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tipologia: Analitici; Id: 1549909


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Valentino Parlato, Battipaglia: il retroterra dell'esplosione [sopratitolo: E' entrata in crisi una struttura di potere aggressiva e soffocante] [sottotitolo: Continuità dell'antica proprietà fondiaria, sistema di potere democristiano, uso trasformistico dell'intervento pubblico, industrie di rapina e boom edilizio, sfaldamento del Cilento e creazione di sacche di nuova durissima miseria nel caotico sviluppo della Piana del Sele. La crescita delle forze produttive e le conseguenze del MEC rendono acuto il contrasto sociale e creano contraddizioni all'interno delle forze dominanti]
Responsabilità
Valentino Parlato+++
  • Parlato, Valentino
  autore+++    
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Temi d'oggi [Rinascita] {Temi d'oggi [Rinascita]}+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
[didascalia p. 7: All’ondata di scioperi e proteste che in tutta Italia ha fatto seguito all’eccidio di Battipaglia, si è risposto con nuove repressioni poliziesche. Nella foto: una carica a Via Cavour, a Roma.]
[didascalia p. 8: « Lasciare spazio alla nuova generazione! » (da Le canard enchaìné di Parigi)]
Battipaglia, aprile, — Il minacciato licenziamento delle tabacchine è stato soltanto il detonatore, il fiammifero che ha dato fuoco a quel barile di polvere da sparo che è oggi la Piana del Seie, come lo sono del resto tutte le « zone di sviluppo » (e vedremo di che sviluppo si tratti) del Mezzogiorno.
Le lunghe micce dell’esplosione di Battipaglia, con tutte le loro significative particolarità, si diffondono su tutto il territorio nazionale: dai mercati generali di Napoli alle metropoli industriali del Nord, fino ad arrivare ai palazzi di Bruxelles dove si definiscono i regolamenti del MEC e si scandiscono più rapidamente i tempi di un rilevante processo di concentrazione dell’industria alimentare europea. Affondano nel tempo, nella storia della proprietà fondiaria. C’è un filo rosso che unisce la situazione esistente ai tempi del principe Doria, duca di Eboli e di Angri, a quelle venutesi a creare successivamente con l’acquisto della terra del principe da parte di « massari » o borghesi come i Farina o i Bellelli, con la trasformazione in agrari di ufficiali piemontesi come gli Agnetti, con gli avvii della politica di colonizzazione e bonifica e quindi l’ingresso delle società capitalistiche, la Fondi Rustici prima e poi la SAIM (Società agricolo - industriale meridionale), i Vaisecchi, parenti dell’attuale ministro dell’Agricoltura. Attraverso i sussulti seguiti alla prima guerra mondiale, si arriva all’Opera Nazionale Combattenti, e alle nuove proprietà degli Iemma, dei Mellone, dei De Martino e poi, ancora più recentemente, dei Tupini. E’ una grande storia di famiglie, di matrimoni, di espropri del vecchio proprietario da parte dell’amministratore, però sempre conservando, pur in un considerevole dinamismo di scelte culturali, l’essenza dell’ originaria struttura proprietaria; ha conservato soprattutto una salda rete di potere.
Anche senza richiami al gattopardismo, la storia della proprietà e dei proprietari fondiari di questa zona è un esempio di sviluppo produttivo e di trasformismo politico nella continuità del potere reale, attraverso intrecci spregiudicati e non sempre ortodossi con il mondo dell’industria e soprattutto con quello
della politica, dai tempi del deputato Ricciardi a quelli di Carmine De Martino e dei Tupini; dai tempi del protezionismo granario a quelli della battaglia del grano e della bonifica integrale, a quelli delle concessioni per la coltura del tabacco, del Piano Verde, dei regolamenti comunitari.
L’agricoltura è andata avanti qui con la politica della bonifica e del sostegno dei prezzi, si è intrecciata con lo sviluppo dell’industria conserviera e con la speculazione edilizia, ha rivoluzionato l’antico rapporto tra montagna e pianura che una volta era di transumanza, sfaldando il Cilento e trasformandone gli abitanti da pastori in braccianti ed emigranti. Vi è stato un intreccio convulso e caotico di nuovo e di vecchio; che ha però sempre la sua radice immediata e primaria nella terra. Una terra che costituisce una delle più vaste e fertili pianure del Mezzogiorno, nella quale si sono avute in tempi abbastanza stretti decisive trasformazioni colturali: dalle foraggere e dal pascolo si è passati al moderno allevamento e alle colture specializzate di ortaggi e frutta. Una terra nella quale l’impronta capitalistica è evidente e netta, ed emerge non solo dai rapporti di produzione ma anche da una rilevazione socialmente mistificata come quella del censimento agricolo.
