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tipologia: Analitici; Id: 1544088


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Franco Rodano, Democrazia progressiva
Responsabilità
Franco Rodano+++
  • Rodano, Franco
  autore+++    
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - manuale o riveduta:
A proposito di uno dei problemi che più vengono discussi in questo momento, pubblichiamo volentieri questo scritto di uno degli esponenti del nuovo partito della «sinistra cristiana».
Si è discusso molto, in questi ultimi tempi, intorno al concetto di democrazia progressiva, vale a dire intorno a quella linea politica che, almeno dal 1935 in poi, i comunisti hanno proposto alle forze antifasciste di tutti.i paesi europei, e che tuttora propongono e perseguono.
Il fatto è indubbiamente di una notevole importanza; poiché, ove si tenga presente la definizione leninista del partito come « avanguardia cosciente e organizzata della classe operaia », una linea proposta dai comunisti significa semplicemente, in quanto li rispecchia, lo atteggiamento, la volontà, gli obiettivi del proletariato nei suoi rapporti con le altre forze sociali, e in una determinata fase storica.
Ora la politica proposta dai comunisti era ed è non soltanto in apparenza così nuova ma addirittura, almeno per gli affezionati ai vecchi schemi calunniatori, così inopinata, che doveva riuscire spontaneo supporre un profondo mutamento nei generali rapporti tra il proletariato e le altre classi e ceti sociali. Precisare e definire la natura e l'entità di questo mutamento individuarne le cause, trarne tutte le conseguenze legittime, giudicare infine se la politica di democrazia progressiva nasceva effettivamente come il portato di un mutamento nei rapporti fra le classi, e se quindi corrispondeva a una fase storica della lotta della classe operaia, questi erano i compiti di una critica onesta, di una discussione seria e approfondita sul concetto di democrazia progressiva.
Invece nulla di tutto questo; e infatti, a voler tirare le somme del tanto discutere che si è fatto in questi mesi in Italia, risulta facilmente che le polemiche e le indagini critiche sono state impostate male, che nessuno si è impegnato sul serio a criticare il concetto di democrazia progressiva, poiché nessuno si è proposto prima di comprenderlo. Ed in realtà i discorsi sono risultati tutti superficiali, mentre nessun contributo è stato arrecato, da uomini militanti in campi diversi od opposti a quello comunista, allo svilupparsi e al chiarificarsi del concetto di democrazia progressiva.
Incomprensione di «destra» e di «sinistra».
Possiamo a tutt'oggi dire che, in ultima analisi, le discussioni hanno condotto al costituirsi di una interpretazione di destra e di una di sinistra. Caratteristica la prima di ambienti conservatori e pseudodemocratici, abituati a considerare la corrente comunista come estremismo acceso, totalitarismo piazzaiuolo, egualitarismo demagogico, e via di questo passo e su questa china, così ben preparata e levigata, per gli scivoloni dei conservatori, da vent'anni di «cultura politica» fascista. La seconda posizione appartiene invece agli ormai sempre più sparuti gruppetti di intellettuali anarcoidi e parolai; a coloro cioè che scambiano per coscienza politica comunista una specie per così dire di complesso taurico, ossia il veder rosso sempre e comunque, e per di più il perdere la testa vedendo rosso. Gli ultimi e sempre più acritici eredi, insomma, dal blanquismo, del bakuninismo, del trotzkismo, ossia di tutte le malattie politiche, di tutte le deviazioni estremistiche, infantili o sentimentali, che hanno accompagnato il cammino della classe operaia e che sono, in ultima analisi, il rigurgito teorico delle esigenze oscure e incomposte degli strati meno avanzati e coscienti della classe operaia.
E' evidente che la prima posizione, quella di destra, è la più in voga. O, per lo meno, ha a sua disposizione maggior copia di mezzi di stampa; ed è bene quindi cominciare con l'occuparsi di questa. Ora, da un tale punto di vista, la politica della. democrazia progressiva appare semplicemente come una « tattica » del partito comunista. Appare cioè un semplice artifizio machiavellico, un prendere tempo in attesa di preparare a puntino le forze per il colpo di mano rivoluzionario, un patto di non aggressione, insomma, con le forze borghesi per allestir meglio gli eserciti proletari. Quel rivestirsi da agnelli per mascherare orecchi e zanne di lupo, cui accennava, ultimamente, una « immaginifica » penna conservatrice.
