Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: E’ stato rilevato da più parti che le piattaforme rivendicative, con cui le principali categorie operaie — a cominciare dai metalmeccanici — stanno ingaggiando la battaglia per il rinnovo dei contratti, sono di gran lunga le più avanzate che mai siano state adottate dalla Liberazione ad oggi, sia per i loro contenuti economico-normativi, sia per l’estensione dei poteri di contrattazione del sindacato ch’esse prefigurano. Di fronte a questa innegabile realtà, occorre anzitutto mettere in luce che il carattere avanzato delle rivendicazioni, prima ancora che obbedire ad una doverosa scelta soggettiva delle organizzazioni operaie, prima ancora che discendere da una strategia sindacale di classe consapevolmente maturata in anni dì esperienze e di elaborazioni unitarie, corrisponde ad una necessità oggettiva della classe operaia italiana e a un interesse più generale dell’intiera popolazione lavoratrice. La richiesta di un massiccio e generalizzato aumento delle paghe è resa infatti improcrastinabile dall’autentica fame di salario che si è venuta accumulando in tutti i settori della classe operaia, per effetto del costante processo inflattivo, per il peso di squilibri antichi e nuovi che aumentano il costo già drammatico delle migrazioni interne e degli insediamenti urbani, per la rapidità con cui si diffondono i nuovi bisogni indotti dallo sviluppo stesso delle forze produttive. La necessità di un recupero, di un vero e proprio « salto » del livello generale dei salari, è dunque un fatto di giustizia verso la classe operaia, e al tempo stesso un’esigenza di redistribuzione del reddito che corrisponde agli interessi dell’intiera popolazione lavoratrice del nostro paese. Allo stesso modo, poiché la politica di blocco salariale ha avuto come risvolto logico l’intensificazione dello sfruttamento psicofisico degli operai, l’attacco incessante ai diritti, alle libertà più elementari, alla stessa dignità umana del lavoratore nella fabbrica, si collocano oggi come necessità oggettive e improcrastinabili le rivendicazioni della riduzione d’orario a 40 ore settimanali e di una forte estensione dei diritti e dei poteri di contrattazione della classe operaia e delle sue organizzazioni. Su questo carattere primario delle rivendicazioni contrattuali, sul loro significato di giustizia sociale ed umana, sul fatto che da un aumento generalizzato dei salari operai sono destinati a trarre benefìcio anche gli altri strati della popolazione lavoratrice pur non direttamente interessati al rinnovo dei contratti, è necessario che il movimento operaio, e il nostro partito in primo luogo, si impegnino in una vigorosa iniziativa di propaganda e di orientamento nei confronti dell’intiera opinione pubblica. E’ già in atto una massiccia e insidiosa campagna antioperaia, tutta impostata sulle previsioni apocalittiche del « caldo autunno », e sulla proterva volontà dei comunisti di « strumentalizzare » le lotte rivendicative col «torbido proposito » di scardinare l’economia nazionale e di gettare il paese nella rovina e nel caos. Questa campagna si avvale anche — e del resto è una lezione antica che si ripete — delle provocazioni più aperte e grossolane. Si guardi a che cosa sta accadendo in questi giorni a Torino: dopo la nota provocazione della direzione Fiat, si susseguono gli attacchi qualunquistici all’organizzazione sindacale, si predica il rifiuto « rivoluzionario » dell’istituto contrattuale; mentre alle officine Lingotto esplodono le bombe Molotov di un « fronte armato popolare ». Gli scopi di questa campagna sono sin troppo evidenti. Si vuole «spaventare» la parte meno politicizzata dell’opinione pubblica, si vuole isolare la classe operaia in lotta dal resto delle grandi masse popolari. E il fatto che a questo fine possa essere oggettivamente utilizzato l’intervento di alcuni gruppi estremisti (che in certa loro propaganda e iniziativa sembrano paradossalmente considerare buona tattica quella di « moltiplicare i nemici » dell’avanguardia operaia) non è altro che un’ennesima conferma della confusione e della mancanza di prospettiva su cui non da oggi si muovono questi stessi gruppi. E d’altra parte ciò accresce l’urgenza di operare non soltanto per consolidare l’unità delle grandi categorie in lotta, ma per creare attorno ad esse uno schieramento sempre più