Nella zona agraria di Battipaglia, che comprende i comuni di Battipaglia, Capaccio, Eboli, Pontecagnano, Serre, 15.568 ettari dei 33.763 complessivamente coltivati risultano a conduzione capitalistica con braccianti o compartecipanti. In questo tipo di conduzione, le aziende superiori ai 100 ettari sono 43 con una superficie di 9.819 ettari pari ai 64 per cento del totale. Nel comune di Battipaglia, che nacque da un insediamento di lucani cacciati dal terremoto, le aziende censite come capitalistiche sono complessivamente 57 con 2.756 ettari rispetto ai 5.242 di superficie coltivabile totale.
E non si tratta di ordinamenti produttivi basati sulla cerealicoltura o sulla pastorizia, anche se lo sviluppo non è ancora generalizzato a tutta la piana del Seie. Nella piana tuttavia ci sono oggi circa 30.000 ettari di superficie irrigua, la meccanizzazione sta avendo considerevole diffusione, il pascolo è quasi scomparso e il grano arretra mentre viene avanti l’allevamento (si contano oltre 13.000 capi bovini con netta prevalenza alla produzione del latte), le produzioni ortofrutticole si accrescono e ancora oggi gli impianti continuano a essere estesi, vi è un nucleo di aziende considerate tra le più moderne d’Italia.
Il rapido sviluppo di questa area è reso evidente innanzitutto dalla dinamica demografica. Nei quattro comuni principali della piana, al tempo dell’unificazione nazionale, c’erano appena 18.000 abitanti, che sono diventati 35.000 nel 1931, 60.000 nel 1951 e quasi 100.000 oggi. In un Mezzogiorno di emigrazione, a Battipaglia la popolazione è passata da 16.000 abitanti all’indomani della Liberazione a 36.000 nel 1968.
Su questo sviluppo hanno confluito varie spinte, quasi sempre con un marcato carattere sociale e politico: la politica fascista della bonifica e l’ingresso delle imprese capitalistiche, l’Opera Nazionale Combattenti nell’altro dopoguerra, la riforma stralcio dopo le lotte del ’49-’5O, l’occupazione di circa 2.000 ettari di terre degli usi civici ancora in possesso precario. L’impulso decisivo alla trasformazione è venuto soprattutto dalla riforma agraria prima e dal più generale boom dell’economia italiana poi. Si trattava di lotte, di afflussi di manodopera e di capitali pubblici che, nel contesto della struttura proprietaria e di potere della piana del Seie, hanno operato come acceleratori di uno specifico sviluppo capitalistico.
Uno sviluppo che è costato e costa emigrazione, rottura di vecchi equilibri, creazione di nuove larghe sacche di disoccupazione, sottoremunerazione e sfruttamento da accumulazione primitiva. Cosa è in effetti il lavoro stagionale, così diffuso in queste zone, se non lo sfruttamento e lo spreco delle nuove forze di lavoro e produttive che lo sviluppo pure ha liberato? Anche in questi giorni, nei quali Battipaglia è stravolta dagli scontri della scorsa settimana, nei quali più appariscente e squallida è l’assoluta carenza di servizi civili dalle strade, all’acqua, agli ospedali, alle scuole, e più evidente è la presenza di 3.000 disoccupati (che nelle proporzioni aritmetiche sono come 250 mila disoccupati a Roma), resta tuttavia palese l’impetuoso processo di valorizzazione del capitale che si è avuto in questi anni: cinematografi, grandi palazzi moderni, pretenziosi e assurdi ma che tuttavia trovano dei costruttori e dei compratori, automobili di tutte le cilindrate e guidate con lo slancio della conquista recente. Le cambiali circolano anch’esse con grande facilità.
