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tipologia: Analitici; Id: 1543372


Area del titolo e responsabilità
Tipologia Periodico
Titolo Romano Ledda (a cura di), Dossier NATO
Responsabilità
Romano Ledda+++
  • Ledda, Romano<Tunisi 1930 – Roma 1987>
  autore+++    
Rubrica od altra struttura ricorsiva
Dossier Nato [Rinascita] {Dossier Nato [Rinascita]}+++  
Area della trascrizione e della traduzione metatestuale
Trascrizioni
Trascrizione Non markup - automatica:
Dossier NATO 9 maggio 1969 ' n. 19 Rinascita p. 11
Corne e perché è sorta l'Alleanza at antica
Q— 1 -a [7Art !lem w !I s'11 +l~ rhl1A l'Europa e per l'Italia
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Per quali ragioni è necessario liquidarla

ossier
La NATO compie venti anni. Li compie con ce-
lebrazioni in tono mino-
re, quasi con un impaccio appena velato dalla re-
torica. E che cosa, del re-
sto, potrebbe vantare? Solo il quotidiano dell'ono-
revole La Malfa, in comu-
ne con i viscerali oltranzisti, ha potuto scrivere che la NATO ha rappresentato il recupero dei
« valori della cultura e della civiltà occidentali »,
la « restaurazione del-
l'unità dello spirito occidentale, che della nostra civiltà è la sostanza » e la non « dispersione nella contaminazione con nuovi fenomeni barbarici di quel che di valido il mondo occidentale aveva costruito nel corso di secoli ». Merce avariata. In realtà, a scorrere gli articoli celebrativi, i bilanci anche apologetici, i solenni discorsi pronunciati a Washington per il ventennale, si rimane colpiti soprattutto da una cosa : l' unico argomento portato a sostegno della NATO si fonda su un fatto immaginario. Il suo successo — della NATO — consisterebbe nell'aver salvato la pace, impedendo l'aggressione sovietica. Poca cosa e risibile, poi-chè la minaccia di aggressione non è mai esistita.
Perduta così, su questo terreno, ogni credibilità la NATO cerca di darsi un nuovo volto, di riscoprire o far nascere una sua « vocazione democratica » per dirla col ministro degli Esteri Nenni. Ma può la NATO trovare questa vocazione? La sua natura, le sue ragioni di nascita e di esisten-
I paesi europei membri del
za lo consentono? Che cosa è in realtà la NATO? Rispondere a questi interrogativi vuol dire ripercorrere le scelte fondamentali e la storia della NATO, descriverne i meccanismi, mettere in luce i suoi più autentici significati, rivelarne la poliedrica funzione. Ed è cosa agevole. Perchè la NATO si è presentata sulla scena politica mondiale
Patto atlantico. Basi NATO
con alcuni precisi e irrefutabili connotati. E' stata strumento, da un lato, di una lotta aperta al mondo socialista, e di una repressione crescente verso le aree del « terzo mondo ». E' stata, dall'altro lato, la struttura portante della difesa e del consolidamento dei regimi capitalistici dell'occidente europeo. Elemento unificatore di questi due aspet- ti sono state la politica dei blocchi voluta dall'imperialismo e la supremazia americana sull'Europa.
La NATO ha simboleggiato per l'Europa e per il mondo tutto ciò. Per cui volere un mutamento, oggi, della realtà degli ultimi venti anni è incompatibile, per usare le parole di un cattolico, « con l'idealizzazione e la sopravvivenza della NATO ». Al contrario, richiede la rimessa in discussione della NATO e dell'Alleanza atlantica, per rovesciare e battere la logica che ne presiedette la nascita e ne determina i destini. ciò che vogliamo dimostrare ai lettori di Rinascita con questa ricerca.
Inserto a cura
di Romano Ledda
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e basi militari americane nel bacino del Mediterraneo
p. 12 Rinascita n. 19 9 maggio 1969 Dossier NATO
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« Gli Stati Uniti sono troppo ricchi per accettare uno scacco politico senza cercare -un altro modo per imporre la loro volontà. Essi possono, se vogliono, trasformare il problema politico in un problema economico o, come ultima risorsa, in un problema militare » : è su questa base che nasce l'impegno mondiale degli USA
Il primo atto che sancisce formalmente la nascita della Alleanza atlantica è la risoluzione Vandenberg votata dal Senato degli Stati Uniti d'America l'11 giugno 1948. Con essa si auspica « il progressivo sviluppo di accordi regionali » .e si autorizza il Presidente ad « associare l'America all'Europa occidentale in accordi di mutua difesa che contribuiscano alla sicurezza nazionale ». Ma è noto che la sua radice politica è da ricercarsi un po' più indietro nel tempo, in quella inversione di tendenza della politica estera americana che iniziò sul finire stesso della seconda guerra mondiale, e su cui influirono fattori di varia natura, tra cui il monopolio dell'arma atomica. La percezione delle profonde trasformazioni nate dallo sconvolgimento bellico, e la volontà di congelarle, il senso di una profonda crisi che sconvolgeva l'ordinamento capitalistico e la decisione di bloccarla con ogni mezzo: queste le radici politiche della guerra fredda.-
Nota lo storico americano Theodore Draper che « gli Stati Uniti sono troppo ricchi per accettare uno scacco politico senza cercare un altro modo per imporre la loro volontà. Essi possono, se vogliono, trasformare il problema politico in un problema economico o, come ultima risorsa, in un problema militare ».
Nell'immediato dopoguerra gli Stati Unit. si presentavano, in un mondo sconvolto, favolosamente ricchi al punto che Henry R. Luce poteva baldanzosamente affermare che « popolo americano deve accettare con entusiasmo i doveri e la missione della nazione più potente e vitale del mondo e perciò fargli sentire tutto il peso della nostra influenza per gli scopi e con i mezzi che ci , sembreranno più opportuni ». Non era ancora maturata compiutamente la pretesa — che dominerà i successivi sviluppi della iniziativa internazionale statunitense — di intervenire in ogni parte del mondo in cui sembrassero venire alla luce situazioni giudicate non coincidenti o contrarie agli interessi americani. Ciò avverrà con l'avvento di Foster Dulles e troverà la sua più compiuta espressione nella politica « planetaria » di Johnson. Ma se ne gettarono le radici con il contenimento (politica del containment) e se possibile, con l'inversione dei processi di emancipazione aperti nel mondo. Fu uno spostamento deciso dell'asse storico della politica estera americana. Politica di potenza e sfida sociale vi si intrecciarono, trovando di volta in volta ora l'uno ora l'altro maggiore o minore rilievo. Il comunismo fu allora visto come la forza di un presunto « imperialismo sovietico ». La più generale crisi tradizionale del sistema imperialistico come « una cospirazione sovietica globale ». Walter Rostow, ad esempio, vedeva nella lotta di liberazione vietnamita contro il colonialismo francese nel 1946, « il risultato della decisione di Stalin di lanciare una offensiva in Oriente». E fu quindi essenziale combattere il comunismo in ogni parte del mondo.
La definizione compiuta di questa strategia di contenimento si ebbe con la Dottrina Truman (12 marzo 1947), con la quale gli USA si impegnavano a « sostenere i popoli liberi i quali resistono ai tentativi di coercizione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne ». L'Alleanza atlantica fu il primo e coerente corollario di quella dottrina, che nel giro di pochi anni avrebbe proliferato nel mondo una catena interminabile di patti. Nel suo Pax americana lo studioso americano Ronald Steel osserva giustamente che « la NATO è stata la prima delle nostre alleanze coinvolgenti ed è ancora la più importante. Attorno alla NATO costruimmo la nostra diplomazia post-bellica di contenimento e di intervento ». Di lì, con una logica obbligata, sarebbero discesi poi i patti militari e le alleanze regionali del CENTO, SEATO, ANZUS, la Dottrina Eisenhower per « proteggere » gli arabi dal comunismo, e, infine, la risoluzione del Golfo del Tonchino, che autorizzò il presidente a intervenire nel Sud-est asiatico: in breve, più di un milione di soldati americani all'estero, più di 3.000 basi militari sparse in tutto il mondo (sulla base di un rapporto del Pentagono il New York Times dell'li aprile 1969 afferma che le basi sono 3.491), quattro alleanze di « difesa », 42 trattati di mutua assistenza militare, aiuti militari a oltre settanta paesi. « Impegni i cui eguali — ha scritto James Reston — nessuna nazione sovrana ha mai preso nella storia del mondo ». L'Alleanza atlantica fu il primo anello della catena perche l'Europa era l'epicentro dello scontro.
Si è parlato molto, con l'assunzione da parte degli USA di responsabilità mondiali, di fine completa dell'isolazionismo tradizionale, grazie a uno slancio morale immune da vecchi egoismi, al risveglio provocato dal dramma della seconda guerra mondiale e dagli sviluppi della guerra fredda. Più realisticamente De Gaulle osserva nelle sue Memorie che la «volontà di potenza degli americani » è sempre « propensa ad ammantarsi di realismo ». Tre ragioni di fondo, assai poco idealistiche, spingevano gli USA a rompere definitivamente con l'isolazionismo: una militare, l'altra economica, l'altra ancora politica, tutte strettamente intrecciate.
Vediamo prima quella militare. Nonostante il monopolio della bomba atomica, essa poteva essere il vero « asso nella manica » se gli americani, in mancanza (allora) di bombardieri intercontinentali e di sommergibili atomici, avessero potuto disporre di basi oltreoceano che avessero avuto a loro tiro il campo socialista. « Il sistema di basi riflette essenzialmente la nostra decisione di assicurare l'efficacia del deterrente
La struttura " organizzativa
della NATO, a partire dal suo organo politico principale (il Consiglio atlantico di Bruxelles) fino ai comandi militari periferici nei vari settori. Di particolare interesse per l'Italia è il comando alleato del Mediterraneo (sigla: Cincafmed) con sede a Malta la cui costituzione è strategico — scrive Twonsend Hoopes su Foreign Affairs —e anche le nostre decisioni di organizzare e sostenere la NATO e di mantenere potenti forze navali nel Mediterraneo ». Ovviamente si otteneva anche lo scopo politico di « rafforzare la decisione di molte nazioni di resistere alla pressione comunista esterna e reagire con fermezza contro la sovversione interna ». La necessità e l'utilità delle basi in Europa e nel mondo, non verrà meno, anche sotto il profilo militare, neanche quando il monopolio atomico sarà finito, e entreranno in funzione i missili intercontinentali e i sommergibili atomici.
