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tipologia: Analitici; Id: 1549917


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Inserto speciale: analisi di un grande scontro di classe, 5 – Diego Novelli, La città contro Agnelli [sopratitolo: Lo sciopero generale di Torino ha mostrato l'urgenza di sottrarre lo sviluppo cittadino ai bisogni della Fiat]
Responsabilità
Diego Novelli+++
  • Novelli, Diego ; ente ; ente
  autore+++    
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Inserto speciale [Rinascita]///«FIAT-Torino» {Inserto speciale [Rinascita]///«FIAT-Torino»}+++  
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Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
Che cosa sta accadendo a Torino?
Quali ragioni stanno alla base del movimento di lotte che ha investito non soltanto le fabbriche (in primo luogo la Fiat) ma è presente su tutto il territorio, a livello di quartiere, di borgata, nella città capoluogo e nei comuni della cintura industriale?
Il 3 luglio oltre 600 mila lavoratori di tutte le categorie, con alla testa i metalmeccanici, sono scesi in sciopero per 24 ore, paralizzando l’intiera provincia torinese. La possente fermata indetta unitariamente dai sindacati aveva come obiettivo: 1) esprimere la protesta contro il continuo rincaro del costo della vita, in modo particolare contro lo scandaloso aumento che gli affitti hanno subito in questi ultimi mesi; 2) rivendicare dal governo e dal Parlamento una legge che blocchi i fitti e gli sfratti; 3) strappare misure straordinarie nel settore dell’edilizia pubblica. Le conseguenze della nuova ondata immigratoria determinata dalle esigenze produttive della Fiat (vedi Rinascita n. 14 del 4 aprile ’69) si sono fatte presto sentire. A Torino un appartamento all’estrema periferia della città costa dalle 15 alle 20 mila lire al vano. Nelle locande del centro storico un letto, sistemato in stanzoni capaci di contenerne ammucchiati anche una decina, viene affittato a 20-30 mila lire al mese; vecchie soffitte, mansarde e scantinati sono stati divisi con fogli di cartone in tre, quattro fette, e ceduti a 20 mila lire la « porzione » (con cauzione anticipata di 3 mesi). In una pensione di via Barbaroux i letti sono affittati in base al turno di lavoro: sullo stesso giaciglio si alternano nella giornata tre operai, il primo, che lavora dalle 6 alle 14, il secondo che entra in fabbrica quando il suo compagno esce e un terzo che fa il turno di notte.
Anche accettando queste dure condizioni, è difficile trovare una sistemazione. Don Allais, direttore del «Centro immigrati meridionali», nella riunione indetta dal Comune di Torino per « l’esame dei problemi derivanti dall’occupazione e dall’immigrazione nell’area metropolitana », a cui hanno preso parte pubblici amministratori, sindacalisti e rappresentanti degli industriali, ha dichiarato che il suo ufficio «ha schedato 281 pensioni in Torino, praticamente tutte. Le possibilità ricettive sono nulle. Fino alla settimana scorsa occorreva fare in media una ventina di telefonate per reperire un posto; ieri mattina si sono dovute fare decine e decine di telefonate per non trovare neanche un letto. Abbiamo dovuto mandare i due operai, che si rivolgevano a noi, al dormitorio pubblico. Questa notte ho mandato degli assistenti sociali alla stazione di Porta Nuova dove ogni sera si possono trovare dalle 150 alle 200 persone che vi dormono. La polizia ferroviaria fa tre controlli: uno a mezzanotte, l’altro verso le due, il terzo verso le ore 6-7 del mattino; gli assistenti sociali hanno presenziato al controllo; fra gli altri vi erano una trentina di operai richiesti dalla Fiat, di cui 8 già assunti e gli altri in attesa di assunzione ».
