Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - manuale o riveduta: ROMA — Il suo corpo è sul marciapiede, la giacca e la camicia aperte sul petto, un rivolo di sangue dietro un orecchio. Mario Amato aveva 42 anni, era in magistratura da dieci, dal '77 lavorava alla Procura di Roma occupandosi soltanto di terrorismo nero, di delitti fascisti. Lo hanno ammazzato alla fermata dell'autobus, a pochi metri da casa, appoggiandogli la canna della rivoltella alla nuca. Un colpo solo. E cosi se n'è andato uno dei magistrati più impegnati contro l'eversione, un altro. Gli assassini sono due giovani senza volto, ben vestiti, arrivati e poi scappati in sella ad una moto di grossa cilindrata, una « Honda » rossa. C'è una ridda di rivendicazioni, tutte per telefono: prima le Brigate rosse a Genova, poi ancora le Br a Roma e a Verona, infine (Segue a pagina 5) (Dalla prima pagina) I nazisti dei «NAR» («Nuclei armati rivoluzionari»), di nuovo a Roma. Quella dei NAR, secondo la polizia, dovrebbe essere la telefonata più attendibile. Con l'assassinio del sostituto procuratore Mario Amato, infatti, è stato tolto di mezzo il principale inquisitore del terrorismo nero a Roma. Come quattro anni fa con il giudice Vittorio Occorsio, ucciso dai sicari di «Ordine nuovo». «Mario Amato era diventato proprio il successore di Occorsio», dicono al palazzo di giustizia, ricordando tutte le inchieste su fascisti che stava seguendo: innanzitutto quella sul «NAR», quindi quelle sugli attentati dinamitardi al Campidoglio, al carcere di Regina Coeli, alla sede del Consiglio superiore della Magistratura, e poi l'indagine sul «MRP» («Movimento rivoluzionario popolare»), una formazione di estrema destra radicata soprattutto nella capitale e nella provincia di Rieti, e strettamente legata ai «NAR». Stamattina Mario Amato avrebbe avuto un Impegno importante: avrebbe dovuto interrogare in carcere un presunto terrorista dei «NAR». Pierluigi Scarano, noto come un «duro» della sezione missina della Balduina, che nei giorni scorsi si era costituito, dopo una lunga latitanza. E che, probabilmente, era pronto a vuotare il sacco. Una semplice coincidenza? Forse. Ma resta il fatto che negli ultimi tempi l'inchiesta sui «NAR» aveva fatto passi in avanti, entrando in una fase molto delicata. «Ritengo di avere individuato i mandanti, i capi», aveva comunicato Mario Amato al procuratore capo, De Matteo. Ma aveva anche annunciato che restava molto lavoro da fare, ed aveva chiesto un aiuto. Voleva che altri colleghi fossero impegnati in questa indagine, divenuta ancora più importante dopo il recente attentato davanti al liceo romano «Giulio Cesare» (un poliziotto ucciso, altri due ridotti in fin di vita), attribuito ai nazisti dei «NAR». Però quell'aiuto non c'era stato, almeno nella misura richiesta. «In questa inchiesta continuano a lasciarmi solo!», aveva denunciato Mario Amato soltanto due settimane fa, durante un'assemblea ristretta di magistrati della Procura. C'erano state polemiche, certo non nuove. Basta ricordare che anche la prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, al termine della sua indagine sul funzionamento della Procura romana, aveva messo per iscritto le lamentele di molti magistrati per «lo stato d'isolamento e di abbandono» in cui si sentono «specie quelli impegnati nei processi più gravi». «Addirittura per i processi relativi al cosiddetto terrorismo nero — si legge nella relazione del CSM — il procuratore capo avrebbe dichiarato che non è interessato al merito di siffatte istruttorie, rifiutando di ascoltare quanto si tenta di riferirgli (Mario Amato)». Quel nome tra parentesi indica che proprio il magistrato ucciso ieri, aveva riferito al CSM questa scandalosa situazione. Mario Amato, dunque, si sentiva solo. Negli ultimi tempi era preoccupato. E da solo era; ieri mattina, quando uno del sicari gli si è avvicinato per sparargli alla nuca, con la tecnica dei nazisti. Lui, uno del sette-otto magistrati di Roma più esposti di tutti alla ferocia del terrorismo, non aveva una scorta. Ieri mattina era uscito alle otto dalla sua abitazione di via Gran Paradiso 92, a Montesacro. Aveva salutato la madre. Savina, la moglie Giuliana e il figlio Sergio. L'altra figlia, Cristina, era già fuori casa. Una breve passeggiata, e alle otto e dieci il magistrato arriva in viale Jonio, uno stradone con alberi al centro e ai lati, molti negozi, traffico intenso. Si ferma alla fermata del «391», un autobus che fa capolinea proprio davanti al palazzo di giustizia, in piazzale Clodio. Accanto a Mario Amato aspettano due donne. Ecco gli assassini. Arrivano in sella ad una «Honda 400 four», che una settimana fa era stata rapinata al proprietario da tre giovani, che l'avevano fermato spacciandosi per vigili urbani in borghese. La moto si ferma dieci metri prima della fermata del bus, davanti ad un distributore di benzina. Scende il giovane seduto dietro mentre l'altro — con casco bianco e guanti — riparte subito per rifermarsi venti metri più avanti, vicino ad un altro distributore. Il killer è vestito di chiaro, cammina lentamente fino alla fermata del «391». Per qualche istante finge di aspettare. Mario Amato gli volta le spalle, lui scatta: impugna una pistola a tamburo e spara un colpo alla nuca del magistrato, a bruciapelo. Mentre il poveretto barcolla e stramazza a terra, l'assassino spara altri due o tre colpi in aria per spaventare la gente che è intorno, poi comincia a correre. Con la rivoltella ancora in pugno salta sulla motocicletta con il complice in attesa, poi i due spariscono a tutto gas. La «Honda» rossa verrà ritrovata più tardi in via Val Sillaro, a duecento metri dal luogo dell'agguato. Arrivano a rendere omaggio alla salma di Mario Amato, ricoperta con una tovaglia bianca, il ministro della giustizia, Morlino. Il procuratore generale, Pascalino. Il procuratore capo, De Matteo, e poi ad uno ad uno quasi tutti i magistrati della Procura romana. Il sostituto procuratore Armati non regge all'emozione, viene accompagnato via disperato. | |
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