Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: Le lotte operaie stanno giungendo a un punto cruciale. Le rivendicazioni, elaborate nella primavera e nell’estate attraverso una profonda discussione di base, si sono incarnate, a settembre e a ottobre, in potenti movimenti di sciopero e manifestazioni, che hanno investito le fabbriche e stanno dando luogo alla costruzione unitaria di una nuova, originale rete di presenza operaia. Il grande padronato o beve e accetta il mutamento dei rapporti di forza che le lotte contrattuali richiedono (perché di questo si tratta) oppure dovrà fronteggiare il prevedibile inasprimento della lotta, che i sindacati decideranno. E’ a questo punto che spunta la provocazione: come sempre. Le serrate. I tentativi infami e preordinati di repressione persino nelle aziende di Stato. Le squadracce fasciste come a Pisa, a Latina, altrove. Gli arresti di dirigenti del movimento studentesco (vedi il caso Franco Russo a Roma). I manganelli o le bombe lacrimogene della polizia; e già dobbiamo registrare il prezzo amaro di una giovane vita stroncata a Pisa. Assolutamente grottesco è il tentativo del governo di lavarsene le mani come Ponzio Pilato. Quando il governo, come ha fatto in questi mesi, favorisce la testarda, inaccettabile intransigenza del grande padronato sfruttatore, che in questi anni ha prosperato sull’intensificazione dello sfruttamento e su laceranti distorsioni della società nazionale — quando il governo prende questo atteggiamento, esso, lo dica o no, lo voglia o no, mette in movimento, scatena le tossine della provocazione antidemocratica e antioperaia, che purtroppo vivono, latenti o palesi, nel corpo del paese. Non c’è bisogno di un piano scritto sulla carta. Basta che la Confindustria cominci a dichiarare — come ha fatto — in pericolo lo « Stato ». Basta che i giornali borghesi e governativi intraprendano la campagna sull’ordine insidiato. Basta l’« esempio » delle serrate tentate o minacciate. Basta questo perché le centrali reazionarie, e i gruppi fascisti o fascisteggianti, e determinati apparati statali o parastatali che non sopportano « la democrazia », avvertano il richiamo della foresta, si risentano in giuoco, si mettano in movimento. Non c’è sempre bisogno di ordini precisi. Alcune volte ci sono anche questi. Che cosa vuole il grande padronato, attivando la provocazione, chiamando a soccorso le forze di repressione? Non vuole soltanto intimidire con il bastone, con la repressione. Ha uno scopo politico. Vuole indebolire e rompere lo schieramento operaio: distogliendo dagli obiettivi concreti, precisi e ravvicinati che i movimenti di lotta, nella loro articolazione, si sono dati; spingendo a forme di combattimento che isolino la classe operaia dai suoi alleati attuali o potenziali, e separino le avanguardie più combattive dalle grandi masse; mistificando i contenuti reali della battaglia operaia dietro false divisioni sull’« ordine », sulla « legalità », sulla « economia nazionale » e via via. Attraverso queste diversioni e mistificazioni, il grande padronato guarda anche al di là della fabbrica: mira a impedire l’allargamento reale della lotta, che si compia su concrete iniziative di riforma strutturale (concrete, cioè capaci di esprimersi in movimenti di massa organizzati, che siano in grado di colpire i gruppi conservatori, di imporre i mutamenti). Vuole insomma impedire il formarsi di reali convergenze politiche che diano sbocco alle rivendicazioni operaie anche fuori della fabbrica, a livello dello Stato; vuole ricostruire un suo schieramento di blocco d’ordine, che oggi ancora non ha, data la crisi che scuote i partiti e la vecchia coalizione di centro-sinistra. Perciò la Confindustria si rallegra e si frega le mani di fronte allo scattare della provocazione fascista a Pisa. E spera di mettere le organizzazioni operaie di fronte al dilemma o di abbassare il tiro e di andare a una trattativa a basso livello oppure di finire a una serie di scontri confusi, disperati, senza