Economicamente gli USA uscivano dalla guerra con un colossale apparato economico, e con tutti i pericoli di crisi o di recessione che la caduta della domanda bellica avrebbe potuto provocare. Impedire quella caduta e nel contempo garantire degli sbocchi a tutta la produzione americana, assicurarsi nuove sedi di investimento, si poneva come una necessità inderogabile.
Le motivazioni politiche sono di due ordini. La prima, scarsamente esplorata, e su cui oggi si inizia una ricerca, riguarda lo stato della società americana di allora. Dietro un'apparente e gagliarda compattezza vi era in realtà il primo germe della crisi sociale e politica che sarebbe esplosa in questi anni.
« A coloro il cui senso di sicurezza era stato distrutto dall'estrema mobilità della vita americana — scrive lo Steel — che si sentivano minacciati dalle richieste di
l'ultima iii' ordine di tempo presa dalla NATO, nella riunione tenuta nel novembre scorso a Reykjavik. Il nuovo comando di Malta è stato assunto dall'ammiraglio - degli Stati Uniti, Edward C. Au-tlaw, nel quadro del comando delle Forze alleate della Europa meridionale .di cui è capo un ammiraglio italiano eguaglianza da parte delle minoranze razziali e che erano umiliati dalla mancanza di personalità di una società sempre più burocratizzata, lo anticomunismo ideologico serviva come punto focale di scontento. Esso non poteva sedare quelle ansie, ma poteva spiegarle in una forma accettabile a chi vedeva altrettanti nemici all'interno di quanti ne scorgeva all'estero. L'assunzione di una responsabilità mondiale fu un atto di autoesorcismo da parte di un popolo tormentato dai demoni ».
La seconda motivazione, più nota, è derivata da quella militare ed economica: supporto di quelle operazioni non potevano che essere regimi politici fedeli, omogenei, disponibili.
Nel discorso che il generale Marshall pronunciò a Harvard il 5 giugno 1947 per lanciare il suo «Piano di aiuti », tutte queste componenti sono presenti: la necessità per l'economia USA di avere un'Europa capitalistica sulla base di una espansione e penetrazione del capitale americano, la lotta a quei partiti e gruppi politici che vi si oppongono (la estromissione dei partiti comunisti dai governi),
La commissione Harriman aveva già del resto, nel suo rapporto a Truman sugli aiuti, affermato che « gli interessi degli USA in Europa non possono essere valutati semplicemente in termini economici, essi sono anche strategici e politici ». « L'Alleanza atlantica — ha scritto di recente un altro studioso americano — è la componente politico-militare di una operazione di cui il Piano Marshall è l'ingrediente basilare », « un muro » dietro il quale sarebbero passate molte altre cose. E più chiaramente ancora Claude Julien, autorevole giornalista di Le Monde, nel suo L'empire americain: «L'impegno militare ed economico [degli USA] non è un accidente o un accessorio. Senza di esso la società americana sarebbe stata costretta a una revisione lacerante non solo dei suoi obiettivi e dei suoi mezzi di sussistenza. Fondata sull'impero economico e rafforzata dall'impero militare l'American Way of- Life non sopravviverebbe a un ripiegamento nelle proprie frontiere.
Le classi dominanti europee subirono, ma anche accettarono e persino cercaro- no tutto ciò. Uscivano scosse dalla guerra, sotto accusa, da un lato responsabili del fascismo, dall'altro di un'antica capitolazione di fronte alla tracotanza nazista. Il crollo degli imperi coloniali apriva nuovi e drammatici problemi. Le economie erano stremate. Negli USA trovarono ciò che serviva loro per ricostruire il loro potere. Vi fu come una partita doppia di ricatti: da un lato legavano gli USA a una responsabilità europea, dall'altro lato gli affidavano la loro sopravvivenza; da un lato gli garantivano una impostazione di politica sociale, economica, di esasperata difesa capitalistica dell'ordine costituito, dall'altro lato chiedevano una copertura per questa garanzia. A questa duplice operazione di reciproco so-st4gno le classi dominanti europee sacrificarono l'Europa, la sua pace, la sua unità, e con esse l'autonomia, l'indipendenza e la sovranità nazionale. Queste ultime venivano a morire con la NATO, dietro la quale si profilavano i blocchi come « universi politici, economici, militari, culturali, religiosi completi e chiusi ».
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Non si può negare che alcuni fautori dell'Alleanza avessero in mente qualche cosa di più di un patto militare. Sta di fatto però che l'Alleanza si è concretizzata tutta e soltanto in una struttura militare ed è attraverso di essa che si è stabilito il vero rapporto fra gli USA e l'Europa
Partendo da un preambolo in cui si fa riferimento alla « civiltà » comune dei paesi atlantici, il Trattato dell'Alleanza definisce un duplice ordine di accordi: cooperazione politica ed economica tra i suoi membri e mutua difesa militare. Nel dibattito attualmente in corso sull'Alleanza e la necessità di un suo riadeguamento, si tende a separare i due termini e si punta sulla definizione del Trattato come momento di una collaborazione comunitaria atlantica, sul terreno politico ed economico. Non a caso si parla di « distorsione » militare dovuta a fattori internazionali, esterni alla volontà dei suoi promotori. E' una tesi difficilmente accettabile. George Kennan che fu uno degli ispiratori del trattato aveva, in effetti, solennemente affermato che esso intendeva « istaurare un ordine internazionale diverso, un nuovo modello di relazioni tra gli Stati che superano le regole e i metodi della politica di potenza ». Ma immediatamente dopo aggiungeva che essendo impossibile affrontare le pendenze internazionali con i sovietici attraverso normali trattative diplomatiche, era necessario « un adeguato apparato di potenza » che contenesse l'URSS.
In realtà, gli articoli che costituiscono la struttura portante del Trattato sono quelli centrali (4, 5, 6) in cui viene definita la natura di una mutua difesa in caso di minaccia dell'« integrità territoriale », dell'« indipendenza politica » e della « sicurezza » di una delle parti, e in caso di
attacco armato » contro una o più di esse. La vaghezza delle definizioni (cos'è un attacco armato? un incidente di frontiera o una invasione? cosa si intende per minaccia alla sicurezza? un mutamento di regime interno vi rientra?) conferma il carattere militare del Trattato. « Proprio per la presenza di termini tanto vaghi e così poco obbliganti — scriveva tempo fa il settimanale delle ACLI Azione sociale in una inchiesta sulla NATO — solo un meccanismo militare precostituito » può dare « un contenuto e una certezza di garanzia » a quegli articoli.
Non si può certo negare che alcuni fautori dell'Alleanza avessero in mente qualche cosa di più di un patto militare. Sta di fatto però che l'Alleanza si è concretizzata « tutta e soltanto in una struttura militare », ed è attraverso di essa che si è stabilito il vero rapporto tra gli Stati Uniti e l'Europa sul terreno politico ed economico: un rapporto di subordinazione dell'Europa agli, USA.
In uno studio sui problemi della NATO apparso su Lo Spettatore internazionale (numero 1, 1967) si riconosce che « spesso le scelte e gli indirizzi assunti in sede NATO hanno contrastato e contrastano con la prospettiva di distensione, e che l'organizza-atone in quanto tale può costituire un elemento di ritardo sul processo. Ma questo è dovuto non tanto alla influenza di Washington sugli europei, quanto alla egemonia dei militari (americani ed europei) sui civili ». Anche se così fosse, non bisognerebbe chiedersi attraverso quale meccanismo si è potuto arrivare a ciò? Ma non è così. Lo Spettatore coglie una verità parzialissima. All'interno dell'Alleanza non si sono verificati alcuni accidenti ne una dolorosa ma necessaria separazione tra obiettivi politici e militari. L'impronta militare è stata data dalla sua stessa natura, perchè: 1) l'Alleanza voleva essere uno strumento di pressione della potenza americana nei confronti dei paesi socialisti, sulla base della politica äi contenimento; 2) la struttura militare era l'unica che garantisse, grazie al rapporto di forza, un naturale dominio statunitense; 3) la « paura » dell'aggressione e la protezione americana erano l'unico cemento unitario degli alleati europei.
Verificare nella storia dell'Alleanza tutto ciò, e ricostruire il processo che ne ha fatto un'appendice dell'imperialismo americano può essere perciò di qualche interesse_ Vediamo prima di tutto gli aspetti specificamente militari e il modo con cui hanno inciso sugli indirizzi politici. Essi possono essere esaminati sotto diversi profili.
Il primo e più elementare è quello dell'organizzazione che si diede l'Alleanza. Fin dal primo Consiglio atlantico del 17 settembre 1949, venne messo a punto il meccanismo organizzativo-militare dell'Alleanza, ossia la NATO. (North Atlantic Treaty Organization). E tale sarebbe rimasto fino ai nostri giorni. Nel corso del 1950 (soprattutto alle sessioni di New York e di Bruxelles) esso venne puntualizzato con tre decisioni importanti che riguardarono: a) il potenziamento delle forze tradizionali degli alleati europei; il progetto, definito successivamente in un Consiglio atlantico a Lisbona, prevedeva l'allestimento di 100 divisioni e di 9.000 aerei; b) l'istituzione di un esercito integrato, sotto comando americano; c) l'adozione della « strategia in avanti », ossia l'inserimento della Germania federale nella NATO.
