Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: La lunga crisi politica della Turchia Il lento disfarsi della dittatura Un risultato elettorale che non ha trovato ancora sbocchi. Declino del Partito della giustizia e ascesa del Partito repubblicano. La morte di Inönü segna la fine del kemalismo. Come si sono mossi i militari in quest'ultimo decennio. Si apre una prospettiva democratica? di Vito Grasso Di ritorno da Ankara, gennaio —. La realtà politica turca è stata caratterizzata negli ultimi mesi dal progressivo disfacimento della dittatura militare reazionaria dimostratasi incapace di governare il paese, e da una affermazione delle forze democratiche e riformiste, che è andata al di là delle stesse speranze dei leaders progressisti. E' contemporaneamente fallita la manovra delle forze tradizionali di destra di porsi come unica alternativa possibile alla dittatura militare nell'interesse della conservazione dell'ordine sociale ed economico esistente. Le elezioni politiche del 14 ottobre scorso esprimono senza equivoci né dubbi una scelta antidittatoriale. E sono queste elezioni a dominare ancor oggi la vita politica turca, aperta a differenti sviluppi e carica di incerte prospettive. I segni di una prossima crisi del regime di dittatura militare instaurato ad Ankara il 21 marzo 1971 erano divenuti pubblicamente manifesti quando nella primavera scorsa i militari non riuscirono ad imporre ad un Parlamento esautorato di fatto da due anni, il loro candidato alla presidenza della Repubblica, che era il capo di stato maggiore generale. I partiti politici, giostrando abilmente, riuscirono ad eleggere un candidato di compromesso, che offriva alcune garanzie (e permetteva, nello stesso tempo, ai militari di salvare parzialmente la faccia, trattandosi di un ex-ammiraglio), nonostante le minacce dell'esercito che nei giorni della votazione faceva incrociare i carri armati davanti al Parlamento. Ma la dimostrazione di forza militare non poteva nascondere o sminuire la debolezza politica di una giunta la quale presentava al paese solo un bilancio di due anni di governo impastato di repressione, esecuzioni capitali, torture, arresti indiscriminati, in breve un regime di terrore contro le forze demo- cratiche, sindacali, studenti, lavoratori, intellettuali: scorrere ou'i le liste di proscrizione della giunta, cioè le liste degli arrestati, degli incriminati, degli internati, equivale leggere l'annuario delle migliori forze del paese. D'altro canto la giunta militare non è riuscita a risolvere nessun problema del paese. Non una delle riforme promesse al momento del colpo di Stato è stata attuata, salvo quella liberticida di trasformare la Costituzione democratica in una Costituzione autoritaria. L'inflazione che aveva già costretto il governo del conservatore Demirel a svalutare del 66% la lira turca, nell'estate del 1970 si è aggravata ed i prezzi al dettaglio durante il regime di legge marziale sono raddoppiati. Un maldestro tentativo di calmiere, sganciato da qualsiasi misura economica nei confronti dei gruppi monopolistici e del capitale straniero, ha prodotto la scomparsa dal mercato di alcuni generi di prima necessità ed ha dovuto essere immediatamente revocato. Se non ci fosse la sofferenza delle migliaia di democratici perseguitati, di coloro che sono stati uccisi e di coloro che scontano nelle prigioni dure pene detentive, ci sarebbe da sorridere al pensiero che l'unico effetto positivo sortito dalla legge marziale è stato un più ordinato svolgimento del traffico urbano, cioè che la dittatura ha partorito semafori, segnali di stop e passaggi pedonali. La debolezza politica dei generali turchi rispecchia la debolezza politica tradizionale di un esercito che è intervenuto per ben due volte in 11 anni nella vita politica nazionale, lasciando poi il potere ai civili dopo qualche riforma costituzionale e la persecuzione degli oppositori. Vi è tuttavia una sostanziale differenza tra il colpo dì Stato del 1960 e quello del 1971: nel 1960 ufficiali riformisti abbatterono il regime reazionario di Menderes che aveva svenduto il paese all'imperialismo americano e si avviava