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tipologia: Analitici; Id: 1549921


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Alessandro Natta, Togliatti e il partito nuovo
Responsabilità
Alessandro Natta+++
  • Natta, Alessandro
  autore+++    
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Il Contemporaneo [Rinascita] {Il Contemporaneo [Rinascita]}+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
[didascalia p. 12: In una città del nord liberata]
[didascalia p. 13: Longo, Togliatti e Scoccimarro al V congresso del PCI]
[didascalia p. 14: A Torino liberata (maggio 1945)]
Quando a Yalta, nell’agosto del ’64, affrontando il problema dello sviluppo della rivoluzione socialista in Europa, Togliatti indicava, nel Promemoria, come questione urgente e di fondo per il movimento operaio e comunista dei paesi occidentali e per la strategia generale della lotta per il socialismo, l’esigenza che i partiti comunisti diventassero un « effettivo movimento di massa», capace di «inserirsi in modo attivo e continuo nella realtà politica e sociale », di « avere iniziativa politica » e « una influenza effettiva nella vita politica del loro Paese », aveva certo ben presente l’esperienza del PCI.
In termini più espliciti il riferimento l’aveva fatto alla conferenza mondiale di Mosca del 1957 (1). L’esempio del « partito nuovo », di una grande formazione politica di massa, che « rompe con gli schemi di un chiuso classismo corporativo, che respinge ogni posizione di massimalismo avveniristico e parolaio, che non vive di mitiche attese », ma «esige nel presente il lavoro per fare delle masse operaie la guida di un grande movimento democratico e rivoluzionario», era stato indicato da Togliatti, non già come una particolarità nazionale, ma come uno svolgimento originale e necessario della concezione leninista del partito della classe operaia, che poteva essere valido ben aldilà dei confini del nostro Paese. La lucida coscienza dell’opera compiuta, che consentiva il forte e aperto discorso critico del Promemoria, aveva qualche giorno dopo, di fronte alla morte di Togliatti e all’ondata di commozione e di dolore che l’accompagnò, il sigillo dell’autenticità. Apparvero come un fatto ben reale quel profondo legame con il popolo, quella fiducia e speranza di milioni di uomini, quella passione e chiarezza politica su cui era stata costruita la forza di massa e nazionale del PCI.
E in questa realtà del partito, prima ancora che nei riconoscimenti della genialità e della forza politica di Togliatti, era ed è la sua eredità prima, la sua sopravvivenza nella storia del nostro Paese e del movimento operaio, e il dato tangibile dell’unità e della coerenza della sua vita e della sua lotta di rivoluzionario e di politico.
Vent’anni prima di Yalta, nel 1944, mentre la lotta di Liberazione entrava nella fase decisiva, Togliatti aveva indicato in alcuni discorsi memorabili, a Roma (settembre) e a Firenze (ottobre), e in una serie di scritti (2), i lineamenti del « partito nuovo » che — egli diceva in termini essenziali e del tutto simili a quelli del Promemoria — doveva essere «un partito della classe operaia e del popolo, il quale non si limita più soltanto alla critica e alla propaganda, ma interviene nella vita del Paese con una attività positiva e costruttiva ».
Nella concezione del « partito nuovo » era, dunque, sottolineata fortemente l’esigenza, che in Togliatti è un dato costante, del « fare politica » e la caratterizzazione del partito come organizzazione, come fatto politico. L’affermazione era già netta al momento della polemica e dello scontro con la visione metafisica dell’estremo sinistrismo di Bordiga, e del recupero, da parte di Gramsci e di Togliatti, della nozione leninista del partito come strumento della coscienza, dell’organizzazione, della lotta della classe operaia. Quando nel 1925, in vista del congresso di Lione, Togliatti respingerà come inconsistente e banale l’accusa di volontarismo, mossa al gruppo dell'ordine Nuovo, non rinnoverà solo il colpo contro le tendenze e le suggestioni deterministiche del marxismo volgare, ma avrà di mira il dottrinarismo astratto, la configurazione rigida del partito e della sua politica, secondo la previsione di un momento avvenire in cui al partito, raggiunto dalle masse, sarebbe toccato di guidarle al definitivo assalto per la conquista del potere.