Il punto a) non venne mai realizzato. Dello stato reale dell'Europa si fece interprete il ministro degli Esteri olandese Dirk U. Stikker affermando che qualunque « ulteriore abbassamento di vita » dovuto a « insostenibili » spese di riarmo « metterebbe a repentaglio quella pace sociale sul fronte interno che è così necessaria al nostro sforzo difensivo ». In realtà gli alleati europei furono sempre riluttanti a impegni estremamente gravosi in questo senso (tranne qualche fedelissimo come l'Italia). Vi erano altre tre ragioni di fondo, oltre a quelle addotte da Stik-ker, a motivare quelle riluttanze. Prima: un rapporto americano metteva in luce, in quegli anni, come nonostante la propaganda sull'aggressione sovietica non « esisteva in Europa il reale senso del pericolo » tale da giustificare quello sforzo. Seconda: gli alleati europei intendevano il rapporto militare con gli USA prevalentemente come uno spostamento di forze americane sul continente, e soprattutto come utilizzazione del SAC (Strategic Air Command), ossia dell'enorme potenziale aereo statunitense, cui avevano già concesso basi e infrastrutture. Terza: chi ricorda le lotte sociali e politiche di quegli anni, comprende il ruolo decisivo che esse ebbero nell'impedire la piena attuazione del progetto. Ciò non significa, naturalmente, che l'Europa non fosse travolta dalla spirale del riarmo. Le spese militari della NATO nel 1949 erano di 18,7 miliardi di dollari, nel 1950 salirono a 20,4 miliardi, nei 1951 a 42,2 miliardi, nel 1952 a 59,9, nel 1953 a 64 miliardi. E un terzo di queste spese veniva sostenuto dagli alleati europei.
Tuttavia vi era un altro aspetto del problema che ten-
(disegno di Gal) deva a emergere fino a divenire, negli anni immediata-
mente successivi, dominante. Gli USA chiedevano un potenziamento delle forze tradizionali europee in virtù di una loro strategia (fondata sulla invulnerabilità, allora, del territorio americano) che faceva dell'Europa lo scudo di un attacco nemico sino al «momento in cui la spada del SAC sarebbe sopravvenuta a stroncarlo ».
L'Europa in altri termini avrebbe dovuto servire come prima linea-cuscinetto. Nella sua Histoire diplomatique de l'Europe René Albrecht-Car-rié, osserva che in fondo «il desiderio di non divenire un campo di battaglia era comprensibilmente forte tra gli europei, che non trovavano ragione di rallegrarsi della prospettiva di un'eventuale liberazione che avrebbe liberato poco più di un cimitero », mentre gli americani « consideravano con timore corn-prensibilmente minore l'eventualità di un conflitto e non nascondevano la tendenza a considerare gli alleati europei come una semplice aggiunta delle forze americane e i territori europei come utili basi avanzate ».
Il punto b) venne realizzato immediatamente, e il generale Eisenhower divenne il primo comandante delle forze alleate. Il 2 aprile 1951 il dispositivo veniva messo a punto con la istituzione del Quartier generale supremo delle forze alleate in Europa (SHAPE). L'integrazione militare e il comando unico sono i catalizzatori di tutto ìl senso che veniva ad assumere la NATO. Con l'integrazione veniva automaticamente a ridursi ogni margine di sovranità nazionale dei paesi alleati.
La dottrina che la presiedeva era infatti la seguente: « Le forze nazionali sotto comando nazionale dovevano rispondere a comandanti alleati riuniti nello Stato Maggiore alleato ». Le forze « rimangono sotto comando nazionale fino allo scattare di determinati livelli di allarme, per poi passare sotto il comando alleato. La sola eccezione è costituita dalla rete integrata di difesa aerea che copre il comando alleato in Europa, dalla Norvegia alla Turchia orientale. Tale rete è posta in ogni momento sotto mio comando e deve assicurare in permanenza la polizia dello spazio aereo alleato» (generale Lemnitzer).
Si veniva così affermando un criterio di sovranaziona-lità — nel solo ambito militare — di tale portata che più di uno studioso del diritto si è chiesto fino a che punto fosse legittimo, oltre che politicamente accettabile. Il giurista Alberto Predieri nel suo studio su « Il Consiglio supremo di difesa » (organismo nazionale italiano) si chiede, ad esempio, fino a che punto « integrando la difesa italiana nella NATO », con i suoi organi che « impartiscono direttive ai singoli governi degli Stati », si siano « limitati i poteri » di quel Consiglio, in netto contrasto con l'articolo 87 della Costituzione italiana.
Il meccanismo è stato reso ancora più evidente dal fatto — non tecnico, ma poli-
tico che il comandante
americano della NATO (Sa-ceur) è contemporaneamente comandante di tutte le forze americane in Europa non integrate nella NATO (EUCOM). Se si considera che nell'arsenale della NATO le forze più importanti sono i bombardieri del SAC e la VI flotta americana nel Mediterra neo, e che essi non sono integrati nella NATO, si capisce subito quale sia il reale rapporto di dipendenza dagli USA.
Dobbiamo insistere brevemente su questo punto. Si tratta infatti di un potenziale militare atomico e missilistico dipendente unicamente dal presidente degli Stati Uniti. Esso viene utilizzato come mezzo di pressione sugli stessi alleati, ma soprattutto è la base di pronto intervento americano in ogni parte del. l'occidente e del Medio Oriente (nel 1958, ad esempio, in Libano). Ebbene, la questione è: fino a che punto questo intreccio di poteri coinvolge la NATO, e quindi la trascina automaticamente in conflitti esterni alla sua regione? Ancora. Giustamente Filippo Frassati osserva su Critica Marxista (n. 2, 1968): « Il co-
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mandante in capo per l'Europa avendo ai propri ordini anche le forze americane non assegnate alla NATO, e quindi anche quelle dislocate in paesi non aderenti all'alleanza detiene poteri di gran lunga superiori a quelli inerenti alla carica di Saceur », e collega automaticamente le forze della NATO a quelle altre, estendendo già così la territorialità della NATO stessa.
Abbiamo detto che il problema non è tecnico, bensì politico. Esso è intrinseco alla natura militare del Patto atlantico, e alla logica che vuole la supremazia del più forte. Anche un mutamento sul piano tecnico delle strutture dei comandi non muterebbe il dato essenziale del potere reale — grazie alla loro forza nucleare — degli USA, e della loro arbitraria utilizzazione del potenziale atomico ospitato in Europa, e caposaldo della struttura militare della NATO.
Non può perciò stupire che i diversi organismi « collettivi » inventati per íl « coordinamento tra alleati » dell'iniziativa militare (Standing Group, Comitato militare ecc.), siano a poco a poco scomparsi, o giacciono come strumento inutile. L'integrazione militare li ha messi fatalmente a tacere, essendo per sua natura « da una parte uno strumento di indirizzi strategici del tutto autonomi, quelli del Pentagono» scrive il generale Beaufre su Politique étrangère (n. 3, 1965) — « dall'altra lo strumento attraverso il quale si subordinano a quegli indirizzi gli obiettivi e le scelte militari dei governi europei». Appare quindi assai chiaro che l'integrazione militare è il perno su cui gli Stati Uniti hanno stabilito il loro dominio e il loro controllo sulla politica europea.
p. 14 Rinascita n. 19 9 maggio 1969 Dossier NATO


Due strategie
di sterminio
nucleare
Le gravissime implicazioni della teoria di Foster Dulles basata sul sostegno atomico della politica del « rischio calcolato ». Le forze di pace danno scacco alla NATO e la capacità militare del Patto di Varsavia impone la revisione strategica culminata con la « teoria » di Mac Namara: nascono i piani dell'escalation
ti », essi « sarebbero stati, comunque schiacciati ».
L'equilibrio militare, in cui si era cercata la prima :giustificazione della NATO, ¡era quindi raggiunto. Nessuno credeva più in Europa alla favola dell'aggressione sovietica. I regimi capitalistici erano! restaurati.
Fu in questo clima che il 16 dicembre 1967 la Conferenza di Parigi dei capi di governo dei paesi appartenenti alla NATO venne investita dal problema della istallazione di missili a medio raggio in Europa. Si trattava degli IRBM (Intermedie Range Ballistic Missiles), che per le loro caratteristiche non erano da rappresaglia ma offensivi: « Il loro effetto è potente, — scrisse allora A. Wohlstetter sulla rivista Foreign Af fairs — solo in caso di attacco a sorpresa ». Il 10 dicembre, avendo già Dulles reso pubblica la proposta americana, il governo sovietico aveva proposto la denuclearizzazione della Polonia, della Cecoslovacchia e della Germania orientale, a condizione che i missili non venissero istallati nella Germania federale.
Il Dipartimento di Stato americano liquidò la nota sovietica « come un tentativo di seminare discordia tra gli alleati ». Non così fecero alcuni alleati europei. A Parigi, il primo ministro norvewe-se Gerhardsen affermò che « la Norvegia non intendeva ospitare depositi atomici nè missili » soprattutto perchè vi era in Europa un nuovo clima di negoziati che non bisognava lasciar cadere. Varie voci si levarono a sostegno della posizione norvegese. Le proposte di Dulles naturalmente passarono anche se, poi, solo l'Italia, la Turchia, l'Inghilterra e la Germania federale accettarono le basi missilistiche. E' abbastanza significativo che il Piano Radford — destinato a imbottire la NATO di rampe missilistiche e di depositi atomici — venisse accettato proprio nel momento in cui si aprivano alcuni spiragli nel buio della guerra fredda. Grazie a esso, ogni possibilità di negoziato si arenb.