vasto di solidarietà, di simpatia, di sostegno politico, a cui partecipino tutti gli strati della popolazione lavoratrice. Ma l’attacco alle lotte contrattuali si va già svolgendo anche su un altro terreno, meno diretto seppure altrettanto classico: il terreno della manovra inflazionistica, del rialzo dei prezzi e del carovita. E questa volta, anzi, il grande padronato gioca d’anticipo, accentuando i processi inflazionistici ancor prima di mollare sulle rivendicazioni salariali. Le possibilità della classe operaia e delle grandi masse popolari di replicare efficacemente e con successo a queste classiche manovre del padronato, sono tuttavia molto più ampie oggi che non in altre circostanze del passato. Il primo punto di forza, in questo senso, è rappresentato dal fatto che l’unità dello schieramento sindacale dei lavoratori è oggi molto più vasta e profonda di quanto non sia mai stata da ventanni a questa parte: essa trova motivi di solidità non soltanto nelle scelte unitarie che ispirano la strategia delle centrali sindacali, ma anche nella rinnovata combattività delle grandi masse operaie, nella volontà di cambiare le cose che le anima, nel peso e nello slancio che una nuova generazione operaia sta sempre più consapevolmente gettando nella lotta. D’altra parte, il nesso tra la condizione operaia « interna alla fabbrica » e i problemi della condizione « esterna », relativi alla organizzazione della società, delle sue strutture e dei suoi servizi, si è fatto molto più nitido in questi anni, agli occhi e alla coscienza politica delle grandi masse lavoratrici. Non è un caso che, mentre si estendono le lotte per il salario e per i poteri di contrattazione in fabbrica, si stanno verificando proprio in questo periodo (e con particolare forza nelle grandi città operaie) una estensione e radicalizzazione dell’iniziativa sindacale, e una crescita di movimenti di massa anche di tipo nuovo, che tendono a dare alla strategia delle riforme una vitalità, un contenuto e una capacità di ottenere conquiste immediate, che potremmo definire del tutto originali rispetto a un passato ancor recente. Lo sciopero generale di Torino per una nuova politica della casa; l’estendersi dei movimenti unitari di quartiere come forme di partecipazione permanenti, capaci di incidere sulle scelte da cui dipende l’assetto della città e del territorio; il precisarsi di rivendicazioni nuove, sempre più sorrette dall’iniziativa di massa, sui problemi della salute, della scuola, della riforma fiscale, ecc.. sono indici di una capacità nuova del movimento di massa di battersi contemporaneamente e organicamente sul terreno dell’organizzazione del lavoro e su quello dell’organizzazione della società, traendone maggiori possibilità di contrastare e sconfiggere le stesse manovre inflazionistiche del padronato. Già in questi sommari accenni al carattere e alle implicazioni delle lotte contrattuali emergono dunque le ragioni dell’intransigenza del fronte padronale, della sua controffensiva, e del ruolo che lo scontro sembra destinato ad assumere anche sul piano politico. Ma un punto cruciale resta ancora da mettere in luce. La mossa ricattatoria della Fiat, così come l’atteggiamento di rottura assunto dalla Confindustria prima ancora di entrare nel merito delle trattative coi sindacati metalmeccanici, si riconducono, in ultima analisi, ad un unico comune denominatore: il rifiuto della contrattazione integrativa di azienda (e del suo logico strumento d’attuazione: la lotta articolata di squadra, di reparto, di officina) che i sindacati propongono non come alternativa alla strategia di contratti di categoria, ma come un suo decisivo complemento. La Confindustria ha dichiarato espressamente questo rifiuto; la direzione Fiat, prendendo a pretesto la lotta articolata di alcuni reparti per effettuare le sospensioni, non ha fatto altro che attuare una esemplificazione pratica della linea confindustriale. Riflettiamo un momento su quest’ultimo episodio. La Fiat, nel tentativo di giustificare il suo ricatto, ha in effetti posto l’accento su un dato reale, o quanto meno su un’effettiva linea di tendenza: in un meccanismo produttivo come quello delle grandi aziende monopolistiche, caratterizzate da una « programmazione lineare » della produzione, dà un allineamento pressoché automatico dei vari punti di lavorazione (delle varie squadre, dei