alla limitazione delle libertà pubbliche; esso ebbe il sostanziale appoggio del Partito repubblicano del popolo (CHP), erede della tradizione kemalista e fautore di una politica di riforme e di indipendenza nazionale. Poi i generali moderati fa vorirono il ritorno alla normalità politica, dopo l'approvazione di una Costituzione tra le più democratiche in Europa, per impedire che i giovani ufficiali radicali facessero della rivoluzione del 1960 un veicolo attraverso il quale operare profonde riforme di struttura. Ma questo era il clima del 1960. Nel 1971 sono invece i generali reazionari a prendere l'iniziativa, con un esercito per tradizione non reazionario, ma ormai ideologicamente sempre più subordinato alle direttive statunitensi, con un corpo di ufficiali in gran parte addestrato e specializzato negli Stati Uniti. La svolta reazionaria dei generali, che comporta quale primo atto della dittatura l'epurazione degli stessi quadri degli ufficiali, non trova alcun aggancio politico reale nel paese. I due grandi partiti turchi, quello della Giustizia di Demirel, cacciato dai militari e quello Repubblicano di Inönü ed Ecevit non possono che dare una breve tregua alla giunta, solo per il periodo del terrore poliziesco e solo fino a quando si presenteranno per il potere le prime gravi difficoltà. Demirel è disposto a lasciare gestire ai militari la repressione, la svolta autoritaria nelle strutture politiche e amministrative, la distruzione della sinistra, ma non è disponibile ad una trasformazione radicale della vita politica turca e in ogni caso, forte del successo elettorale dell'ottobre 1969, non intende delegare sine die il potere ai militari. Ecevit, a sua volta, democratico, progressista, non può accettare un regime antipopolare e la sua condanna arriva fin dal giorno del colpo di Stato; perché essa assuma un peso politico determinante sarà necessario poco più di un anno, durante il quale Ecevit riorganizzerà il partito, lascerà uscirne l'ala destra e ne farà uno strumento per vincere le elezioni. Gli altri partiti politici, o meglio partitini, nati quasi sempre o. da scissioni o da clan intorno a singole personalità, non sono in grado di offrire ai generali golpisti una base politica. Il regime militare si trova così isolato, debole perfino all'interno della sua stessa struttura ed impotente a svolgere una qualsiasi funzione politica al di fuori della gorillesca lotta contro ogni manifestazione democratica. I risultati delle elezioni hanno però anche fatto fallire il piano di restaurazione moderata perseguito in questi anni da Süleyman Demirel, capo del Partito della giustizia, al potere dal 1965 fino al colpo di Stato del 1971. Dei 450 seggi dell'Assemblea nazionale, 188 sono stati attribuiti al Partito repubblicano del popolo, 155 al Partito della giustizia, 49 al Partito della salvezza nazionale, espressione delle forze religiose più retrive, 43 al Partito democratico (che in concorrenza ed in polemica con Demirel si ispira all'esperienza politica del defunto Menderes), 13 al Partito della fiducia, scissionista di destra dei repubblicani, 3 al Partito di unità turca, espressione di un coraggioso gruppo di socialisti marxisti (mentre i quadri e gli attivisti del Partito operaio turco, disciolto dalla dittatura militare, sono ancora in carcere). Se per Bülent Ecevit e per il Partito repubblicano sarà difficile avere una maggioranza stabile in Parlamento, il grande sconfitto di questa consultazione è Demirel che nelle precedenti elezioni politiche aveva ottenuto per il suo partito la maggioranza assoluta. Esclusa da Demirel una coalizione dei due maggiori partiti, non è possibile nemmeno ipotizzare una sua alleanza con i partiti minori, data l'ostilità del Partito democratico. E' un gioco pericoloso che si propone come obiettivo nuove elezioni, ma che potrebbe avere invece come effetto un rilancio della dittatura militare, in veste di salvatrice della patria di fronte all'inettitudine e alle beghe dei partiti politici. Un evento del genere svuoterebbe la vittoria dei repubblicani che sarebbero il bersaglio della dittatura reazionaria, e ma estrometterebbe dalla scena