Ma altrettanto significativo è che la NATO divenisse un avamposto della « rappresaglia massiccia », caricatasi nel frattempo della politica di roll back nei confronti dei paesi socialisti, proprio nel momento in cui negli Stati Uniti si iniziava quella profonda revisione strategica in campo militare che culminò nella «Dottrina McNamara ». Non ricorderemo qui il complesso dibattito di quegli anni. Basterà ricordare che il lancio del primo Sputnik privò gli USA della loro invul- nerabilità e li costrinse quindi a rivedere le dimensioni stesse del conflitto nucleare, che stava alla base della « rappresaglia massiccia ». E' qui interessante rilevare che, nel corso della revisione, nessun « alleato » venne consultato o semplicemente informato di mutamenti che riguardavano i destini del mondo, e in modo ancor più diretto gli alleati militari degli USA. « Il senso di insicurezza — ha scritto una volta Henry Kissinger, attuale consigliere di Nixon — della maggior parte dei nostri alleati è stato aumentato dai rapporti unilaterali che si sono stabiliti all'interno dell'Alleanza in campo militare. In nessun altro settore la dipendenza europea dagli Stati Uniti è stata maggiore e così prolungata. La politica americana ha avuto un solo pensiero, quello di rendere più sopportabile la nostra tutela ». Gli alleati vennero semplicemente informati, a cose fatte, della svolta strategica USA: risposta flessibile, guerra limitata, escalation.
Non ricorderemo tutto il complesso sviluppo politico che sottese alla nuova strategia militare. Basterà ricordare che il punto di partenza fu — una volta considerato che l'uso dell'atomica avrebbe toccato anche l'America — una più acuta coscienza della sterilità della « rappresaglia massiccia », del carattere catastrofico di una guerra nucleare su scala mondiale e del fallimento dei tentativi di disgregare il campo socialista.
Ne derivava una visione politica che tendeva a disinnescare il meccanismo della guerra fredda, per varare un processo distensivo le cui caratteristiche dovevano però essere: 1) status quo internazionale, con un equilibrio statico tra i due sistemi, di cui si riconosceva finalmente la esistenza; e quindi smobilitazione della crociata antisovietica dullesiana; 2) garanzia dell'equilibrio attraverso un accordo « bipolare » tra USA e URSS, da potenza a potenza, e quindi tenendo intatto il potenziale di blocco che stava loro dietro; 3) i mutamenti in qualsiasi area del mondo dovevano essere contrastati, se necessario con l'intervento armato.
Questo il quadro politico della risposta flessibile e delle guerre limitate, contenenti la spirale della scalata. Dietro la reale crisi che questa visione conteneva della guerra fredda, appariva però chiaro che vi era in essa il germe di quel « globalismo » dell'intervento imperialista nel mondo, che negli ultimi mesi della presidenza Kennedy, e successivamente con Johnson, arriverà al delirio planetario della superpotenza americana.
Il passaggio tra le due fasi veniva sinteticamente descritto da Federico Artesio nell'articolo ' citato: « La prospettiva del deterrente americano valida per l'Europa nelle occasioni disperate impallidisce nella misura in cui si è venuto svuotando il pericolo dell'aggressione sovietica e in quella in cui è venuto vece crescendo lo spettro dell'imperialismo americano ».
Le conseguenze . per la NATO furono di grande portata, militari e politiche. La risposta flessibile rende necessaria la possibilità di prendere decisioni immediate relative al « grado di replica » all'avversario, e quindi esclude nel modo più tassativo consultazioni tra gli alleati e ogni divisione di comando. Per cui, come ha scritto in un acuto, per quanto filoatlan-tico saggio Luisa Calogero La Malfa (in La NATO nell'era
L'accelerazione di questo processo di integrazione-dipendenza si è avuta anche sotto il profilo delle diverse strategie mondiali che gli USA venivano via via sperimentando e dalla collocazione che è stata data alla NATO.
Nell'ottobre del 1953 il National Security Council americano autorizzava i militari a « introdurre l'impiego di armi nucleari tattiche e strategiche nei piani di difesa contro attacchi convenzionali ». Veniva maturando la teoria della « rappresaglia massiccia » ossia la « massima dissuasione a un costo sopportabile fondandosi su una grande capacità» di risposta ato• mica istantanea « nei luoghi da noi scelti » (Dulles). Nel 1954 il Consiglio della NATO faceva propria quella strate gia dichiarando che « gli eserciti atlantici opporranno i loro mezzi atomici a ogni attac- co importante anche se non atomico ».
Questo passo della NATO fu denso di gravi implicazioni.
Bisogna dire che i governi europei, o almeno una parte di essi, cominciarono a comprendere i pericoli di quelle implicazioni, e a vivere in una reale contraddizione. Cominciarono a comprendere, ad esempio, che gli USA non si limitavano più a una politica di contenimento, ma puntavano oramai a una politica di controllo e intervento mondiale (il 1953 e il 1954 furono dominati dalla tentazione di Dulles di usare l'ato•mica in Indocina), sulla base di quella che Federico Artusio nel 1965 chiamava « una prefigurazione ideologica omogenea del mondo », a tutela dei loro interessi. Per cui sentivano, quei governi, l'esigenza di un distacco, di una separazione,
o per lo meno di una manifestazione di automia, per la sproporzione che veniva a crearsi tra gli interessi europei e quelli americani. La contraddizione non fu sciolta per molti anni (e non lo è ancora oggi) perché tutto ruotava intorno all'accettazione dell'egemonia americana.
In realtà i processi che venivano alla luce erano profondi e drammatici. Nell'ottobre del 1951 la NATO si era estesa alla Grecia e alla Turchia, l'una fascista l'altra dominata dalla feroce dittatura di Menderes. Da un lato crollava definitivamente il mito delle « democrazie » atlantiche, già seriamente incrinato dalla presenza portoghese. Dall'altro dal Nord-Atlantico si arrivava a una dimensione territoriale della NATO che si spingeva fin sotto il Caucaso, attraverso una parte dell'Asia Minore. Le considerazioni militari avevano così pieno sopravvento sugli scrupoli di « civiltà ».
Già nel 1950, del resto, il Senato americano aveva chiesto che con la Turchia, la Grecia, la Germiania federale, anche la Spagna entrasse nella NATO. Fu soprattutto per la opposizione della Norvegia che ciò non avvenne. Ma proprio in quegli anni (1953) la Spagna firmava un accordo militare bilaterale con gli USA che le conferiva un posto di rilievo in tutto il sistema militare occidentale. Sempre in quegli anni accordi militari bilaterali vennero stipulati dagli USA con la Libia, il Marocco, l'Etiopia mentre venivano varati i grandi trattati regionali del Sudest asiatico e del Pacifico.
La NATO venne a trovarsi così, tramite gli USA, e anche in parte l'Inghilterra, in un intrico politico militare-
diplomatico così denso di nessi intercontinentali, che fu fatalmente coinvolta in tutti i punti di tensione del mondo, automaticamente, senza che alcun governo europeo potesse minimamente decidere e incidere su quelle tensioni. Questo dato drammatico, che oggi pare attenuarsi nella memoria di chi sostiene che la NATO ha salvato la pace in Europa, era del resto la conseguenza logica dell'accettazione della « rappresaglia massiccia ». Nel suo famoso discorso, pronunciato il 12 gennaio 1954 davanti al Council on Foreign Relations, Foster Dulles aveva detto chiaramente che la rappresaglia massiccia era la risposta unica ed efficace rispetto al costo economico, finanziario, sociale di tante piccole guerre, al fatto che « nell'Artico, e nei Tropici, in Asia, nel Medio Oriente e in Europa » era in atto l'aggressione. La dimensione nucleare della « risposta » conferiva già una sua universalità oggettiva a ogni alleanza americana, compresa la NATO.
Ma vi era un secondo elemento che venne allora in piena luce: quello del carattere apertamente aggressivo della NATO, proprio in virtù della totale accettazione della « rappresaglia massiccia ». Il 13 giugno 1957 il generale Nor-stad, nel rapporto presentato alla commissione difesa del Senato americano, aveva affermato che l'URSS era completamente e saldamente accerchiata e l'Occidente era in grado di lanciare contro di essa un attacco atomico dai cieli, da un perimetro di 360 gradi costellato di oltre 250 basi della NATO. Anche se i sovietici, aggiungeva Norstad, « disponessero del 200% delle capacità di fuoco degli allea-
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APRE LE PORTE AL
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n. 19 Rinascita p. 15
Dossier NATO 9 maggio 1969


la sicurezza è nella neutralità
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L'Europa
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L'aggravamento della tensione favorisce il ricatto permanente che la Germania di Bonn, spalleggiata dagli USA, esercita sugli altri alleati: è la crisi di ogni reale prospettiva dello stesso « europeismo atlantico » e della capacità dell'Europa di stabilire nuovi rapporti con i paesi di nuova indipendenza
della distensione) « la natura eminentemente politica delle scelte possibili nella strategia della dissuasione porta a rafforzare anzichè ad attenuare la supremazia politico-militare esercitata dagli USA »,
Con l'accettazione della nuova strategia americana, la NATO diviene definitivamente
e semplicemente un « braccio militare » del presidente degli Stati Uniti. In secondo luogo, si è caratterizzato meglio lo impegno della NATO nell'ambito extra-europeo. Mentre con la « rappresaglia massiccia » la NATO era solo automaticamente travolta da un conflitto mondiale, qui il suo impegno diventa più diretto, non automatico ma volontario, in quella che Walt Rostow chiama la « continuità territoriale della difesa ». Con molta chiarezza del resto il 6 marzo 1965, in un importante discorso tenuto a Cleveland, il segretario di Stato americano Dean Rusk affermava: « La Europa e la comunità nordatlantica non possono preservare la loro sicurezza semplicemente vigilando lungo una linea che passa soltanto per l'Europa. La loro sicurezza comune è coinvolta anche in ciò che accade in Africa, nel Medio Oriente, nell'Amerti-ca latina, nell'Asia meridionale e nel Pacifico occidentale. L'Alleanza atlantica deve adeguarsi a nuove esigenze ». Gli impegni via via assunti dalla NATO nel Mediterraneo (v. Rinascita, nn. 41 e 50 del 1967, nn. 5,6,13,14 del 1968), la sua diretta partecipazione alla guerra coloniale portoghese, sono un segno della natura assunta dal suo meccanismo politico-militare.