In primavera, quando venne avvertito il fenomeno, e se ne parlò per la prima volta in consiglio comunale a seguito di una interrogazione comunista, si disse che la Fiat aveva bisogno per il 1969 di 15 mila unità lavorative. Gianni Agnelli in una intervista (Espresso n. 14 del 6 aprile 1969) affermava che il turnover Fiat, cioè il ricambio di personale, « è molto alto, specie nel primo anno dopo l’assunzione. La media è del 40%, cioè su 100 nuovi assunti alla Fiat, ve ne sono 40 che se ne vanno nei primi 12 mesi. Le ragioni apparenti sono tante, ma la sostanza è una sola: abituati ai ritmi di lavoro autonomo della campagna, i nuovi assunti si adeguano con fatica ai ritmi dell’industria. Perciò, appena possono, appena trovano una soluzione diversa, lasciano la Fiat per aziende di più piccole dimensioni, o si mettono per conto loro, aprono una officina, si improvvisano commercianti o tornano contadini magari nei poderi nella campagna torinese. Naturalmente — concludeva Agnelli — — negli anni successivi il turnover diminuisce moltissimo perchè il trauma dei nuovi assunti agisce soprattutto nei primi mesi. La media generale degli operai che lasciano la azienda è del 10%, il che vuol dire all’incirca 12 mila persone all’anno ».
Queste previsioni sono state largamente superate. Il Notiziario Fiat, riservato agli azionisti, distribuito il 10 luglio scorso, tra gli altri dati sul primo semestre dell’esercizio in corso comunica che il numero dei dipendenti del gruppo è aumentato di circa 10 mila unità in soli 6 mesi. Difatti al 30 giugno 1969 risultavano essere 168 mila (138 mila operai e 30 mila impiegati) contro 158.445 a fine 1968. Il che significa, in base alla esperienza statistica, che sul territorio torinese si sono riversate (o stanno per riversarsi) oltre 40 mila persone, poiché il trasferimento di ogni unità lavorativa comporta la migrazione di altre 3 persone. Nei primi sei mesi del 1969 sono anagraficamente giunte a Torino 28.858 persone e ne sono emigrate 20.015. La stragrande maggioranza di coloro che hanno lasciato il capoluogo si sono riversati sui comuni della prima e seconda cintura. I 52 comuni della prima e della seconda cintura torinese, tra il 1961 e il 1968, hanno visto crescere la propria popolazione di 350 mila unità.
E’ interessante fare il confronto degli « incrementi medi generali » registratisi in Italia, in Piemonte e nell’area metropolitana torinese nel periodo considerato, cioè 1961-1968. Abbiamo i seguenti dati: Italia più 7,50%; Piemonte più 10,50%; Torino più 11%; provincia di Torino più 18 e 50 per cento; comuni della seconda cintura più 33% ; comuni della prima cintura più 67%.
Di fronte a fenomeni di questa natura, sono facilmente immaginabili le conseguenze al livello della società civile: « A Torino ha dichiarato recentemente il segretario provinciale dell’UIL Baffo in un’intervista concessa alla televisione svizzera — possiamo trovarci da un momento all’altro di fronte a episodi come quello di Battipaglia, con la stessa collera e la stessa disperazione: laggiù perchè manca il lavoro, qui da noi che il lavoro c’è, manca tutto il resto, in primo luogo la casa ».
