Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: L’importanza della lotta di autunno per i contratti di lavoro, dopo essere stata molte volte sottolineata nei mesi scorsi, è risaltata con evidenza, subito dopo le ferie, così dalla serrata delle linee di montaggio delle auto alla Fiat come dall’inizio imponente, dopo pochi giorni, degli scioperi nell’industria meccanica e nell’edilizia. Il colpo della Fiat, il modo come si è comportata la Confindustria all’inizio delle trattative per i nuovi contratti, l’immensa forza di massa dei primi scioperi nazionali sono fatti che dimostrano la portata dei problemi che devono trovare una soluzione nelle lotte contrattuali, il peso della posta in giuoco nello scontro di classe fra milioni di lavoratori e una coalizione d’interessi capitalistici di rilievo mondiale. Le rivendicazioni fondamentali per l’aumento dei salari e per la riduzione dell’orario di lavoro presentate dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori, dopo un’ampia consultazione per il rinnovo dei contratti, sono note. Ma il fatto originale, tipico del movimento sindacale in Italia, è che queste rivendicazioni non sono state presentate come il prezzo richiesto dai lavoratori al capitale per garantire un periodo di « pace sindacale » nelle aziende. La lotta e il negoziato sindacale, secondo le organizzazioni dei lavoratori, devono continuare a svolgersi su due piani: i contratti nazionali e la contrattazione in azienda, cioè la contrattazione articolata. Il problema che altrove in Europa viene posto dalle lotte a carattere spontaneo dei lavoratori, dai cosiddetti scioperi « selvaggi », che rivendicano particolari miglioramenti aziendali al di là degli accordi stipulati su scala generale con il padronato dalle organizzazioni sindacali, è questione che oggi in Italia si pone al centro delle lotte guidate dalle organizzazioni sindacali. Il rinnovo dei contratti di lavoro, secondo la Confindustria, dovrebbe bloccare la contrattazione aziendale, o quanto meno limitarla a pura e semplice traduzione in cifra di rigide norme prestabilite nei contratti nazionali. Al contrario, secondo le organizzazioni di lavoratori, la contrattazione articolata, che si è prepotentemente riaffermata nelle grandi aziende fra il ’68 e il ’69, non deve avere alcuna remora e deve anzi potersi pienamente esplicare, al di là dei miglioramenti da acquisire su scala generale nei rinnovi contrattuali, realizzandosi particolarmente su tutti i concreti aspetti aziendali della condizione di lavoro e della qualificazione professionale. Per comprendere bene di che si tratta bisogna avere presente che, particolarmente fra il ’68 e il ’69, la contrattazione aziendale ha integrato la sua finalità, prevalente nel passato, di garantire una aggiunta salariale ai minimi di retribuzione stabiliti dai contratti o di anticipare soluzioni poi tradotte in regolamentazioni generali, come per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Infatti, le ultime lotte hanno presentato la contrattazione aziendale come la via per nuove forme di organizzazione della classe operaia nella fabbrica, con il sindacato e nel sindacato, che si radichino in ogni fase del processo produttivo — gruppo operaio per gruppo operaio, nelle varie cellule dell’organizzazione del lavoro, per « squadra » o « reparto » — facendo emergere nella lotta le esigenze concrete dei lavoratori in tema di ritmi, di ambiente di lavoro, di organici presenti in fabbrica rispetto alla produzione richiesta, di qualifiche professionali, così come tali esigenze si presentano effettivamente nelle condizioni di sfruttamento a cui sono sottoposti i vari gruppi operai. Così impostata, la contrattazione aziendale non solo si è arricchita di contenuti un tempo presenti solo a livello di denuncia e di propaganda, ma tende a imporre, con la lotta e con il negoziato un condizionamento profondo dell’organizzazione del lavoro conseguente alla tecnologia produttiva in atto. Condizionamento che si attua attraverso nuove forme di organizzazione dei lavoratori promosse dai sindacati — assemblee, delegati di « squadra » o di « reparto », comitati unitari — le quali sono al contempo strumento di democrazia e di potere nella concretezza dei problemi della condizione operaia che vanno affrontando. Questa strategia del movimento sindacale, è proprio il fatto che desta le più profonde preoccupazioni nel grande padronato, che mentre valuta il peso delle rivendicazioni salariali e sull’orario per i nuovi contratti non può non valutare anche tutto il peso di questo tipo di contrattazione integrativa, e ciò per due motivi. In primo luogo, perché si determina così un condizionamento della padronanza assoluta del padronato sul processo produttivo e prima di tutto della manovra padronale sulla intensità del lavoro come fondamentale fattore di elasticità che, sulla pelle dei lavoratori, garantisce lo svolgimento di processi produttivi sempre più rigidi a ritmi sempre crescenti. In secondo