Il partito della Liberazione
In questo distacco dai fattori oggettivi e soggettivi della realtà ci si condanna in effetti all’attesa, e l’« atto di volontà», che dovrebbe saldare il partito al movimento delle masse, diventa davvero arbitrario, metafisico; è la chiusura nel propagandismo della setta degli eletti o nella fase corporativa della lotta di classe. Ma il partito deve essere altra cosa: organizzazione della coscienza e della volontà politica della classe. « Il partito non deve mai pensare di avere a che fare con una realtà che si sviluppa da sé in modo automatico e meccanico; esso si trova di fronte sempre un sistema di forze in movimento, esso deve proporsi di modificare questo movimento e i suoi risultati, ma non può ottenere ciò se non inserendosi in esso in modo attivo» (3).
Il fascismo renderà più urgente ed acuta l’esigenza della costruzione e della lotta di un movimento di massa, nettamente antagonista. E già durante gli anni dell’illegalità, e soprattutto dopo la svolta del ’30, Togliatti ribadirà che il problema per i comunisti non era solo quello di resistere, ma di resistere politicamente; che un partito comunista reale è un partito che mantiene le sue radici vive nelle masse, ed anzi ve le affonda sempre più, anche in regime di terrore, e risolve i problemi dell’organizzazione, sviluppando una iniziativa politica autonoma e di massa.
Certo, nel momento della lotta di liberazione il carattere politico del partito aveva nel concetto del « partito nuovo » una sottolineatura e una esplicazione piena, non solo in rapporto ad una situazione internazionale ed italiana nuova, che proponeva alla classe operaia, al movimento dei lavoratori, in termini concreti e attuali, un compito e una funzione nazionale nella lotta contro il fascismo e il nazismo, e di direzione della società italiana nell’opera di ricostruzione e di sviluppo democratico, ma anche in rapporto ad una elaborazione della strategia di lotta per il socialismo, che era venuta riconoscendo ed affermando, attraverso la complessa esperienza del movimento comunista internazionale, l’approdo del VII Congresso dell'internazionale comunista, e in particolare sulla base della riflessione di Gramsci e di Togliatti, l’idea non solo di un diverso tempo storico rispetto all’Ottobre sovietico, ma anche di un diverso terreno strategico.
Non a caso Togliatti nel suo discorso di Firenze diceva che il problema era ben altro che quello del passaggio dall’illegalità alla legalità. « Noi comunisti in Italia, primi fra i comunisti di tutta l’Europa occidentale, ci troviamo di fronte al nuovo e grave compito di creare un partito comunista in condizioni completamente nuove, con compiti completamente nuovi e diversi da quelli del passato ». La novità del partito era, innanzitutto, nella novità della sua politica: quella non solo della presenza, dell’impegno a fondo nella lotta di liberazione nazionale, nel grande fronte della coalizione mondiale contro il nazifascismo, ma quella di una avanzata verso il socialismo, attraverso lo sviluppo conseguente della democrazia, l’unità e la collaborazione delle forze antifasciste, di classe e democrati­ che, l’affermazione della funzione dirigente della classe operaia in un processo di conquiste e di radicali riforme democratiche, nel campo economico e politico. Il «partito nuovo » voleva essere lo strumento politico coerente alla linea, al metodo democratico, ai fini socialisti di quella visione strategica che già allora fu enunciata come « via italiana al socialismo ».
In questo rapporto di organicità tra il fine e lo strumento dell’azione politica si deve cogliere una ragione essenziale del successo del « partito nuovo »: esso era, certo, il frutto dell’elaborazione, dell’intelligenza e della volontà politica di Togliatti e del gruppo dirigente comunista, ma rispondeva, con i suoi caratteri di formazione di massa, con la sua impronta nazionale e democratica, alle esigenze della lotta antifascista e della guerra di liberazione, ad una prospettiva fondata su un rapporto nuovo ed organico tra democrazia e socialismo, e per questo fu possibile affermarlo contro le resistenze e le diffidenze settarie, in una battaglia politica che fu assai vivace nel corso stesso della esperienza partigiana (4).
