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tipologia: Analitici; Id: 1543385


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Tipologia Periodico
Titolo Taylan Ozgur, Turchia. Il terrorismo dei generali. [sottotitolo: Soppresse tutte le libertà. Il gruppo militare che ha operato a marzo il colpo di Stato mostra sempre più la sua natura di intermediario della penetrazione neocoloniale. La repressione dilaga colpendo tutta la sinistra nelle sue varie componenti, ma la partita è ancora aperta]
Responsabilità
Taylan Ozgur+++
  • Ozgur, Taylan
  autore+++    
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Politica internazionale [Rinascita] {Politica internazionale [Rinascita]}+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
TURCHIA
Il
terrorismo
dei
generali
Manifestazione di studenti ad Ankara
Soppresse tutte le libertà. Il gruppo militare che ha operato a marzo il colpo di Stato mostra sempre più la sua natura di intermediario della penetrazione neocoloniale. La repressione dilaga colpendo tutta la sinistra nelle sue varie coinponenti, ma la partita è ancora aperta
di Taylan Ozgur
Ankara, giugno. — Qui c'è il terrore. Arrivano alle tre, alle quattro del mattino e portano via la gente. Le perquisizioni domiciliari si infittiscono, e si spara a chi, durante il coprifuoco, non si fermi immediatamente all'alt delle pattuglie (è stato ucciso un ragazzo di sedici anni). I militari colpiscono ovunque e in ogni modo, per opinioni politiche presenti o passate. In un mese sono state arrestate e deportate circa 4000 persone, senza che di esse si abbiano più notizie e senza che, nella stragrande maggioranza dei casi, sia stato aperto a loro carico un procedimento penale. Qualcuno è stato incriminato per articoli scritti quattro o cinque anni fa. Gli arresti hanno colpito studenti universitari, professori, giornalisti, ufficiali dell'esercito, funzionari,
operai. La definizione sovversivo » è
stata dilatata all'infinito, toccando persino i socialdemocratici, la cui Unione è stata sciolta proprio in questi giorni. E non si tratta solo di semplici arresti. Il più delle volte c'è la deportazione, in molti casi, la morte.
Accade in questo senso qualcosa che agghiaccia. Morta, ovviamente uccisa, la libertà d'informazione, i giornali della giunta stanno montando un clima atroce che invita apertamente al linciaggio dei militanti di sinistra. Un commando rapina una banca a fini politici? La stampa chiede la fucilazione seduta stante senza processo, e attacca la magistratura la quale si autodefinisce indipendente perché « osa » condannare i membri del commando a soli 36 anni di carcere. I casi del console israeliano o della ragazza tenuta in ostaggio hanno contribuito non poco ad alimentare la campagna voluta dalla Giunta militare. Ma essi vanno rovesciati nel giudizio: rappresentano infatti una forma esasperata di autodifesa di fronte al terrore dilagante.
Partita dalla tesi incredibile che bisognava eliminare gli « opposti estremismi », per assicurare « l'ordine » e un regime stabile contro la corruzione e l'inefficienza di quello parlamentare, la Giunta militare ha proceduto a tappeto: prima rapando a zero gli studenti con i capelli lunghi e impedendo le minigonne alle ragazze, poi addestrandosi nella più corposa repressione della sinistra. A destra si è colpito, ma in modo del tutto indolore e senza alcun arresto, qualche associazione di fanatici — predicatori inascoltati del ritorno al grande impero turco dal Sinkiang alla Jugoslavia — e qualche piccolo gruppo assolutamente innocuo. Il vero obiettivo è stata invece la sinistra: dai giovani universitari appartenenti a gruppi gauchistes, al Partito del Lavoro, ai sindacati. Giù, giù, sino alle stesse ali riformiste piccolo-borghesi: si è incriminato persino, per « vilipendio » il segretario generale del Partito repubblicano, Ecevit, che ufficialmente sostiene il governo.
Viene perciò da chiedersi, a questo punto: in Turchia siamo al fascismo? Una prima risposta ci dice che sì, ci siamo. Vi poteva forse essere qualche dubbio in proposito nei primi giorni del colpo di Stato militare. Giocavano in questo senso una certa ambiguità della collocazione dei militari nella società turca,
funzione ch'essi ebbero nel 1960 contribuendo al rovesciamento del dittatore Menderes, l'idea che nell'esercito fosse ancora solida la tradizione kemalista, tutte cose che potevano corrispondere a connotati storici realmente esistenti. Oggi tuttavia il quadro è più nitido e si può cercare di dipanare meglio la matassa degli avvenimenti del marzo scorso.