Questo tipo di preoccupazione è stato espresso anche dal settimanale cattolico della diocesi torinese a commento dello sciopero del 3 luglio e degli incidenti verificatisi di fronte alla Fiat, sul corso Traiano, a seguito del provocatorio atteggiamento assunto dalla polizia. «La nota dominante — scrive La voce del popolo — sta nella carica incontrollabile di esasperazione che spinge le masse allo scontro... La logica che presiede a queste esplosioni di collera collettiva è sempre la stessa logica elementare: tanto a Battipaglia, quanto a Torino... Il pericolo sempre presente, di fronte a spettacoli avvilenti di violenze e talvolta, di vandalismo, è quello di dimenticare ì problemi che li provocano, alcuni dei quali hanno assunto proporzioni tali da indurre intere famiglie alla disperazione. La inerzia della classe politica, le controversie per il potere, che si svolgono in un modo sempre più lontano dalla realtà, devono essere fatte pagare, in ogni caso, ai cittadini? E’ certamente facile condannare la degenerazione delle manifestazioni di dissenso e si trovano a buon mercato mille ragioni per inorridire di fronte alla violenza. Ma chi può far intendere a un operaio che versa ogni mese il 40-50% del suo salario al padrone di casa, che deve stare buono, ad attendere che i partiti si siano
messi d’accordo? Chi gli può fare in­ tendere ragione? Tanto più che nel nostro paese sembra ormai invalso l’uso di tenere conto dei problemi soltanto quando si bruciano i municipi. Oggi il buon senso — conclude il foglio dei cattolici torinesi — sembra essere venuto meno.
Torino ha fame di case a prezzi economici e popolari. Il settore dell’edilizia privata continua a produrre abitazioni i cui costi non sono accessibili alla stragrande maggioranza delle famiglie operaie, soprattutto quelle di recente immigrazione. Nel 1968 in Italia sono stati ultimati 270 mila appartamenti e l’aumento rispetto al ’67 è stato dell’1,2%. L’incremento sull’area piemontese è stato del 33,5%, mentre per la sola provincia di Torino abbiamo un aumento di circa il 50% rispetto al 1967.
L’anno di « mora » concesso all’entrata in vigore della « legge ponte » (n. 765) ha favorito la speculazione privata che ha richiesto un elevato numero di licenze edilizie entro il 31 agosto dello scorso anno, con l’obbligo di cominciare le costruzioni entro l’agosto di quest’anno e ultimarle entro due anni. A Torino sono stati rilasciati in poche settimane permessi edilizi per 100 mila vani (pari alla produzione degli ultimi tre anni): i costi dei materiali sono saliti alle stelle, comportando di conseguenza pigioni elevatissime. « Non basta garantire il lavoro », così titolava, in prima pagina, a commento dello sciopero del 3 luglio la Gazzetta del popolo, in chiara polemica con le organizzazioni padronali. Più severo il giudizio dell’assessore al lavoro e ai problemi sociali del comune di Torino, il democristiano dott. Valente, il quale all’inviato di TV-7 ha dichiarato: «Non c’è stata collaborazione tra poteri pubblici e forze economiche che hanno fatto tutto da sè, hanno deciso tutto loro senza neppure interpellarci. La Fiat e le altre, industrie torinesi sono le dirette responsabili di ciò che sta accadendo: hanno sbagliato nella valutazione delle conseguenze. Credo che sia per questa ragione che il dottor Agnelli, in un recente comunicato, ha deciso di sospendere le assunzioni per diminuire i disagi dell’immigrazione ».
Lo stesso giorno dello sciopero generale La Stampa annunciava con evidenza l’iniziativa assunta dalla Fiat di stanziare 15 miliardi di lire, in 30 anni, quale contributo per finanziare un piano straordinario di edilizia. Si tratta di una goccia in confronto al mare di esigenze, però è significativo il fatto che dopo anni di totale assenteismo da parte degli imprenditori, sia pure con intenti chiaramente strumentali e paternalistici, cominci a prendere spazio il concetto dei costi sociali determinati dai nuovi insediamenti, dalla continua espansione dell’industria in aree ormai al limite della congestione.
Torino infatti può essere assunta a modello di questo distorto sviluppo economico e sociale. Contrariamente alle affermazioni del dott. Agnelli, nella sua relazione al convegno della Unione democratica dei dirigenti di azienda svoltosi a Roma nel giugno scorso, la Fiat non ha saputo anticipare il futuro, le sue possibilità e le sue risorse. I dirigenti del monopolio hanno ritenuto possibile, nella logica del sistema capitalistico, di poter ripetere impunemente ciò che era accaduto durante il primo boom industriale, negli anni ’60, quando i costi sociali dello sviluppo industriale vennero scaricati tutti sulla collettività attraverso gli immensi sacrifici sopportati dai lavoratori, a causa della mancanza dei servizi fondamentali per una vita civile.