In terzo luogo e infine, la accettazione della strategia flessibile ripropone necessariamente una nuova corsa al riarmo degli eserciti convenzionali per la guerra limitata (la copertura atomica e il grilletto della escalation rimangono agli americani); anche degli eserciti europei, per-chè si dovrebbe combattere in Europa, nel territorio degli « alleati », i quali però, come non hanno avuto nessuna parte nell'elaborazione della nuova strategia, non avrebbero nessun potere nel determinare il corso stesso, politico
e militare, dell'eventuale conflitto. Nonostante questo paradosso, gli USA hanno conseguito anche questo obiettivo, dopo anni di resistenza da parte degli europei, a ridosso degli avvenimenti cecoslovacchi. L'Italia, ad esempio, ha aumentato il proprio bilancio militare del 7% solo da alcuni mesi.
Questo può essere considerato il punto terminale di un processo la cui logica è nel Trattato del 1949. Non a caso essa coincide con una profonda crisi politica della NATO e delle relazioni tra gli alleati. Taluno ha voluto spiegare quella crisi come il risultato di una serie di errori deformanti interni a una struttura buona e positiva. E di qui vengono tutte le proposte « revisioniste » della Alleanza. Ma non si tratta, invece, della natura stessa degli attuali rapporti tra USA ed Europa? non si tratta della scelta storica compiuta dall'imperialismo americano di fronte ai processi del nostro tempo? Prima di analizzare, quindi, le caratteristiche di quelle crisi e la impossibilità o velleità del « revisionismo » atlantico, converrà vedere più da vicino il prezzo che l'Europa (e il mondo) hanno pagato alla politica atlantica degli Stati Uniti.
Nel 1949, al momento del voto sul Patto Atlantico l'onorevole Ugo La Malf a, con una divinazione di cui possiamo apprezzare tutto l'acume, ebbe a dire: « Oggi sta nascendo l'Europa e l'America non c'entra ». A distanza di vent'anni quale è il bilancio che l'Europa può trarre dalla nascita della NATO e dalla appartenenza a essa dei paesi occidentali? Il prezzo pagato, come si vedrà, è stato altissimo: attraverso la NATO l'Europa è stata l'epicentro della guerra fredda, ha subito una spaccatura profonda dettata dalla logica dei blocchi, ed è pervenuta a una condizione subalterna agli USA sul terreno politico ed economico. Vediamo come.
La questione tedesca è stata e continua a essere il perno di ogni problema concernente la vita dell'Europa. « Dal tipo di sistemazione che sarebbe stato dato al problema tedesco scriveva tempo fa il già citato settimanale delle ACLI — dipendeva in realtà o meno la sussistenza delle strutture » politiche e militari che « si erano andate consolidando in Europa nel dopoguerra ». E' persino superfluo richiamare l'importanza del problema. A essa infatti era, ed è ancora legato il riconoscimento della realtà emersa dalla seconda guerra mondiale (frontiere dell'Oder Neisse ecc.). In altri termini, era attraverso la questione tedesca che passavano tutti i problemi di un nuovo assetto dell'Europa e della speranza di nuovi rapporti internazionali tra le grandi potenze.
Già nella primavera del '47 una serie di accordi anglo-
franco americani avevano
gettato le basi di uno Stato tedesco occidentale: la Repubblica federale tedesca, nata nel 1949 come una delle più tipi- che creature della guerra fredda. Fu con la NATO, però, che la questione tedesca ven ne via via assumendo un peso determinante e decisivo per la storia di questi ultimi venti anni. Infatti con la NATO si ebbe quel riarmo tedesco che avrebbe sancito la politica dei blocchi: fu — è bene ricordarlo ancora una volta — dopo l'ingresso della Germania federale nella NATO che i paesi socialisti diedero vita al Patto di Varsavia (14 maggio 1955).
Nel 1950, adottando la « strategia in avanti » che portava la politica di contenimento sulle rive dell'Elba, gli Stati Uniti avevano già posto il problema dell'inserimento della Germania nella Alleanza. Acheson aveva detto: la difesa europea « implica la partecipazione di unità tedesche e l'utilizzazione delle risorse industriali tedesche per i suoi rifornimenti ». Il rinr-mo tedesco, è noto, era chiaramente escluso dagli accordi di Potsdam. Meno noto è invece il fatto ch'esso era escluso anche dagli alleati atlantici europei. Quando il 6 aprile 1949 un autorevolissimo editoriale di Le Monde disse che íl riarmo tedesco era contenuto nel Patto Atlantico come « un germe nell'uovo », lo occidente europeo reagì con una certa indignazione, e il governo francese precisò ufficialmente: « Il mondo deve sapere che la Francia non po- trebbe restare membro di! un sistema di sicurezza che autorizzi la Germania a riarmarsi ». Attraverso la NATO la partita fu, ovviamente, vinta dagli Stati Uniti, i quali minacciarono subito una « revisione lacerante » della loro politica, ottenendo una non del tutto rassegnata ubbidienza. E fu questa la sanzione della rinascita, non della Germania, ma di quelle forze economiche, politiche e militari, che nel segno dell'anticomunismo costituirono il nucleo principale del neo-revan-chismo tedesco, ostacolando con questa soluzione del problema tedesco stesso, non soltanto un diverso assetto europeo, ma anche una effettiva distensione nel cuore dell'Europa.
Non descriveremo qui le diverse tappe attraverso le quali l'obiettivo americano venne pienamente realizzato, e che segnarono uno dei momenti più travagliati della vita dell'occidente europeo (basti ricordare il fallimento della CED). Ciò che interessa vedere è invece il modo con cui la NATO impostò la questione tedesca e le conseguenze che ne derivarono allora, di cui l'Europa porta ancora oggi il segno.
La rivista Il Mulino (n. 1, 1949), non certo sospetta di antiatlantismo, riconosce che «le contraddizioni e gli equivoci che l'Alleanza accumulò sulla questione tedesca furono tali .e tanti che finirono per costituire un ostacolo al-
la definizione di una ef f etti-
va politica distensiva ». In realtà non vi furono equivoci. Il taglio dato fu uno e univoco: l'identificazione degli interessi della NATO, e quindi quelli dell'Europa occidentale, con gli interessi e le rivendicazioni della Repubblica federale tedesca. Ciò era voluto dagli Stati Uniti ed era nella logica naturale della politica di contenimento, costruita su quelle che George Kennan chiamava le « situazioni di forza » per imporre, « dispiegando tutta la potenza militare », all'URSS e ai paesi socialisti determinate soluzioni.
Non vi fu perciò rivendicazione revanchista della Germania federale che non fosse fatta propria dalla NATO, e posta alla base di tutta la sua strategia politica e militare verso i paesi socialisti. Questi avvertivano in profondità, e con fondati motivi, il nodo della questione tedesca, e su questa base avanzarono una serie di proposte assai significative.
Vale pena di ricordarne
due cha, se accolte, avrebbero improntato diversamente la vita europea. Nel 1952 l'URSS avanzò un progetto di riunificazione della Germania per mezzo « di elezioni sottoposte a controllo internazionale » e di ritiro di tutte le truppe (sovietiche, francesi, inglesi e americane) chiedendo in cambio la garanzia che la Germania riunificata non sarebbe stata inserita in nessuna alleanza militare. James Warburg in un suo importante libro sulla Germania, ha osservato come la proposta sovietica fosse decisiva per tutta l'Europa e offrisse persino la prospettiva di « una Germania democratica e unita nel senso occidentale del termine ». La linea adottata dalla RFT, diretta allora da Adenauer, e fatta subito propria dalla NATO perchè coincidente con quella statunitense, fu quella di « evitare ogni negoziato in attesa che l'occidente potesse opporre a Mosca, come fait accompli, una Germania riarmata nel quadro di una Europa organizzata ». Il secondo momento cruciale fu dato quando nel 1954 il Consiglio atlantico di Parigi, fallita la CED, decise l'ingresso della Germania federale nella NATO. L'URSS avanzò allora una nuova proposta per la neutralizzazione e riunificazione della Germania, e per una conferenza sulla sicurezza europea. André Fontaine — in un recente articolo sulla rivista Affari Esteri — riconosce «la volontà dei sovietici di fare agli occidentali concessioni suscettibili di rovesciare la situazione ».
Eisenhower rispose che « una Germania riunificata deve avere la possibilità di esercitare il suo inerente diritto all'autodifesa collettiva » il che significava una Germania unita nella NATO. Con tardiva resipiscenza George Kennan commentava che così si cacciava l'URSS in « una porta chiusa ». Pochi mesi dopo infatti nasceva il Patto di Varsavia. Il fatto era che la politica del contenimento, coincidente con quella di Adenauer, puntava sulla presunta possibilità di ottenere — attraverso un duro confronto di forza — lo sgretolamento e lo assorbimento della Repubblica democratica tedesca, come primo passo della disgregazione del campo socialista.