E’ stato uno sviluppo caotico animato dai movimenti della popolazione, dall’espansione del mercato, dal rapido aumento del valore della terra e della produzione agricola e anche da un boom « selvaggio » dell’industria alimentare, fatta di imprese precarie e di rapina, che lucrano sui finanziamenti quasi sempre maggiori degli investimenti effettivi e si fondano sui bassi salari e sui bassi prezzi pagati ai contadini. C’è stato un periodo di grandi speranze, di denaro apparentemente facile, di manodopera a volontà, di bassi salari, di scarso potere contrattuale. A Battipaglia sono arrivati a esserci ben 27 caseifici. Bastava mettere su una caldaia e veniva fuori un conservificio. Del resto non diverso era stato l’avvio della più grande industria conserviera di Battipaglia, la Baratta. Baratta era un emigrato del Nord, veniva da Parma e cominciò anche lui con una caldaia. Oggi l’industria Baratta è scomparsa: lo scontro con la grande industria e il potere finanziario è stato letale, ma gli eredi Baratta hanno ricavato i loro bravi milioni vendendo come suoli urbani le aree coperte dagli stabilimenti e dalla villa, che con il suo piccolo parco risplendeva tra le strade non asfaltati; i cittadini di Battipaglia non sono riusciti a ricavarne nemmeno un giardino comunale.
All’industrializzazione « selvaggia » si sono accompagnati i lavori pubblici, di bonifica e soprattutto quelli per il raddoppio della linea ferroviaria e per la costruzione dell’autostrada e c’è stato anche un clamoroso boom edilizio, realizzato nei modi più spregiudicati, in violazione di quasi tutte le norme sull’edilizia. Gli impresari sono arrivati al punto di provocare una specie di sciopero contro i limiti di altezza
degli edifici, allo scopo di dare ai loro amici in Comune un alibi « sociale » alla violazione delle leggi e dei regolamenti. Per guadagnare tempo rispetto agli interventi del Comune (o per dare al Comune la possibilità di un ritardo burocratico e non chiaramente doloso) a Battipaglia si è arrivati al punto di costruire di notte con l’illuminazione elettrica, accrescendo gli incidenti sul lavoro, spaccando fognature, inquinando l’acqua potabile. In questo caos di sviluppo le opere di civiltà rimanevano ferme, la massa dei lavoratori stagionali continuava a essere taglieggiabile a piacere: non va dimenticato che tra le cause immediate dello scoppio di esasperazione a Battipaglia ti citano lo scoppio di una epidemia di tifo (mentre ancora non c’è un ospedale pubblico) e la morte di una bambina rimasta schiacciata dalla caduta di una delle quattro pesanti panchine di granito che stavano al centro dello squallido giardinetto di piazza del Popolo.
Tutto questo ribollire di migrazioni, speculazioni, industrie, fallimenti, giri di cambiali, ricatti, sfruttamento, precarietà del lavoro, disoccupazione alimentava una protesta politica, una speranza e una volontà di cambiamento radicale pur rimanendo gran parte dei cittadini — nelle cose di ogni giorno, nel giro del paese — vincolati al potere dominante. E’ sintomatico che il PCI nelle ultime elezioni politiche, con i suoi 4.200 voti, si sia affermato come il primo partito di Battipaglia, mentre alle amministrative, con 1.700 voti, scende al quarto posto dopo la DC, il PSI, il MSI. Lo scarto tra votazioni politiche e amministrative è evidentemente di gran lunga maggiore di quanto non accada nella stessa media meridionale.
Ma ciò che va aggiunto (e che risulta evidente a chiunque discuta anche brevemente con gli abitanti di Battipaglia) è che è rimasta ferma e immutata la rete del potere, di un potere che si esercita direttamente, quasi senza mediazione politica, e che è il potere degli agrari, degli industriali, dei grandi commercianti, degli speculatori in una situazione nella quale le diverse figure sociali trovano spesso una coincidenza nelle persone fisiche o almeno nelle famiglie. Una rete di potere che finora è stata tenuta insieme dalle varie forme di intervento pubblico.
L’unica reale mediazione percepibile a Battipaglia è quella, indicata a suo tempo da Gramsci, che la classe dirigente locale esercita per conto della classe dirigente settentrionale.
