Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: Dal nostro inviato TORINO - Giancarlo Caselli, 40 anni, magistrato da undici anni del Tribunale li Torino, è il giudice istruttore che ha rinviato a giudizio nell'ottobre del 1975 i cosiddetti «capi storici» delle Brigate rosse: Curcio, Franceschini, Semeria, Maurizio Ferrari e altri. Il dott. Caselli è tuttora titolare di diverse inchieste sul terrorismo, assieme ad altri colleghi dell'Ufficio Istruzione. Il giudice Caselli ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande. Cominciamo con una domanda tanto semplice da apparire banale. Che cosa sono le Br? «Sono molte, ormai, le sentenze che definiscono le Br dal punto di vista tecnico-giuridico. Può dirsi consolidato il riferimento al delitto di banda armata, del quale infatti le Br presentano tutti gli elementi costitutivi: pluralità di associati con disponibilità di armi, organizzazione idonea per un'azione comune (ecco allora l'articolazione in colonne operanti su vari fronti, secondo le direttive di un ''''comitato esecutivo' e di una 'direzione strategica'), compartimentazione a fini di sicurezza, clandestinità concepita come vantaggio tattico sul 'nemico' (costretto invece a vivere esposto nei suoi uomini e nelle sue installazioni) ma realizzata con livelli diversi, fino alla creazione di «forze irregolari», costituite da militanti che apparentemente vivono nella più ineccepibile legalità». — Questo dal punto di vista, diciamo cosi, tecnico. E dal punto di vista politico? «Dal punto di vista politico, il dato forse più interessante è la mescolanza di radicalismo verbale e di nullismo pratico per quanto concerne l'obiettivo di fondo dell'organizzazione: quel tentativo di coinvolgimento delle 'masse' nella lotta armata contro lo Stato, rispetto a cui l'attività delle Br — per quanto ormai pluriennale — non sembra aver conseguito risultati di decisivo rilievo a dispetto dell'impegno profuso e delle interpretazioni di comodo. L' unità e la mobilitazione delle forze democratiche più consapevoli (superando anche momenti di incertezza) hanno saputo contenere l'iniziativa politica delle Br in un ambito sostanzialmente settario. Con ciò non si vuole togliere nulla alla 'realtà' delle Br, che hanno radici anche nel modo distorto in cui è venuta sviluppandosi la nostra società, che in alcune fasi della loro storia hanno saputo allargare il consenso attorno a sé, che si possono ritenere 'rosse' non soltanto nell'etichetta, stando almeno a quanto fin qui emerso e fermo restando — in ogni caso — il dovere di distinguere tra propositi, pratiche attuazioni e processi concretamente innescati» Il condizionamento di forze esterne — Ecco. Non le sembra che le Br possano subire i condizionamenti più diversi? «E' chiaro che l'esiguità della base di massa può anche significare (e obiettivamente moltiplica le prospettive in tal senso) una esposizione al condizionamento, di forze estranee all'organizzazione, persino, oltre le intenzioni — o le conoscenze — dei militanti. Nello stesso tempo, gli ostacoli che il gruppo incontra quando cerca di oltrepassare il proprio ambito settario impongono la ricerca ed il consolidamento di collegamenti stretti con aree contigue. In particolare (lo affermano le stesse Br in un loro documento del '74) l'organizzazione deve svolgersi 'per linee interne alle forze dell'autonomia operaia'. con la conseguenza che il militante, pur appartenendo all'organizzazione, opera nel movimento ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità Lei ha cominciato ad occuparsi delle Br nel '74, quando tutti i «capi storici» erano in libertà e ancora non avevano ammazzato nessuno. Secondo lei fra le Br di allora e le Br di oggi c'è qualcosa di mutato? «E' indiscutibile che fra le Br del 1970 (anno in cui furono realizzate le prime imprese) e le Br di oggi vi sono profonde differenze: dalla fase delle azioni esemplari — con finalità pedagogiche — rivolte ad una cerchia assai ristretta di interlocutori, si è passati (attraverso una serie di operazioni sempre più ispirate a tecniche di vera e propria guerriglia) alla realtà di un terrorismo spietato e feroce, i cui 'messaggi' pretendono di rivolgersi all'intera collettività, così da inseguire la collocazione del gruppo su di un livello pari a quello dello Stato. Peraltro, mentre realizzano imprese criminali clamorosamente ambiziose (Coco, Moro), le Br moltiplicano gli attentati contro bersagli «intermedi» (giornalisti, capi e dirigenti d'azienda, magistrati e funzionari, guardie carcerarie e poliziotti). La 'logica' è spesso quella di 'sparare nel mucchio'. scegliendo le proprie vittime 'a freddo', così da rifletterere gli effetti dell'atto terroristico entro l'intiero strato di appartenenza del soggetto colpito ed oltre». — Ancora differenze, dunque. E' cosi? «Si constatano, però, livelli di efficienza diversi: dal sequestro Moro (cosi 'preciso' da sconcertare), ad episodi di terroristi che si feriscono fra di loro o scambiano la vittima designata con altra persona. Affiora il disprezzo per la 'motivazione' delle azioni compiute: quel che conta è l'annunzio del delitto, le condizioni 'politiche' son tirate via, ridotte a slogans. Ma non sempre: perché alcuni documenti appaiono ancora 'pensati', come per il passato. Da ultimo, il disprezzo per la motivazione sembra trasformarsi in vera e propria interruzione della comunicazione col mondo esterno. Alle «immagini» che nascono dal rapporto con gli altri si sostituiscono immagini fornite al gruppo stesso con elaborazione esclusivamente interna. Come nel caso dell'omicidio di agenti di PS in servizio presso uno stabilimento carcerario, originato dal proposito di mantenere con ogni mezzo un legame tra il gruppo ed i militanti di esso in stato di