Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: La grande ambizione del padronato italiano — quello illuminato e moderno — è di avere di fronte un bel sindacato. La favoletta ce la stanno ripetendo da parecchie settimane fogli notoriamente aperti e progressisti come il Corriere della sera e la Nazione; figuriamoci se poteva mancare di dare il proprio contributo a questo plateale tentativo di mistificazione L’Espresso, che illuminato moderno aperto progressista lo è per antonomasia. L'articolo che Eugenio Scalfari ha scritto la scorsa settimana è un ditirambo in onore di Gianni Agnelli. Sarebbe facile fermarsi alla considerazione che, provenendo i mezzi di sostentamente dell’Espresso dalla Fiat, è abbastanza logico che chi scrive sull’Espresso difenda ed esalti il proprietario della Fiat. Né si tratta certo di un metro di giudizio marginale. Ma l’argomentazione merita di essere riferita. Si apprende che Gianni Agnelli ha ricevuto da Vittorio Valletta una pesante eredità, anzi «un grave passivo ». Non si tratta di un deficit di bilancio, che anzi i profitti sono sempre stati confortevoli, ma di queste cose un tantinello sporche un uomo educato come Eugenio Scalfari non parla. L’eredità negativa deriva dal fatto che Vittorio Valletta si è dedicato per lunghi anni a indebolire e spiantare i sindacati all’interno dell’azienda torinese; e la debolezza dei sindacati rappresenta oggi «il problema numero uno » di Agnelli. Per cui eccolo lì a inventarle tutte per ridar loro vigore. Ha inventato a questo scopo perfino la sospensione di 30 mila operai. Sì, perché avendo i cattivi « maoisti » dell’officina 32 deciso uno sciopero per conto loro, la serrata del padrone ha avuto lo scopo precipuo di offrire ai sindacati il mezzo per riprendere il controllo della situazione. Coi sindacati si ragiona, coi « maoisti » no. Naturalmente il sindacato deve essere consapevole, responsabile, forte ma non troppo (cioè forte verso gli operai, meno forte verso il padrone), combattivo ma senza esagerare, insomma scandinavo, consumistico, televisivo, elettro domestico, autostradale, nichelato, con rivestimenti in fòrmica. Come l’Espresso. Per un sindacato così, Agnelli è disposto a fare follie, a rimetterci del suo. Chi li tiene, altrimenti, quelli del « gatte selvaggio »? Lo scopo evidente di tutta questa campagna (che, ripetiamo, è condotta avanti da tutta la stampa finanziata dai padroni) è di screditare il movimento sindacale: e coincide in ciò perfettamente con la campagna analoga e parallela di certe rivistine e di certi volantini estremisti. E’ sulla base di questa impostazione, inoltre, che i giovani leoni del capitalismo italiano, gli Agnelli, i Pirelli, mirano al vertice della Confindustria, dove siede ancora gente arroccata nell’arretrata idea che i sindacati operai siano dei nemici. La risposta, per fortuna, non è affidata alla polemica giornalistica, ma è nei fatti. La mistificazione è già stata liquidata in partenza dai grandi scioperi unitari di questi giorni, con gli operai e gli impiegati della Fiat e della Pirelli all’avanguardia. E il punto centrale è che i sindacati, nel proclamare e guidare questi scioperi, mirano proprio a consolidare una conquista che è la bestia nera del padronato « moderno », della grande azienda « moderna», del monopolio «moderno»: cioè l’articolazione delle rivendicazioni e delle lotte a livello di azienda, di fabbrica, di reparto, di linea; cioè la rappresentanza di base; cioè la liquidazione delle gabbie contrattuali; cioè il contrario di quella «pace sindacale» (comoda, ordinata, socialdemocratica) che al padrone piacerebbe tanto fra l’una e l’altra scadenza dei contratti. Per cui tutto il discorso va a carte quarantotto. E va a carte quarantotto anche il ditirambo dell’Espresso. Né sorprende allora che il settimanale, avendo aperto una discussione sull’obiettività giornalistica, abbia poi accettato come competente interlocutore Indro Montanelli. Il quale sul Corriere della sera aveva scritto (e per primo) le stesse cose. | |
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