Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: L'arresto del fascista di Parma Claudio Mutti, uno dei primi a rendere operativa la strategia di Rauti e Freda (infiltrarsi a sinistra per costruire un progetto eversivo di colore rosso, che possa in tal modo unificare sotto una unica direzione — di destra — ogni spinta spontanea atta a «disintegrare il sistema») propone oggi alcune riflessioni «storiche» su come il terrore si è andato organizzando in questi ultimi anni. E' un personaggio, Claudio Mutti, che riassume da solo questa strategia: sospettato di essere uno degli organizzatori di «Ordine Nero» in Emilia, rinviato a giudizio per complicità con Freda — come si è già scritto ieri — dai primi anni '70 aveva intrapresa la lunga marcia di infiltrato (tessere del PSI, della Camera del lavoro, di Potere Operaio, quest'ultima una tessera interessante ai fini dell'inchiesta Calogero su Autonomia organizzata di Negri a Padova), per giungere fino agli ambienti radicali, di cui il fraterno amico e camerata Claudio Orsi, nipote di Balbo (promotore dei comitati pro-Freda) appare addirittura finanziatore, così come si può evincere dai «tabulati» degli iscritti al PR. Che ci siano dei fascisti «attivi» tra i radicali non deve stupire. L'ex leader radicale bolognese [«ra- (segue in ultima pagina) dicale»] professor Giuseppe Caputo, uscendo clamorosamente dalle file del suo partito all'inizio del '78, pubblicò un libro bianco («La Rosa rubata»), in cui, raccontando, tra l'altro, di una furibonda rissa al vertice radicale sul problema-fascisti, scriveva: «Quando alla fine il segretario emiliano, anche per protestare contro le collusioni tra i dirigenti nazionali e tutti gli elementi locali più torbidi, si dimetterà dal partito, Spadaccia prenderà le parti degli "ex-fascisti" che oserà chiamare "splendidi compagni": e Pannella darà ragione a chi ha teorizzato la doppia tessera MSI-PR, sostenendo che persino Saccucci ha diritto ad essere "splendido compagno" dei radicali». (Per quanto riguarda Mutti, ora il prof. Caputo precisa che il giovane ideologo neonazista sarebbe infiltrato negli ambienti del PR, facendo iscrivere un suo «camerata»). Dicevamo: niente di che stupirsi. La strategia parte da lontano. Dovessimo fissarla in una data, dovremmo rispondere: maggio 1965, quando all'Hotel Parco dei Principi di Roma si tenne un convegno (divenuto poi famoso) sul tema «La guerra rivoluzionaria», organizzato da uno sconosciuto istituto Alberto Pollio, finanziato dal Sifar. Tra i relatori Enrico De Boccard («qualsiasi violazione compiuta dai comunisti nei confronti del santuario — il potere, ndr — costituirebbe un atto di aggressone tanto grave da rendere necessaria l'attuazione dei loro confronti di un piano di difesa totale»), Giorgio Pisano («Il comuninismo sta entrando nel santuario. Allora è tempo di fare qualcosa che vada al di là di questo convegno»). Edgardo Beltrametti, l'allora ignoto Guido Giannettini, al quale Ventura scriveva dal carcere tramite Mutti, Pino Rauti e Pio Filippani Ronconi, docente universitario. Fu quest'ultimo che al convegno illustrò il piano operativo «di difesa e contrattacco»; piano che oggi appare particolarmente interessante per comprendere quali origini abbia avuto il terrorismo «indotto». Il piano prevedeva quattro punti: «A) una prima rudimentale rete, che potrà servire per una prima conta delle persone a disposizione... e per formare lo schermo di sicurezza per gli appartenenti ai due livelli successivi. B) il secondo livello potrà essere costituito da quelle altre persone naturalmente adatte a compiti che impegnino azioni di pressione, come manifestazioni ufficiali... C) a un terzo livello più qualificato: dovrebbero costituirsi — in pieno anonimato sin da adesso — nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di contropotere... questi nuclei, possibilmente l'un l'altro ignoti, ma ben coordinati da un comitato direttivo... D) al di là da questi livelli dovrebbe costituirsi con funzioni verticali un consiglio che coordini le attività in funzione di una guerra totale». Un piano che sembra sìa stato assunto totalmente anche dalle Br: i fiancheggiatori, i nuclei operativi che non si conoscono, la clandestinità, la direzione strategica. E che viene riproposto — vedi caso — pienamente in un documento sequestrato in casa del reatino Alessandro Neri, attraverso il quale si è giunti a Mutti. Ricordiamo questo documento, formulato anche qui (che stranezze!) in quattro punti assolutamente equivalenti a quelli del convegno romano del Sifar. Lo stesso piano del resto Freda sintetizzava nel libro «Disintegrazione del sistema» (1969, pubblicato dal radicale Claudio Orsi per le edizioni «AR»): «Ad altri compagni di strada noi rivolgiamo la nostra attenzione. Il nostro discorso non è solo destinato agli uomini del nostro seguito»... per proporre «una lotta unitaria al sistema». Operazione «di saldatura» che oggi appare ancora perseguita e in parte riuscita, sia sul piano della lotta armata allo Stato, sia sul piano legalitario: «Gli slogan contro i comunisti — ha scritto ancora il professor Caputo nel suo "libro bianco sul partito radicale" — additati come nuova polizia aiutano: se il nemico non è più il nemico di classe, ma il blocco compatto dei "garantiti" (borghesi e operai), anche i fascisti possono darsi la vernice romantica dei neo-rivoluzionari in lotta contro il potere». La saldatura tra «neri» e «rossi», questo, si diceva, il vero nodo. Una saldatura che il giudice di Padova Giovanni Tamburino ha così sintetizzato in un'intervista: «Le Brigate rosse iniziarono ad assassinare gratuitamente a Padova, a trecento metri dal tribunale dove si stava mettendo allo scoperto una grossa organizzazione fascista...». E poi: «Un dato fa riflettere: c'è una caduta verticale del terrorismo neofascista e una parallela esplosione di quello rosso. Casuale o pilotata? Gli autonomi hanno scritto che queste domande sarebbero una riedizione degli opposti estremismi. La spiegazione cui ci riferiamo è evidentemente il contrario. | |
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