detenzione, ciò che risponde — è evidente — ad una «logica» esclusivamente propria del gruppo stesso. Gli interventi dello Stato contro il terrorismo — Che cosa ha fatto lo Stato per combattere il terrorismo? «Allo Stato, per lungo tempo almeno è mancata una strategia degna di questo nome. Gli interrenti normativi contro la criminalità organizzata — è noto — sono sempre stati disorganici e settoriali, ispirati alla logica dell'aggiustamento e del ritocco superficiali, senza una visione armonica dei vari aspetti dei problemi da affrontare. Sul piano delle strutture si conosce soltanto il metodo dell'affannosa rincorsa tra necessità e mezzi, spesso vana perché interminabile e, comunque, senza capacità di incidere in modo razionale sugli apparati: fino al punto che le carenze possono apparire tali da incentivare, addirittura, le scelte criminali, alle quali sono comunque offerti varchi assolutamente inaccettabili. Quel che vale per la criminalità organizzata in generale assume rilievo particolare rispetto alla criminalità cosidetta politica (della quale le Br rappresentano la punta più pericolosa). E ciò perché in questo campo si debbono affrontare problemi difficili del tutto nuovi, per i quali occorrerebbero (invece di misure frammentarie, com'è di regola avvenuto in realtà) norme e strutture specifiche, rispondenti — appunto — ad una strategia modellata su gli specifici connotati del fenomeno». — Quali interventi, dunque. sarebbero necessari? «Per quanto concerne il settore della giustizia, si tratta di alcuni interventi inutilmente invocati da tempo: concentrazione di sforzi e risorse nelle grandi aree urbane e nelle zone del Mezzogiorno dove più intenso è l'attacco della criminalità: realizzazione della «banca dei dati», vale a dire un centro nazionale che utilizzi le tecnologie più avanzate per raccogliere ed elaborare tutti i dati relativi a fatti di criminalità organizzata e ai loro autori, e che sia accessibile a tutti gli inquirenti. Creazione di un corpo di polizia giudiziaria consistente, professionalmente qualificato, dotato dei mezzi necessari. Preparazione professionale adeguata per i magistrati. L'invocazione di «leggi speciali», se non è frutto di superficialità e disinformazione, finisce allora per essere schermo interessato che nasconde la mancanza di una reale volontà politica di impostare una strategia finalmente seria di risposta alla criminalità organizzata e al terrorismo. Occorrono riforme strutturali adeguate che assecondino l'impegno, già oggi notevolissimo e ricco di risultati positivi, delle forze dell'ordine impegnate contro il terrorismo». — Oggi si parla molto di garantismo. Se ne parla a proposito ma anche a sproposito. Qual è la sua opinione? «Il cosiddetto garantismo esprime una inquietudine che trova alimento nella storia ancora recente del nostro Paese, spesso segnata dalla pratica della sopraffazione prepotente ad opera di settori del potere pubblico. Per molti, però, le legittime preoccupazioni rispetto a possibili aberrazioni del potere si trasformano in ostilità preconcetta contro ogni recupero di efficienza degli apparati di risposta dello Staio e persino contro qualunque iniziativa (di polizia o giudiziaria) in materia di criminalità politica. Vigilare, esercitare nella maniera più ampia il diritto di critica, stimolare i pubblici poteri verso prassi operative corrette e democratiche: son tutte cose doverose ed ineccepibili. Altra cosa, però, è sforzarsi di menare colpi di piccone fin dal primo momento, con scelta aprioristica ed irreversibile, contro tutto ciò che sia posto in essere da organi dello Stato impegnati nel tormentato e malagevole compito di far fronte alla gravità della situazione creata dal terrorismo. In questo modo il pericolo da fronteggiare si finisce per scorgerlo — in pratica — non già nel terrorismo, ma anzi negli interventi che vi si oppongono. Ciò che col 'garantismo' non ha più niente a che fare». — Molti, anche svolgendo considerazioni interessanti, si sforzano di trovare spiegazioni teoriche al terrorismo. Vorrei conoscere, in proposito. la sua opinione. «Anche i più accreditati tentativi di spiegazione 'teorica' del terrorismo appaiono insufficienti quando il fenomeno assume dimensioni cosi vaste da indurre il ministero dell'Interno a calcolare (com'è successo in Italia) persino la frequenza oraria degli attentati verificatisi nel corso dell'anno. A questo punto riesce difficile continuare nello sforzo di formulare ipotesi generali che consentano di 'capire' un fenomeno per troppi versi assurdo, mentre diventa sempre più evidente che dietro le impressionanti 'cifre' del terrorismo italiano stanno scelte strategiche precise. Certo è che gli 'strateghi' dell'eversione si danno un gran daffare con azioni criminali che si vorrebbero far apparire come realizzate, volta a volta, da gruppi diversamente etichettati, mentre in realtà (ed i segni al riguardo sono molti ed univoci) la proliferazione delle sigle potrebbe essere in gran parte artificiosa, finalizzata ad offrire un quadro gravemente distorto della realtà italiana (la lotta armata come scelta già in atto da parte di settori sempre più larghi della società)». — E con quali obiettivi? «Con l'obiettivo di favorire il distacco qualunquistico dalla vita politica di quanti (col proprio costante impegno democratico) continuano invece a rappresentare l'ostacolo maggiore al prevalere della strategia dei terroristi. L'impegno democratico sta invece aumentando. Non c'è dubbio che proseguendo per questa via si riuscirà ad imporre in termini nuovi la questione dello Stato, della sua articolazione democratica e della sua efficiente sicurezza, contribuendo ad isolare e contenere il terrorismo». | |
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