luogo, perché sorge così nella concreta articolazione dei processi produttivi e nell’effettivo svolgimento di compiti di contrattazione delle condizioni di lavoro di ogni gruppo operaio, un modello di potere alternativo in fabbrica della classe operaia che, proprio perché opera in limiti ristretti ma reali rispetto alla condizione operaia e ai processi produttivi, ha una forza molto più grande di schemi semplicemente immaginati sulla base di precedenti storici o soltanto ipotizzati da una ristretta avanguardia. Quando l’azione sindacale giunge a questi nodi, allora il grande capitale ne è toccato così profondamente che sarebbe grave errore sottovalutarne la reazione. Errore non commesso nella conduzione delle importantissime vertenze Fiat del maggio-giugno di quest’anno, da una direzione sindacale che ha certamente avuto grandi difficoltà, su cui torneremo, ma che, proprio perché intendeva fare sorgere nella realtà prime forme di nuovo potere della classe operaia in fabbrica, sapeva di dovere essere capace di manovrare per coprirne i germi in formazione dalla reazione padronale. E’ bene quindi tornare a riflettere sulle ragioni che rendono tanto importanti le attuali lotte contrattuali e su quali ne sono i punti di attacco fondamentali. In sintesi estrema, si può rilevare che il padronato italiano ha avuto nell’ampio arco degli anni successivi alla restaurazione capitalistica dopo la guerra, due grandi punti di forza e di vantaggio. Da un lato, il padronato è riuscito ad attuare una politica di contenimento salariale, che ha avuto piena efficacia dall’inizio degli anni '50 fino al ’60-'61, per essere superata dalle lotte contrattuali del ’62-’63, ma che si è poi riaffermata con grande efficacia fra il ’64 e il ’68. Dall’altro lato, il padronato è sempre riuscito ad avere una forte rivalsa sulla intensità di lavoro di tutte le concessioni salariali a cui è stato costretto, motivo per cui ha sempre pervicacemente tentato di respingere ogni presenza del sindacato in azienda. Ora sono precisamente questi i punti di attacco fondamentali delle lotte contrattuali. Vi è certamente già una risposta del padronato all’offensiva sindacale in atto su ambedue questi punti, ma con certi limiti. Vi è il rilancio dell’inflazione e dell'esportazione di capitali, che sono anche possibili premesse per una successiva stretta di politica economica in senso deflazionista che, incidendo sull'occupazione, scarichi la tensione sindacale, come nel 1964. Ma perché queste non sono solo manovre padronali, perché vi è una situazione econonmica internazionale complessa e la spinta inflazionistica proviene molto da lontano, dagli Stati Uniti, perché è grande l’estensione delle lotte attuali dei lavoratori e forte è anche la loro incidenza attuale o prevedibile su fattori economici extra salariali (casa e fisco) e maggiore è pure la possibilità di risposta operaia all’attacco all’occupazione, perché la tensione prodotta dal tipo di espansione economica in atto è realmente esplosiva nella sua complessità, si può forse affermare che il successo e la possibilità stessa di una manovra tipo quella del ’64 sono almeno ipotetiche. Vi è una risposta agli stessi nuovi sviluppi della contrattazione aziendale nei più grandi gruppi capitalistici, che tenta di restaurare, in cambio del riconoscimento di una controparte sindacale unitaria in fabbrica, una rinnovata autorità del padronato nell’azienda. Tentativo che non si può certo dire già sconfitto, ma sicuramente in crisi, come dimostrano così la risposta dei lavoratori e dei sindacati con le lotte attuali alle « offerte » Pirelli, come la traduzione degli accordi Fiat di giugno almeno in parte decisiva dell'azienda in forme reali di controllo sindacale sui ritmi di lavoro e di trasformazione della struttura professionale della classe operaia. Il colpo di forza della Fiat, in questa situazione, non può essere allora solo interpretato come una scelta tattica — fare la prima mossa dell’autunno caldo — ma piuttosto come un modo di mettere le carte in tavola, di richiamare i lavoratori e lo stesso padronato alla durezza dello scontro, di presentare la più grande azienda italiana come il capo fila di un tentativo di resistenza. Siamo così probabilmente all’inizio di un durissimo scontro di classe. Allo scontro la classe operaia e i sindacati vanno con una grande forza, ma dovendo superare anche delle contraddizioni. La forza è ben dimostrata dal successo degli scioperi, dal grande richiamo per la classe operaia delle vertenze contrattuali tradizionali, dal superamento nel primo sciopero contrattuale del carattere parziale del precedente sciopero interno alla Fiat contro la serrata, dalla forte partecipazione alla lotta degli impiegati e soprattutto dei tecnici, dall'ampiezza dello schieramento di categorie già impegnate o che stanno per impegnarsi nelle lotte contrattuali. La forza sta ancora nello sviluppo delle lotte aziendali in settori non impegnati al rinnovo dei contratti — dalla Pirelli alla Marzotto — come dalla iniziativa sindacale aziendale nelle grandi aziende metalmeccaniche che accompagna ed aiuta l’impegno di lotta per il contratto. La forza sta, infine, nell’associarsi alle lotte rivendicative contrattuali ed aziendali di grandi iniziative e di scioperi per problemi generali dei lavoratori, dalla casa, al fisco, alla riforma sanitaria. Probabilmente, un movimento così forte, ampio e ricco di contenuti ha ben pochi precedenti e veramente le risorse della combattività della classe operaia possono essere mobilitate in profondità ed in ampiezza come non mai. Per una tale mobilitazione il collegamento democratico più profondo fra sindacato e lavoratori è più che mai indispensabile. La risorsa del movimento sta nella capacità di attingere, gruppo operaio per gruppo operaio, reparto per reparto, in tutte le articolazioni del processo produttivo, alla combattività. dei lavoratori, di fame così esprimere le esigenze sul piano dell’unità e della lotta, concretizzando in estensione sempre più larga nuove forme di democrazia, di organizzazione e di potere dal basso. Ma l’esperienza compiuta insegna pure che bisogna guardare anche alle difficoltà ed alle contraddizioni da superare per questo fine. Quando si raggiunge un rapporto così democratico con ogni gruppo operaio, possiamo ben dire che si dà espressione ad una potente carica di rivolta contro l’insieme di condizioni drammatiche in cui l'attuale sviluppo capitalistico ha costretto i lavoratori entro e fuori la fabbrica; carica di rivolta tanto più forte ove hanno avuto maggiore e duraturo successo, come ad esempio alla Fiat, una politica di repressione ed al contempo una tendenza all'integrazione della classe operaia. Ma, al momento in cui una tale carica di rivolta si esprime sulla via aperta ed indicata dal sindacato, sorgono al sindacato stesso vari ordini di problemi. Bisogna condurre questa carica ad esprimersi in una lotta contro il padrone che porti a nuove forme di organizzazione, di democrazia e di potere, che per questo si confronti con il padrone attuando una capacità di lotta intelligente, nella quale la cultura e l’intelligenza stessa della classe operaia individuino gli elementi di una strategia e di una tattica. Bisogna collegare gruppo operaio a gruppo operaio, azienda ad azienda, fino a ricostruire nella lotta l’unità di classe, partendo dal carattere specifico della condizione di sfruttamento di ogni gruppo operaio non per dare all’azione un carattere di gruppo e corporativo, ma al contrario per saldare i motivi comuni di azione e costruire nuovi dati generali di coscienza di classe. Nella soluzione di questi problemi sta il superamento del ripresentarsi di fenomeni di anarchismo, o più semplicemente di settorialismo e di corporativismo, che sono in particolare conseguenti al modo come si è venuta tumultuosamente formando molta parte della classe operaia negli ultimi anni. Ed è questo anche il terreno prevalente della polemica con i gruppi esterni, che si presentano davanti alle fabbriche come quanto resta del movimento studentesco del 1968, sotto varie etichette. La scelta che si impone nell’organizzazione e nella direzione della lotta è davvero nuovamente fra collettivismo ed anarchismo, fra Marx e Bakunin. La scelta collettivista sta nella via dell’unità e dell’organizzazione, di obiettivi parziali di potere operaio, di scelte strategiche da attuare attraverso scelte tattiche, ed è una via che si contrappone a quella della rivolta in cui prima si nega l’organizzazione e poi si sceglie l’attacco all’organizzazione operaia esistente come obiettivo principale dell’azione, si esalta il momento della sassaiola di qualche centinaio di manifestanti contro la polizia come alternativa rispetto allo sciopero ed alla manifestazione unitaria e disciplinata di centinaia di migliaia di lavoratori, si nega il valore del contratto in quanto « gabbia » soffocatrice della lotta il giorno stesso che milioni di lavoratori scendono in sciopero per il contratto associando alle rivendicazioni contrattuali l'affermazione e la difesa delle lotte e della contrattazione aziendale. Nell’asprezza di questa polemica, nel fatto che in essa da parte dei gruppi esterni, ad esempio alla Fiat, si sia oramai giunti all'attacco al sindacato con un tono spesso qualunquistico sembra emergere che una parte del movimento studentesco abbia perduto quel carattere originale che aveva avuto la sua lotta nel 1968, quando una rivolta universitaria con dei caratteri anche inevitabilmente piccolo borghesi si era saldata ad una analisi e a una denuncia vigorosa del carattere di classe della scuola e della società. Spostando l’asse della sua azione fuori della scuola, e quindi fuori della collocazione sociale reale degli studenti, parte del movimento studentesco è venuta svanendo l’analisi e la denuncia del carattere di classe della società ed i suoi elementi di rivolta piccolo-borghese si esaltano associandosi agli aspetti più