Dal XX Congresso al Promemoria
La svolta fu profonda, radicale. Ed è giusto segnare in questa opera la parte preminente di Togliatti. Né c’è da meravigliarsi che a lui, che avvertiva come un peccato imperdonabile « il rifiuto di pensare e fare qualcosa di nuovo », e che ancora nel Promemoria indicava come un « obbligo » per i comunisti il coraggio politico di « affrontare e risolvere i problemi nuovi in modo nuovo », sia toccato, per così lungo tempo, il compito di promuovere e di guidare il processo di sviluppo e di rinnovamento del nostro partito, con vigile prontezza nell’avvertire i fatti nuovi e con l’audacia di farvi fronte in momenti decisivi, come negli anni della liberazione e come dopo il XX Congresso.
Ma la distinzione, che Togliatti ricorderà nel ’57 a Mosca, tra « partito nuovo » e « partito di tipo nuovo », ma il richiamo preciso, all’VIII Congresso, al rapporto tra continuità e rinnovamento sono ben altro che difese sottili, di fronte ad incomprensioni e critiche presenti nel movimento comunista verso la nostra politica, né obbediscono, come si dice, all’accorto realismo di Togliatti, all’idea dello sviluppo di un gruppo dirigente per «cooptazione », né, tanto meno, segnano, come talvolta ci sentiamo ripetere, i limiti della «revisione» teorica e politica dei comunisti italiani! La concezione e il metodo del rinnovamento nella continuità hanno voluto significare, per Togliatti e per il nostro partito, che la comprensione e l’assimilazione del nuovo, lo sviluppo e il rinnovamento della politica e del partito tanto più possono avere di audacia e di saldezza, tanto più possono essere fatti reali, e non improvvisazioni velleitarie e avventurose, quanto più riescono a trovare le loro radici e motivazioni nel concreto processo storico, che ha pur condotto ad una espansione del socialismo nel mondo ed in Italia all’affermazione del PCI, come grande forza di classe e nazionale. Semmai proprio Togliatti ci ha insegnato a vincere le tentazioni, sempre pericolose, dell’arroccamento, della chiusura del partito « nel fortilizio delle proprie tradizioni e capacità di organizzazione e di lavoro », della custodia conservatrice di « tutto il passato », e ad intendere anche le « ragioni interne » degli intoppi, degli errori, dei limiti e delle resistenze nello sviluppo del nostro movimento.
Non a caso, dal XX Congresso al Promemoria di Yalta, tutta la riflessione critica e l’azione di scavo nella storia del nostro partito, del movimento operaio italiano e dell’Internazionale comunista ripropone come asse della lotta politica il superamento radicale dell’impaccio e del vizio settario, della dogmatizzazione dei princìpi, delle interpretazioni economicistiche o astrattamente volontaristiche della nostra dottrina, che Togliatti avvertiva come un riflesso rischioso delle posizioni errate dei comunisti cinesi e del processo di involuzione e di rottura del partito socialista in Italia (5). La meditazione critica sul passato mirava a dare coscienza, ancora una volta, che la politica non è un’invenzione razionalistica, che le idee, i programmi, la linea valgono non quando sono « offerti » intellettualisticamente, ma quando il lavoro politico riesce a farli diventare forza, coscienza, movimento delle masse, e modificazione quindi dei rapporti di forza tra le classi, soluzione di problemi reali e conquista di posizioni di potere.
Il richiamo è del tutto attuale. E vale a metterci in guardia, di fronte alle novità dello sviluppo capitalistico, al sommovimento sociale e politico di questi anni nel nostro Paese, dalle suggestioni, a cui ha pagato un prezzo così alto il PSI, ad intendere i compiti nuovi nei termini dell'inserimento nel sistema, magari con una funzione di stimolo, di razionalizzazione, di progresso « realistico ». Le matrici di questa prospettiva possono essere diverse, ma essa segna in effetti una abdicazione alla funzione autonoma ed egemone della classe operaia e ai fini della lotta socialista.