C'è qualche po' di mala fede in una simile interpretazione della democrazia progressiva ma c'è anche molta ingenua impreparazione a comprendere la realtà complessa della presente fase storica e la profondità e1 grandezza delle forze in giuoco.
C'è soprattutto una grande conseguenzialità Per dei conservatori, infatti, progresso non vuol dire altro in realtà (escludendo cioè ogni affermazione puramente demagogica) che perfezionamento di qualche cosa, che resta però sostanzialmente immutato; un rimodernare qua è làr attraverso « opportune » riforme, il « vestito vecchio », ma nella volontà ferma di continuare a indossarlo per parecchie e parecchie stagioni. E' un progresso eminentemente circolare, quello dei conservatori; in singolare, ma forse non casuale, somiglianza col processo crociano dello spirito che muta sempre ed è sempre lo stesso; corrisponde, in definitiva, con esattezza all'accomodarsi meglio su di una sedia. Concepire in altro modo il progresso non è loro consentito. Ora essi sanno che i comunisti sono1 quelli « dell'abito nuovo » ; quelli che non vogliono riforme, ma rivoluzioni; quelli che non aggiustano qua e là, ma costruiscono il nuovo edifìcio: questo e solo questo sanno dei comunisti. Evidentemente i conservatori non possono non considerare i comunisti negati ad un « serio », «.onesto », « veramente democratico » progresso... Dunque se ne parlano è artifizio: dunque la democrazia progressiva è « tattica » e bisogna attendersi da un momento all'altro le « rivoluzioni di piazza ». Cave a consequentiariis! Ma intanto è persin tragico, certo profondamente malinconico, costatare come sia veramente impossibile ai conservatori, ai rappresentanti di certi interessi e di certi gruppi, intendere almeno il senso — l'esatto significato — delle parole e dei concetti che adoperano i loro avversari. Essi non lì comprendono, li deformano. Così l'uomo destinato a morire immagina paurosamente nell'incubo la faccia del becchino, ma non riuscirà mai a vedere la realtà del volto piano e tranquillo di quel padre di famiglia che gli scaverà la fossa in uria chiara mattina piena di sole.
Gli altri, quelli di sinistra, inguaribilmente incapaci di comprendere l'essenza profonda della concezione marxista della storia politica, abituati a considerare solo il momento della violenza, e dimentichi che questo concetto non ha mai avuto in Marx il significato di picchiar a testa bassa contro un solido muro, ma ben al contrario il valore di «levatrice di una società vecchia ormai gravida di una società nuova», incapaci soprattutto di separare questo concetto (e in ciò, come in molti altri punti, vanno pienamente d'accordo con i reazionari) dalla coreografia dei colpi di mano, degli incendi e del sangue, accusano, nè più nè meno, i comunisti di «tradimento». Li accusano cioè di riformiamo, di un compromesso tattico con la borghesia, che diviene compromissione ideologica; li accusano di abbandono del leninismo, di interpreta ione kautzkista o addirittura bernsteiniana del marxismo. Li accusano insomma di «aver messo da parte la dittatura del proletariato» e di voler risolvere le contraddizioni della lotta di classe attraverso i cosiddetti mezzi legali, che si ridurrebbero poi al giuoco delle maggioranze parlamentari.
Questo dicono i critici di destra e di sinistra, posti dinnanzi a questa « novità » della democrazia progressiva. Fatto singolare, ma non nuovo nella storia della classe operaia, le due posizioni si assomigliano: reazionari ed estremisti si danno la mano. Ambedue coincidono nel ritenere la politica di democrazia progressiva una politica non comunista, ambedue consentono in una medesima concezione della violenza, ambedue ritengono che la lotta di classe sia inconcepibile con le istituzioni democratiche, che essa si sviluppi al di fuori e contro di esse. Su di un solo punto divergono: poiché i primi considerano i comunisti veri comunisti e falsi democratici progressivi e i secondi li considerano falsi comunisti e veri democratici progressivi. A noi poi sembra che tutti e due, conservatori ed estremisti, non abbiano nulla compreso né di comunismo, né di democrazia progressiva.
