Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: Il Congresso della CGIL ha inciso in profondità nella vita sindacale e politica del paese. Tutti, partecipanti ed osservatori al Congresso, hanno potuto verificare come, nel corso dei lavori, il processo di costruzione di una nuova unità sindacale sia venuto avanzando, tanto che alla conclusione del Congresso era chiaro che la prospettiva dell’unificazione sindacale si poneva ormai in termini molto più ravvicinati. Gli stessi lettori della Stampa, del Corriere e di altri grandi quotidiani, di solito così scarsamente e male informati sulla attività della CGIL, hanno compreso che al Congresso stava accadendo qualcosa di nuovo e di importante. Deformazioni, interpretazioni parziali ed interessate certo non sono mancate, ma, una volta tanto, non sono riuscite a nascondere del tutto la verità. Troppo rilevante era ciò che accadeva. La novità della situazione è apparsa in tutta la sua evidenza quando sono saliti alla tribuna i rappresentanti della CISL e della UIL e sono intervenuti nel dibattito, non per dei saluti formali, ma per cimentarsi con gli stessi problemi che impegnavano i delegati ed affermare una comune volontà unitaria. Se i discorsi di Ravenna e Storti hanno dato il senso del lungo cammino percorso dall’unità sindacale ed hanno indicato che si è entrati in una fase nuova nei rapporti tra le Confederazioni, il contributo più importante al processo unitario è venuto dalle decisioni e dall’andamento stesso dei lavori del Congresso. Significative sono state le decisioni in materia di correnti, che segnano i primi passi, certo ancora limitati, ma indicativi, sulla via del superamento delle correnti stesse e di tutti i limiti che ne derivano al pieno dispiegamento della democrazia sindacale. Grande importanza hanno le deliberazioni in materia di incompatibilità e le proposte unitarie, tra le quali quella di una conferenza comune delle Confederazioni al termine dei tre congressi. Ma, forse più delle stesse decisioni assunte, ha contato il dibattito per i contenuti e il metodo. Lo stesso avvicinarsi della prospettiva unitaria ha spinto a un approfondimento ulteriore del senso dell’autonomia sindacale, ed alla ricerca del tipo di rapporti che un sindacato autonomo deve stabilire con tutti i momenti della vita sociale, in primo luogo le istituzioni rappresentative, il Parlamento, il governo, i partiti. Autonomia non significa per il sindacato isolamento, ma al contrario esigenza di misurarsi, da proprie posizioni, certo, in un confronto più diretto e ravvicinato che nel passato, sia con le istituzioni rappresentative che con le forze politiche. Vanno respinte quindi le tendenze a spoliticizzare il sindacato o, all’inverso, a un pan-sindacalismo che abbia la pretesa di fare assolvere ai sindacati le funzioni proprie del partito politico. Nel primo caso si avrebbe una volontaria restrizione dell’attività del sindacato in limiti puramente economici e contrattuali che di per sè significherebbe accettazione di una posizione subordinata di fronte alle grandi scelte del padronato. Nel caso del pansindacalismo si finirebbe con lo spingere il movimento dei lavoratori a contrastare un avversario che usa grande molteplicità di strumenti per realizzare il suo dominio, con un solo strumento: il sindacato. Il che, dati anche i limiti intrinseci alla natura del sindacato, lascerebbe spazio all’azione avversaria e quindi nei fatti, anche in questo caso, indurrebbe la classe operaia e le masse lavoratrici ad accettare una posizione subordinata. Ma la discussione ha inciso soprattutto, e questo è stato il fatto che ha più colpito molti osservatori, perchè il dibattito è stato aperto, chiaro, ma animato sempre da una volontà unitaria, come le conclusioni hanno dimostrato. Nessuna delle differenze di opinioni che esistevano tra i delegati è stata nascosta o diplomatizzata, ciascuno ha difeso le sue idee con impegno e con passione e nell’insieme tutti hanno operato perchè le differenze non divenissero motivo di divisione, ma potessero approdare ad una sintesi unitaria. E’ stato quindi un congresso vero, espressione di una democrazia autentica. E qui è stato forse il maggior contributo al processo di unificazione: nella dimostrazione, nei fatti, che dibattito e contrasto di opinione non significano necessariamente divisione, ma anzi possono essere la base più solida per una unità reale. Se il tratto essenziale del congresso è stato il progresso sulla via dell’unificazione, di grande rilievo è stata l’analisi delle lotte e dei problemi politici che ne scaturiscono. Non ci