Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: Milano, settembre — La ragazzina con gli occhiali, rappresentante della CISL nella Commissione Interna, fece due passi avanti, dal picchetto di impiegati e operai e si piantò davanti al signore distinto sceso dalla macchina. Con la voce esile ma ferma iniziò un discorsetto in inglese. Il signore spalancò la faccia in un largo sorriso, mormorò una frasetta di risposta e riprese la macchina. Dal picchetto qualcuno gridò alla ragazzina: « Ma che cosa hai fatto, quello è il direttore generale della Pirelli inglese! ». La ragazzina strinse le spalle. Ecco questo è un episodio della «crudeltà operaia» nella fabbrica milanese della gomma, che ha fatto sobbalzare il Corriere della sera. Il giornale dei fratelli Crespi descrive ormai gli scioperi alla Pirelli come quando tenta di ricostruire un delitto: con richiami in prima pagina, panorami eccitati sulle «forze in campo », collages di frasi tolte dai diversi volantini. Non è una vertenza sindacale, ripete il portavoce confindustriale. E presenta gli « scioperi del cottimo » come piccoli, raffinati atti di sadismo di operai in preda al furore distruttivo, allucinati. La realtà, vuole che si tratti di una vertenza sindacale. Gli obiettivi rivendicativi sono precisi: premio di produzione, diritto di assemblea, comitati di reparto. Certo la resistenza di uno dei leaders della nouvelle vague confindustriale, Leopoldo Pirelli, mette sul tappeto — così come è stato per la Fiat — un problema politico: i padroni non vogliono gli scioperi di fabbrica, la contrattazione integrativa. Sono disposti per questo anche a sollecitare un intervento legislativo sulla disciplina del diritto di sciopero, pretendono un sindacato unito sì — visto che le esperienze scissionistiche a livello sindacale sono fallite — magari anche organizzato nella fabbrica, ma solo per « sorvegliare » i lavoratori e per contrattare ogni tre anni. I padroni guardano all’Inghilterra, alla Germania. Leopoldo le ha tentate tutte: la scissione favorita, la speranza di un grande sindacato socialdemocratico, la riconquista della benevolenza operaia attraverso il « decretone ». Sono stati sforzi inutili. Il ’68 e i primi mesi del ’69 hanno visto un susseguirsi di scioperi a catena, di accordi a catena. Anzi questa è una « filosofia » ormai entrata anche in tutte le istanze sindacali. Ogni accordo, hanno scritto CGIL. CISL e UIL, prepara la strada a un accordo ulteriore. E ora Pirelli sembra voler preparare la strada alla repressione: questo il senso della campagna di stampa suggerita al Corriere. La lotta nell’impero della gomma, a Milano come a Settimo Torinese, è rinata nel ’68, dopo anni di polemiche e divisioni sindacali, con alle spalle una tradizione di contratti separati. E’ nata nelle prime assemblee di marciapiede, in un dibattito stretto, con una spinta dì base fortissima. A dicembre gli scioperi, spesso spontanei, anche se erano attivisti della CGIL a capeggiarli, hanno portato al primo accordo sul cottimo. E’ stata recuperata la dinamica dei guadagni di cottimo; sono stati acquisiti i primi strumenti per intervenire contro l’intensificazione dei ritmi. Nei primi mesi del ’69 la lotta è ripartita sulle qualifiche, sbloccando una politica chiusa che durava da anni. Nello stesso periodo, presi dal « contagio » esploso nella fabbrica, si sono mossi anche gli impiegati, hanno scioperato autonomamente, hanno stipulato un loro accordo su problemi specifici. Si è giunti così a luglio e all’apertura della vertenza su premio dì produzione e diritti sindacali. Le richieste sono state presentate, discusse e votate durante una assemblea di massa. Operai e impiegati si sono riuniti nel «campo sportivo », una di quelle attrezzature che la Pirelli aveva inventato per la «cattura» ideale dei propri dipendenti. La discussione è stata animata e alla fine si sono scelte le rivendicazioni oggi sul tappeto. C’è un fatto nuovo all’interno dei tredicimila che scioperano nella fabbrica della gomma alla Bicocca. E’ la presenza dei giovani. Sono stati loro, spesso, in prima fila, a indicare la strada del rifiuto all’autoritarismo e