I «nuovi rapporti» col PCI
Ma il richiamo alla concezione e al metodo di Togliatti vale anche a respingere un’altra risposta errata e pericolosa: quella che dal processo di trasformazione economico-sociale, e dai riflessi critici ch’esso ha avuto nel rapporto tra Stato e società, tra politica ed economia, è condotta a ridurre alla sua espressione più schematica e semplicistica lo scontro di classe, fin quasi a far scomparire quei momenti che hanno caratterizzato positivamente la nostra azione nell’ultimo ventennio — il momento nazionale, il momento democratico, il momento costruttivo e positivo, la ricerca costante di un larghissimo fronte di alleanze sociali e politiche, lo sforzo per assicurare sempre la presenza e l’iniziativa dell’avanguardia operaia in tutti i nodi e le contraddizioni della società nazionale e in tutta la dialettica delle forze politiche.
Per questo ribadiamo che il partito deve andare avanti, oggi, sulla via del rinnovamento, e con tanto più coraggio nel momento in cui il valore centrale che nella vita politica italiana ha assunto il problema dei «nuovi rapporti» con il PCI, indica il fallimento delle diverse ipotesi dell’anticomunismo e il riconoscimento che il nostro partito è una forza storicamente affermata. E più a fondo rivela una presa di coscienza, nelle stesse file socialiste e cattoliche, della nostra capacità di far fronte alle « svolte », di mettere in discussione e di riconquistare in termini nuovi, nel fuoco di una esperienza che ha investito criticamente il movimento comunista internazionale, tutta una serie di valori, per ciò che riguarda l’internazionalismo, la prospettiva e la costruzióne del socialismo, e di sviluppare la nostra originale battaglia democratica e socialista in Italia.
L’importanza e la presa del nostro XII Congresso stanno nell’aver indicato — di fronte alla contraddizione sempre più acuta tra il movimento sociale e politico in atto nel paese, la sua impronta unitaria, i suoi obiettivi avanzati di rinnovamento e di riforma, e la politica incongrua, logorata e sempre più conservatrice del centro-sinistra — una alternativa politicamente valida ed attuale. I riferimenti storici sono sempre rischiosi e approssimativi, ma non c’è dubbio che le lotte di questi anni, la crisi sempre più profonda nella coalizione e nei partiti di governo, la nostra iniziativa ci hanno condotto ad una situazione che presenta analogie, per la necessità di svolta e di scelte radicali, con il momento successivo alla Liberazione o con quello che verso gli anni ’60 contrassegnò la fine del centrismo.
Valore politico del partito di massa
Il problema del partito, perciò, è ancora una volta strettamente legato alla novità della situazione e della prospettiva. Al centro dell’attenzione critica e dell’impegno di ricerca si colloca, a mio parere, il problema del carattere di massa del partito. E’ questo, chiediamoci, un principio tuttora valido di fronte alla . nostra elaborazione e agli sviluppi reali dell’articolazione e della autonomia del movimento di classe e democratico, alla ricerca di forme di organizzazione, di lotta, di potere politico delle masse, all’idea della pluralità delle forze nella battaglia per il socialismo? E quale è il significato attuale di questa caratterizzazione di massa del partito?
Torniamo a Togliatti. Nel '44, con quell’idea di una formazione politica di grandi proporzioni, aperta sulla base della adesione ad un programma politico, egli non obbediva solo alle possibilità e alle opportunità del momento: di operare, cioè, una grande raccolta di forze che si spostavano verso il socialismo, attraverso la lotta di liberazione, e di realizzare, attraverso l’esperienza diretta e immediata della milizia politica e organizzativa, il compito della conquista e della educazione socialista e rivoluzionaria di grandi masse di lavoratori. Si trattava anche di questo, senza dubbio. Ma la base di massa rispondeva più a fondo all’idea di una organizzazione politica in senso pieno, di un partito che doveva « fare politica », esser capace di dare una risposta costruttiva a tutti i problemi della vita nazionale, di lavorare e di lottare per risolverli.
Il principio era strettamente connesso a quel rapporto tra forza autonoma e antagonista e forza di « governo », che ben lungi dall’essere combinazione di compiti contraddittori esprimeva, ed esprime tuttora, la sostanza proletaria e rivoluzionaria del partito e la via attraverso la quale esso vuol conquistare ed esercitare una funzione dirigente nella vita nazionale. E questo resta un cardine irrinunciabile della nostra concezione del partito.