una linea, che spacchino il movimento di lotta e lo portino a un grave insuccesso. Compito urgente della sinistra italiana è di respingere non solo a parole, ma nei fatti questo dilemma e di battere il disegno politico del grande padronato. Occorre non restringere, ma intensificare e allargare i movimenti di lotta: e questo è possibile solo selezionando e articolando gli obiettivi, ricercando e sviluppando le forme di lotta adeguate per raggiungerli, misurando le forze secondo i tempi necessari per vincere; senza andare al « polverone », al « grido » di un’ora o di un giorno, cioè a uno scontro cieco e generico, dove le forze invece di unificarsi realmente si dividono, e dove si oscurano gli strumenti e i modi capaci effettivamente di battere l’avversario e di cambiare i rapporti di forza. Qui si presenta il problema di posizioni settarie e avventuriste, espresse da gruppi che in fondo hanno rinunciato ad avere una strategia; e infatti si affidano a « gesti », a « inserimenti » esterni e strumentali nella lotta, ai quali essi stessi sanno di non poter dare uno sbocco. In fondo, sono gruppi che non credono a una possibilità di vittoria delle lotte in atto e, nel migliore dei casi, si affidano alla « catarsi » di una sconfitta grave, in cui sia a loro possibile mettere sotto accusa le istituzioni tradizionali della classe. Queste posizioni — non ce lo nascondiamo — sono l’espressione non solo di difficoltà oggettive, ma anche di errori e di ritardi del movimento operaio tradizionale. E tuttavia il danno che da esse può derivare, particolarmente in questo momento e di fronte al piano del padronato, è serio. Il punto essenziale è che la sconfitta e il superamento di tali posizioni deve avvenire in positivo: e cioè la lotta politica, chiara, senza esitazioni, che contro di esse è necessaria, deve mirare alla conquista alla nostra strategia, al recupero del massimo possibile di forze; deve insomma mirare, anche in questo caso, a un allargamento, non a un restringimento della battaglia. Come si vede, il compito di orientamento e di direzione politica che in questo momento si pone al nostro partito e alle forze della sinistra italiana è grande e delicato. Tanto più che tale compito deve realizzarsi attraverso il rispetto dell’articolazione e dell’autonomia degli specifici momenti della lotta; e deve essere adempiuto non solo mediante la necessaria chiarificazione politica, ma nel concreto sostegno alle azioni autonomamente decise dai sindacati, in una precisa campagna politica contro il governo che sostiene il padronato e per una svolta politica generale, e mediante lo sviluppo di precise battaglie di riforma le quali aprano uno spazio politico alle rivendicazioni operaie. Ci appaiono strani dubbi e domande, che pure ci sono, circa il ruolo, oggi, del partito e delle forze politiche della sinistra. Mai come ora la necessità di un disegno politico, di un discorso politico appare essenziale. Mai come ora il ruolo, l’azione, l’iniziativa unitaria della sinistra politica sono chiamati in causa: e proprio partendo dalle lotte operaie. Lo spostamento in avanti di tutta la situazione passa da qui. Qualsiasi discorso sulle modificazioni degli schieramenti politici, che prescinda da questa fase dello scontro in atto, appare fatuo. Ogni ricerca o lavoro per il rinnovamento e lo sviluppo dei partiti operai e più in generale delle forze democratiche può avvenire solo nel fuoco della lotta che è in atto e in rapporto alla posta in giuoco fra grande padronato monopolistico e masse operaie e popolari. Un discorso che sia separato da ciò non sta in piedi: dimostra un distacco dalle masse oppure la tentazione (e in certo senso l’illusione) di una sovrapposizione strumentale alla dinamica reale dei movimenti. In questa luce, appare a noi davvero incomprensibile che si parli di mutamenti positivi di indirizzo nella Democrazia cristiana fuori da una qualificazione sui nodi che emergono dalle lotte popolari. Se tali lotte nei prossimi mesi subissero una