corporativi e senza prospettive che al livello della spontaneità presenta sempre anche una rivolta operaia. E’ un fatto grave, prima di tutto perchè il movimento operaio ed il movimento sindacale rischiano così di trovare schierato oggettivamente sull'altro fronte un forte, potenziale alleato. Bisogna allora portare la nostra polemica nel senso di una esaltazione di quei contenuti reali di organizzazione, di democrazia e di potere nella fabbrica, di quegli spostamenti reali dei rapporti di forza fra le classi che danno il senso più profondo al nostro appello all’unità ed all’organizzazione, nel e col sindacato, ed in cui si possono ritrovare non solo gli operai ma anche i loro alleati attuali o potenziali. Ma risorge qui il problema di fondo dell'interpretazione da dare allo scontro in atto e quindi alle prospettive che ci possiamo aprire, quando i problemi sul tappeto sono insieme di uno spostamento notevole delle risorse economiche per le classi lavoratrici e di nuove posizioni di potere operaio importanti perchè, nel loro limite propriamente sindacale, sono concrete e reali e come tali hanno anche una concreta e reale potenzialità politica. Uno scontro di questa natura è destinato inevitabilmente a spostare i rapporti di classe. Essendo questa la posta in gioco, tutti gli atti che tendono a « politicizzare » formalmente le vertenze, finiscono di consentire meglio al grande padronato di mediare la sua resistenza attraverso le istituzioni del sistema. Un atto estremo che dia il pretesto ad una provocazione poliziesca vale quanto un appello al governo perchè metta d’accordo le parti in causa, togliendo autonomia al movimento della classe operaia ed ai sindacati. Le vertenze in atto sono per le rivendicazioni sui rinnovi contrattuali e per il potenziamento della contrattazione articolata e dei suoi strumenti: le vertenze sono così sindacali ed in quanto tali devono essere risolte. E’ nelle rivendicazioni contrattuali, è nella difesa e nel potenziamento della contrattazione articolata, è nella affermazione e nella estensione delle assemblee e dei delegati in tutte le aziende il terreno propriamente sindacale sul quale, oggi in Italia, la classe operaia può ottenere uno spostamento reale di forze a suo favore e nuove reali forme di democrazia e di potere a partire dalle fabbriche. E’ però importante che noi comunisti chiamiamo le forze politiche a confrontarsi con questa posta reale dello scontro di classe e proprio questo confronto può costituire un momento importantissimo per nuove forme di unità e nuove aggregazioni di alleanze tra le forze politiche. Noi per primi, mi sembra che dobbiamo richiamare la novità ed il carattere originale di questo scontro che a me pare stia in qualche cosa di diverso dalla accentuazione di un vuoto di potere. Il fatto è che, nei confronti di un potere che è in ultima analisi ancora saldamente nelle mani della grande borghesia, ben coperta dai suoi operanti collegamenti internazionali, la lunga battaglia del movimento operaio italiano può oggi vedere l’intervento delle masse proporre organicamente e concretamente nuovi strumenti di democrazia e di potere che, nel loro limite sindacale, hanno un carattere nettamente classista, ed impegnarsi nel tentativo di imporre sul piano della lotta modifiche parziali ma rilevanti nella distribuzione del reddito e dei consumi, parallelamente nelle retribuzioni, nelle pensioni, nella spesa per la casa, nel prelievo fiscale, nell’assistenza sanitaria. In una misura e con una ricchezza di contenuti sconosciuti nel passato, irrompe una organica pressione dal basso nella stessa dialettica delle assemblee elettive e fra queste e il governo, cominciano a formarsi nuove prime forme di democrazia e di potere dal basso della classe operaia. Mentre contribuiamo a regolare lo scontro di classe sul suo specifico terreno, a muoverci su tale terreno con l’audacia ma anche con la prudenza che proviene dalla nostra tradizione leninista, noi comunisti possiamo ben sottolineare alle forze politiche quanto c’è di nuovo in questi fatti, perchè a creare questa novità abbiamo impegnato in lunghi anni il meglio delle nostre energie, e possiamo ben dire alle forze di sinistra che oggi è meno che mai vero che l’unica cosa da fare è andare al governo, perchè diventa sempre più vero che ci si può unire alla testa della classe operaia e dei lavoratori per un mutamento profondo che investa i rapporti sociali e le istituzioni stesse del paese e che non sta nei limiti di un calcolo dà governo. In questo quadro a me pare che ci si muova anche sul terreno reale delle più larghe alleanze, perché oggi meno ancora che per il passato l’attesa delle masse in movimento può essere limitata a un puro calcolo di governo, anche per non acuire le contraddizioni del processo di unità sindacale su basi classiste che è in atto, ed al quale dobbiamo invece dare il più grande respiro e la più coraggiosa prospettiva. | |
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