partito è sempre al centro. Il sindacato si batte anche per i problemi di riforma, oltre che per il rinnovo dei contratti, dicono alcuni compagni. Che deve fare allora il partito per dare uno sbocco politico alle lotte?
Deve battersi per giungere a un rafforzamento dell'unità politica, per far compiere un salto qualitativo, dalla coscienza sociale alla coscienza politica, per creare uno schieramento politico che possa portare a un governo orientato a sinistra. E' il partito che deve elevare nei lavoratori la coscienza politica della necessità di una trasformazione di tutta la società. Sappiamo che l'obiettivo immediato di oggi non può essere il socialismo, ma una battaglia che tenda a riforme di fondo le quali trasformino la società e costituiscano obiettivamente un passo avanti verso il socialismo.
Siamo riusciti a Sesto a creare una maggiore coscienza dell'importanza dell'organizzazione del partito nella fabbrica. « Preferisco non entrare adesso a far parte della Commissione interna, perchè desidero dare tutta la mia attività come membro del Comitato direttivo di una delle cellule del partito in fabbrica »: è una posizione che abbiamo sentito esprimere da giovani compagni che avvertono tutta l'importanza, in questo momento, di costruire e rafforzare l'organizzazione politica comunista all’interno della fabbrica.
La presenza organizzata del partito nella direzione delle lotte e nel modo di condurle chiarisce la nostra funzione, il nostro ruolo per un cambiamento della società e fa quindi vedere la milizia organizzata nel partito come un mezzo per assolvere questo compito. Abbiamo alla Breda, nel corso delle lotte, decine di reclutati al PCI, lo stesso alla Falck, per lo più tra i giovani operai. La cellula del reparto termo-meccanica alla Breda è già al 100 per cento più 13 reclutati.
Nelle assemblee di fabbrica si discute anche degli aspetti politici della situazione. Alla Magneti Marelli si sono tenute cinque assemblee di reparto all’indomani dei fatti di Pisa: al termine delle discussioni è stata presa una chiara posizione di condanna contro le responsabilità della polizia e del governo, e anche contro alcune forme di estremismo che si sono manifestate.
La nostra presenza nelle assemblee fa andare avanti un discorso non solo sindacale, ma anche politico, un’analisi più profonda della realtà del paese. Quando uno di noi interviene, interviene come operaio comunista, perchè come tale è conosciuto da tutti. E comincia ad affermarsi tra i lavoratori la necessità della presenza in fabbrica dei dirigenti politici, per discutere con loro i temi di fondo dell’avvenire della fabbrica e di tutta la società.
Piero Fantini segretario della sezione del PCI « Angelo Fiocchi » (Alfa Romeo)
La prima cosa da sottolineare è che noi comunisti siamo militanti di un partito che è alla testa delle lotte, un partito che si è dato una linea politica e degli obiettivi che vengono prima discussi e poi realizzati, non con slogans roboanti, ma facendo muovere le masse. La strada per arrivare al socialismo passa attraverso la mobilitazione delle masse per obiettivi reali che la classe operaia si dà sulla base delle sue esperienze di vita e di lavoro. E non si tratta solo di battersi per un salario più alto, ma anche perchè la personalità dell’operaio abbia un maggiore peso nella fabbrica e fuori. Il « soggetto operaio » è quello che determina l’evoluzione di tutta la società.
Abbiamo già realizzato come partito un primo obiettivo, non solo mettendo in movimento le masse dei lavoratori su una serie di problemi loro, ma aiutandoli a rafforzare i loro strumenti. Abbiamo contribuito alla formazione della coscienza sindacale e quindi all’organizzazione stessa del sindacato (all’Alfa Romeo siamo arrivati a oltre il 90 per cento degli iscritti al sindacato nel giro degli ultimi tre-quattro mesi). Per ottenere questo risultato abbiamo sempre insistito, come partito, sull’importanza delle grandi lotte rivendicative dirette dai sindacati, e abbiamo insistito al tempo stesso sulla creazione di comitati unitari di lavoratori che esprimessero liberamente in fabbrica le loro opinioni, anche quando queste erano in contrasto con quelle del sindacato o del partito.
Forse abbiamo posto la questione dei comitati unitari troppo presto. Ma ora che la coscienza sindacale è maturata, i comitati di reparto si sono imposti come espressione della volontà dei lavoratori di avere uno strumento democratico per far valere le proprie opinioni. Certo, non tutte le opinioni sono giuste, ma devono essere egualmente valutate come un contributo importante dalle organizzazioni sindacali e dal partito, perchè alla base di esse c’è sempre una esigenza di cui bisogna tenere conto.
