Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: La battaglia dei braccianti pugliesi per il rinnovo dei contratti, il collocamento e la occupazione, saldatasi fortemente con quella dei coloni per la conquista del capitolato di colonia, si è chiusa vittoriosamente, dopo circa un mese di scontri durissimi, con la piena disfatta del fronte padronale. A questa battaglia, che ha fatto della Puglia l’epicentro di un duro scontro politico, 350 mila braccianti e coloni sono giunti dopo lunghi mesi di preparazione e attraverso momenti di forte tensione sociale e politica, quali sono stati i due scioperi regionali del 12 dicembre 1968 e del 10 giugno per la occupazione e lo sviluppo economico della regione. Per molti aspetti gli scioperi dei braccianti e dei coloni possono considerarsi momenti di articolazione dei grandi scioperi regionali. Le lotte bracciantili infatti si sono inserite nella crisi reale della politica governativa verso l’agricoltura e il Mezzogiorno che ha colpito vasti strati della popolazione. La situazione nelle campagne è giunta al limite di rottura nel pieno della crisi politica che travaglia il paese ed è coincisa con la caduta del governo. La crisi governativa ha subito permeato il clima delle battaglie sociali caratteristico delle lotte in Puglia, il quale così ha assunto il carattere di un duro scontro politico. I grandi cortei, le manifestazioni, le occupazioni dei municipi per costringere gli agrari alle trattative hanno avuto questo carattere ed hanno posto in evidenza che non si tratta più di escogitare nuove forme di interventi per sanare ingiustizie in Puglia e nel Mezzogiorno, ma occorre cambiare politica. Tanto meno si tratta di limitarsi ad affermare che « la Puglia è una regione a respiro europeo e che europee sono le questioni che riguarano la Puglia e il Mezzogiorno ». Riaffermare la cosiddetta vocazione europea della Puglia mentre i lavoratori sono m lotta per obiettivi concreti vuol dire sottrarsi all’impegno di risolvere tali problemi. Certo, se si guarda all’agricoltura pugliese non vi possono essere dubbi che essa è fortemente condizionata dal MEC. Queste però sono le conseguenze di una politica europea che prospetta gravi danni alla economia della regione e non già la vocazione europea della Puglia. Detta politica ed il processo di concentrazione capitalistico sono già costati caro alla Puglia: 500 mila emigrati e 400 mila disoccupati, la rovina della azienda contadina, il sottosalario, l’arresto dello sviluppo industriale, le strutture civili e sociali quanto mai arretrate, le risorse inutilizzate. E’ un costo che i lavoratori pugliesi si rifiutano di continuare a pagare. Nel giro di quattro anni, dal 1963 al 1967 — secondo i dati ISTAT — il tasso di disoccupazione in Puglia è praticamente raddoppiato, passando dal 2,4% al 4,7%, con una forte incidenza della disoccupazione giovanile che, secondo la stessa fonte, nel 1968, era di 26 mila unità rispetto ai 59 mila disoccupati iscritti negli Uffici di collocamento. L’espansione di mano di opera dalle campagne, l’assenza di una prospettiva reale di sviluppo industriale, hanno fatto scendere il tasso di attività al 35,2%, uno dei livelli piu bassi oltre il quale è difficile andare. In tale contesto si sono sviluppate le lotte bracciantili e quelle dei coloni le cui esperienze, per le qualità degli obiettivi e i metodi nuovi di lotta unitaria, meritano la nostra riflessione. Fin dall’inizio della lotta dei braccianti in provincia di Bari era apparso evidente che il punto sul quale ci sarebbe stato lo scontro non era tanto il salario quanto il riconoscimento da parte degli agrari delle Commissioni per la gestione del contratto e per la occupazione. Infatti gli agrari, dopo aver tentato inutilmente di creare una rottura tra i braccianti e coltivatori diretti, dichiaravano la loro disponibilità a concludere la vertenza con concessioni relative alla parte salariale e alla riduzione dell’orario di lavoro, a condizione che non si parlasse di commissioni comunali. Nella loro grettezza gli agrari pensavano di poter assorbire la lotta attraverso la concessione di aumenti salariali, ma si sbagliavano. La esperienza della lotta contro le zone salariali ha insegnato ai lavoratori che non basta rompere l’equilibrio del sottosalario, ma è necessario conquistare nel contempo strumenti con i quali esercitare un reale potere di controllo. Proprio nel momento in cui gli agrari si dichiaravano disposti a concessioni salariali e opponevano un netto rifiuto ai punti qualificanti (commissioni comunali, ecc.) della piattaforma avanzata dai braccianti, appariva chiaro che la lotta si sarebbe incentrata su questi punti. Nelle assemblee indette dai sindacati la volontà dei braccianti era esplicita: « Gli agrari ci vogliono dare i soldi sulla carta perchè sanno che poi non rispetteranno il contratto; noi vogliamo le commissioni per far rispettare il contratto, gli agrari non ci prenderanno per la fame, la lotta finirà quando avremo ottenuto le commissioni ». Intorno a detti obiettivi la lotta è cresciuta, si è ampliata fino a provocare la rottura tra agrari e coltivatori diretti la cui organizzazione, dichiarando di accettare il riconoscimento delle commissioni, ha determinato la rottura del fronte padronale dando più forza ai braccianti