L’esigenza è piuttosto di restaurare in pieno la nozione ideale e politica del partito di massa. E ciò comporta aver chiaro, in primo luogo, che carattere di massa significa presenza negli strati sociali e nei centri della vita produttiva, culturale, politica, che oggi sono diventati decisivi (i giovani, le fabbriche, le scuole, le grandi città).
Comporta in secondo luogo la saldatura costante tra l’elaborazione politica e programmatica e l’azione di massa; la capacità di muovere dai dati reali dei bisogni, delle aspirazioni dei lavoratori e del popolo per promuovere un movimento concreto. Partito di massa, dunque, come partito capace di una iniziativa e di una lotta politica di massa. E infine, e soprattutto, occorre ribadire l’aspetto che per Togliatti era ben presente nella configurazione di massa: il partito come soggetto della politica, come protagonista di una azione politica effettiva, ch’era tra l’altro la via per fondare la democrazia e l’unità del partito non solo sul dibattito, la elaborazione, la proposta e la « mediazione » all’interno di un gruppo dirigente, di una avanguardia, ma sulla pratica politica, il lavoro, la lotta del più grande numero possibile di militanti.
Il carattere nazionale
Nella concezione di Togliatti il carattere di massa, popolare, si saldava strettamente a due altre caratteristiche: quella nazionale e quella democratica, che erano conquiste essenziali del « partito nuovo » e sulle quali è necessario ritornare, perché coinvolgono in questo momento alcuni dei problemi di fondo della nostra linea politica e della nostra visione del partito. Nell’uno e nell’altro termine — nazionale, democratico — si definivano insieme un’impronta e una funzione
del partito, ancora una volta in rapporto non alla contingenza e alla tattica politica, ma ad una idea e ad una prospettiva della lotta per il socialismo, che rompevano schemi tradizionali e radicati nelle file comuniste e nel movimento operaio.
Carattere nazionale era non solo e ben più dell’impegno dei comunisti nella lotta di liberazione; era la rivendicazione e l’assunzione, in quel quadro della guerra e della successiva ricostruzione nazionale, di un compito di direzione del Paese da parte della classe operaia; era l’espressione, nei termini specifici della situazione italiana, della politica leninista delle alleanze; era lo sviluppo di un rapporto nuovo, nell’ambito del movimento comunista, tra autonomia e internazionalismo.
La via italiana al socialismo
Non c’è dubbio che con la « svolta » di Salerno, con il « partito nuovo » Togliatti e il gruppo dirigente del PCI tentavano di portare avanti, nel modo più conseguente, la linea che col VII Congresso dell'Internazionale comunista aveva segnato l’esigenza di superare l’organizzazione centralizzata del movimento e di affermare l’autonomia, la caratterizzazione nazionale dei partiti comunisti. Già nei discorsi del ’44, e più tardi nella riflessone critica dopo il XX, Togliatti darà della « via italiana», e del carattere autonomo del partito la ragione di fondo, ben aldilà dei termini, pur essenziali, del rapporto di eguaglianza che deve esistere in un movimento che si ispira ad una comune dottrina e afferma una unità di obiettivi. Autonomia, caratterizzazione nazionale, ricerca della propria via di avanzata al socialismo valgono perché queste sono le basi necessarie dello sviluppo dello stesso movimento comunista, del suo collegamento con altre forze rivoluzionarie nel mondo, della possibilità di presa ideale e politica del marxismo nel contatto con la civiltà, la storia, la cultura di nuovi paesi e continenti, dall’Europa all’Asia, dall’Africa all’America Latina.
L’impulso a fare del partito una forza nazionale, capace di individuare e percorrere strade nuove, diverse da quelle dell’Ottobre sovietico poteva saldarsi così a tutta la riflessione gramsciana sulla società italiana, sulle forze motrici della rivoluzione, sulle alleanze, e teneva nello stesso tempo ben ferma quella intuizione di fondo di Gramsci, secondo il quale il partito deve essere lo strumento essenziale per interpretare e realizzare quella combinazione originale, unica tra prospettiva internazionale ed esigenza nazionale, in cui sta la base di sviluppo in ogni paese della lotta per il socialismo.
