Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: BIVONA (Agrigento). La promessa di fronte la piazza di Bivona era stata chiara: «Lunedi riapro l'azienda. Ma i dipendenti hanno paura, i ventidue operai vogliono protezione. Non so chi si è accanito contro di noi, nessuno ci ha mai minacciato. Solo un camion bruciato tempo fa. I killer hanno ucciso mio padre, Ignazio, a maggio. Poi, il 19 settembre, mio zio, Calogero, e un suo operaio, Francesco Maniscalco. Mio cugino Davide per fortuna è stato solo ferito. Non ho paura. Oddio sono intimidito. Ma parto avvantaggiato: so che sono morto, cosa perdo tentando?». Ci ha provato a mantenere la promessa Luigi Panepinto, 20 anni, dopo la strage in famiglia, dopo il tentativo di volergli far chiudere i battenti di una grossa cava-azienda per la produzione di calcestruzzo, dopo gli inviti ad abbandonare l'impresa. E' andato in contrada Tavolacci, a Bivona, ieri mattina, in quella piazzola bianca, polverosa, dove sono stati assassinati suo zio, suo padre e il loro operaio, dove è caduto crivellato in tutto il corpo dai proiettili, ma è vivo, suo cugino, e ha aspettato. Aspettava il segnale più importante dopo quello della gente di Bivona. Alessandria della Rocca, Santo Stefano di Quisquina, Cianciana, scesa in piazza, dopo la solidarietà di Violante, Scozzari, Vendola. Aspettava il via libera dei suoi operai. Lui aveva deciso di rischiare, di tentare la sorte rompendo i lucchetti che la mafia aveva messo a quel cancello. Loro non ce l'hanno fatta. Sono terrorizzati. E nessuno ha mostrato loro che la scommessa andava tentata. Lo Stato non c'è. Perché senza scorta? Solo sei operai, su ventidue, si sono presentati in azienda. Gli altri sono rimasti a casa. Convinti dalle immagini dei cadaveri a terra, davanti a quella cava. I due imprenditori, il compagno di lavoro. La speranza è stata uccisa con loro. Il più forte è il mafioso. Che batte un giovane coraggioso e perfino quelle schegge del Parlamento che sono venute in Sicilia per dimostrare che qualcuno sta ancora attento a quel che avviene quaggiù. Ma come possono avere fiducia nello Stato, come possono ancora sperare, i poveri manovali che vedono tolta ia scorta a Luigi Panepinto? Se chi dovrebbe non protegge un imprenditore a cui hanno ammazzato il padre, poi lo zio e un operaio, a cui hanno ferito il cugino, e sempre per la stessa ragione, quella cava, loro che motivazioni possono avere per andare avanti? E non è neanche escluso che gli operai possano aver subito degli inviti particolari a cui è difficile ribattere «no». Solo per due giorni i carabinieri hanno accompagnato quel giovanotto biondo per le vie dei paesi agrigentini. Il tempo di essere ripresi dalle telecamere. Il tempo della notorietà dell'evento. Spenti i riflettori tutto torna come prima. A nessuno è stato chiesto perchè a Calogero Panepinto, dopo l'omicidio del fratello Ignazio, non era stata assegnata una tutela. Non aveva denunciato nulla, potrebbero rispondere, questori, prefetti, magistrati, i responsabili della tutela individuale. Ma questa volta il giovane Luigi ha chiesto pubblicamenle aluto. E non ci sono scuse di sorta, se non quella che la mafia di provincia non fa notizia sui grossi quotidiani. che se non spunta il nome di Totò Riina non si comincia ad indagare seriamente, che gli omicidi di piccoli imprenditori non vanno quasi mai sui Tg nazionali e quindi ci si può permettere il lusso di dimenticare. La mafia silenziosa Ma la mafia silenziosa che detta legge in quella parte di provincia agrigentina tagliata dalla statale 118 - Cammarata, San Giovanni Gemini, Alessandria della Rocca, Lucca Sicula. Castel Termini, San Biagio, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Cianciana - è quella più infida e pericolosa, quella con saldi legami politici, quella che si occupa solo di appalti e opere pubbliche, è la mafia parassita che sfrutta aziende e quindi lavoratori. Calogero e Ignazio Panepinto, Francesco Maniscalco, Antonino Dì Girgenti, Diego Passafiume sono i morti che in un anno hanno insaguinato questa provincia. E poi Mariano Mangiapane, Luigi Lo Scrudato, Vincenzo Barbasso, Salvtore Mirabile, Francesco Madonia, Vincenzo Giambrone, Giuseppe Malta, Paolo Menatta, i fratelli Daddi, Cario Nigelli, Vito Lo Scrudato, Giovanni Lupo, sono gli imprenditori, politici, tecnici, che hanno subito attentati e intimidazioni, nella lunga faida degli appalti. L'adduttore che dovrà portare l'acqua della diga Castello, da Bivona a Realmonte, che dovrà innaffiare ettari di colture pregiate, pescheti, aranceti, costa quattrocento miliardi di lire. La gara d'appalto è stata vinta da un consorzio di imprese capitanato dalla Cogei del cavaliere Rendo. Ma questo fiume di denaro ha tanti rivoli che si perdono strada facendo, nei subappalti, nei nodi dei mezzi, negli acquisti di calcestruzzo e di tutti i materiali da costruzione. Il giovane capitano dei carabinieri di Cammarata spiega che «è la prima volta che si assiste ad una sequenza di omicidi che possono far formulare ipotesi precise sul movente». Di solito - dice - qui si spara una volta l'anno, poi cala il silenzio: anche per non attirare l'attenzione. Ecco, è proprio l'attenzione che manca in questa provincia. Giuseppina Zacco La Torre, deputata Pds all'Ars, che a suon di interrogazioni, interpellanze, denunce ha cercato di accendere qualche riflettore su quel che avviene nell'oscuro mondo della politica e degli appalti in questa provincia, invita la Commissione nazionale antimafia a cominciare le proprie ispezioni da qui. Ci sarebbe tanto lavoro per Tiziana Parenti. I morti, le intimidazioni, gli appalti truccati e irregolari, le intercettazioni telefoniche dove si registrano strani spostamenti di «funghi» verso vecchi boss della politica regionale. C'è da alzare il velo sugli affaroni da migliaia di miliardi spartiti senza tanti accorgimenti. Uno per tutti: il consorzio di bonifica del Tumarrano, al quale sono legati gli interessi di 15 paesi agrigentini, 4 palermitani e due nisseni (negli anni '50 Giuseppe Genco Russo fu il vicepresidente). L'ex presidente Salvatore Giambrone, è stato arrestato, nel dicembre '93, per falso, abuso d'ufficio e corruzione. Aveva chiesto ad un brigadiere dei carabinieri di chiudere un occhio sulle indagini che riguardavano un'inutile strada da trenta miliardi all'interno del consorzio. Quell'occhio chiuso valeva, secondo Giambrone, cento milioni. Il brigadiere ha tenuto aperto l'occhio ed ha ammanettato il presidente del consorzio. | |
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