Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: [didascalia p. 6: Ruggero Ravenna esprime, nell’attuale segreteria, le posizioni più avanzate] [didascalia p. 6: Raffaele Vanni: come inserire il sindacato nella strategia moderata di La Malfa] [didascalia p. 6: Giorgio Benvenuto, segretario dei me talmeccanici: è il Camiti della UIL] Nei suoi venti anni di esistenza la UIL non ha quasi mai goduto di una buona stampa. Il suo atto di nascita, la sua matrice ideale, la sua collocazione politica, i suoi legami internazionali ne hanno fatto, sin dall'inizio, la espressione sindacale di una socialdemocrazia, come quella italiana, con ristrette basi di massa, scarsa incidenza nel mondo operaio, rapporti vincolanti con qualificati settori del padronato (la Fiat, tra l’altro). E non basta. La protezione dei sindacati e di altri centri di potere americani è stata tanto condizionante da vanificare certi tentativi di gruppi filoinglesi (si pensi a Giuseppe Romita) per trovare nel modello e nel sostegno laburista un punto di riferimento autonomo rispetto a quello statunitense del saragattismo. Ma perchè riandare a trascorsi lontani per tanti versi dalla UIL di oggi, che è una componente del processo unitario e partecipa allo schieramento sindacale impegnato a dirigere la più importante battaglia contrattuale del dopoguerra? Ora che la maggioranza dello staff della UIL è rimasta nel PSI dopo la scissione, può essere davvero utile ricordare che ben due congressi del PSDI (Bologna, gennaio 1952; Genova, ottobre 1952) riconobbero la UIL come il sindacato del partito socialdemocratico? Ha un qualche senso, infine, guardare indietro, agli anni in cui la UIL era il sindacato degli accordi separati, oggi che lo imminente congresso nazionale (Chianciano, 27-30 ottobre) sta per chiudere una stagione congressuale (a giugno, la CGIL; a luglio, la CISL) incentrata sul tema dell’unità? In verità questi riferimenti al passato non derivano da puntigliosità polemica ma sono assolutamente necessari per comprendere la natura del travaglio in cui si trova la UIL sotto l’azione combinata di due fattori che si intersecano: da una parte la crescita di un movimento di massa in gran parte libero dai condizionamenti politici stratificatisi negli anni cinquanta e, dall’altra, la crisi profonda che ha investito le forze socialiste italiane nell’era del centro-sinistra, della riunificazione e della nuova separazione tra socialismo e socialdemocrazia. Se ci si muove da questo punto di partenza obbligato si coglie subito la importanza innanzitutto politica di un congresso sindacale nel quale si scontreranno le tendenze, le ipotesi strategiche e le aggregazioni di interessi che agitano da mesi il campo delle cosiddette forze laiche del centro-sinistra. Riassumiamo con un certo schematismo. Per il PSU si tratta di recuperare la presa sull’organizzazione che ha sempre svolto il compito di fornire una base di massa alla socialdemocrazia. Il PSU è dunque spinto da una esigenza primordiale a colmare il vuoto aperto dallo spostamento nel PSI di quasi tutte le strutture della UIL, in contrasto con una pratica consolidatasi durante un ventennio. Si capisce al volo che il PSU voglia al più presto tornare a disporre di quella rete di sedi e di quadri che in centinaia e centinaia di centri raggruppano sotto l'insegna della UIL i nuclei di base dell’organizzazione politica socialdemocratica e che, alla bisogna, hanno funzionato come comitati elettorali, come tramiti con i parlamentari, con i consiglieri comunali e provinciali, con i notabili e i faccendieri inseriti negli ingranaggi del sottogoverno. Non è stato un danno da poco il trasferimento nella nuova maggioranza e poi nel PSI del fondatore della UIL, Italo Viglianesi. Tanto più che anche altri leaders di tipica estrazione socialdemocratica (Dalla Chiesa, Polotti, Benvenuto) sono rimasti nel PSI. Tuttavia l’operazione di recupero della UIL non si svolge semplicemente sotto l’urgere delle più immediate esigenze di una socialdemocrazia che mira a ristabilire una cinghia di trasmissione con il proprio sindacato. Il PRI, a sua volta, con un discorso meno grettamente di partito, punta a fare della UIL (sulla base di un accordo con il PSU) una componente essenziale del disegno politico lamalfiano che ha bisogno di un sindacato moderato, efficiente, moderno, fortemente integrato nel sistema e quindi corresponsabile e in qualche modo garante della sua logica di sviluppo. Un sindacato, insomma, che