Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: [premessa di L'autunno operaio è cominciato: Questa edizione speciale dell'Osservatorio economico è dedicato alle lotte di cinque milioni di lavoratori per il rinnovo dei contratti. Mai, in questo dopoguerra, una così forte massa di salariati e di stipendiati era scesa contemporaneamente in campo per obiettivi sindacali. Tale circostanza, di per sè, basterebbe per dare un segno anche politico al movimento. Ma i primi episodi della battaglia appena iniziata (la FIAT, innanzitutto, ma anche la Pirelli) provano che la posta in gioco non è semplicemente sindacale: basti dire che la prima questione su cui si incentra la polemica padronale riguarda la contrattazione articolata, ovverosia uno dei punti acquisiti dal movimento di lotta di questi mesi. Abbiamo pertanto ritenuto necessario fornire ai lettori alcuni degli elementi essenziali per valutare la natura e la portata di questo grande scontro di classe. Nell’editoriale Eugenio Peggio esamina la situazione economica nella quale interviene il movimento rivendicativo. Seguono due servizi sulle più importanti lotte avviate: da Torino Diego Novelli ci rivela perchè si è scioperato alla famosa officina 32, quella che la FIAT ha cercato di trasformare in un alibi per la serrata della Mirafiori; da Milano Bruno Ugolini racconta cosa c’è dietro la « contestazione » dei sindacati alla Pirelli e come si costruisce un «sindacato di base». Le peculiarità delle piattaforme rivendicative vengono poste in luce nell’articolo di Aris Accornero. A questo esame generale delle posizioni elaborate dai lavoratori segue una valutazione particolareggiata della situazione economica dei principali settori investiti dalla lotta. Sette specialisti danno conto dell’andamento della produzione, dell’occupazione e dei salari nell’industria dell’automobile, nella meccanica pesante, chimica, energia elettrica, edilizia, tessile e abbigliamento, alimentare.] [tondo] I riflessi della crisi monetaria internazionale sulla lira, l’aumento dei prezzi e del costo della vita, il problema del rinnovo dei contratti di lavoro riguardanti quasi cinque milioni di operai e impiegati: sono questi i temi sui quali tende a concentrarsi, in questa « ripresa » autunnale, il dibattito di politica economica. Non si tratta, ovviamente, di temi « nuovi ». Al contrario. Ma da un lato la svalutazione del franco francese, e dall’altro l’inizio, in un clima di grande tensione causato dalle provocazioni anti-operaie alla Fiat, delle trattative tra i sindacati e la Confindustria e la loro immediata rottura hanno riacceso il dibattito. All’indomani della svalutazione del franco, si è delineato un certo timore anche per la sorte della moneta italiana. L’idea di certi ambienti governativi, secondo cui la lira rientra tra le poche monete cosiddette « forti », non sembra trovare molto credito nell’opinione pubblica. D’altronde, il fatto che dopo qualche anno di relativa stabilità i prezzi abbiano ripreso a salire, e con un ritmo preoccupante, non può non costituire un motivo di scetticismo nei confronti dei giudizi più o meno ottimistici espressi dal governo. Ma soffermiamoci ad analizzare quale fondamento abbia l’ipotesi di una svalutazione della lira. In occasione di tutte le ultime manifestazioni della crisi monetaria internazionale, la lira italiana è stata minacciata dal pericolo non già della svalutazione, quanto invece della rivalutazione. Una pressione particolarmente pesante volta ad ottenere la rivalutazione della lira venne esercitata nel novembre scorso, dal governo americano sul governo italiano, all’epoca della conferenza monetaria di Bonn. Coloro che chiedevano la rivalutazione del marco — cioè i governi di Washington, Londra e Parigi — pretendevano infatti una misura analoga anche riguardo alla lira. La ragione di questa pretesa è presto detta. Da cinque anni oramai, a causa della politica di compressione della domanda interna attuata dalle forze dominanti nel nostro paese, la bilancia dei pagamenti registra in Italia, per quanto riguarda le partite correnti, saldi attivi via via più cospicui. Ciò significa che l’Italia esporta merci e servizi in quantità nettamente superiore a quelle importate, con grave danno per il proprio sviluppo interno che soffre appunto di questa sottrazione di risorse di cui il saldo attivo della bilancia dei