in lotta. A questo punto sorgeva un problema politico e, di conseguenza, la esigenza di una svolta nella lotta. I sindacati unitariamente la risolvevano facendo ricorso alle consultazioni dei lavoratori ai quali veniva avanzata la proposta di firmare l’accordo con i coltivatori diretti e di spostare la lotta sulle aziende degli agrari. La consultazione, durata 24 ore, ha rappresentato una grande esperienza di partecipazione democratica dei lavoratori i quali, convocati nelle grandi piazze pugliesi, sono stati invitati a votare prò o contro la proposta dei sindacati per alzata di mano. Approvata la proposta dei sindacati la lotta veniva spostata sulle grandi aziende. Anche qui i lavoratori facevano una grande esperienza, poiché gli agrari colpiti nel vivo dei propri interessi non hanno potuto resistere più di qualche giorno. Uno per uno, convocati dai sindacati sottoscrivevano l’accordo già stipulato con i coltivatori diretti. L’Unione Provinciale Agricoltori che si era rifiutata di sottoscrivere l’accordo andava in frantumi. I successi conseguiti e la decisione con la quale i braccianti si sono battuti alimentavano ed estendevano la lotta nelle altre province pugliesi ove si è avuto un crescendo della tensione e dello scontro. A Foggia, ove la CISL e la UIL avevano firmato da sole un accordo in cui non erano previste le commissioni per la gestione del contratto e della occupazione dopo 7 giorni di sciopero, proclamato dalla sola Federbraccianti, nel fuoco della lotta si riconquistava l’unità e veniva sottoscritto un contratto che riconosceva le commissioni a carattere intercomunale. Anche a Taranto, dopo una settimana di sciopero e di duri scontri veniva firmato un patto che prevede le commissioni, e veniva, finalmente, cancellata la disparità salariale fra uomini e donne con l’impegno di definire anche il patto colonico.. Contemporaneamente, a Lecce veniva stipulato il patto colonico e continuavano le trattative per il contratto dei braccianti. A Brindisi dopo oltre 10 giorni di lotta, di tensione e di manifestazioni, veniva raggiunto l’accordo sul capitolato colonico e firmati i contratti dei braccianti e dei salariati fissi. Nella intera regione gli agrari sono stati piegati alla trattativa e alla stipula dei patti, isolati rispetto alla opinione pubblica. Le lotte dei braccianti invece sono state sostenute dagli strati intermedi (bottegai, artigiani, ecc.) i quali hanno dimostrato in vari modi la loro solidarietà. In non pochi comuni i consigli comunali si sono schierati con i lavoratori in lotta. Anche quando alcuni episodi di intransigenza e di esasperazione (blocchi stradali, ecc.) sembravano poter determinare rotture fra braccianti e opinione pubblica, si è avuta comprensione per le ragioni che spingevano i lavoratori alla lotta. In molti comuni si è arrivati allo sciopero generale. In una lotta come questa, che ha messo in movimento 350 mila lavoratori per obiettivi avanzati, collegati ai problemi della partecipazione e del controllo e alle esigenze di un rinnovamento delle strutture agricole sono emerse, certo, insufficienze, ritardi ed anche errori. Le lotte e i risultati sono stati diversi tra provincia e provincia e certamente, nel rispetto della propria autonomia, il sindacato ed il partito dovranno arrivare al più presto ad un esame che, comunque, porrà in evidenza un bilancio nettamente positivo. Tuttavia, fin da ora, si possono fare alcune considerazioni: 1) La chiarezza degli obiettivi e il carattere unitario delle piattaforme rivendicative sono indispensabili per la mobilitazione dei lavoratori e la loro capacità di resistenza nella lotta; 2) solo la maturazione a livello di massa di una forte coscienza di classe e un sicuro orientamento politico possono reggere uno scontro lungo e durissimo su obiettivi non solo salariali; 3) si riconferma la validità della lotta aziendale che si è dimostrata la più incisiva per isolare e battere gli agrari; 4) nuove forme di lotta sono sempre il risultato di esperienze dirette delle masse e non frutto di astrattezze teoriche; 5) la partecipazione democratica dei lavoratori alla direzione della lotta e alla trattativa è fondamentale per condurre grandi battaglie sociali; 6) il rapporto partito-masse in lotta è ancora di tipo tradizionale, alle volte di delega, altre volte di sostituzione, di presenza attiva dei militanti, ma fion sempre con una propria caratterizzazione. I risultati conseguiti aprono sicuramente nuovi problemi a livello delle strutture organizzative del sindacato per rendere operanti gli strumenti di potere conquistati. Nuove prospettive si aprono alla lotta per le trasformazioni agrarie e la occupazione, per la applicazione dei piani di zona e nuovi rapporti unitari tra braccianti e contadini. Risolvere i problemi e affrontare le prospettive di lotta nuove è il compito che ci sta di fronte nei prossimi mesi, per evitare che le conquiste delle lotte vengano annullate dalla controffensiva degli agrari. La trasformazione dei rapporti sociali nel senso di un effettivo passaggio della terra a chi la lavora resta il nostro obiettivo di fondo. Il valore delle lotte e delle conquiste dei braccianti e dei coloni pugliesi, sta proprio nel fatto che vanno in questa direzione. | |
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