Nel quadro di questa politica era naturale che la Germania federale divenisse il mo.. tore _trainante della NATO, e si stabilisse tra NATO e Germania un gioco di influenze e di ricatti reciproci densi di tragiché conseguenze per la
p. 16 Rinascita n. 19 9 maggio 1969 Dossier NATO
Europa. Nota acutamente lo storico Enzo Collotti che la ambizione di Adenauer di fare della RFT « la potenza destinata ad assumere la leadership di una Europa irrevocabilmente legata alla politica statunitense » e nel contempo l'avamposto « dell'Europa cristiana contro il bolscevismo... non avrebbe potuto procedere se non si fosse incontrata con la volontà degli Stati Uniti di rivalutare il potenziale europeo e soprattutto tedesco in funzione antisovietica. Senza la politica di Truman e di Foster Dulles, senza la conquista economica (da parte degli USA) dell'Europa, senza il Piano Marshall
e il Patto Atlantico, senza la politica di forza, il roll back
e la teoria della liberazione dei paesi dell'Europa orientale, il fanatismo anticomunista
e antisovietico di Adenauer sarebbe rimasto isolato ». Ne venne invece l'esaltazione di un ruolo primario e preminente della Germania federale. Al punto che quando si delinearono — alla luce della potenza atomica dell'URSS — nuove ipotesi che liquidassero le tesi della rappresaglia massiccia; la Germania potè assumere all'interno della NATO un ruolo di punta oltranzista, preoccupata soltanto di un abbandono da parte degli alleati della « vecchia frontiera » e quindi della svalutazione della « posizione di avamposto della Repubblica federale» (Collotti). L'eredità di questa politica pesa ancora oggi, nonostante il suo artefice sia scomparso da lun go tempo. E non è un caso che gli accenni a una politica nuova della RFT passino oggi per una radicale liquidazione di quella eredità, investendo la stessa NATO e la logica dei blocchi.
Questo fu il primo prezzo: attraverso la questione tedesca, la divisione dell'Europa. Tutto ciò, ovviamente, sconvolse anche i più bei sogni europeistici che animavano alcune forze politiche intorno agli anni '50. Nell'ambito dell'Alleanza atlantica tutti i processi d'integrazione occidentale — dalla comunità carbosiderurgica al MEC — non potevano non portare il segno della politica Dulles-Adenauer, ossia il segno di una Europa angusta e soffocata: l'Europa carolingio - cattolico - autoritaria, cara ad Adenauer, De Gasperi, Schuman, recinto e baluardo di una « civiltà » conforme e subalterna all'ideologia della guerra fredda. Per cui non molto tempo fa un articolo del periodico democristiano Politica si chiedeva se non esiste « una inconciliabilità reale tra europeismo
e atlantismo ». E la rivista delle ACLI, Relazioni sociali (n. 10, 1968) si domandava a sua volta se la prospettiva europeistica « non sia stata bloccata in gran parte dalla prospettiva atlantica » (oltre che dalla scelta capitalistica,
e su questo ritorneremo subito: ma le due scelte atlantica
e capitalistica erano nel 1949 intimamente fuse).
Gli Stati Uniti, del resto erano interessati a una solu zione effettivamente unitaria dell'Europa, sia pure della sola Europa occidentale? A seguire tutta la vicenda « europeistica » si possono cogliere con grande chiarezza due elementi - chiave della posizione statunitense su questo problema: 1) in tutta una prima fase l'unità europea li interessa unicamente in funzione della integrazione tedesca; 2) sempre, fino a oggi, l'unità politica dell'Europa li interessa in funzione del loro riconoscimento come forza egemone che tratta bipolarmente a nome di tutto il blocco. In altri termini, i problemi della unità europea affiorano nella politica statunitense unicame-te in rapporto all'esercizio della loro egemonia. Per il resto è tutta propaganda. Come per la regina di Alice nel paese delle meraviglie, « poco importa ciò che le parole vogliono dire, si tratta di sapere chi è il padrone ».
Ma vi è anche l'altro aspetto: è proprio sull'altare della NATO che l'Europa perde la sua possibilità d'iniziativa autonoma « soffocando tutti gli spunti che potevano manifestarsi in una simile direzione » (Collotti). Basta pensare al modo con cui l'aggressione americana al Vietnam e la solidarietà che ha richiesto
e ottenuto, in nome dell'Alleanza, abbiano congelato il dialogo con l'Est ed elevato continue muraglie sulla via di una reale distensione europea.
Basterà ancora pensare al peso determinante avuto dal la NATO nel provocare non solo rapporti mondiali, ma rapporti specifici tra Europa
e Africa all'ombra del colonialismo e del neocolonialismo. In realtà tutto il disegno europeistico perseguito dalle vecchie classi dominanti europee, e vantato come possibile anzi inevitabile all'interno delle strutture dell'Alleanza atlantica, si è rivelato marcio e suicida per l'Europa. « Sulla via dell'atlantismo e della integrazione monopolistica — si scriveva su Rinascita solo qualche anno fa — l'occidente europeo si trova oggi stretto dall'invadenza economica americana, paralizzata nel suo dialogo con i paesi socialisti e nei rapporti col terzo mondo, posto di fronte al riesplodere di focolai revancïtisti ».
Nè si pub dimenticare quello che provocarono il prezzo che esigettero la nascita della NATO e la logica dei blocchi nella stessa Europa orientale. Gli studi storici più seri hanno oramai liquidato la leggenda churchilliana della « cortina di ferro ». In realtà l'Unione Sovietica puntava, nell'immediato dopoguerra, su un lungo periodo di distensione e di accordo tra le grandi potenze. L'assetto dell'Europa orientale la interessava soltanto come eliminazione della tradizionale politica verso l'Est degli Stati sorti dal Trattato di Versailles,
e quindi come eliminazione delle vecchie aristocrazie feudali, matrici del fascismo balcanico. La formula della « de mocrazia popolare » non era in questo senso una invenzione propagandistica. Fu con la guerra fredda e col rapido mutamento della situazione internazionale che cominciò a mancare lo spazio per questa politica e lo spazio anche all'interno dei singoli paesi per quelle forze che avevano puntato su una politica di amicizia con l'URSS su una base di neutralità. Tuttavia è solo col 1948 — un anno dopo la dottrina Truman — che la via obbligata divenne da un lato quella di una serie di accordi bilaterali con l'URSS
e dall'altro quella dell'accesso al potere in modo pieno delle forze rivoluzionarie, bruciando ogni transizione.
Ma neanche questi due passi prefiguravano ancora una politica di blocco. Fu solo con la spirale della guerra fredda
e al momento culminante dei riarmo tedesco (1955) che venne enucleandosi il blocco militare dei paesi socialisti. Ed è anche da questo insieme di processi, profondamente condizionati dalla reale situazione internazionale, che vennero una serie di difficoltà e di impacci, anche aspri, al rinnovamento e al pieno dispiegamento delle società socialiste. La vera cortina di ferro che fu calata sull'Europa si chiama guerra fredda, politica di blocco, NATO. A essa vanno collegati da un lato la spaccatura e la contrapposizione su tutti i terreni delle « due » Europe e dall'altro lo stesso fallimento dell'unità europea concepita sotto la specie della « piccola Europa ».
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Dossier NATO 9 maggio 1969 n. 19 Rinascita p, 17
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Le posizioni degli Stati Uniti nell'economia europea sono tali da condizionare la stessa competitività mondiale dell' industria del vecchio continente. Quale costo ha dovuto pagare l' Europa in conseguenza dell'asservimento alla politica USA
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/ ALTRI
ORGANI CIVILI DELLA NATO ISTITUITI DAL CONSIGLIO ATLANTICO
Conviene a questo punto chiedersi quale sia il reale rapporto, attraverso i mecca- nismi politici e militari della NATO, che si è venuto stabilendo tra Europa e USA in questo ventennio, sia sul terreno economico sia su quello degli sviluppi interni a ogni singolo paese europeo.
All'inizio di queste note si osservava lo stretto intreccio che si stabiliva fin dal dopoguerra tra obiettivi militari, politici ed economici. E cib per diverse ragioni. Prima fra tutte, e la più contingente, quella del « mercato militare » europeo, che per il peso assunto dall'industria bellica nel meccanismo produttivo statunitense, diveniva uno dei pilastri degli orientamenti dell'economia americana dei dopoguerra. Nel n. 2/1968 di Critica marxista si possono leggere utilmente alcuni saggi su questo problema. La funzione della NATO fu inizialmente, ma questo aspetto perdura ancor oggi, quella « di perpetuare un alto livello di spese militari negli Stati Uniti, attraverso commesse per il riarmo degli eserciti europei e la istituzione di un sistema di basi militari, il cui costo divenne uno stimolo costante alla domanda interna USA, un incentivo alla ricerca scientifica e tecnologica e alla competitività internazionale ».
Ma l'obiettivo era di più lungo respiro. Restaurare il capitalismo europeo non voleva infatti essere soltanto la ricostruzione di un mercato bellico e la garanzia politica di un sistema sociale omogeneo agli Stati Uniti, voleva dire — e questo è il fenomeno che è venuto delineandosi con grande chiarezza nel corso del ventennio — rimettere in piedi un capitalismo nettamente subordinato alla divisione internazionale del lavoro predisposta dall'imperialismo statunitense. Intorno al 1950 venne imposta, attraverso la NATO, una vera e propria rete di vincoli e di veti economici e commerciali all'intiera Europa occidentale (basti ricordare il commercio con l'Est) che assicurarono da un lato il pieno controllo americano sulla destinazione degli « aiuti » e quindi su tutte le tendenze e le scelte della restaurazione capitalistica, e dall'altro lato aprirono le porte della Europa all'invasione commerciale, di prodotti bellici e no, degli Stati Uniti E' su questa base che è venuta costruendosi l'espansione in Europa — una volta rimesso in piedi il sistema capitalistico — del capitale americano. Nel numero citato di Critica marxista si scrive che « le conquiste di posizioni di predominio da parte dei grandi gruppi monopolistici americani in setto ri economici fondamentali, la subordinazione tecnologica, la penetrazione americana nei mercati dei capitali europei sono tutti fatti che poterono realizzarsi e cominciare a imporsi già negli anni '50, proprio per le condizioni create dall'esistenza della NATO e dalla posizione che in essa occupano gli USA ».