pagamenti correnti fornisce l’esatta misura. Ma di tale fatto non possono non lamentarsi anche i paesi la cui bilancia dei pagamenti è in passivo. Se essi infatti non riescono ad esportare tanto quanto importano è proprio anche perché l’Italia, la Germania occidentale e il Giappone esportano molto più di quanto non importino. Di qui la richiesta di rivalutare il marco tedesco, la lira italiana, lo yen ed alcune altre monete: richiesta che ha come obiettivo il ristabilimento, in modo più o meno artificioso, dell’equilibrio tra i vari paesi. Per quanto riguarda l’Italia, noi abbiamo definito del tutto assurda tale richiesta. E’ vero infatti che, per l’insipienza dei nostri governanti e per il carattere grettamente di classe delle scelte di politica economica da essi compiute, l’Italia ha finito per di diventare un paese permanentemente creditore verso l’estero. Ma si deve aggiungere che il sistema economico italiano è caratterizzato non soltanto da un persistente eccesso di esportazioni, ma anche dal dramma della disoccupazione e dell’emigrazione. In tali condizioni, l’Italia non può permettersi il lusso di rivalutare la lira. Un lusso del genere fu imposto al nostro paese, più di quarant’anni fa, da Benito Mussolini. Ma le conseguenze di quell’atto furono di tale gravità da sconsigliare chiunque a ripercorrere quella strada. Rivalutare significa aumentare i prezzi delle merci esportate e ridurre quelli delle merci importate, mentre svalutare significa esattamente il contrario. Orbene, con la rivalutazione della lira l’Italia rinuncerebbe gratuitamente, a vantaggio di altri paesi, a quella maggiore competitività internazionale che ha conquistato sulla pelle dei lavoratori: imponendo cioè ad essi una politica di bassi salari e di intensificazione dello sfruttamento, politica che fatalmente diverrebbe ancor più aspra qualora venisse decisa la rivalutazione della lira. Non sembri fuori luogo, oggi, mentre da qualche parte si teme la svalutazione della lira, il discorso che abbiamo sin qui svolto. Non si dimentichi, infatti, che ancora recentemente in un documento dell’OCDE si tornava a insistere sull’opportunità della rivalutazione della lira e che, inoltre, l’attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti del nostro paese continua ad aumentare. Non sono dunque cadute le ragioni che hanno indotto alcuni governi stranieri a chiedere la rivalutazione della lira. Ciò va ricordato per sottolineare che se è assurdo accogliere tale richiesta, altrettanto assurdo è agitare il pericolo della svalutazione. Si può obiettare che è la tendenza all’aumento dell’indice generale dei prezzi, sia all’ingrosso che al consumo, a provocare incertezze e timori sulla stabilità del valore internazionale della nostra moneta. In realtà nessuno può disconoscere che da vari mesi, oramai, è in atto in Italia una certa ripresa della pressione inflazionistica. Ma l’entità di tale pressione non è superiore a quella che si è manifestata in gran parte dei paesi concorrenti dell’Italia: semmai nel nostro paese questa pressione si è manifestata più tardi che altrove. Ed ora, in seguito all’aumento dei prezzi, l’economia italiana non subisce una perdita di competitività, perché altrove in generale i prezzi aumentano quanto o più che in Italia. Sulle ragioni degli aumenti dei prezzi in atto nel nostro paese, sarebbe necessario un ampio discorso. Ma ci si può limitare ad alcune osservazioni. Il sistema di rendite parassitarie, che caratterizzano i settori agricolo e commerciale oltreché l’assetto urbanistico, ha accentuato la propria pressione e provocato un aumento dei prezzi in conseguenza di fatti di varia natura: un certo aumento dei prezzi delle materie prime internazionali; gli sviluppi della politica agricola della CEE; la ripresa dell’esodo dalle campagne verso le città; l’erronea impostazione della « legge ponte » nel campo urbanistico; ecc. Il governo, dal canto suo, ha abbandonato la politica restrittiva della domanda interna seguita sino alla primavera del ’68, forse anche nella speranza che un po’ d’inflazione valga a contenere le pressioni straniere per la rivalutazione della lira. Esso, inoltre, al fine di frenare l’esodo di capitali verso l’estero ha deciso un aumento dei tassi di interesse che non manca di ripercuotersi sull’andamento dei prezzi. Ma, oltre a ciò, a determinare l’aumento dei prezzi concorrono: da un lato, l’atteggiamento delle grandi organizzazioni commerciali che sanno di poter contare su una accresciuta domanda in conseguenza del maggiore reddito di cui disporranno vaste categorie di consumatori (i pensionati, i dipendenti pubblici e più tardi i lavoratori dell’industria ) ; dall’altro, le decisioni di numerose industrie le quali hanno già attuato importanti aumenti di prezzi nella prospettiva dell’aumento del costo del lavoro. Tutto ciò induce ad una una ulteriore osservazione: le tensióni inflazionistiche manifestatesi negli ultimi mesi, pur non potendo essere sopravvalutate, costituiscono già — come sempre — un fattore di redistribuzione del reddito a vantaggio dei gruppi capitalistici e dei ceti parassitari e a danno della classe operaia e delle grandi masse popolari. E’ in questo complesso quadro che si colloca la grande battaglia sindacale che ha avuto inizio nei giorni scorsi. La giustezza delle rivendicazioni dei lavoratori e il fatto che esse non siano « intollerabili » erano stati già rilevati da più parti. La stessa Banca d’Italia, nella sua ultima relazione, ha messo in luce che nel nostro paese il lavoro è pagato assai meno che altrove. Nel 1966 il costo del lavoro era superiore a quello italiano del 6 per cento in Francia, del 13 per cento in Olanda, del 17 per cento in Belgio e del 24 per cento in Germania occidentale. Inoltre, negli ultimi tre anni, secondo le stesse statistiche della Banca d’Italia, la produttività del lavoro è aumentata nel nostro paese di quasi il 20 per cento: cioè molto più che in altri paesi mentre i salari sono aumentati molto meno. Già questo dimostra che i salari in Italia possono aumentare, e in misura assai rilevante. Ma si può aggiungere che gli aumenti dei prezzi degli ultimi tempi hanno creato in vari settori ulteriori margini per la dinamica salariale. Del resto, è degno di nota il fatto che recentemente, in alcuni ambienti governativi, sia stato calcolato come tollerabile per l’economia italiana, in un termine abbastanza breve, un aumento dei salari reali di circa il 25 per cento. Nessuno può certo ignorare che una sensibile dinamica salariale, anzi la sostanziale redistribuzione del reddito nazionale a favore della classe operaia che il movimento rivendicativo in atto vuole perseguire, pongono problemi assai gravi e urgenti di riforma delle strutture al fine di impedire che il sistema reagisca con l’inflazione. Ma è falso sostenere che all’inflazione e forse alla svalutazione della lira si arriverà fatalmente se la dinamica salariale sarà « troppo » accentuata. Ed è pure falso affermare che il movimento operaio non è preparato a battersi per contrastare le manovre speculative e respingere il ricatto dell’inflazione. [tabella] Economia in cifre Indici della produzione industriale (1966=100) genn.-giugno giugno 1968 1969 Var.o/o 1968 1969 Var.°/o (Fonte: Istat) Industria estrattiva 111,5 118,2 + 6,0 114,5 126,6 4-10,6 Ind. manifatturiera 115,0 124,0 + 7,8 114,1 124,0 4- 8,7 Alimentari 108,0 115,1 + 6,6 107,4 112,4 4- 4,7 Tessili 99,6 105,4 + 5,8 95,9 105,4 4- 9,9 Calzature e abbigl. 113,8 119,2 + 4,7 100,1 109,8 4- 9,7 Chimiche 121,3 126,7 + 4,5 118,9 127,4 4- 7,1 Deriv. petr. e carb. 110,4 123,6 4-12,0 108,1 123,8 + 14,5 Metallurgiche 112,7 134,1 4- 9,3 119,9 131,1 + 9,3 Meccaniche 119,0 129,9 4- 9,2 116,3 131,9 + 13,4 Costr. mezzi trasp. 113,4 125,3 4-10,5 117,4 115,3 — 1,8 Indus. elettr. e gas 113,5 121,8 4- 7,3 104,5 115,5 + 10,5 Indice generale 114,8 123,7 4- 7,8 113,3 123,4 + 8,9 Abitazioni e vani progettati e ultimati in tutti i Comuni Abitaz. e vani genn.-aprile 1968 aprile 1969 1968 1969 marzo aprile Abitazioni 190.339 Progettati 85.338 55.591 23.247 21.364 Vani 1.576.332 746.863 469.407 208.225 190.067 Abitazioni 75.062 Ultimati 75.106 18.112 20.456 19.091 Vani 585.798 604.479 145.952 161.279 156.118 (Fonte: Istat) Indici dei prezzi all’ingrosso e al minuto (base: 1966=100) media (base: 1966 = 100) Gruppi genn.