Presenza internazionalista e autonomia nazionale: il nodo è stato ed è, senza dubbio, reale nella politica e nella vita del nostro partito, dalla lotta di liberazione ad oggi.
Può essere appena il caso di ricordare che in Togliatti, dal momento del « partito nuovo » all’VIII Congresso, al Promemoria di Yalta, la ricerca costante della via della rivoluzione socialista in Italia e nell’Occidente europeo, la persuasione che l’avanzata verso il socialismo nel mondo si sarebbe espressa necessariamente in forme diverse e sempre più originali, non hanno mai comportato alcuna concessione ad una qualche chiusura provinciale, alla messa in discussane della solidarietà internazionale, anzi si sono sempre accompagnate alla necessità di individuare e di affermare il nesso dialettico tra i processi di sviluppo dei paesi socialisti, le lotte della classe operaia nei paesi capitalistici, i movimenti di liberazione nazionale.
Occorre piuttosto sottolineare che questa linea, via via affermata con coerenza e rigore crescente di fronte alle tensioni, ai contrasti, alle lacerazioni insorte nel movimento comunista internazionale, e nelle sue implicazioni per ciò che riguarda i princìpi dell’internazionalismo, i modi di costruzione dell'unità del nostro movimento, i rapporti tra gli Stati socialisti e i partiti comunisti, è valsa a far riconoscere largamente nel nostro Paese, anche nell’ambito di altre forze politiche, la legittimità e il valore della nostra presenza nel movimento comunista e operaio internazionale e l'autenticità del nostro impegno per una via italiana al socialismo.
Il rapporto con l’internazionalismo
Due osservazioni, a questo proposito, sono necessarie. La sottolineatura della novità delle nostre posizioni dalla crisi cecoslovacca alla recente Conferenza di Mosca, che è innegabile, non può far dimenticare né mettere in ombra il filo conduttore, coerente e saldo nonostante i colpi di arresto, i momenti di ripiegamento, e che ci riconduce all'opera e alla lezione di Togliatti: al partito nuovo, alla elaborazione del tema delle vie nazionali, alla critica delle posizioni dell'attesismo e della passività (durante e dopo la liberazione, e dopo il XX Congresso, con 1 miti dell'« esportazione » della rivoluzione o della vittoria attraverso la gara economica dei paesi socialisti con l'imperialismo), alla riflessione storica sugli errori e le deformazioni del periodo staliniano, sugli arresti settari dopo il VII Congresso dell'Internazionale comunista e dopo la vittoria contro il nazi-fascismo, alla visione policentrica, pluralistica del movimento, e via via fino alla denuncia delle posizioni cinesi, all'indicazione del modo di combatterle e di lavorare per l'unità del movimento antimperialistico e rivoluzionarlo.
Chi riflette al cammino compiuto nell'ultimo decennio, al lavoro di Togliatti, agli sviluppi della nostra linea in questi ultimi anni non può dire che quella del partito resterebbe una posizione, certo valida, ma di carattere metodologico, mentre il problema sarebbe ormai di entrare nel merito delle questioni dell’internazionalismo, della realtà dei paesi socialisti e così via. Senza nulla negare, che sarebbe presunzione o pigrizia mentale, dell'esigenza della più aperta e vigorosa indagine marxista in questo campo, il fatto è che nel merito dei problemi noi siamo entrati, e non da oggi, con la ricerca critica e con i gesti politici, e che non è opportuno né corretto, nel dibattito nel partito, mascherare — come è avvenuto ai compagni che hanno affrontato questi temi su II Manifesto — con l'argomento dell'insufficienza di una impostazione metodologica, un dissenso sul merito della linea di presenza internazionalista e di autonomia nazionale del PCI.