L'aggressione del fascismo alla democrazia.
Poiché, per intendere sul serio il concetto di democrazia progressiva, non ci si può limitare né a dissertare sul termine progresso, né ad una ripetizione inutile ed uggiosa della «lettera» del marxismo. Bisogna invece esaminare con attenzione la situazione storica, in cui i comunisti hanno lanciato in tutta Europa la parola d'ordine della democrazia progressiva.
Il 1935, anno dell'ultimo Congresso della III Internazionale, anno d inizio della nuova politica, segna infatti il verificarsi di un avvenimento di portata gravissima e di significato preciso: il trionfo ormai stabile del fascismo su una buona parte dei paesi dell'Europa continentale, e l'inizio della -sua aggressione su piano internazionale alle istituzioni democratiche degli altri paesi, in combutta con l'assalto sferrato, all'interno di queste nazioni, dai gruppi reazionari.
Non si trattava ormai più di prevenire il pericolo fascista, ma di eliminarlo combattendo. E di eliminarlo tenendo conto di tutti i nuovi dati che la mutata situazione storica offriva.
Innanzi tutto ormai il fascismo non appariva più, come a molti poteva all'inizio sembrare, un fenomeno ristretto nell'ambito di una determinata nazione, ma appariva nella sua vera realtà, come cioè il portatore della crisi generale delle istituzioni democratiche in tutti i paesi dell'Europa continentale.
.In secondo luogo si palesava quindi che questo processo generale — questa crisi delle istituzioni democratiche — era ormai giunto alla sua conclusione; vi sarebbero stati ancora dei corollari ma i frutti più importanti e più gravi erano già maturati. Infatti la storia politica europea è dominata, nell'ultimo mezzo secolo, da un fatto di grave importanza: l'aggressione alle istituzioni democratiche organizzata, dapprima in forme mascherate e latenti, poi in modi sempre più aperti e feroci, dai gruppi più reazionari delle classi borghesi.
Aggressione talvolta preordinata e cosciente, talaltra inconsapevole; realizzata attraverso miti ora demagogicamente e freddamente additati alle masse, ora invece maniacamente creduti. Ma comunque essa si sia svolta, quali che siano le intenzioni e la buona fede degli aggressori, certo essa rimane uno dei fenomeni più innegabili dell'ultimo mezzo secolo di storia europea. Da Franco a Pilsudsky, da Metaxas a Lavai, passando per Horthy, re Alessandro, Tisso, Mussolini ed Hitler, (senza contare re Boris, Salazar, Dollfuss ed Antonescu), basta rimeditare un istante sulla storia degli ultimi venti anni per accorgersi che il processo iniziatosi or è un mezzo secolo ha effettivamente raggiunto il suo sbocco in questi ultimi venti anni di storia europea.
Ora questo era già sufficientemente chiaro nel 1935 e si erano ormai bastevolmente maturate le conseguenze politico-sociali del trionfo del fascismo.
Come infatti — ed è necessario questo lungo discorso per intendere in pieno le conseguente politico-sociali del fascismo — si era venuto determinando questo processo di crisi delle istituzioni democratiche, questa aggressione da parte dei gruppi più reazionari? Lungi dal voler negare la presenza e lo scatenarsi di forze di decadenza e di corruttela morale e culturale, sollecitate a manifestarsi in primo piano da uno squilibrio e da un disordine sociali gravissimi noi dobbiamo soffermarci sulla condizione determinante di questo disordine sociale; e cioè sul fatto che si erano venute sviluppando, durante l'ultimo quarantennio e nell'Europa continentale, delle forme produttive in contrasto sempre più grave, irrimediabile e lampante con le forze sociali della produzione. Cioè, in seno alle classi borghesi (in seno dunque a quelle stesse classi che avevano dato vita in tutta Europa, dopo la Rivoluzione dell'89, alle istituzioni democratiche) si era venuto determinando il costituirsi di nuove posizioni di privilegio, a causa del medesimo svilupparsi automatico delle forme produttive, e del parallelo e ad esso intrecciato grande progresso tecnico. La produzione manifatturiera moderna aveva cioè dato vita ai grandi complessi monopolistici, concentrando nelle mani di pochi grandi industriali e grandi finanzieri l'enorme maggioranza dei mezzi di produzione.
