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tipologia: Analitici; Id: 1544583


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Livorno: bandiera vietcong sulla nave USA. I portuali ci spiegano come è nata l'iniziativa mediterraea anti-NATO
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
Il 12 luglio a Livorno, si è tenuto un Convegno delle città mediterranee sedi di basi militari americane e della NATO, promosso da un Comitato unitario di portuali livornesi e di operai del « Comitato Trastulli » delle Acciaierie di Terni. Abbiamo raccolto dalla viva voce dei portuali come si è arrivati a organizzare l'importante iniziativa.
Beh, l’idea è venuta nel porto. Andiamo a dargli una occhiata e guarda, sembra una stiva zeppa. Sulle banchine un mucchio di navi, un pieno che non sappiamo dove mettere le mani. Fuori, al largo altre navi in rada. Oggi sono solo tre, ma a giorni ne conti sei, sette. Cosa fanno? Aspettano il loro turno per entrare in porto. Non c'è posto e bisogna prenotarsi. E sai quanto costa una nave in rada al giorno? un milione, netto. E poi mettici se ha merce deteriorabile a bordo, frutta, che so io, di quella che viene da lontano. Il prezzo sale. Ed allora i costi di produzione salgono anche loro sempre più su. Ma adesso guarda là. Vedi quei due chilometri di banchine deserte? Nessuno le può utilizzare. Noi quando ci va di riderci diciamo che ci hanno fatto risola pedonale o il parcheggio privato per alcuni signori. Ma la faccenda è seria. Quei due chilometri di banchine sono state cedute agli americani. Ci attracca sì e no una nave ogni quattro, cinque giorni, ma nessuno la deve occupare, off limits, zona militare, divieto di caccia, roba dei signori che stanno alla base americana.
Il porto di Livorno già non ci basta più, dobbiamo respingere un mucchio di navi che chiedono di scaricare. Neanche quei due chilometri di banchina ci risolverebbero il problema. Ma ci darebbero, adesso, il respiro necessario. Figurati la rabbia! Su quelle banchine potrebbero lavorarci altri cinquecento portuali. Che dici? forse anche mille! Allora abbiamo cominciato a farci su un ragionamento. Quale prezzo economico paga Livorno alla base americana? Quanto ci costa? In che misura danneggia la città, la sua economia, il suo sviluppo?
« Io dico così: il porto è il polmone e il cuore della città: se non si sviluppa il porto Livorno muore ». « Le cose non stanno proprio così. Il porto è uno dei settori essenziali della economia livornese, ne è parte fondamentale, ma non può essere tutto. Bisogna cercare anche altre vie di sviluppo. Diciamo allora che se il porto non si sviluppa tutta l’economia livornese subisce un duro contraccolpo ». « Va bene bimbo. Mettila così ». « Insomma Livorno segue gli alti e bassi del porto ». « D’accordo ».
Allora si decide che ci si batte. Quelle banchine sono vitali per il porto? E noi le vogliamo. Cominciamo a fare manifestazioni. Chiamiamo la gente. Organizziamo la cittadinanza. Il porto è di tutti, non è solo nostro. Le petizioni non si contano più. Arrivano dappertutto e vanno dappertutto, « Chissà se qualcuno le legge a Roma o altrove ». Allora si decide che forse ci sentono con lo sciopero. E ne facciamo un mucchio. Tutti insieme fanno una bella lotta, credici. Anche a Roma cominciano a sentirci. « Forse perchè l’anno scorso si era in vista delle elezioni ».
Un giorno Lupis, il ministro della Marina mercantile, chiede di vederci per discutere. Si va? si va. Facciamo una bella delegazione unitaria e partiamo. Sorrisi, promesse, interessamento personale del ministro, sai come vanno queste cose. Passa il tempo e non succede nulla. A un certo punto un giornale ha una bella pensata. Scrive che facciamo male a lamentarci perchè la presenza della base americana dà lavoro a un certo numero di livornesi e di pisani ed è quindi fonte di ricchezza. Oh, bella! « Allora dove ci sono i disoccupati invece di farci l’industria, ci mettono le basi straniere? Un bel principio! ».
Ma vogliamo veder meglio la questione, perchè in fondo quel giornale voleva mettere contro quelli che lavorano nella base e noi. Guardiamo, parliamo e scopriamo che quei lavoratori hanno un bizzarro stato giuridico. Le zone salariali sono state abolite? Per i lavoratori della base questo non conta: quello è territorio americano. Si conquista un contratto nazionale? Lì non vale: loro hanno un contratto aleatorio, extraterritoriale, « che è? il Vaticano? ». Quei lavoratori li hanno scelti, come dire? Uno a uno con tanto di bollo dei carabinieri che garantivano. Niente rosso, mi raccomando, da più generazioni. Ma sai com’è: quando si è lavoratori alla fine un po' di rosso lo si trova. E allora diamogli una mano, si organizza con loro la lotta anche perchè abbiano un contratto di lavoro non più dipendente dalle autorità militari americane, ma conforme alle conquiste sindacali italiane. E loro lottano.