Questo discorso lo facciamo come partito. C’è all’interno delle fabbriche una determinata situazione politica, dovuta al fatto che evidentemente non tutti i lavoratori sono iscritti a questo o a quel partito, e non tutti sono politicamente orientati. Portando gli operai alla lotta, dobbiamo riuscire a far capire con chiarezza che chi lotta per il salario, la casa, l’assistenza sanitaria, ecc., deve vincere la sua battaglia contro le forze che stanno al potere, che stanno al governo, e che una parte della stessa classe operaia ha contribuito a eleggere. Gli operai e gli impiegati che hanno dato il loro voto ai partiti che sono al governo o che lo appoggiano, devono battersi insieme agli altri perchè le rivendicazioni di tutti vengano accolte.
Bisogna sempre aver presente che la fabbrica non esprime solo un’entità numerica, ma rappresenta esperienze accumulate in differenti zone della città, in differenti paesi, in differenti province. Molti operai vengono ogni giorno da lontano, ognuno vive e opera in una realtà particolare. Non esiste in fabbrica un collettivo omogeneo, ma un gruppo eterogeneo che esprime diverse realtà (la realtà di un piccolo paesino o di una città come Sesto San Giovanni, per esempio) le quali contribuiscono a creare una situazione di carattere anche politico che varia da fabbrica a fabbrica.
Dicono i lavoratori: « Chiusa la battaglia per il rinnovo dei contratti, se non otterremo una più giusta politica per i prezzi e per i fitti, nel giro di quattro mesi saremo daccapo e dovremo riprendere la battaglia per l’aumento dei salari ». Vi è cioè coscienza che non ci si batte solo per aumentare il salario, ma anche per difenderlo: questa è la coscienza politica che noi abbiamo contribuito a creare.
Il compito dei sindacati è di valorizzare il lavoro operaio con una remunerazione sempre più alta. Ma in effetti c’è un meccanismo del sistema che decurta di continuo la paga. La politica delle riforme — dicono i lavoratori — deve andare avanti, se no sarà sempre una rincorsa.
Non ritengo d’altra parte che il sindacato, con le sue sole forze, possa ottenere spostamenti tali che permettano di raggiungere gli obiettivi delle riforme: per fare questo bisogna mettere in movimento forze politiche e creare rapporti di forza che impongano al governo un cambiamento di indirizzo.
In questi ultimi due o tre mesi abbiamo fatto un salto qualitativo: il prestigio del partito nella fabbrica è notevolmente aumentato. Faccio un esempio che può sembrare banale: il nostro giornale di fabbrica, Il Portello, si limitava prima soltanto a denunciare quanto avveniva nei reparti e attaccava i «capi» colpevoli di soprusi. Ma così non combinavamo molto. Ora il giornale è diventato l’organo della sezione del PCI all’interno della fabbrica. Il salto qualitativo è avvenuto con l’ultimo numero, quando ci siamo posti il problema della firma degli articoli. Anche questa è una questione di potere. Come comunista voglio avere il diritto di firmare, di farmi conoscere, sono responsabile di quanto dico e quindi firmo.
Nel giro di dieci anni il partito in fabbrica si è rinnovato al 90 per cento. Il tesseramento del 1968 ha dato più di 100 reclutati, nel 1966 i reclutati erano stati 114, nel 1967 circa 60. C’era un partito vecchio, che conservava una mentalità superata. Una parte di questa vecchia concezione del partito, che non ne vede il ruolo all’interno della fabbrica, che non ne comprende la funzione di partito di massa, che respinge la politica delle alleanze, esiste ancora: ma è ormai minoranza.
Marco Baccalini segretario della sezione del PCI « Temolo » (Pirelli)
E’ un anno e mezzo che siamo in lotta alla Pirelli. In fabbrica vi era una forte divergenza tra i sindacati, e solo il partito poteva sviluppare un discorso politico unitario. Come primo compito, bisognava rafforzare la sezione sindacale con l’apporto di compagni qualificati per contribuire a rompere la crosta di divisione tra i sindacati e per porre con chiarezza in primo piano i problemi dello sfruttamento intensivo e della riorganizzazione della fabbrica mediante la quale il padrone tendeva a dividere e svirilizzare i lavoratori.
Il sindacato in questo anno e mezzo ha lavorato bene, partendo dalla esigenza della formazione dell’unità dal basso. Il partito nel frattempo operava perché al di fuori dei cancelli vi fossero incontri e assemblee per far « montare » una lotta che si è poi sviluppata molto positivamente. Le decisioni venivano prese dai comitati di reparto: solo con una maggioranza di più dell’80 per cento tra i lavoratori del reparto si decideva di scioperare.
Se questo è « spontaneismo », dobbiamo dire che era bene organizzato.