Per attenerci a fonti sempre non sospette ricorderemo le due relazioni dell'allora ministro Fanfani in cui emergeva la consapevolezza di come gli USA fossero arrivati a una posizione egemonica così forte da compromettere l'autonomia dell'Europa e da condizionare alle loro esigenze e ai loro interessi la stessa competitività mondiale dell'economia europea. Fanfani coglieva — le due relazioni erano sul gap tecnologico e sull'Euratom — un aspetto decisivo del problema: quello del possesso americano di tutte le industrie tecnologicamente più avanzate (elettronica, leghe metalliche, aeronautica, trasporti, petrolchimica, prodotti alimentari conservati, ecc.), e quindi della chiave di ogni ulteriore sviluppo economico.
Non è cosí affat' o casuale, ma logico e conseguente, che l'Europa sia stata chiamata di recente a pagare le conseguenze dei processi inflattivi in atto negli Stati Uniti, che hanno tra le loro cause l'avventura vietnamita. Anzi vi è qualcosa di più e di più grave. Di fatto, e la cosa è assolutamente paradossale nell'illustrare la politica delle classi dominanti europee, la Europa ha pagato direttamente una serie di costi, che hanno pesato sul suo sviluppo, alla politica americana, anche quando essa contrastava con gli interessi dello stesso capitalismo europeo. In un
Gli investimenti USA in Europa a seguito della costituzione dell'alleanza atlantica dossier sull'imperialismo americano in Europa, pubblicato da Problemi del socialismo (n. 38, 1969) si costata giustamente: « Il fatto singolare è che nel corso di questi anni, mentre l'economia americana compiva il più grosso balzo di questo dopoguerra, aumentando il suo distacco rispetto all'economia europea considerata complessivamente, l'attenzione veniva centrata piuttosto sulle difficoltà della bilancia dei pagamenti USA e sui crescenti attivi realizzati dai paesi della CEE, trascurando che i fenomeni monetari dissimulavano una situazione reale capovolta. Ciò che si può dire in sintesi su questo punto è che i paesi del MEC accettando tra le proprie riserve dollari inflazionati, senza esigerne la conversione in oro (Francia a parte), trasferendo capitali europei negli USA e finanziando con capitali propri gli investimenti USA in Europa, hanno consentito all'economia americana di mettere insieme tre politiche, che senza l'aiuto europeo sarebbero state tra loro incompatibili: le guerre del Vietnam, un forte tasso di espansione interna, una crescita senza precedenti degli investimenti in Europa ».
Il problema che quindi si pone, in questo quadro, non è soltanto quello di una resistenza agli Stati Uniti d'America, ma ha dei contorni più profondi e precisi. E' possibile, in altri termini, proseguendo dalla via dell'attuale integrazione monopolistica che caratterizza lo sviluppo economico dell'Europa, ottenere una reale indipendenza dagli Stati Uniti? E' possibile costruire su questa Europa occidentale una scelta compiutamente autonoma? Oppure essa non deve passare attraverso profonde riforme del- le strutture attuali a livello comunitario e a livello nazionale? Come atlantismo e restaurazione capitalistica hanno proceduto di pari passo, così oggi l'autonomia nazionale ed europea sono legate intimamente, intrecciate dialetticamente, a un processo di avanzata democratica e an-timonopolistica in tutta l'Europa occidentale. Il nesso tra la lotta politica e sociale, interno a ogni paese e a livello europeo, appare evidente anche in virtù di alcune particolarità della struttura politica e militare della NATO.
Veicolo generale di questi processi, la NATO infatti ha avuto anche una sua più specifica funzione sia pure nel semplice ambito della produzione bellica. La NATO è infatti, per conto suo come istituzione, un committente economico di un certo rilievo. Tutta l'attività della NATO in questa direzione è circonda ta dal segreto. Ma sfogliando il suo bollettino mensile — Notizie NATO — non è raro imbattersi in notizie co-
me questa: « il consiglio
atlantico ha approvato la decisione — presa dalla conferenza NATO dei direttori nazionali degli armamenti — di istituire un gruppo consultivo industriale NATO. Oltre a svolgere funzioni consultive nei riguardi della conferenza degli armamenti, il nuovo organismo costituirà la sede idonea per la presentazione di problemi importanti a elementi rappresentativi delle industrie della NATO, nonchè per l'esame delle politiche e dei metodi NATO in fatto di studio, di ricerca e di produzione, entro i limiti in cui tali aspetti interessano l'industria ». Ricucendo molte di queste notizie si può ricavare un quadro molto preciso in cui si vede emergere un fenomeno assai significativo: le commesse NATO all'industria europea non riguardano mai i prodotti completi dalla progettazione alla produzione finita. Tutto avviene sulla base della ricerca statunitense, lasciando agli europei il ruolo di « terminali » di un centro creativo e di direzione collocato oltre Atlantico.
Il condizionamento industriale e sulle prospettive di sviluppo economico di questa linea, è evidente. Da un lato si riducono i margini di scelta degli orientamenti produttivi e di ricerca dell'Europa, dall'altro lato se ne condiziona la vita, e quindi si determina un forte lobby industriale europeo legato visceralmente alla NATO.
Ma vi è un altro aspetto da vedere. Sempre dal bollettino della NATO risulta che vi è uno staff internazionale di pianificazione militare. Non è del tutto bizzarro che, con i grandi discorsi sulla sovra-nazionalità, l'unico terreno in cui essa operi effettivamente è quello militare. Il primo piano pluriennale di produzione bellica della NATO arriva al 1972, prescindendo già quindi da ogni possibile recessione di questo o quello alleato a partire dal 1969.
In altri termini la NATO è diventata un enorme apparato economico, militare, politico che invade la vita di ogni paese alleato fin nei suoi aspetti più interni.
Cade qui il discorso sugli « accordi segreti » e bilaterali che ogni paese alleato ha firmato con gli USA. La Francia, uscendo dal comando militare integrato, ha sollevato un velo — ancora modesto e incompleto — sulla natura di questi accordi e sullo stretto rapporto esistente tra lo atlantismo e la democrazia interna di ogni paese alleato. Il colpo di Stato in Grecia ha sollevato un velo più consistente e ci ha fatto comprendere da un lato, e ancora una volta, la netta subordinazione della NATO agli interessi statunitensi, e dall'altro la-
to la sua presenza effettiva
e per molti versi ricattatoria
e condizionante su tutta la vita interna dei paesi della Europa occidentale. Su questo stesso settimanale si scriveva alcune settimane orsono: « Si tratta die vedere (per ogni paese alleato) quale potente gruppo di potere — forse dell'apparato militare, civile e poliziesco dello Stato — sia venuto consolidandosi intorno alla NATO con una sua autonomia di manovra e di iniziativa, e con una tensione di punta nel fare emergere, oramai periodicamente, pericoli autoritari »
Ma a questa domanda bisogna aggiungerne altre riguardanti gli strumenti specifici di cui la NATO dispone per quegli interventi_ Da un lato il tipo di struttura dato agli eserciti degli alleati, dall'altro lato i servizi segreti, e dall'altro ancora i servizi di « difesa civile ». In un recente numero di Notizie NATO (febbraio 1969) vi è un articolo non firmato, dal titolo « L'importanza della difesa civile », in cui si accenna a una vera e propria struttura (« Comitato superiore dei piani di emergenza nel settore civile») messa in pied: fin dal 1955,
e dipendente direttamente dal Comando militare integrato. Il Comitato si articola in una serie di sezioni: controllo, servizio di capi-isolati, salvataggio e pronto soccorso, telecomunicazioni, polizia (« Le forze di polizit del tempo di pace dovrebbero essere aumentate a mezzo di reclutamento di volontari »). Si viene a sapere che « nella maggior parte dei paesi europei della NATO » vi « sono scuole di difesa civile allo scopo di formare dei volontari » mediante « corsi teorici e lavori pratici ». Lo scopo della difesa civile è ambiguo, perchè abbiamo già visto, all'inizio, come nel concetto di aggressione esterna rientri anche la « sovversione interna », ossia la lotta politica e sociale. Ed è in questa luce che colpisce un'affermazione neanche apparentemente innocua: « Un gabinetto di guerra dovrà probabilmente venir costituito, perchè potrebbe verificarsi la impossibilità che i Parlamenti si riuniscano per occuparsi degli affari della nazione come usano fare in tempo di pace. E' particolarmente importante provvedere affin-chè tutti i posti importanti siano provvisti del personale necessario: un gruppo di lavoro della NATO sta studiando con attenzione questo vitale aspetto dei piani di emergenza ».
INVESTIMENTI AMERICANI IN EUROPA (tnmato,i a dollari)
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1946 1950


1957 1960
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1966
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1967
p. 18 Rinascita n. 19 maggio 1969 Dossier NATO
Crisi politica
delPAlleaiiza
La crisi di Cuba e l'aggressione al Vietnam fanno precipitare le tensioni all'interno dell'Alleanza. Quali basi reali può avere una politica che tenda soltanto a « modificare » il trattato atlantico? Il superamento dei blocchi è l'unica prospettiva di sviluppo autonomo dell'Italia e dell'Europa
Non può stupire, alla luce di quanto siamo sinora venuti esponendo, che la NATO sia stata colpita da una profonda crisi politica. Le sue cause sono varie. La sua vecchiaia in una situazione mondiale assai diversa, che ha visto scomparire la credibilità di un immaginario pericolo di un'aggressione sovietica all'occidente, che fu uno dei punti di saldatura degli interessi americani e di quelli delle classi dominanti europee. La pesantezza dei suo meccanismo, l'aumento e non la diminuzione dei rischi per i paesi alleati degli Stati Uniti nella tnrhinosa vipenria internazionale di questi ultimi anni. Ma la sua radice principale è nella subalternità
e diseguaglianza in cui si
è trovata l'Europa rispetto agli Stati Uniti. L'urto e il uu.seaiso sono divenuti nnevi-tabili nel momento in cui la politica di Washington, lungi dall'esercitare una mediazione in nome degli interessi di tutto l'occidente capitalistico, si è rivelata pienamente come corrispondente a specifiche scelte dell'imperialismo USA, cercando di coinvolgervi l'Europa. La crisi di Cuba nel 1962, e soprattutto l'aggressione al Vietnam, furono i campanelli d'allarme di una situazione che era venuta già incancrenendosi fin dai primi anni di vita dell'Alleanza.