al paternalismo. Sono i giovani che vanno a « picchettare » l’enorme grattacielo dove per la prima volta masse di impiegati incrociano le braccia. Abbiamo ascoltato le loro voci, nel corso di una riunione svolta nella Federazione del PCI. « Noi — raccontavano — forse sentiamo meno soggezione, rispetto ai colleghi che da anni sono abituati a obbedire e basta. Così anche gli anziani si sono sentiti rincuorati». Giovani in gran parte sensibili alle istanze del Movimento studentesco e in prima fila nel riportarle all’interno delle organizzazioni sindacali. Sono anche quelli che hanno portato un’aria nuova dentro la CISL. Lo abbiamo constatato durante il convegno — « storico » per la Pirelli — tra le tre sezioni sindacali svoltosi poco dopo la pausa di Ferragosto. « Democrazia sindacale » dicevano non significa « corsa al microfono durante assemblee tumultuose. Occorrono assemblee di reparto, dove tutti possano intervenire e formulare le loro opinioni. Il comitato di base (l’organismo « gonfiato » a dismisura dal Corriere e sovente presente nelle lotte con accenti polemici nei confronti del sindacato, N.d.R.) ha ragione di esistere nella misura in cui i sindacati non sanno rinnovarsi ». « Siamo noi, aggiungeva poi un attivista della CGIL, o dobbiamo essere noi il "sindacato di base" »). E un altro: «Ogni organizzazione sindacale è troppo chiusa rispetto alla voglia di unità presente in fabbrica. I comitati unitari di reparto sono strumenti importanti se hanno una propria responsabilità». E un altro ancora: «Il sindacato non è un avvocato, siamo noi, sono i lavoratori. Il sindacato deve essere apartitico, ma non apolitico: deve fare la politica dei lavoratori ». E ancora: « I comitati dì reparto non devono ridursi ad essere la lunga mano del sindacato per conquistare i consensi dei lavoratori, ma uno strumento dei lavoratori nei confronti del padrone e, insieme come perno di un " progetto " di sindacato nuovo ». Era la continuazione di un discorso — per la prima volta all’interno dì una categorìa « difficile » come quella dei chimici — aperto dalla Conferenza della FIOM a Sesto San Giovanni sulla democrazìa sindacale e proseguito ai Congressi della CGIL, della CISL, al Congresso dei metalmeccanici della UIL. Dopo questo primo dibattito la lotta si è fatta più intensa, fino al corteo sfilato per le vie di Milano, fin sotto le finestre della Rai-TV (pochi giorni dopo migliaia di operai manifestavano anche alla Pirelli di Settimo Torinese). Insieme con la lotta è andata avanti anche la costruzione dal basso dell’unità. Le sezioni sindacali hanno formulato un documento in alcune parti problematico, lo hanno portato nella discussione in ventisei assemblee di reparto. E’ stato un dibattito di massa, con 350 interventi, con votazioni sui punti specìfici (l’assemblea decisionale o consultiva? generale o di reparto? i comitati dì reparto eletti dai lavoratori o designati dai sindacati? con compiti dì trait d’union tra operai e sindacati o con una loro fisionomia rivendicativa. rispetto al padrone, e con un loro ruolo nella costruzione della politica del sindacato?). Non a caso pochi giorni dopo queste decine di assemblee di reparto (con operai che iniziavano dicendo: «Non ho mai parlato in una assemblea, però devo dire innanzitutto che questo è il giorno più bello della mia vita», ritrovando il gusto di essere « protagonisti », dopo anni forse di segregazione davanti alla macchina, tra una autocorriera e l’altra, e insieme di sfiducia o incomprensione nell’organizzazioni sindacali l’un contro l’altra armate) il giornale della Confìndustrìa 24 ore cominciava un suo editoriale proprio accennando a questa esperienza e lanciando un grido di allarme. Era l’inizio di una forsennata campagna e di un duro attacco — culminato con i fatti della Fiat — sui « sindacati scavalcati », sul disordine e l’anarchia ormai imperanti nelle industrie italiane. Era la paura per il delinearsi di un «progetto di sindacato» unico, come «sindacato di base», con tutte le implicazioni sul piano della forza, della carica rivendicativa, che esso comporta. | |
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