rappresenti il necessario pendant e lo strumento di mediazione per un’operazione politica moderata che sul terreno sindacale non si estrinseca più (come avveniva un tempo) con le rotture e con le divisioni ma punta piuttosto a controllare il movimento svilendone la carica democratica e innovatrice, vanificandone l’autonomia e impastoiandolo in strutture accentrate e burocratizzate. Più complessa e delicata la posizione del PSI. I socialisti sono ovviamente interessati alla neutralizzazione sindacale della socialdemocrazia. A tal fine cercano di mettere a frutto il vantaggio conseguito al momento della scissione (si pensi che solo sei o sette gruppi dirigenti provinciali delia UIL sono passati al PSU). Tuttavia, proprio per le caratteristiche delle forze sindacali di origine socialdemocratica che si sono spostate verso il PSI (collocandosi attorno a Mancini), i socialisti non sembrano in grado di liberare tutte le potenzialità innovatrici che sono andate emergendo in seno alla UIL. E ciò anche perchè i gruppi più avanzati (anche qui la « punta » è il sindacato dei metalmeccanici, diretto da Giorgio Benvenuto, il Carniti della UIL) non intendono identificarsi o comunque esaurirsi in un gioco di partito e di corrente e preferiscono qualificarsi sul terreno più specificamente sindacale. Il travaglio che la vicenda socialista ha determinato nella UIL non è tuttavia soltanto di carattere politico. E’ in gioco tutto il futuro assetto di questo sindacato-cerniera dello schieramento socialista. Allo stato dei fatti è perfino arduo calcolare i rapporti di forza interni alla UIL. Una stima di qualche settimana fa attribuiva un 30% ai socialisti, un 30% ai socialdemocratici e un 30% ai repubblicani, cui bisogna aggiungere un 10% di incerti. Ma alla vigilia del congresso nessuno può dire come si suddivideranno davvero, al momento del voto, i cinquecento delegati della UIL, eletti per metà dalle categorie e per metà dalle unioni sindacali provinciali. Sono stati scelti quasi tutti prima della scissione del PSI e, per molti di loro, la designazione è avvenuta sulla base di intese locali che la scissione ha rimesso probabilmente in discussione e cambiato. E chi può dire poi quale sarà l’esito delle pressioni, dei ricatti, del gioco di clientela e di gruppo? Non è certo per gratuita malizia, ad esempio, che il settimanale delle ACLI, in una inchiesta precongressuale, ha notato la vicinanza della sede della UIL all’ambasciata americana. E nessun giornalista si è sorpreso, qualche sera fa, nel notare che Raffaele Vanni si intratteneva cordialmente a cena con il dott. Garino (l’uomo di Agnelli) in un ristorante a un passo dalla sede dell’Intersind dove si svolgevano le trattative per i metalmeccanici del settore pubblico. La tensione si acuisce man mano che si avvicina un congresso nel quale la scelta della linea si intreccia e si complica con una serrata lotta per la leadership. Qualcuno fa addirittura previsioni drammatiche sull’esito dello scontro di Chianciano; altri teme che non saranno soltanto i delegati a decidere. Le questioni personali non sono di secondo piano. Italo Viglianesi, dopo venti anni di ininterrotta permanenza al vertice (un autentico primato) ha annunciato che non riproporrà la sua candidatura alla carica di segretario generale. Era ed è ostile alla incompatibilità tra mandato parlamentare e funzione sindacale: si è fatto perciò eleggere vice-presidente del Senato, punta su un ministero (non appena id PSI rientri al governo) ma un piede nella UIL vuole mantenerlo. Sarà istituita per lui, a quanto pare, la carica ad personam (non prevista dallo statuto vigente) di presidente. In caso di vittoria del gruppo che ora fa capo al PSI la scelta del successore di Viglianesi sarà complicata dalla eterogeneità della componente socialista: si va dai nenniani graditi al PSU, ai manciniani, ai demartiniani (e tra questi ultimi bisogna distinguere, se non altro, per l’anzianità di arruolamento). Sono in lizza tre uomini e ognuno di loro impersona un orientamento diverso: l’anziano Dalla Chiesa è la longa manus di Viglianesi; Giulio Polotti, è un deputato nenniano che potrebbe essere sostenuto anche dai socialdemocratici; c’è infine Ruggero Ravenna che nell’attuale segreteria ha espresso le posizioni più avanzate, insieme con Italo Rufino che viene dagli edili, e con il segretario dei metalmeccanici, Giorgio Benvenuto, assurto alla direzione dopo la vittoria degli innovatori al congresso della categoria