Questo aveva avuto due conseguenze. Da una parte aveva determinato una scissione in seno alle stesse classi borghesi; aveva cioè determinato il contrasto fra il piccolo e il grande capitale privato, fra i detentori dei piccoli mezzi di produzione rimasti a uno stadio di capitalismo nascente, fondato ancora sull'iniziativa privata e sul liberismo, e i detentori dei grandi mezzi di produzione, del grande capitalismo moderno monopolistico e imperialistico fondato sulla trustificazione dell'economia, sul protezionismo, sulla preparazione delle guerre. D'altra parte si era venuta sempre più sviluppando, come conseguenza diretta sul piano sociale del processo produttivo moderno, una classe che diveniva di giorno in giorno, con l'estendersi e col potenziarsi della produzione capitalistica stessa, sempre più ampia e più forte, e in evidente, naturale contrasto con le forme produttive della società capitalista nella sua fase imperialistico-monopolistica: e questa classe era la classe operaia.
Date queste condizioni obiettive di fatto, la necessità dell'aggressione da parte dei gruppi reazionari detentori dei monopoli alle istituzioni democratiche diveniva un fatto ineluttabile. Non perpetrarla voleva dire ormai rinunzia ai propri privilegi.
Che cosa sono infatti le istituzioni democratiche? Esse sono state espresse dalle forze borghesi nel loro momento rivoluzionario e progressivo, quando si accinsero a dar vita a una società più alta e più civile contro la veccnia società feudale-assolutistica. Esse cioè sorsero come precisi strumenti delle rivendicazioni di classe del Terzo Stato contro le vecchie forze feudali. Esse quindi possono rappresentare in generale uno strumento di lotta popolare opportunamente utilizzabile anche se deve essere continuamente arricchito, perfezionato e precisato, e cioè storicamente adeguato, contro ogni forma di reazione e di privilegio.
Da ciò il pericolo continuo rappresentato dalle istituzioni democratiche per i privilegi monopolistici, e cioè in pratica per quei gruppi reazionari, che hanno sino ad oggi condotto la politica dei vari paesi europei a loro esclusivo uso e consumo. Pericolo aggravantesi di giorno in giorno, sino a divenire incompatibilità, via via che si veniva costituendo naturalmente il blocco delle forze popolari e cioè il blocco della classe operaia e del bracciantato agricolo, con la piccola e media borghesia sia rurale che urbana, e cioè con quegli strati di piccolo capitale in evidente contrasto con i grandi detentori dei mezzi di produzione.
Ora, se noi esaminiamo gli ultimi decenni della storia europea, costatiamo che la battaglia per la libertà e il progresso civile è stata combattuta appunto su due fronti e contro il medesimo nemico. Sul piano internazionale nella difesa della pace contro le aggressioni del monopolismo finanziario esasperatamente imperialista; e sul piano interno nella difesa delle istituzioni democratiche sempre contro l'aggressione del monopolismo finanziario divenuto fascista. Certo in questa duplice battaglia le forze del progresso hanno subito delle dure sconfitte. La guerra del '14 non fu evitata, non fu evitato il fascismo e quindi non fu evitata la guerra del '39. Ma pur in questo susseguirsi di sconfitte, le forze progressive hanno continuato la loro strada e dal trionfo stesso dei loro nemici hanno tratto i motivi del loro rafforzarsi.
La sconfitta della democrazia.