sconfitta, non c’è Forlani di questo mondo, per quanto animato possa essere dalle migliori intenzioni (e ancora non si conoscono le intenzioni dell’on. Forlani), che possa, demiurgicamente, sospingere la situazione italiana verso sviluppi democratici e di sinistra. Questa nostra osservazione è assai meno generica e rituale, di quel che può sembrare a prima vista. Guardiamo più da vicino al fatto senza dubbio rilevante avvenuto in questi giorni nella DC: la disgregazione (la dissoluzione, dice qualcuno) del gruppo doroteo che da dieci anni ha detenuto il comando della DC e del governo. Di tale disgregazione vengono date due spiegazioni che a volte convivono insieme e si sovrappongono: si dice, da una parte, che essa è dovuta a lotte intestine di potere; si osserva da altri che essa è in rapporto alle spinte del paese e all’incapacità di una politica che a tale spinta risponda. Tutte e due le spiegazioni appaiono insufficienti e generiche. In realtà non è vero che il gruppo doroteo, nel decennio del suo comando, abbia solo amministrato il potere, senza avere una politica. Esso ha fatto, sia pure trascinatovi per i capelli, una grossa operazione politica: il centro-sinistra. E, deliberatamente, ha impostato l'iniziativa del centro-sinistra come una operazione di integrazione di rilevanti forze operaie, che avvenisse al livello più basso, con poco costo per il sistema, senza danni per il monopolio democristiano, e con l’isolamento e l’emarginazione dei comunisti e dei socialproletari («ottocenteschi», da « mettere fuori giuoco » si diceva), cioè dell’avanguardia operaia più combattiva. E’ questo obiettivo che è stato mancato in pieno dai dorotei: è stato mancato nello scacco subito dalla politica dei redditi e dall’integrazione in essa dei sindacati: è stato mancato dentro la fabbrica, attraverso la messa in crisi delle politiche neocapitalistiche; è stato mancato negli schieramenti politici e nelle assemblee elettive attraverso il grande successo della sinistra operaia nelle elezioni del ’63 e del ’68. Questo è stato vitale non solo per il rapporto con la classe operaia, ma per tutto lo schieramento delle forze sociali. E difatti è stata questa riscossa operaia, questa avanzata delle sinistre, che ha dato una prospettiva ai movimenti che maturano nelle campagne e nel Mezzogiorno e che ancora oggi mantiene aperto uno sbocco al travaglio del movimento studentesco e a una serie di tensioni nei ceti intermedi. Qui è la vera ragione dello sfaldamento e della entrata in crisi del gruppo doroteo. E dunque da ciò deve muovere la risposta. Che senso ha parlare (e illudersi) di un quadripartito di centro-sinistra, che sia « diverso » dal passato e addirittura possa partorire un «bicolore » nuovo, quando esso nascerebbe da una risorta alleanza con un supporto dell’attacco conservatore qual è oggi il PSU? Che significa parlare di « nuovi rapporti tra maggioranza e opposizione », senza pronunciarsi sul grande problema istituzionale che è al fondo delle lotte contrattuali, e che riguarda — come ben sanno i padroni — la sorte e il carattere del sindacato di classe, lo sviluppo o meno di una nuova presenza operaia nell’intimo della produzione? Noi abbiamo detto con grande chiarezza che i nuovi rapporti tra maggioranza e opposizione non possono ridursi nè a un galateo, nè a un generico « tener conto » di ciò che dice e propone l’opposizione. Abbiamo detto che si trattava di costruire un ruolo e un potere riformatore e rinnovatore delle assemblee elettive, e dunque di rompere il predominio di altre centrali di potere, che sono la prima e fondamentale origine della crisi delle assemblee elettive. Perciò i « nuovi rapporti » in Parlamento sono direttamente connessi allo scontro nel paese. Bisogna schierarsi dunque su questo punto nodale, che è l’elemento decisivo per accelerare e far precipitare in senso positivo le crisi aperte nelle forze politiche. Bisogna farlo ora, nel vivo della battaglia. | |
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