Per il resto le strutture del potere sono lì ferme, evidenti, opprimenti: sono i 15-20 agrari dei quali si sono fatti i nomi e che sono in parte anche grandi commercianti in quanto dispongono di impianti frigoriferi che consentono loro dì conservare i prodotti propri e di influire sul mercato. Ci sono i grandi commercianti, i Formentini e i Romano, anch’essi in possesso di grandi impianti frigoriferi e che, utilizzando lavoratori stagionali, controllano il mercato. Ci sono gli industriali: a volte sono gli stesisi agrari; a volte, come nel caso dello zuccherificio, sono gruppi locali collegati con grosse ditte nazionali (Piaggio) ; a volte sono le grandi industrie alimentari nazionali direttamente presenti nella Piana del Seie (Girlo) o rappresentate da mediatori di vario tipo o addirittura dagli impianti cosiddetti « cooperativi » costruiti con il denaro pubblico e che lavorano per conto della De Rica o di altre note ditte. Il potere di questi agrari e industriali arriva a estendersi anche sugli assegnatari agricoli che, attraverso contratti per l’acquisto del prodotto, definiti ancor prima dell’impianto degli ortaggi, sono ridotti alla condizione di compartecipanti e sono praticamente espropriati delle terre.
Questa struttura basilare del potere ha una immediata espressione negli strumenti dell’intervento pubblico e nelle forze politiche locali. L’Ente di sviluppo per la Campania è presente con alcuni uffici (mentre la stazione macchine non funziona), una sessantina di impiegati, in gran parte uomini della DC e degli agrari. La stessa cosa può dirsi per l’AIMA, la cui gestione del conguaglio prezzi è fonte di favoritismi in senso ben preciso.
La Concoper, che è il conservificio cooperativo operante nel comune di Battipaglia, produce scatolame con etichetta Cirio e De Rica e finisce con l’essere oggettivamente (anche per il nessun potere che nella sua gestione hanno contadini e assegnatari) uno strumento della politica dei prezzi degli industriali e dei maggiori agrari. Vi sono ancora contratti che stabiliscono che il prezzo pagato sarà quello della giornata di conferimento, e basta un accordo tra i pochi che contano perchè il prezzo aumenti o diminuisca. Senza contare che sistemi arretrati di industrializzazione, che provocano il rifiuto delle conserve italiane all’estero e l’accresciuta concorrenza internazionale danno luogo, sempre più frequentemente a crisi di sovrapproduzione, e impongono un processo di concentrazione a scala europea che gli zuccherieri italiani, anche quelli operanti a Battipaglia, stanno facendo con i soprapprofitti realizzati con le protezioni doganali e con nuovi licenziati.
I consorzi di bonifica che sono in effetti gli unici validi strumenti di intervento pubblico (sarebbe meglio dire di spesa pubblica) per le trasformazioni fondiarie e quindi per la valorizzazione della terra sono dominio esclusivo e diretto degli agrari: i nomi dei presidenti e degli amministratori sono in modo ricorrente nel tempo quelli di Mastrandrea, Mellone, Iemma, Alfano; socialisti o democristiani sono sempre gli interessi dei capitalisti agrari che prevalgono. Analogamente il discorso può continuare per il Consorzio agrario e l’Ispettorato agrario dal quale in ultima analisi dipende l’erogazione e la distribuzione dei fondi del Piano Verde, del Fondo do decennale per la motorizzazione, eco.
Per chiudere, va aggiunto che in una zona di lavoratori stagionali non qualificati lo Stato si presenta con la pratica della « sosta » (come viene chiamata a Battipaglia) nella erogazione dei sussidi di disoccupazione, che significa che per i primi due mesi di disoccupazione il sussidio non viene corrisposto.
La società politica nelle sue forze di governo è questa stessa struttura: l’attuale sindaco. Vicinanza, è il medico della Coltivalori diretti, tra i precedenti sindacaci sono uno dei fratelli Mellone agrario e industriale e De Vita persona legata agli interessi della famiglia Baratta; il segretario della sezione DC, Barra, è un impiegato dell’Ente di sviluppo. Il gruppo dominante della DC si dichiara fanfaniano ed è capeggiato dal sotto­segretario on. D’Arezzo, che non gode di grande fama tra gli stessi DC. Le ACLI praticamente non esistono, ma ci sono gli Uomini di Azione Cattolica; la CISL si fregia ancora dell’insegna « Sindacati Liberi » dei tempi della guerra fredda e come ai tempi della guerra fredda media il collocamento.