Lo stesso tipo di sviluppo squilibrato determinato da una società consumistica in rapida evoluzione come la nostra, ha accelerato i tempi, ha favorito una crescita, anche se non ancora del tutto consapevole del movimento delle masse. Il giovane immigrato calabrese che giunge oggi a Torino per lavorare alla Fiat è profondamente diverso dal fratello maggiore che lo ha preceduto dieci anni fa. Le sue esigenze, i suoi problemi, i suoi diritti, il suo rapporto con la società sono mutati quantitativamente e qualitativamente.
L’aspetto più rimarchevole della azione condotta dal partito comunista rimane la saldatura finalmente raggiunta, dopo anni di discussioni, di polemiche e anche di contrasti, tra fabbrica e città.
Le lotte aperte in una ventina di quartieri di Torino, sia pure in condizioni molto differenziate, hanno una radice in comune: contrastare il modello di città che la Fiat e le grandi forze economiche hanno voluto imporre, agire e lottare con tutti i mezzi non solo per modificare o razionalizzare questo modello, ma per sostituirlo con un altro, più consono alla condizione dell’uomo.
La battaglia per i consigli di quartiere, che correva il rischio di isterilirsi attorno a riserve di carattere istituzionale, è decollata nel momento in cui, alle capziose polemiche formali, si sono sostituiti i problemi reali delle masse che vivono nei quartieri e quotidianamente, sulla loro pelle, sperimentano i disagi di questa città-mostro.
Dove il discorso dell’assemblea di quartiere è andato avanti con maggiore speditezza, oggi non ci si pone più, ad esempio, nei confronti dei problemi urbanistici in posizione di difesa semplice del Piano regolatore generale, cóntro le gravi violazioni consentite dall’amministrazione comunale: i termini sono completamente rovesciati. I cittadini diventano i protagonisti dell’elaborazione del Piano, diversamente destinato, per buono che sia, a rimanere una espressione cartografica. La partecipaziione assume un valore nuovo, al livello decisionale.
L’esperienza di lavoro di questi ultimi mesi ci offre già alcuni esempi concreti: primo fra tutti, quello del «quartiere 33» di corso Taranto, in Barriera di Milano, dove, dopo lunghe, vivaci lotte, gli abitanti sono riusciti non solo a impedire la costruzione di uno stabile che avrebbe sottratto un’area verde (obiettivo posto all’inizio della lotta), ma a imporre una modifica radicale del «piano di zona » discussa ed elaborata attraverso decine di assemblee popolari. A Pozzo Strada, in quindici giorni, con la mobilitazione di parecchie migliaia di persone, si è strappata la apertura di un parco di proprietà dei gesuiti, oggetto di trattative con il Comune da undici anni! In borgata Paradiso, dopo l’occupazione di una area verde privata, trasformata in parco del popolo, la Giunta si è vista costretta in 24 ore ad assumere provvedimenti per l’esproprio dell’area e la progettazione di una scuola materna, provvedendo ai relativi finanziamenti. In via Artom, dopo due anni di lotta gli inquilini delle case municipali hanno ottenuto una riduzione del 50% del costo degli affitti.
Un largo schieramento di forze politiche e sociali si è così determinato su questi problemi: alle tesi dell’Unione industriali e della Fiat, tendenti a giustificare il modello di sviluppo sinora persguito in base alle esigenze della competitività, della produttività « onde evitare che si determini un grave invecchiamento dei capitali investiti», si è contrapposta l'azione delle masse, ponendo al centro l’uomo e le sue esigenze, e non di profitto.
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32742+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 7 Giorno: 18
Numero 29
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 7 - 18 - numero 29


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