Area della trascrizione e della traduzione metatestualeTrascrizioni | Trascrizione Non markup - automatica: di Taylan Ozgur Ankara, aprile —. Il sipario è calato anche sulla commedia delle ultime apparenti « libertà » che la Turchia mostrava come facciata di comodo al mondo. Ai deputati non sono state sufficienti la vergogna e l'umiliazione della seduta del 31 marzo quando hanno recitato orrore e indignazione per il resoconto da mattinale di questura che il ministro degli Interni Serit Ku-bat forniva loro sulla strage dei dieci guerriglieri e dei loro tre ostaggi inglesi e canadesi. Né è bastato invocare a gran voce la morte « rapida e esemplare » degli oppositori in carcere. Quest'ultima prova di servilismo non ha retto alla temperie che i militari volevano creare. E così deputati e partiti sono stati mandati a casa, con l'accusa di aver favorito — loro con la finzione di un potere parlamentare inesistente — la « anarchia e la violenza ». Il presidente turco, generale Sunay, li ha licenziati, licenziando « la politica », questo « male che corrompe la Turchia »: è il colpo di Stato all'interno di un colpo di Stato già avvenuto circa un anno e mezzo fa, o meglio il punto terminale di un processo dittatoriale che ha trasformato anche la Turchia, dopo la Grecia e a fianco del Portogallo, in un paese fascista della NATO. Alla luce di questi sviluppi la strage di Kizildere — il paesino montano in cui hanno trovato la morte i dieci guerriglieri del Gev Donc e i tre tecnici della NATO tenuti in ostaggio — assume un sinistro significato. Era necessario arrivare al massacro? L'interrogativo è stato presente da sempre, sin dalle prime notizie sui fatti. Vi erano state troppe versioni governative tra il 29 e il 30 marzo. Prima si era diffusa una nota in cui si affermava che la piccola casa in cui si erano asserragliati i guerriglieri era stata da loro stessi fatta saltare, come se si celebrasse un orrendo suicidio collettivo. Poi si era detto che lè truppe e la polizia, non appena accortesi che i tre ostaggi erano stati uccisi dai guerriglieri, avevano assalito la casa uccidendo questi ultimi. Poi, terza versione, che vi erano stati combattimenti ravvicinati e che la casa era stata occupata corridoio per corridoio, stanza per stanza (singolare davvero! si tratta di una casetta contadina piccolissima), e che vistisi perduti i guerriglieri avevano assassinato i tre tecnici. Troppe - veramente queste versioni perché godessero di una loro credibilità. Ma nessuno aveva potuto smentirle: se sopravviveva infatti una larva di Parlamento, la libertà di stampa era già morta da tempo. Adesso però la domanda ritorna in termini drammatici: chi ha voluto il massacro di Kizildere? chi aveva interesse a provocare un. fatto di sangue destinato a sollecitare forti emozioni e utili turbamenti? La risposta è semplice, adesso; e non è difficile comprendere che guerriglieri e tecnici siano morti sotto l'intenso bombardamento delle artiglierie governative. Non è difficile comprendere che la vita dei tre tecnici della NATO poteva, essere salvata, ma nulla è stato tentato in questo senso. Si voleva un fatto drammatizzante, si voleva una di quelle occasioni clamorose (e in questo caso sanguinose) che fornissero alibi e consensi al nuovo progetto che si approntava per imprimere alla Turchia un nuovo giro di vite. Adesso anche altre cose appaiono più chiare. Solo tre settimane fa il primo ministro Nihat Erim si era recato a Washington, e vi era stato ricevuto con particolari onori da Nixon. Il tema dell'incontro era stato la crisi cipriota, ma vi era stato anche un altro particolare tema che aveva, allora, un po' stupito. Erim aveva parlato di un complotto co munista appena stroncato e su questa base aveva ricevuto lodi per la strenua difesa delle libertà in Turchia e soprattutto nuove armi per l'esercito. Si sa: in paesi come la Turchia tutto ciò che è opposizione democratica viene ricondotto al comunismo. Tuttavia il parlare di complotto organizzato aveva suscitato una certa sorpresa. Perché ci si chiedeva, proprio ora? a quale fine? La risposta è giunta ora. Si stava preparando — in questo caso sì, un complotto concordato con gli Stati Uniti — il nuovo colpo di Stato. E Kizildere doveva esserne la scena madre. Vista di qui la sequenza degli avvenimenti ha una sua logica inesorabile. Il massacro non si era ancora compiuto in quello sperduto villaggio di montagna, che già si passava a una nuova fase della repressione contro tutte le opposizioni: una « fase decisiva » come ha annunciato il governo, con l'obiettivo di « schiacciare » il malcontento e ristabilire una volta per tutte « l'or- dine ». - E' la terza delle ondate repressive. La prima fu quella che seguì immediatamente l'intervento dei militari nel marzo 1971. Quattromila furono gli oppositori di sinistra gettati nelle carceri, alcune centinaia scomparvero senza processi. La seconda seguì di qualche mese. Furono i « grandi processi anti-terroristici » che coinvolsero non solo quanto era rimasto dei quadri della sinistra, ma anche il centro e oltre. Intellettuali, giornalisti, professionisti, studenti sfilarono davanti ai tribunali prendendo decine di anni di carcere per aver manifestato, per aver rivendicato la libertà, persino per cose fatte, dette e scritte prima ancora dell'intervento dei militari. Particolare interessante. Tutti i pro-cessi furono istruiti partendo dalla tesi degli « opposti estremismi ». Estremismo venne considerato tutto ciò che era anti-americano, democratico, liberale o comunque legato ai princip; costituzionali. Scrittori e artisti come Azra Erhat, Magdalena Rufer, Yaschar Kemal, economisti come Kucukomer, intellettuali di fama come Erdal Inonu, rettore dell'università americana — tutta l'élite del vecchio regime liberale — conobbero gli arresti e le tetre carceri delle fortezze militari. Sono quelli i mesi in cui vengono sciolti il Partito operaio turco, la Federazione delle associazioni socialdemocratiche, in cui l'esercito viene epurato dagli elementi ritenuti infidi, e in cui qualsiasi parlamentare sospetto di non essere entusiasta del regime viene privato dell'immunità. Tuttavia neanche questa seconda e estesa ondata repressiva riesce a risolvere i problemi aperti. Il tessuto reale di una società sottosviluppata — dove giganteggiano le più drammatiche ingiustizie sociali e in cui domina il neocolonialismo economico, politico e militare degli Stati Uniti — si fa prepotentemente avanti. E provoca una sorta di circolo chiuso. Gli investimenti americani e tedeschi non possono per la loro natura rompere la crosta di una società in cui prevalgono rapporti sociali di produzione arretrati (siamo in generale davanti a una antica feudalità economico-religiosa), e quindi, a un certo punto la produzione ristagna, provocando a sua volta una crisi di quegli investimenti. La recessione perciò incalza, con milioni di disoccupati e sottoccupati, con i prezzi che aumentano a un ritmo galoppante (10% al mese) e soprattutto col dilagare di acuti fenomeni di .instabilità sociale. Di qui una permanente instabilità politica, una disgregazione inarrestabile della vita politica. Un punto importante di questa crisi fu la fine dell'ottobre dello scorso anno quando Nihat Erim presentò le sue dimissioni rivelando la fragilità dei risultati conseguiti col colpo di Stato del marzo. Da allora le cose hanno camminato ancora più in fretta di quanto gli stessi governanti pensassero. Il disagio sociale si è trasformato in esplosioni di collera che vanno da scioperi improvvisi e selvaggi ai momenti di rivolta armata di gruppi quali il Gev Donc, frutto di una esasperazione che ha radici profonde nella società turca. Il disagio politico si è tradotto in un allargamento dell'opposizione a strati e gruppi finora lontani da tutto ciò che potesse suonare offesa all'ordine costituito, e soprattutto si è tradotto nel risorgere, al di là dell'epurazione, di un'ala kemalista, del resto tradizionale, nell'esercito. Infine. La stessa composita formazione dello Stato turco ha cominciato a dar segni di crisi profonda con l'esplosione della gestione curda (10 milioni di curdi abitano la Turchia) e di altre minoranze etniche. E' di fronte a questo dissesto economico, politico, statale e sociale che il gruppo dei militari più reazionari e più legati agli americani ha deciso per la terza volta di riprendere in modo più diretto le redini del potere. 11 paese è in effetti ingovernabile essendo arrivato al punto in cui tutte le sue contraddizioni giungono a un punto esplosivo. Per governarlo ci vorrebbero riforme profonde in tutti i settori della vita politica e economica, rivolgimenti sociali, espansione piena della democrazia, piena riconquista dell'indipendenza nazionale. Di fronte a questa prospettiva si sceglie ovviamente la strada opposta: un irrigidimento della dittatura. Dopo aver abolito la libertà di stampa, messo fuori legge i partiti di sinistra, distrutto l'autonomia delle università, reso dipendente il potere giudiziario, ora si passa anche alla repressione di ogni forma di vita politica. E si arriva a questo non solo perché c'è in Turchia una reazione feroce nel difendere i suoi privilegi. Vi si arriva anche perché gli Stati Uniti considerano troppo importanti le basi della NATO in Turchia. Ma le bombe che rompono il silenzio della notte qui a Ankara, come in molte altre città turche, fanno pensare che non si tratterà di una impresa facile. Verso la dittatura aperta in Turchia Una strage per i generali La tragedia di Kizildere non ha ancora una sua versione credibile. Sospese le attività politiche di tutti i partiti e si annuncia una nuova costituzione ». Le tre fasi della repressione dal marzo 1971 a oggi. Crisi economico-sociale e instabilità politica Nelle foto: il comando di polizia che ha compiuto la strage di Kizildere; l'orrendo spettacolo della casa dopo la sparatoria
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