contro il vecchio segretario Bruno Corti già fautore del « sindacato socialista ». Contro il gruppo di estrazione socialista si è andata consolidando nelle ultime settimane l’alleanza tra repubblicani e socialdemoctatici, sulla base di un accordo tra Raffaele Vanni (PRI) e Bruno Corti, attualmente responsabile sindacale del PSU. In caso di prevalenza di questo schieramento la segreteria generale verrebbe assegnata a Vanni il quale si incaricherebbe di dare dignità e respiro, come peraltro cerca di fare La Malfa sul piano più specificamente politico, alla linea sindacale della socialdemocrazia. Va notato comunque che, a differenza dei socialdemocratici e di Viglianesi, i repubblicani sono per l’incompatibilità, tanto che Raffaele Vanni e Aride Rossi (altro segretario confederale) si sono dimessi entrambi dalla direzione del PRI. Al congresso si vota con il sistema maggioritario e alla lista vincente andranno i due terzi dei seggi. Ciò non esclude, tuttavia, che in caso di situazione confusa tra i due schieramenti si possa arrivare a situazioni di compromesso nella elezione della segreteria. L’arco delle posizioni che si confrontano al congresso è così vasto per una ragione politica che non sfugge ai protagonisti dello scontro. In una intervista ad Azione sociale, Ruggero Ravenna ha riconosciuto che «la UIL è certamente oggi, a seguito delle ripercussioni della scissione socialista, l'anello più debole della linea unitaria ». Egli esprime una preoccupazione seria circa l’esito della battaglia congressuale: « Se tale anello saltasse, tutta la strategia messa in atto dal movimento sindacale potrebbe essere indebolita se non compromessa... Il quadro sociale, sindacale e, perchè no, politico del paese può subire delle grosse varianti a seconda del prevalere a Chianciano delle linee autonomistiche e unitarie o di quelle legate ai vecchi schemi ». Ma questo, probabilmente, è vero indipendentemente dall’esito dello scontro. Perchè anche il congresso della UIL, come in modo nettissimo si è verificato al congresso della CISL, ha messo in luce una contraddizione difficilmente componibile tra due concezioni del sindacato, oltre che tra strategie diverse. Prevalga l’una o l’altra in una centrale come la UIL non è certamente indifferente. Ma forse quel che più conta è che si siano ristretti i margini delle mediazioni diplomatiche. Questo si ricava, del resto, dalla lettura delle dichiarazioni e delle interviste che i protagonisti (da Viglianesi a Vanni, da Ravenna a Benvenuto) sono andati facendo nei giorni scorsi. Con qualche analogia con quanto avvenne alia vigilia del congresso della CISL, quando conservatori e tradizionalisti erano impegnati a rifarsi una faccia da innovatori. Ma con peculiarità proprie di un sindacato che per la sua natura e la sua tradizione non poteva non diventare il terreno su cui si combatte la guerriglia tra socialisti e socialdemocratici ed essere l'obiettivo primario dell’operazione « sindacato moderato». L’episodio più significativo ci sembra quello di cui è protagonista il sindacato chimici (UILCID). La sua segreteria ha distribuito a tutte le federazioni nazionali di categoria e a tutte le camere sindacali provinciali una circolare che costituisce una vera e propria piattaforma di attacco alle posizioni dei rinnovatori. Vi si denuncia la «esasperazione del processo unitario nel quale ci si è gettati a capofitto senza considerarne i rischi, che potrebbero essere anche quelli di una rapida e completa liquidazione della UIL o quantomeno del suo convogliamento verso forme di iniziative e di azione che, a nostro avviso, non rientrano assolutamente nelle nostre idee e nelle nostre esigenze ». E si preannuncia una lotta a fondo contro «le false spinte di base... che rappresentano solo premeditato disordine ». Il documento non è che il conseguente sviluppo della mozione conclusiva delia direzione nazionale di questo sindacato nostalgico che ha preso apertamente posizione contro gli orientamenti unitari e rilanciato le pregiudiziali ideologiche (il ghetto del « sindacalismo democratico ») che furono il cavallo di battaglia dello scissionismo socialdemocratico in campo sindacale. Il colpo è indirizzato in primo luogo contro la UILM, che ha reagito riproponendo tutta la propria tematica in materia di unità, di autonomia, di rinnovamento del sindacato e si prepara a combattere su questo terreno la propria battaglia congressuale. | |
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