Come era possibile la difesa delle istituzioni democratiche? Evidentemente nell'attacco alle posizioni monopolistiche del grande capitale, e da ciò la funzione d'avanguardia nella battaglia per la libertà della classe operaia, nemica naturale e fino in fondo conseguente del grande capitale. Ma la difesa delle istituzioni democratiche era con ogni evidenza soprattutto possibile se si poteva realizzare il collegamento stretto della classe operaia con gli strati di piccola e media borghesia e anche di borghesia vera e propria messi in crisi dal costituirsi delle posizioni monopolistiche di privilegio. Collegamento che era possibile effettuare solo coordinando l'attacco della classe operaia al grande» capitale con le esperienze più lente a maturarsi dei ceti medi; solo armonizzando le nuove forme democratiche, che la classe operaia e gli strati più avanzati delle masse popolari venivano esprimendo, con le più antiche forme democratiche, già acquisite dalla coscienza giuridica dei popoli civili, e alle quali erano profondamente legati, per abito psicologico e per interessi, i ceti medi. Processo rivoluzionario di fusione che si presentava lento e difficile, che poteva essere affrontato solo da una nuova coscienza democratica, profondamente consapevole che la democrazia poteva essere difesa solo se si sviluppava, solo cioè se era concepita come progresso, come processo di difesa e di urto contro i vecchi gruppi reazionari. E tuttavia, malgrado tutte le difficoltà, a questo processo di fusione e di unione erano affidate le sorti della libertà in Europa.
Ora la situazione nel primo dopoguerra europeo, negli anni cruciali dal '18 al '25, si presentava difficilissima.
Da una parte infatti la classe operaia era ormai pronta alla lotta contro i gruppi reazionari: così pronta da mettersi troppo spesso in marcia senza curarsi di rimaner distaccata dal grosso delle altre forze progressive e quindi sovente risultando praticamente isolata e destinata alla sconfitta. Dall'altra i ceti medi sia rurali che urbani non avevano ancora affatto scontato sino in fondo il loro processo di distacco e di contrapposizione ai gruppi reazionari del grande capitale. Non avevano ancora avvertito la natura profonda della politica iugu-latrice dei grandi complessi monopolistici, e nemmeno la gravità e l'imminenza dell'assalto da parte delle forze reazionarie alle istituzioni democratiche. C'era ancora nei ceti medi una miope fiducia nelle istituzioni democratiche, così come le aveva ridotte, attraverso un trentennio di corruzione parlamentare e di trasformismo, la vecchia classe dirigente. C'era in questi ceti, la pigra e filistea compiacenza nella «bontà» delle «opportune» riforme: si lasciavano essi ancora annebbiare gli occhi, con infantile riconoscenza, dall'atteggiamento elemosiniero della reazione, C'era d'altra parte nella classe operaia una sfiducia eccessiva nelle istituzioni democratiche; una smania di «rivoluzione» incapace di distinguere le reali forme di autogoverno popolare dal parlamentarismo corrotto. Date queste condizioni obiettive, questo squilibrio tra la maturazione politica della classe operaia e delle sue riserve, sarebbero stati necessari, per raggiungere, malgrado tutto, un omogeneo processo di fusione, dei partiti di massa profondamente coscienti, modernamente organizzati, consapevoli di tutte le difficoltà e di tutte le condizioni della fase che attraversava la lotta delle forze progressive in Europa. Questi partiti, ci appare oggi chiarissimo, allora non ci furono.
I grandi partiti di massa, nel primo dopoguerra europeo, non furono avanguardie collegate con le masse popolari, che pur pretendevano di guidare. Il loro bagaglio ideologico era infatti immaturo ed incerto, così come immatura e oscillante era la situazione delle masse. Ondeggiavano fra tattiche parlamentaristiche e verbalismi rivoluzionari; sganciavano la classe operaia dalle sue riserve lanciandola nella lotta, e ripiegavano poi in fretta scorgendola improvvisamente isolata. In tal modo, pur dando vita ad alcune grandi esperienze che erano il vero frutto di una situazione di masse popolari in movimento, le quali tendevano tra deviazioni ed errori alla loro unità, essi furono troppo spesso un elemento di disunione, non seppero in ogni modo essere i catalizzatori sicuri di quel processo di fusione che pure era così necessario.