Anche il clero è di destra, ci sono i padri « stimmatini » che nelle passate eiezioni hanno sostenuto il MSI contro la DC, e il nuovo vescovo, monsignor Gaetano Polilo nel 1946 è stato vescovo di Kaifeng, nella Cina popolare e quando fu rimandato in Italia, ancora ai tempi di Pio XII e della « Chiesa del silenzio », pubblicò un libro autobiografico, Croce d’oro fra le sbarre nel quale si narra del terrore, della prigionia e delle torture nella Cina di Mao. Delle altre forze politiche il PSI oltre a uno Iemma, ha tra i suoi leaders locali esponenti di una piccola borghesia meridionale che non fa considerare desuete le invettive di Salvemini, e quasi non è un paradosso che l’ala che si definisce lombardiana, in contrasto con quella socialdemocratica, sia stata sempre per la collaborazione con la DC. Il MSI nei suoi esponenti ripropone un quadro da origini del fascismo: un agrario ex generale di cavalleria e i due fratelli De Sio, uno tenente colonnello di PS in pensione e l’altro un avvocato che insegna francese nelle scuole medie.
Questo è stato il coperchio sotto il quale ha ribollito in questi anni Battipaglia, sotto il quale è maturata — e matura in tutto il Mezzogiorno sviluppato — quella che con una espressione in uso si definisce « la rivoluzione delle attese cadenti ». Una rivolta che ha portato in sè tutte le scorie di questo processo, di un intreccio di condizionamenti, ricatti, immeschiniimenti che nella misura in cui lo scontro di classe è stato contenuto e talvolta confuso e distorto dalla rete del potere esistente finisce per toccare anche le forze popolari. L’esplosione si è avuta in un momento di grave crisi interna della struttura dominante, del suo blocco di forze.
Schematicamente si può dire che da una parte questo sviluppo caotico ha significato crescita delle forze produttive e anche del loro livello di coscienza. I braccianti, che sono l’unica categoria che ha una struttura sindacale non puramente assistenziale, sono cresciuti di numero e tendono ad addensarsi nella categoria del permanente; il sindacato sta cominciando ad esercitare un certo controllo sul collocamento e per quanto possa- sembrare sorprendente in alcune aziende capitalistiche sono passati i Comitati di azienda o le Commissioni interne, come si dice localmente. In questa situazione, di sviluppo delle forze produttive e di potere sindacale che tende a crescere, sono maturati o stanno maturando fatti che aprono serie contraddizioni nella stessa struttura dominante, nella quale nascono anche le tentazioni a utilizzare strumentalmente moti di scontento al fine di ottenere ancora una volta, in una forma qualsiasi, il sostegno del denaro pubblico per esem­ pio, oggi, per la valorizzazione turistica delle terre costiere dei Valsecchi e dei De Martino-Tupini.
Le ragioni della crisi non sono di superficie. C’è una sospensione dei lavori pubblici, e, soprattutto, la crisi dell’industria alimentare che sta investendo numerosi comuni del Salernitano come Cava, Scafati, Nocera e la stessa Salerno. Anche la più recente industria alimentare si presenta precaria come l’antica e nelle nuove dimensioni del mercato i suoi cicli vitali appaiono anche più brevi: per questo tipo di industria alimentare sembra sia finita una fase.
In secondo luogo vi è — anche in correlazione con il MEC — la crisi di altre colture tradizionali, barbabietola e tabacco, che hanno avuto il loro riflesso immediato nei fatti di Battipaglia. In terzo luogo c’è la minaccia che un proseguimento dello sviluppo agricolo nella piana del Seie dove sono possibili produzioni dii massa a costi bassi metta in crisi o faccia addirittura saltare la sviluppatissima economia contadina dell’agro sarnese e nocerino il che aprirebbe, per la stessa struttura di potere, problemi sociali e politici difficilmente controllabili. In sostanza lo sviluppo produttivo ha creato all’interno delle stesse aree decisive dell’agricoltura italiana una tale divaricazione tra produzioni moderne e produzioni tradizionali da rendere sempre più difficile e onerosa la saldatura che finora si era realizzata attraverso la politica di sostegno diretto o indiretto dei prezzi (il «piano Mansholt » è una conferma generale di questa crisi).
In sostanza entra in crisi anche il blocco sociale della struttura di potere dominante ed entra in crisi — nella prospettiva di una disoccupazione di massa — anche la presa e la mediazione politica dello Stato, che finora si è esercitata proprio attraverso una manovra dell’occupazione e delle emigrazioni. E questa crisi più profonda, questa tensione interna alla stessa struttura dominante è anch’essa alla base della esplosione di Battipaglia.
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32729+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 4 Giorno: 18
Numero 16
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 4 - 18 - numero 16


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