Fino ad allora il sistema di potere in Turchia era fondato, sul piano politico, su una democrazia formale, duramente repressiva di ogni tendenza vagamente comunista o socialista. Il gioco si articolava tra una maggioranza conservatrice e una minoranza « riformista » (rappresentata dal Partito repubblicano del popolo) che si richiamava al riformismo piccolo-borghese di Ataturk: modernizzazione del paese e collocazione europea della Turchia. L'equilibrio funzionava a ridosso di una società statica e sottosviluppata, priva di forti tensioni sociali. Era certo un equilibrio precario, susseguito alla liquidazione della dittatura, ma a tenerlo in piedi contribuiva un congruo aiuto americano sul terreno economico, politico e militare.
Ma il paese reale andava verso diversi equilibri. La penetrazione di capitali americani (e poi tedesco-orientali, in grande quantità) bene o male metteva in movimento il tessuto sociale come accade per ogni operazione di tipo neoco-loniale. Non è un caso che il primo « terremoto » politico avvenga - proprio quando un gruppo di notábili, legati ai circoli feudali e religiosi più tradizionali, si stacca dal Partito della giustizia, perché i salari delle imprese straniere rischiano di far saltare il costo bassissimo del lavoro nelle campagne.
Ma il punto di maggiore frizione diventa — come sovente accade nei paesi sottosviluppati dove si sta - formando un'embrionale coscienza di classe — la università. Tradizionalmente modernista, imbevuta del laicismo di Ataturk e del suo robusto nazionalismo, l'università è il crogiuolo in cui matura per primo un orientamento antimperialista (il che vuol dire persino fisicamente antiamericano) e tende a divenire la base organizzata di una iniziativa di sinistra (per quanto frantumata). Sono gli universitari infatti che iniziano l'ampio movimento di lotta contro le basi USA. La loro attività, tumultuosa e spesso spettacolare, si svolge in una situazione ormai instabile dal punto di vista economico e sociale, e quindi opera come catalizzatore di quella politica.
Le contraddizioni sociali della Turchia sono infatti giunte, in questi anni, a un punto esplosivo. Nell'estate del '70 tutti i nodi arrivano al pettine. La lira turca crolla fragorosamente e i gruppi dominanti fanno ricadere la sua svalutazione sui
•salariati e sulle categorie a • reddito fisso, collegandovi il primo tentativo serio di liquidazione dei nascenti sindacati. Questa volta la reazione è immediata. Alla legge limitativa delle libertà sindacali e ai costi dell'inflazione, si risponde con lo sciopero, il sabotaggio e le grandi manifestazioni popolari. I limiti della lotta appaiono subito evidenti: è solo la città a muoversi, mentre la campagna resta tranquilla. Ma già questa basta a rompere il precario equilibrio politico esistente, e il governo Demirel deve imporre il congelamento dei salari, i prezzi aumentati, la spirale inflazionistica, facendo occupare la città militarmente.
La repressione durissima non spegne l'incendio. Le condizioni oggettive hanno raggiuto ormai un tale grado di intollerabilità che l'agitazione è permanente. Nella stessa campagna sono ora i feudali a cercare di organizzare i contadini — utilizzando i fattori più tradizionali della religione islamica — per difendere una situazione immobile incrinata, come dicevamo, dal neocolonialismo. In breve il regime, con le sue finzioni di ricambio dei gruppi dirigenti, con le sue clientele e le sue faide, non agisce più come deterrente delle tensioni sociali, non è più in grado di egemonizzare una società in ebollizione. Il fossato tra paese reale e paese legale diviene enorme e. rende inefficace lo stesso apparato di repressione e di corruzione.
E' a questo punto che entrano in ballo i militari. Il credito di cui essi dispongono è enorme: non hanno forse rappresentato nella storia della Turchia moderna « la coscienza della nazione »? non era •stato Kemal Ataturk un soldato che si era battuto per la. salvezza della patria, fondando nel lontano 1923 la repubblica e lo Stato sulle rovine dell'impero ottomano? In effetti la tradizione kemalista è ancora assai forte nell'esercito, ma è questa la componente essenziale del colpo di Stato?