politi- ca anche lo stesso Demirel. Finora ci sono state una rinuncia di Ecevit al mandato di formare il governo ed una di Demirel: la crisi è quindi aperta. Ma cerchiamo di tastare il polso del paese: La sconfitta del Partito della giustizia è da attribuire, oltre al suo conservatorismo ed alla sua incapacità di risolvere i problemi del paese, all'acquiescenza dimostrata verso le manifestazioni più liberticide del regime militare. La strategia seguita da Demirel, consistente nel tentativo di condizionare, con un sostanziale appoggio e critiche moderate, la dittatura militare, ha finito col rivolgersi contro di lui coinvolgendolo nel discredito che i militari si sono tirati addosso in due anni e mezzo di illibertà e di sanguinosa repressione. Al momento del colpo di Stato, Demirel, in quanto capo del partito di maggioranza e premier spodestato, era stato oggetto di feroci attacchi da parte della stampa del regime. Si era perfino accennato ad una possibile incriminazione per corruzione. Poi i militari si erano trovati isolati, impegnati nella lotta contro le forze di sinistra, incapaci di frenare l'aumento del costo della vita, ed il Partito della giustizia era obiettivamente diventato la forza meno pericolosa per il regime; anzi nella misura in cui i militari avessero rinunciato ad ogni velleità di riforme, anche quelle antifeudali, e si fossero limitati ad un attacco massiccio e frontale contro i lavoratori e le loro organizzazioni, il Partito della giustizia avrebbe anche potuto appoggiarli, a condizione di un ritorno alla normalità costituzionale a medio termine. Perciò, ci pare, il responso elettorale del popolo turco ha detto « no » non soltanto alla dittatura dei gorilla fascisti, ma anche alla dittatura parlamentare e legalitaria vagheggiata da Demirel. E non è servito a nulla al leader dell'AP il farsi accompagnare durante la campagna elettorale dall'ambasciatore degli Stati Uniti, interessati,. dopo l'esperienza fallimentare del regime militare, ad una soluzione demireliana; ché anzi, ove ce ne fosse stato bisogno, agli occhi del popolo turco l'appoggio americano a Demirel, dopo che gli USA avevano ispirato ed aiutato il colpo di Stato militare, è stato una conferma della sostanziale continuità tra le due forme di regime. Il successo elettorale del Partito repubblicano trae invece le sue motivazioni da una politica opposta a quella perseguita dal Partito della giustizia. A due giorni di distanza dal colpo di Stato, Bülent Ecevit, allora segretario generale del partito, dichiarò che secondo le leggi vigenti i generali ribelli avrebbero dovuto essere deferiti alle corti marziali, ma fu incriminato dai golpisti e dovette dimettersi dalla segreteria, anche per il possibilismo del presidente del partito, il vecchio Ismet Inönü. Il partito di Inönü, idealmente continuatore del riformismo laico e modernizzatore di Atatürk, era divenuto in realtà uno strumento di immobilismo e burocrazia ideologicamen te confuso ed abituato alle sconfitte. Diventato presidente della Repubblica nel 1939, alla morte di Atatürk, dopo esserne stato per 15 anni il fedele presidente del Consiglio, Inönü perdette il potere e la maggioranza in Parlamento alle prime elezioni politiche, nel 1950; rimesso al potere dai militari dopo il colpo di Stato del 1960, perdette nuovamente le elezioni nel 1965, dando via libera al regime conservatore di Demirel, che resuscitava quello di Menderes ad appena cinque anni di distanza dalla rivoluzione che lo aveva deposto. Sotto la direzione dell'ormai senescente Inönü, negli ultimi anni il Partito repubblicano si era ammantato di un interclassismo nazionalista che nascondeva l'incapacità di incidere nei problemi della realtà turca e di un patriottismo popolare ricco di memorie storiche, ma privo di prospettive politiche. Lo stesso Inönü era diventato il monumento a sé stesso, un secondo padre della patria sclerotizzato ed inutile. Ciò che veniva nascendo da questo deperimento era un partito socialista di tipo occidentale come quello francese o quello italiano, o come la socialdemocrazia tedesca molto am-
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