Frattanto la classe operaia dava vita, nella Russia, alla sua grande esperienza rivoluzionaria. Ma gli insegnamenti di questa rivoluzione non vennero affatto intesi dalla maggior parte degli uomini politici europei. Non si comprese che la rivoluzione era riuscita in quanto il collegamento tra la classe operaia e le sue riserve era ivi pienamente avvenuto sulla base della istituzione democratica del « soviet » Non si valutò che questo collegamento era stato più facile data la scarsa importanza in Russia dei ceti medi. Non si intese soprattutto che quel grande fatto storico si era potuto realizzare per la presenza di un partito politico pienamente cosciente, cioè maturo ideologicamente e modernamente organizzato. I tre grandi insegnamenti duella rivoluzione russa rimasero lettera morta, tranne che per pochi. I più si limitarono a fraintendere l'insegnamento di Lenin, e soprattutto il suo concetto di dittatura del proletariato; il qual concetto non significa rifiuto di ogni forma di autogoverno popolare, di tutte le istituzioni democratiche e popolari che abbiano un preciso mordente storico, ma significa critica di ogni deviazione di stampo kautskista, cioè di ogni parlamentarismo, di ogni fiducia che istituzioni democratiche corrotte possano attraversò accomodamenti riprendere vita, e non attraverso una immissione di sangue nuovo quale possono arrecare soltanto le masse popolari in movimento.
Così quando Gramsci lanciò la vera parola d'ordine per risolvere la crisi politica e sociale italiana, che era poi la crisi di tutti i paesi europei, e cioè la parola d'ordine dell'unità delle masse popolari per la difesa delle istituzioni democratiche contro il fascismo, era ormai troppo tardi. Approfittando dei parlamentarismi di destra e degli estremismi di sinistra, usufruendo dell'incapacità catalizzatrice dei grandi partiti di massa, sfruttando la diversità di maturazione tra classe operaia e ceti medi cui non si era stati capaci di porre riparo col trovare un terreno comune di collegamento e di lotta, il fascismo, fenomeno profondamente antiunitario, era già riuscito a riagganciare i ceti medi al carro dei gruppi reazionari, ad abbattere con il loro aiuto la classe operaia; e si accingeva ormai, sbarazzatosi il cammino, a dissanguare i suoi contingenti alleati nelle spire del monopolismo autoritario, protezionista e imperialista. Era il trionfo del fascismo, era la sconfitta della classe operaia e di tutte le forze progressive arrestate nel loro sviluppo, era il crollo delle istituzioni democratiche. Ormai la stoiia italiana si sarebbe nelle sue grandi linee monotonamente ripetuta in tutti i paesi dell'Europa continentale.
Nuove condizioni di lotta.
Ma il trionfo del fascismo portava con sé le condizioni della sua stessa sconfitta. Fenomeno antiunitario, che poteva reggersi unicamente sulla disunione delle masse popolari, esso provocava, attraverso il suo stesso esistere e solidificarsi, un sotterraneo e profondo processo di unificazione nelle masse popolari.
Quali furono infatti le conseguenze del fascismo, di questa patente e riuscita aggressione dei gruppi reazionari alle istituzioni democratiche? Esse furono soprattutto tre e sono, si badi bene, le tre condizioni essenziali della democrazia progressiva.
Innanzi tutto la classe operaia ha acquistato una piena e maturata coscienza che le e possibile battere i contrastanti interessi dei gruppi reazionari attraverso la riconquista, la difesa e l'allargamento delle istituzioni democratiche. In secondo luogo i ceti medi hanno scontato sino in fondo l'esperienza del predominio dei gruppi monopolistici e imperialisti, hanno avvertito il contrasto tra gli interessi del piccolo capitale e gli interessi dei detentori dei grandi mezzi di produzione.
In terzo luogo i diritti e le istituzioni democratiche, divenute ormai incompatibili con i privilegi delle classi reazionarie, si sono liberate nel loro crollo di ogni collusione e di ogni residuato borghese.