Anche la definizione del carattere democratico del partito comportava una correlazione tra il tipo di struttura, di regime interno del partito e il suo impegno politico. Democratico significava e significa l'affermazione del nesso tra democrazia e socialismo, di una visione della lotta di classe e rivoluzionaria che puntava sull'estensione, sullo sviluppo della democrazia, nel campo economico e , politico, e sul metodo democratico della lotta. Qui, a mio giudizio, è la novità di maggior rilievo e fecondità del « partito nvovo »; l'aver individuato nel nesso tra democrazia e socialismo il problema centrale dell'egemonia, la ipotesi nuova di conquista del potere, e l'aver impostato su questa base tutta la politica di alleanze e di unità.
Il carattere democratico del partito indica così gli obiettivi e il metodo democratici come termini essenziali della strategia di avanzata al socialismo. Certo, nel 1944-'46, con la costruzione del « partito nuovo » Togliatti mirava alla fusione delle diverse correnti politiche proletarie. Lo affermerà esplicitamente, ancora nel '47, quando quella prospettiva non era più attuale (« pensavamo che il compito della creazione del "partito nuovo" l'avremmo realizzato attraverso la fusione col partito socialista, che dal confluire di queste due grandi esperienze storiche concrete sarebbe uscito più rapidamente un grande partito nuovo dei lavoratori italiani »). Ma quel tipo di partito, a cui i comunisti non rinunciarono, segnava già rispetto all'esperienza sovietica e alla stessa elaborazione di Gramsci, il passaggio ad una ipotesi pluralistica nella lotta e nella costruzione del socialismo, ad una visione del partito non come totalità, non come espressione unica dell’organizzazione politica delle masse, ma come forza dirigente, non solo di un processo di alleanze tra la classe operaia e altri gruppi sociali, ma di uno schieramento di forze politiche e ideali, interessate ad una prospettiva socialista.
L’alternativa che matura
Non credo di dover insistere sugli sviluppi positivi che a questa concezione abbiamo dato sia per ciò che riguarda il rapporto tra il partito e il movimento di classe e democratico, sia per ciò che riguarda l'articolazione democratica del partito stesso. Certo è che ci troviamo oggi in Italia di fronte a processi complicati e non unìvoci. Abbiamo da una parte l'emergere di sollecitazioni e di tendenze oggettive verso il socialismo, il dislocarsi sul terreno della lotta anticapitalistica di nuovi strati sociali, e in particolare di forze giovanili, una serie di esperienze e di spinte unitarie, assai forti sul terreno sindacale e in qualche misura su quello politico, una crisi che investe e scuote i partiti di governo, dalla scissione social­democratica al dissenso cattolico, al duro contrasto interno nella DC. Dall’altra operano, anche quale riflesso e contraccolpo della profonda crisi politica del centro-sinistra, della disarticolazione della « componente » socialista, dei contrasti nel movimento comunista internazionale, un complesso di suggestioni politiche e ideologiche estremizzanti, di sollecitazioni alla diaspora settaria, alla formazione e all'iniziativa di gruppo. Ma l’uno e l'altro aspetto indicano, in realtà, la maturazione di uno sbocco, di una alternativa.
Se questo è vero, io credo che noi dobbiamo dare più vigore e respiro di persuasione « ideologica », di massa, alla strategia della via italiana; dobbiamo ingaggiare più a fondo la battaglia ideale e politica sul problema del partito, riaffermando la funzione del partito comunista, con quei caratteri di massa e di lotta, di forza nazionale e democratica, di strumento di una politica positiva e di alternativa, che sono non solo le ragioni del nostro successo, ma i dati permanenti del moderno partito della classe operaia.
Chiediamoci: che cosa comporta tale esigenza in termini di rinnovamento e di sviluppo democratico del partito?
Le recenti vicende del PSI e della DC, — la scissione consumata nel più assoluto disprezzo della regola democratica del rispetto della volontà della maggioranza, la crisi di governo condotta nel gioco pesante dei ricatti, delle pressioni, delle prepotenze — renderebbero fin troppo facile il far risaltare, nel confronto, il vigore e la vitalità democratica del nostro partito.