si è limitati ad un bilancio critico, sfuggendo ad ogni trionfalismo, che pure poteva tentare, data l’ampiezza ed il vigore dei movimenti di questi anni ed anche l’importanza di alcuni risultati raggiunti; ma si è guardato avanti ai problemi ancora da affrontare e risolvere. In tale esame è emersa una questione che chiama direttamente in causa anche le responsabilità dei partiti politici. L’attuale movimento, per la qualità delle sue rivendicazioni, per il potenziale di lotta che esprime, pone ormai, in modo sempre più aperto, questioni di indirizzo di politica economica. Tale esigenza è sempre più presente tra i lavoratori, i quali hanno la consapevolezza che lo sfruttamento non opera solo nelle aziende ma in tutta la vita sociale e che senza una lotta più vasta ed insieme più articolata si rischia di vedere riassorbire gli incrementi salariali attraverso l’aumento dei fitti e del costo della vita, o vanificare le conquiste sindacali dalle reazioni del sistema o addirittura dalle manovre di gruppi speculativi e parassitari, come sta accadendo a Torino dove i miglioramenti della condizione operaia si trasformano, attraverso l’aumento dei fitti, in un premio per gli speculatori sulle aree fabbricabili. I lavoratori non sono disposti ad attendere passivamente un nuovo 1964, una nuova congiuntura sfavorevole e magari una nuova lettera di Colombo, che inviti all’austerità, sempre a senso unico, per i soli lavoratori. Certo il sistema economico italiano segue le leggi dello sviluppo capitalistico ed è fortemente condizionato dagli sviluppi generali che si verificano sul mercato internazionale. Ma sappiamo anche che vi è una serie di misure che possono esesre prese, se non per annullare, per limitare le conseguenze negative per i lavoratori della logica del sistema. La stessa spinta inflazionistica, già in atto, può essere contenuta, nonostante le pressioni che vengono dal mercato internazionale, con una politica energica che colpisca posizioni di rendita e parassitarle ed usi i potenti strumenti finanziari ed industriali in mano allo Stato per influire sulla dinamica dei prezzi. Da ciò l’urgenza di collegare le lotte in corso a una politica di riforme, come condizione essenziale per garantire che il progresso economico si trasformi in un effettivo progresso sociale. Il congresso ha assunto pienamente questa problematica, almeno nei suoi termini generali. Il dato politico nuovo che ha caratterizzato il dibattito congressuale, a partire dalla relazione del compagno Novella, è stata la consapevolezza che occorre basare la lotta per le riforme sullo stesso movimento rivendicativo oggi in atto e che il problema essenziale è sviluppare quel collegamento tra lotte rivendicative e movimenti di riforma che negli scorsi mesi ha avuto un importante momento nell’intreccio che si è stabilito tra lotte aziendali, superamento delle zone, movimento per le pensioni. Anche se non è stato possibile mettere a fuoco tutti i complessi problemi che una simile impostazione comporta, pur tuttavia, anche sulla base di una valutazione autocritica delle insufficienze del passato, è venuta precisandosi una strategia di lotta, che coglie le spinte presenti fra i lavoratori, affronta tutti gli aspetti dello sfruttamento dentro e fuori la fabbrica, tende a chiudere i varchi attraverso i quali padronato e pubblici poteri possono assorbire o ridurre le conquiste dei lavoratori e del movimento sindacale, punta ad ottenere una serie di riforme che investono i nodi fondamentali dello attuale meccanismo economico. Se questa linea indicata dal congresso andrà avanti, se il movimento sindacale saprà respingere le tentazioni (che verranno anche da esigenze della lotta) a perdere questo collegamento, allora proprio intorno a questi temi si stabilirà quel confronto più diretto e ravvicinato tra movimento sindacale e partiti politici che il congresso ha auspicato. A tale appuntamento noi comunisti andiamo con la fiducia di chi ritrova nelle esigenze del movimento la conferma di una politica e di una ispirazione ideale; ma si tratta di un appuntamento che non riguarda solo noi, bensì tutti i democratici. Nessuno pensi di poterlo eludere. Intorno a questi temi si deciderà l’avvenire del paese nei prossimi anni, si verificheranno nei fatti le strategie sindacali, ma anche gli schieramenti e le collocazioni politiche e, prima fra tutte, la più importante delle collocazioni: il rapporto tra ogni gruppo o formazione politica e le forze essenziali della società italiana: il movimento dei lavoratori. | |
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