La risposta, ora possiamo darla con certezza, è. negativa. In primo luogo perché la risposta kemalista è divenuta insufficiente per problemi del paese. La realtà impone oreintamenti che vadano oltre una impostazione puramente modernista e nazionalista, .per aggredire direttamente il tessuto sociale turco. Ciò che poteva apparire rivoluzionario negli anni '20, è oggi solo impotenza riformista, incapacità di mobilitare le forze sociali e politiche in un progetto veramente rinnovatore. Ciò fa sì che l'ala kemalista dell'esercito non abbia né il potere né la forza per assumere essa il controllo del colpo di Stato. Anzi viene rapidamente emarginata. D'altro canto, a questo punto, tutti possono richiamarsi a Ataturk, tanto fragile, lontana e evasiva appare la linea nazionale modernista. Ma vi è una seconda ragione che appare più importante.
L'esercito in questi decenni è venuto secernendo una sua casta particolare, ancorata più ai trattati internazionali che alla tradizione nazionale, educata più allo spirito delle alleanze occidentali che al culto del kemalismo. Per mentalità, costume, preparazione è maturato un gruppo militare che ha le sue radici nella NATO più che in Turchia. E non solo mentalità, ma anche interessi e privilegi economico-sociali. Bisognerà arrivare a una analisi più completa di questo gruppo-casta, anche nel quadro del problema più generale che concerne il ruolo e il peso dei militari in tutta un'area del mondo. Quel che però si può, sin d'ora, dire è che, non si tratta di una componente arcaica e arretrata della società turca.
I militari che hanno diretto il colpo di Stato sono anzi una componente « moderna » di quella società, sono una casta che è « moderna » anche in senso culturale e ideologico: nulla quindi di paragonabile al vecchio gorilla sud americano degli anni '40. Ancora si può aggiungere qualche dato circa la loro collocazione sociale. E' chiaro che essi non sono. neutri socialmente, disponibili a questa o quella gestione della società in un quadro di
ordine ». Sono invece socialmente schierati: nel senso .che sono i. più fermi,.por-tatori della ideologia e della prassi. neo-coloniale, i garanti insomma di un preciso rapporto con gli Stati Uniti, e più in generale con l'area occidentale. La stabilità ch'essi vogliono portare è quella che deve rendere il più tranquilla possibile la penetrazione del capitale estero, controllando — con la forza e la repressione — tutte le • contraddizioni che esso porta con sé, tutti i nuovi squilibri che introduce in una società troppo eterogenea per poterli assorbire senza scosse.
Naturalmente la premessa dell'operazione è la liquidazione di ogni possibilità di iniziativa e di presenza di qualsiasi forza di sinistra nel paese, ossia di qualsiasi contestazione sociale che faccia esplodere ,quelle contraddizioni. Repressione quindi, e al limite lo sterminio fisico dei militanti, per passare successivamente al contenimento delle spinte più arcaiche che sono d'impaccio alla penetrazione neocoloniale.
Questo sembra essere il connotato principale dei militari turchi oggi. Un « fascismo » perciò che non difende uno, status quo arretrato, ma che trae la sua carica di aggressività antipopolare e antidemocratica dal dettato e dagli interessi del capitale internazionale. Qualcosa di analogo lo si è avuto anche altrove e la Turchia vi si adegua.
Non abbiamo esaminato la componente strategico-militare dell'operazione, collegata alla politica statunitense nel Mediterraneo. Essa non è meno importante di quella sinora tratteggiata e meriterà una anàlisi a parte. Per ora però la seconda domanda che si pone è la seguente: riuscirà l'operazione repressiva dei militari? riusciranno a imporre « l'ordine » neo-coloniale? I dubbi sono molti. La sinistra è certo divisa, incerta nella sua strategia, messa in difficoltà da un intervento la cui durezza non ha precedenti. Ma non è vinta e la società turca è, come dicevamo, giunta oggettivamente a uno stadio troppo avanzato di decomposizione perché basti la repressione a sanare la sua crisi. La partita perciò è ancora aperta, anche se difficile e aspra.
 
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32841+++
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Area unica
Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1971 Mese: 6 Giorno: 11
Numero 24
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1971 - 6 - 11 - numero 24


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