La nostra democrazia
Parliamo, dunque, della nostra democrazia. Noi siamo andati avanti, in particolare in quest'ultimo decennio, sulla base di una intuizione ben precisa, che era già a fondamento del « partito nuovo »: e, cioè, che la democrazia del partito prima e più che in un sistema di garanzie statutarie, pur rilevante, dipende dal legame reale con la classe operaia e con le masse, dal grado di partecipazione e di coscienza politica dei militanti; che la necessaria aperta circolazione delle idee, la libertà del dibattito, l'approfondimento politico e teorico delle questioni, il valore delle scelte sono in rapporto stretto con l’efficienza politica, con la maggiore e permanente attività del maggior numero di compagni.
La garanzia prima della democraticità del partito è, dunque, nel carattere e nell’attività di massa del partito, nel suo « fare politica ». Per questo io sono persuaso che abbiamo fatto bene, al XII Congresso, a mettere al centro, sotto tutti i profili dell'articolazione e decentramento del partito, dei metodi di lavoro e di direzione, la questione della partecipazione di base, del massimo di intervento dei militanti nelle discussioni e nelle decisioni politiche. Certo, abbiamo segnato anche il confine tra democrazia e democratismo. E non dobbiamo esitare a dire che abbiamo bisogno di più democrazia, ma abbiamo bisogno anche di colpire decisamente le tenta­ zioni dell'anarchismo orga­ nizzativo e della demagogia democraticista. Il che significa, innanzitutto, che respingiamo le ipotesi delle correnti, delle frazioni organizzate attorno a posizioni contrapposte, ad alternative di linea e le manifestazioni che comunque a questo sbocco potrebbero avviarci. Ma significa anche che dobbiamo essere ben consapevoli che lo sviluppo del dibattito, l’apertura nel confronto delle idee e delle posizioni, la libera manifestazione del dissenso esigono uno sforzo più serio per giungere a conclusioni unitarie e impegnative; che la estensione più grande della partecipazione alle scelte politiche sottolinea la corresponsabilità e l’autodisciplina, che un processo di decentramento, di articolazione organizzativa, di momenti autonomi di ricerca e di proposta politica comporta non un meno ma un più di direzione, di mediazione, di sintesi politica da parte degli organismi dirigenti.
Due cose abbiamo ben imparato da Gramsci e da Togliatti e da tutta l’esperienza storica del nostro movimento: che il centralismo democratico non è una formula taumaturgica, uno schema rigido, ma una visione e un metodo per il governo e per l’unità del partito, che postulano una concezione storicistica della società, della nostra dottrina, dello stesso partito, un movimento dialettico tra democrazia e centralismo, tra articolazione e unità, tra « base » e « vertice », e che l’unità non si deve confondere con il « monolitismo », che è la deformazione dogmatica, aprioristica, e in realtà fragile, inconsistente dell’unità.
Ma abbiamo anche imparato che la democrazia è un valore irrinunciabile proprio perché è la condizione prima di una unità reale del partito, e che questa unità deve essere difesa, sempre, con ostinata fermezza e intelligenza. Il coraggio di difendere il nostro patrimonio è lo stesso coraggio che ci è necessario per intendere e promuovere il nuovo. Come ci ha insegnato Togliatti.
(1) Cfr. P. Togliatti, Problemi del movimento operaio internazionale, 1956-’61, Editori Riuniti, 1962, pag. 253 e segg.
(2) Vedi il volume: P. Togliatti, La politica di Salerno, aprile- dicembre 1944, Editori Riuniti, 1969.
(3) Cfr. l’articolo « La nostra ideologia », l’Unità, 23 settembre 1925, ora in P. Togliatti, Opere, voi. I, Editori Riuniti, pag. 647 e segg.
(4) Vedi in proposito il saggio di E. Ragionieri: « Il PCI nella Resistenza: la nascita del ” partito nuovo ” », in Studi storici, 1969.
(5) Vedi gli interventi di Togliatti all’VIII, IX, X Congresso del PCI, gli scritti raccolti nel voi, cit. Problemi del movimento operaio internazionale, e la relazione alla sessione del CC dell’aprile 1964 in: P. Togliatti, Sul movimento operaio internazionale, Editori Riuniti, 1964.
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32747+++
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Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 8 Giorno: 29
Numero 34
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 8 - 29 - numero 34


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