Perciò è oggi non solo possibile, ma necessaria una politica di democrazia progressiva. Perciò solo dal '35 in poi è stato possibile agli uomini politici definire le grandi linee di questa condotta politica. Perciò in questo secondo dopoguerra le masse popolari hanno al loro arco un numero ben più grande di frecce che non nel primo dopoguerra europeo. Ed è per questo che il proletariato è oggi alla testa della lotta per la riconquista, la difesa e l'allargamento delle istituzioni democratiche. Ed è per questo che la parola d'ordine dell'unità delle masse popolari suscita nel cuore di ogni uomo di buona volontà degli echeggiamenti profondi, quasi che ognuno avverta che in questa parola d'ordine sta il segreto del nostro domani.
Ecco perché i conservatori legati al loro contraddittorio concetto statico del progresso, sbagliano quando accusano i comunisti di «tattica». Ecco perché infine la classe operaia non tradisce, checché ne pensino gli intellettuali anarcoidi, i suoi interessi di classe, lottando per la democrazia. Poiché la democrazia, le istituzioni democratiche garantite, difese ed allargate dalle masse popolari sono incompatibili con l'esistenza dei nemici della classe operaia. Poiché la democrazia progressiva (cui sempre più bisogna educare i ceti medi, sollecitando la loro psicologia arretrata, conducendoli dalla concezione antiquata di una democrazia statica a quella di democrazia antifascista ed infine di una democrazia come processo continuo di difesa e di attacco contro le forze reazionarie), è veramente, se nasce dallo sforzo compatto di tutte le masse popolari, la morte lenta ma sicura dei gruppi reazionari. La morte per soffocamento; il che non esclude il contrattacco opportuno ad ogni eventuale conato di illegittima violenza reazionaria.
Poiché la violenza di cui parla Marx non ha nulla a che fare, in assoluto, checché ne pensino anche qui conservatori ed estremisti, con i colpi di mano, le avventure di piazza, le stragi. Essa è «la levatrice di una società vecchia gravida di una società nuova», e come tale non è mai illegittima, e come tale quindi può benissimo esplicarsi attraverso la costrizione legittima delle istituzioni democratiche. Soprattutto quando la pressione all'interno delle masse popolari riunite contro i gruppi reazionari sia appoggiata sul piano internazionale da un compatto fronte per la pace, cui oggi finalmente la presenza di uno Stato che può fare una politica di pace data la sua organizzazione interna, data l'assenza nel suo seno di gruppi monopolistico-imperialìstici, 1a presenza insomma dell'U.R.S.S. à stabilità e garanzia.
Questa è dunque, nelle sue linee generali, la natura e la portata della democrazia progressiva, che si presenta, in ultima analisi, come la politica della classe operaia nel momento in cui i ceti medi si distaccano dal grande capitale e il grcnde capitale muove all'assalto delle istituzioni democratiche. Ma il significato e il valore della democrazia progressiva è ben profondo. Essa dimostra innanzi tutto, e lo dimostra agli occhi di tutti, quello che nel '19 in Italia scorgeva solo l'acuto sguardo di un Gobetti: e .cioè che la classe operaia è la vera forza di libertà nel mondo moderno. Essa dimostra la verità profonda delle visioni concettoso e profetiche dei primi teorici del proletariato, i quali definivano la classe operaia come erede di tutta la civiltà precedente. Essa soprattutto fa intendere, attraverso quale vasto fronte, quale enorme, libero e complesso movimento di masse il vecchio mondo si accinge a partorire il mondo nuovo. Onde a me cattolico, come, credo, a tutti i cattolici, può presentarsi chiaramente dinnanzi allo sguardo la necessità assoluta che le masse cattoliche partecipino con tutte le loro energie alla costruzione di questo mondo nuovo: la necessità che i cattolici sappiano assumersi il compito di assolvere «doveri ignoti ad altre età». Poiché in quest'ampia esperienza popolare della democrazia progressiva anche tutte le più alte riconquiste religiose divengono nuovamente possibili solo che sappiano tentarle e realizzarle uomini coraggiosi, di buona volontà.
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 30927+++
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Testata/Serie/Edizione Rinascita | mensile ('44/'62) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1944 Mese: 10
Numero 4
Titolo KBD-Periodici: Rinascita - Mensile ('44/'62) 1944 - numero 4 - ottobre


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