Il partito si è battuto per far crescere i momenti di democrazia e i momenti di unità. Nel giro di 4 mesi, 140 mila pezzi di propaganda sono stati lanciati in fabbrica, e otto numeri del giornale La fabbrica, sono stati scritti e diffusi dai compagni della sezione. Nello stesso periodo il partito ha tenuto 22 riunioni di reparto per analizzare tutti gli elementi della condizione operaia, dalla salute ai ritmi: le riunioni si tenevano in sezione e la partecipazione era aperta a tutti.
E’ stato quello il momento in cui una larga parte dei lavoratori ha preso coscienza del modo inumano in cui era costretta a lavorare.
Quando la lotta era già in pieno sviluppo, quando ormai il problema dell’unità era presente in tutte le coscienze, lo sforzo è stato diretto verso i problemi della democrazia, in particolare per far avanzare la rivendicazione dell’assemblea in fabbrica, che è stata conquistata. All’inizio di quest’anno le assemblee si tenevano ogni due o tre giorni, ma vi erano ancora troppe debolezze. Non c’era una partecipazione veramente democratica, si sviliva l’assemblea stessa, parlavano soltanto i soliti quattro o cinque, si faceva confusione, gli altri erano troppo timidi per prendere la parola, non riuscivano a esprimersi. Bisognava d’altra parte continuare a ricercare forme nuove, anche per non dare spazio a gruppi che erano soltanto esterni, con scarsi legami reali allo interno della fabbrica.
Abbiamo fatto una grossa campagna in primavera, dalle assemblee del sindacato a quelle di fabbrica a quelle di partito, per convincere tutti della necessità di avere i delegati di reparto eletti direttamente dagli operai; e di costituire comitati unitari che dovevano interessarsi di tutti i problemi dei lavoratori, non solo di quelli sindacali. Vi sono state così prese di posizione dei comitati di reparto contro i fascisti, inchieste sui problemi dei trasporti, della casa, del tempo libero.
Il partito alla Pirelli, raggiunti i due obiettivi di fondo, democrazia e unità, si è posto il problema di come allargare il fronte della lotta sul terreno politico. Abbiamo iniziato un’attività che continua ancora in questi giorni: una serie di riunioni con i compagni e i lavoratori della Pirelli sui luoghi di abitazione; partecipazione ai dibattiti organizzati dal partito nei circoli culturali a Firenze, Livorno, Torino; si è cominciato a diffondere il nostro giornale La fabbrica anche nei complessi metallurgici. Per quanto riguarda gli altri partiti, abbiamo preso contatto col vecchio nucleo socialista della fabbrica che era paralizzato prima della scissione: dopo la scissione si è dato l’avvio a un nuovo confronto di idee con il PSI, abbiamo invitato i compagni del PSIUP, abbiamo preso contatti con la DC che opera nella zona pur non essendo presente in fabbrica in modo organizzato. Abbiamo preso posizione, il PSI, la DC e noi, agli inizi di ottobre, con un comunicato alla popolazione e ai lavoratori, in cui si denunciano le responsabilità di Pirelli.
Ma già da otto mesi il partito aveva dato il via a una serie di dibattiti pubblici a diverse voci organizzati non dai partiti in quanto tali, ma da esponenti dei partiti, sui temi della riforma tributaria, sulle pensioni, sul part-time. Nella scorsa settimana, in un incontro fra le segreterie dei partiti, si è deciso di passare dalle forme di solidarietà a forme più concrete di lotta, mobilitando tutti i lavoratori e gli organismi dirigenti per premere sul governo affinché sia salvaguardato il salario con l’equo canone dell’affitto, con la riforma urbanistica, con la riforma tributaria e con una battaglia per imporre lo statuto dei diritti dei lavoratori.
Dalla base ci viene chiesto di prendere altre iniziative: una riunione su salari, prezzi e profitti, un dibattito sul partito. Questo ci è stato chiesto soprattutto dai giovani nuovi iscritti, i quali hanno già creato un comitato che si propone di far diventare la sezione un centro più vivo di vita politica.
Avevamo un partito vecchio, come era rivelato dall’età media degli iscritti: 48 anni, il che era dovuto anche al fatto che per 13 anni non c’era stata nessuna assunzione alla Pirelli. Lo stesso comitato di sezione era vecchio.
Ora l’età media è scesa da 48 a 35 anni, perché negli ultimi tre-quattro anni il partito si era rinnovato con 300 nuovi iscritti, che però non bastavano ancora a coprire l’emorragia naturale. Solo nello scorso anno, ad esempio, 122 iscritti operai Pirelli sono andati in pensione. Questo non ci ha impedito però di raggiungere nel corso del 1969 il 100 per cento degli iscritti, che sono attualmente 700 alla Pirelli, con una chiara inversione della tendenza degli anni passati.
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32757+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 11 Giorno: 7
Numero 44
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 11 - 7 - numero 44


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