Ma intanto, con la storia delle banchine e dei lavoratori della base, le domande si accumulano. Se tutti sono convinti che economicamente quei due chilometri di banchine ceduti agli americani danneggiano la città, perchè Livorno deve pagare questo prezzo? E poi: a quali condizioni è stata ceduta la base? Quali sono gli accordi segreti? In che misura, oltre che il danno economico, si è infranto il principio della sovranità nazionale? « Capisci, noi non si sa leggere i grandi libri, ma si sa far di conto con la politica. Qui l’abbiamo nel sangue ». Il problema non è solo economico, è stato sempre politico. E questa volta, come sempre, la politica è fatta di cose concrete, vere, vive. « A noi non ci sono mai garbati gli americani, fin dal 1949 quando De Gasperi disse a Togliatti che mai e poi mai sarebbe stato ceduto un pollice di territorio nazionale a basi straniere. Mettici anche questa: dopo pochi mesi gli americani erano qui a Livorno ». Il conto torna. Nel 1949 eravamo contro la NATO, per tutto quello che ha rappresentato per i padroni. Adesso si aggiunge che la presenza della base impedisce al porto di Livorno di espandersi, che le servitù militari bloccano uno dei punti centrali dell'economia livornese. Ragazzi, bisogna darci sotto. I mille lavoratori della base? Sono nostri compagni di lotta, e troverebbero ben altre possibilità di lavoro — e non solo loro — se la città avesse un altro respiro economico, una sua linea precisa e organica di sviluppo.
Beh, per farla corta. Un giorno su una nave da guerra americana attraccata nel parcheggio privato, al posto delle stelle e strisce sventola la bandiera vietcong. Non ti dico che finimondo! Chi è stato? Boh! Un altro giorno un capitano americano bestemmiando nella sua lingua fa riscaricare un intero carico di casse: su ognuna di esse c’era una bella scritta: 'USA = SS, Via dal Vietnam', chi è stato? Boh! Insomma si sente però che il problema è diventato politico, che la lotta deve essere politica.
Allora ci si ragiona ancora. Ci sono in Italia circa trenta province che sono sedi di basi militari americane e della NATO. Vuoi vedere che hanno gli stessi nostri problemi? E poi qui, con il ventennale della NATO, nonostante tutte le parole dei ministri, invece di diminuire, questa NATO continua a crescere, a proliferare: comandi, basi, flotte e controflotte. Cominciamo a raccogliere documenti, materiali e il problema diventa sempre più chiaro. Pensiamo alla Grecia, e la chiarezza diventa maggiore. « Sai qui c'era una volta un maggiore dei paracadutisti che ci giocava un po' in quel senso, lo abbiamo sciagattato un po’ ed è sparito dalla città. Ci hanno detto che il suo nome è riapparso a Roma in una scritta murale che chiedeva lo Stato forte. Boh! ». Tra noi cominciamo a discutere dei rapporti tra NATO e sviluppo economico e sociale, tra NATO e indipendenza nazionale, tra NATO e democrazia. Un giorno ci riuniamo e decidiamo che bisogna fare qualcosa. Chi ci sta? Tutti: comunisti, socialisti, cattolici, indipendenti. Ci stiamo tutti. Si fa un bel comitato di portuali livornesi e si decide di invitare a Livorno tutte le città che sono sedi di basi militari americane e della NATO. Uno dice: solo l’Italia? Ha ragione. E allora invitiamo anche gli altri: Cipro, Marocco, Spagna, Portogallo, Grecia. Sai tra noi portuali si conosce un po’ di lingue per via del lavoro. Giù una bella lettera. E si parte.
Ecco com’è nato il convegno. Siamo contenti? Beh, sì. Ma bisogna continuare. Un convegno può restare solo un convegno. L'importante è quel che riesce a seminare. E la nostra idea è che comitati come il nostro debbano nascere dappertutto, tra i lavoratori, nelle fabbriche, nelle scuole. Te l'ho detto. Non leggiamo grandi libri, ma sappiamo far di conto. E il conto è che tutti si debbono mobilitare, organizzarsi e lottare ogni giorno, se vogliamo far andare via le basi straniere, la NATO e alla fine uscire dal Patto Atlantico.
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32742+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 7 Giorno: 18
Numero 29
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 7 - 18 - numero 29


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