-giugno 1968 1969 1968 1969 giugno maggio giugno Prodotti all’ingrosso Prodotti agricoli 101,4 105,3 100,9 106,1 106,6 Prodotti non agricoli 100,2 101,3 99,6 101,9 102,8 Indice generale 100,5 102,1 99,8 102,7 103,5 Beni di consumo 99,1 101,3 98,7 101,8 102,3 Beni di investimento 101,3 103,9 101,0 105,5 107,6 Materie ausiliario 106,5 102,5 104,1 101,3 101,5 Prodotti al consumo Prodotti alimentari 102,1 103,8 102,2 104,3 105,1 Prodotti non alimentari 103,1 103,7 103,1 104,1 104,3 Servizi 112,5 115,7 113,0 116,3 116,2 Indice generale 105,0 106,7 105,1 107,2 107,6 (Fonte: Istat) Importazioni ed esportazioni per gruppi di paesi gennaio-maggio 1968 e 1969 (miliardi di lire) Importazioni Esportazioni Saldo Gruppi di paesi 1968 1969 1968 1969 1968 1969 Paesi CEE 918 1.178 987 1.329 + 69 + 151 Paesi EFTA 307 347 391 409 + + 62 URSS 69 59 37 70 —32 + 11 Stati Uniti 288 358 273 331 —15 — 27 (Fonte: Istat) Produzione industriale (dati assoluti) (genn-aprile) 1968 1969 1968 1969 Ghisa (mil. di tonn.) 7,3 7,8 2,5 2,7 Acciaio grezzo (mil. tonn.) 15,9 17,0 5,7 5,9 Autoveicoli (migl. unità) 1.439,2 1.544,9 513,0 596,8 Cemento (mil. di tonn.) Iscriz. al Pubbl. Reg. auto 26,3 29,5 8,4 9,0 mobilistico di autovetture nuove di fabbrica (migl.) 1.162 1.167 766,3* 809,1* * (gennaio-luglio - Fonte ISCO) (Fonte: Istat) Bilancia dei pagamenti Voci Soldi (in miliardi di lire) gennai 1968 io-giugno 1969 Partite correnti................................................ 442,3 391,1 Merci (esportaz., import, cif.) . . . —140,0 —248,9 Noli.............................................................................. 146,9 174,2 Viaggi all’estero ....... 277,3 264,4 Rimesse emigrati............................................... 203,5 223,6 Redditi da investimento................................ — 10,0 13,0 Altri servizi.............................................................. — 55,4 — 3,3 Partite viaggianti, storni arbitr. (saldo) — 1,6 — 56,4 Transazioni governative................................ 21,6 24,5 Movimenti di capitali ...... —415,8 —952,3 Privati . ........................................................ 397,5 —948,8 Pubblici .............................................................. ....... — 18,3 - 3,5 Totale 26,5 —561,2 [trafiletti] L’Italia degli affari In aumento le esportazioni italiane nella CEE Le esportazioni italiane nei paesi della CEE sono in continuo aumento. Nei primi cinque mesi di quest’anno hanno rappresentato il 43,1 per cento del valore totale del nostro export, con un aumento del 4 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Secondo i dati dell’Istat, da gennaio a maggio, sono entrate nei paesi della Comunità europea merci italiane per un valore complessivo di 1328,7 miliardi di lire, rispetto ai 987 miliardi dello stesso periodo del 1968. Le esportazioni nella CEE hanno quindi superato il ritmo di sviluppo di quelle del resto del mondo, che sono passate da 2523 a 3033 miliardi. 16.000 lire al mese versate dall'italiano medio all’erario Ogni italiano ha pagato in media 100 mila lire di imposte, dirette o indirette, nella prima metà di quest’anno (ovvero 16.666 lire al mese). Secondo i dati pubblicati a cura del ministero del Tesoro gli incassi per entrate di bilancio nel periodo gennaio-giugno sono stati pari a oltre 5.419 miliardi. Facendo una classifica regionale, gli incassi maggiori sono stati registrati nel Lazio con 1.417 miliardi di lire (309 mila lire pro-capite), nella Lombardia con 915 miliardi (111 mila lire pro-capite). Nel Piemonte con 497 miliardi (115 mila lire prò capite). All’ultimo posto risultano Molise e Basilicata con 5 miliardi e mezzo (9 mila lire per abitante). Fusione tra cementifici italiani Le assemblee straordinarie della Unione Cementi Marchino e CSPA, delle Cementerie di Augusta SpA e della SAICE (SpA Industrie cementiere emiliane) hanno deciso la fusione per incorporazione da parte della Unione Cementi Marchino e C delle altre due società. A fusione avvenuta l’Unione Cementi Marchino e C prenderà il nome di UNICEM (Unione Cementiere Marchino Emiliane e di Augusta SpA). La capacità produttiva della suddetta società aumenterà da 25 milioni di quintali a 38 milioni di quintali. In aumento la produzione automobilistica italiana Nei primi sei mesi di quest'anno la produzione italiana di veicoli è aumentata rispetto allo stesso periodo del 1968 dei 9 per cento. Sono stati costruiti infatti in Italia nel periodo gennaio-giugno’69 936 mila veicoli contro gM 860 mila del primo semestre '68. Risultano in notevole aumento anche le produzioni automobilistiche della Francia, Germania, Giappone. Lieve l’aumento della Gran Bretagna (più 2,34%) e in diminuzione la produzione statunitense (—6 per cento). | |
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