Gli interessi degli Stati Uniti coincidono sempre con quelli dei loro alleati europei? questo l'interrogativo che ha cominciato a dilagare in Europa, anche in settori non trascurabili della borghesia europea... Di qui una serie di spinte di varia natura e anche di segno opposto. Il ripiegamento nazionale gollista, espressione di un insorgente conflitto interirnperialista, oltre che di una diver nte veduta sui problemi mondiali, ha costituito la spinta principale. Ma a essa se ne sono aggiunte altre, per esempio nella destra della Germania occidentale, determinate dal risentimento e dalla paura che gli impegni globali degli USA comportino un « disimpegno » americano in Europa, che metterebbe in crisi il revanchi-smo.
Riflussi nazionalisti, esigenze di autonomia nazionale, spinte economiche oggettive, spunti revanchisti, preoccupazioni reazionarie si sono confusi insieme scuotendo le strutture politiche (me-
no quelle militari) della NATO. Neanche gli avvenimen-
ti cecoslovacchi — che pure
hanno avuto un peso nel « rilanciare » gli impegni milita-
ri e far passare antiche ri-
chieste degli Stati Uniti agli alleati europei — hanno potuto attenuare la portata di questa crisi nè sminuire le esigenze di una « modifica »
o « riforma » della NATO. Non vi è dubbio, in questo senso, che anche gli Stati Uniti av vertono la necessità di una revisione profonda dei rapporti euro-americani, la cui crisi può portare alla lunga anche a una separazione. La pubblicistica americana è assai ricca di spunti in questa direzione, con una sovrabbondanza di materiali, di studi, di progetti, di proposte che farebbero pensare a una svolta politca. In realtà ci sono elementi nuovi e diversi. Dopo il duro colpo ricevuto in Asia col Vietnam, gli Stati Uniti stanno riconsiderando l'importanza delle « retrovie europee », perche avvertono gli elementi di turbamento insorti e quindi una conseguente debolezza. Ma qual è la direzione in cui si muovono? e con quali obiettivi?
In tutta una prima fase del dibattito atlantico tra gli alleati, gli Stati Uniti considerarono ogni attacco al Patto Atlantico come un vero e proprio attacco ai loro interessi in cui identificavano tutto il mondo occidentale. La risposta alla crisi politica fu una risposta essenzialmente militare, fatta dell'aumento degli stanziamenti bellici, della crescita delle divisioni, della pro-
Nella cartina sono indicati i probabili effetti di un bombardamento effettuato sull'Italia con un « lancio minimo » di bombe nucleari — da 25 a 30 ordigni — indirizzate sui principali obiettivi militari (cioè sulle basi aeree e navali della NATO e degli Stati Uniti nel nostro paese). Gli effetti illustrati sono quelli — ripetiamo — di un « lancio liferazione dei comandi. Questo aspetto non si è oggi attenuato, anzi in una certa misura appare rinvigorito. Quel che si delinea parallelamente
invece un nuovo discorso politico sulle funzioni della Alleanza.
I precedenti della storia non sono certo confortanti. Tutte le proposte e gli accorgimenti che gli europei hanno avanzato e adottato in questi venti anni, per avere un maggiore « peso » nell'Alleanza sono miseramente falliti. Dai « tre saggi » del 1956 al piano Duynster, dalla proposta del direttorio « a tre » avanzata da De Gaulle al piano Har-mel, una per una le proposte sono cadute di fronte all'intoccabilità dei dominio statunitense. Nel già citato saggio di Luisa Calogero La Malfa si conviene, con una punta di amarezza, sulla « scarsa disposizione degli USA a cedere parte della loro leadership non solo strategica . ma anche politica in seno alla NATO e quindi a capire quale sia il ruolo dell'Europa nell'Alleanza atlantica ». Le stesse controproposte americane, di cui rimane emblematico il grande disegno kennediano di una
minimo », il quale sarebbe tuttavia largamente sufficiente a distruggere almeno i tre quarti dell'Italia. I cerchi indicano le zone di effetto diretto delle bombe (termico, meccanico, radioattivo); il quadro nero la zona di espansione dell'effetto radioattivo intenso a seguito dell'esplosione
Atlantic partnership, hanno questo segno, chiamando semmai l'Europa occidentale a una integrazione più profonda nel terreno politico e economico.
Adesso, si dice, il quadro sarebbe cambiato molto e vi sarebbe un ripensamento profondo verso l'Europa da parte degli USA. E' vero? E se è vero, in che cosa consiste il mutamento? Nelle diverse varianti che appaiono in tutti coloro che hanno aperto questo discorso — da Alastair Buchan a Henry Kissinger — tre sono gli elementi che appaiono in maggiore evidenza: 1) gli Stati Uniti potrebbero essere anche disposti a rive- dere il meccanismo interno dell'Alleanza, pronti a fare « realistiche » concessioni agli alleati europei, a condizione che non venga meno il loro sostanziale predominio sugli affari europei; 2) il blocco della NATO dovrebbe essere rinsaldato in funzione di un dialogo bipolare — Stati Uniti e URSS — su tutti gli affari mondiali; 3) l'Europa occidentale dovrebbe partecipare più attivamente alla politica repressiva degli Stati Uniti in tutte le altre aree del mondo.
Ciò che in realtà si vuole non è un'autonomia dell'Europa occidentale, ma una sua diretta corresponsabilizzazio-ne alla politica mondiale de- gli USA. Nelle sue diverse sfumature, questa è la linea che emerge. Citiamo testualmente da uno dei testi più significativi di questi ultimi tempi espressi da un autorevole artefice della politica estera americana. Il punto da cui si parte è il seguente: « La collaborazione con l'Europa rimane un elemento centrale, una premessa della nostra po- litica estera, perché i rapporti euro-americani sono interdipendenti. La logica implacabile del potere di dissuasione nucleare costituisce una delle dimensioni di questa interdipendenza. La progressiva integrazione delle economie, la altra ». La crisi che sta colpendo le relazioni euro-americane, non si risolve con «un ritiro generale americano, ma con un più rapido serrare le file da parte dei nostri alleati, per associarsi a noi nei vitali compiti del mantenimento della pace e degli aiuti nelle zone più importanti ai fini del progresso mondiale ».
E' su questa base che l'Alleanza va modernizzata e adeguata, nella visione americana, ai problemi del nostro tempo. Si comprende chiaramente, così, come la stessa richiesta di una partnership assuma oggi un significato non di un condizionamento degli USA, ma di una partecipazione volontaria alla loro politica imperialista nel mondo. Per usare le parole di Riccardo Lombardi: « La soluzione vagheggiata della trasformazione dell'Alleanza in partnership (addirittura con poteri sovranazionali come ha detto piacevolmente Nenni in sede di direzione del partito) è una non pia illusione data la sproporzione addirittura mostruosa delle forze, e tra l'altro raggiungerebbe il risultato opposto a quello proclamato: ribadirebbe, rendendola ferrea, la solidarietà degli alleati europei con la politica mondiale della potenza egemone e trasformerebbe la solidarietà in connivenza D.
Appare del resto evidente che gli Stati Uniti non possono rinunciare volontariamente alla difesa dei loro oramai vasti interessi economici e finanziari nel continente europeo. Per cui sono pronti a discutere i modi con cui la loro tutela si esercita e que sto naturalmente nel caso migliore, ma non certo un'alternativa a essa. Gli USA hanno ancora bisogno della NATO qualunque forma possa assumere, poichè in essa è lo strumento « di controllo e di unità », di condizionamento di ogni istanza realmente autonoma e di ogni forza centrifuga, ed è anche la « garanzia » di conservazione del sistema capitalistico nell'Europa occidentale. Da qualunque parte si guardi al problema, questo è il risultato. Perchè tutta la strategia mondiale americana è ancora fondata sulla politica dei blocchi, sull'equilibrio delle forze militari o del terrore e sulla visione bipolare, diarchica della condotta degli affari mondiali. La stessa accettazione della « distensione » in Europa si fonda su questi rigidi presupposti. Da essi la NATO appare per molti versi esaltata, come un fattore pregiudiziale all'attuazione di quella politica. La « fedeltà attraverso le mutazioni », l'ordine statico fondato sulla egemonia americana, « distensiva » o no divenga l'azione della NATO, sono due connotati intrinseci alla sua natura, alle sue funzioni, alle sue origini. Perciò ogni riammodernamento o revisione che non metta in discussione la realtà dei rapporti USA-Europa, ogni atto politico che rimanga i
alla logica del blocchi imposta dall'imperialismo americano, è destinato a restare lettera morta, pura velleità, e a consacrare quello strapotere americano in Europa che nella NATO ha trovato la sua istituzionalizzazione e le vie del suo progressivo consolidamento.
Non esistono una Alleanza atlantica o una NATO pulite, fatte di eguali tra gli eguali. In quest'ambito e con quella politica non vi è spazio per la sovranità, l'autonomia nazionale; non vi è spazio per l'Europa; non vi è spazio per il pieno dispiegamento della libertà e della democrazia, fondate sulla libera dialettica delle classi e delle forze politiche, all'interno dei paesi alleati-subalterni degli USA.
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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32732+++
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Testata/Serie/Edizione Rinascita | settimanale ('62/'88) | ed. unica
Riferimento ISBD Rinascita : rassegna di politica e cultura italiana [rivista, 1944-1991]+++
Data pubblicazione Anno: 1969 Mese: 5 Giorno: 9
Numero 19
Titolo KBD-Periodici: Rinascita 1969 - 5 - 9 - numero 19


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