vari reparti), l’intiero ciclo tende ad assumere una rigidità sino a ieri sconosciuta. Le riserve di «pezzi» che un tempo costellavano l’organizzazione aziendale e rendevano possibile un alto grado di elasticità nei collegamenti tra l’uno e l’altro reparto, oggi sono totalmente scomparsi: i sistemi automatici di comunicazione e di rifornimento hanno fatto dell’intiero ciclo una sorta di gigantesco « magazzino volante ». Sulla base di questa rigidità, che corrisponde ad una scelta connaturata alla logica monopolistica, le grandi aziende moderne — e la Fiat in primo piano — hanno costruito tutto il sistema di rapporti interni alla fabbrica: l’organizzazione del lavoro, l’uso della scienza e della tecnologia, l’autoritarismo altrettanto rigido della gerarchia aziendale. E’ inevitabile che la contrattazione integrativa e la lottà articolata a livello d’azienda, partendo dalle rivendicazioni immediate dei gruppi operai omogenei, dalle cellule più elementari della organizzazione produttiva, dalle squadre, dai reparti, dalle officine, per risalire così ad una ricomposizione unitaria della classe operaia, tenda a mettere in discussione questo tipo di rigidità, e ad aprire una contraddizione profonda nell’intiero sistema di rapporti aziendali costruito dai gruppi monopolistici. Non a caso la lotta articolata ha sùbito teso a promuovere forme nuove di partecipazione, di democrazia, di controllo operaio sul processo produttivo (i delegati di linea e di reparto, il diritto di assemblea, ecc.), delineando in tal modo — nel vivo di un’esperienza di massa, e non attraverso un disegno astratto — gli elementi potenziali di un’organizzazione del lavoro e di un sistema di rapporti diversi e alternativi. Anche sotto questo profilo va valutata l’importanza della conquista dei delegati in centinaia e centinaia di fabbriche, così come va valutata la reazione provocatrice della Fiat allo sviluppo delle lotte articolate. E’ stato giustamente rilevato dai sindacati che la fermata all’Officina 32 della Mirafiori non giustificava « tecnicamente » la sospensione del lavoro nelle officine successive del ciclo, e che la Fiat, reagendo con la sospensione, ha voluto calcare la mano in modo artificioso e provocatorio. Ma negli stessi giorni, in numerosi reparti di linea, i delegati eletti dai lavoratori delle varie squadre intervenivano — con l’autorità conferita loro dall’accordo integrativo del luglio scorso — per impedire che la velocità delle linee venisse aumentata ad arbitrio della direzione, e intieri reparti fermavano il lavoro per appoggiare l’azione dei propri delegati e per imporre il rispetto dell’accordo. Ecco che cosa mirava a colpire il ricatto della Fiat (mentre la propaganda padronale tendeva a mistificare questa realtà, puntando tutte le sue carte sulla valorizzazione delle « esasperazioni anarchiche» e sull’agitazione «maoista» contro l’organizzazione sindacale). E’ evidente che, su questo terreno, lo sviluppo della lotta sindacale e la controffensiva del padronato pongono uno dei nodi polìtici essenziali di oggi e del prossimo futuro. Il tentativo dei gruppi dominanti di arrestare le lotte e i nuovi processi di democrazia che esse mettono in moto non può non determinare nuove spinte autoritarie e involutive in tutto il paese. Al tempo stesso, la tendenza della classe operaia ad esercitare un potere di contrattazione e di controllo crescente nei luoghi di lavoro, non può non prospettare un’espansione della democrazia a tutti i livelli, dando nuova forza e nuovi contenuti alla lotta per una svolta politica di fondo in tutto il paese. E proprio perché implicano un discorso politico più vasto, le lotte operaie di oggi rappresentano — nella loro piena autonomia — uno dei punti di riferimento essenziali dell’azione del partito, del confronto e dell’iniziativa unitaria con le altre forze democratiche. A Torino la direzione Fiat, all’indomani della sua provocazione, si è trovata nel più completo isolamento politico per la prima volta da oltre vent’anni. Il PSI e le ACLI l’hanno apertamente attaccata, assieme al PCI, al PSIUP e a tutte le organizzazioni sindacali. Persino la DC ha dovuto esprimere preoccupazione e distacco. E’ soltanto un sintomo, ma certamente indicativo dei nuovi orizzonti che le lotte operaie stanno aprendo anche sul piano politico. | |
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