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UN DISEGNO PER LA GRANDE-JATTE E LA CULTURA FORMALE DI SEURAT
Si vedrà quest5 anno a Venezia una mostra dei disegni di Seurat. E c5è da sperare che riesca bene, dato che alla realizzazione della mia proposta, sùbito accettata, collabora il Rewald ch’è il miglior conoscitore delPargomento.
Un argomento scelto bene, io credo, perchè non si tratta, questa volta, di astrarre dal complesso delPopera di un pittore una ‘specialità5 grafica, ma proprio di presentare il mezzo, quasi predestinato, col quale Seurat seppe esprimere più pienamente il suo genio, senza cioè i residui sdentistici quasi sempre reperibili nei quadri compiuti (e che restano tuttavia, s5intende, grandi opere d5arte anche senza accomodarsi del titolo, ingannevole ed elusivo, di capolavori).
Questo disegno /tavola 77/, da me visto a Parigi poco tempo fa, verrà anch5esso a Venezia; particolarmente raro perchè inedito e studio per la famosa ‘Grande-Jatte5 del 1886. V5è bisogno di insistere sulla purezza mentale che lo informa e che quasi non dà luogo a stabilire quale sia stata la strada ‘de sensu ad intellectum5 ? La elementarità di soluzione formale non s5impaccia qui, come nei dipinti definitivi, di ‘mélange optique5 e di ricerche fotocromatiche : è solo la diversa densità del bianco e nero, la diversa precipitazione della luce che serve a ricreare la materia ; emergendone una forma severa come in un basalte egiziano o come da uno ‘spolvero5 di Piero della Francesca. Fine ultimo di Seurat, quello, dunque, di una gravità formale suprema e, per più vie, di ‘ antico5 aspetto.
Ma per che vie ? La critica, purtroppo, sulla traccia degli appunti di Seurat stesso e dei suoi vicini (Signac, Anquetin) si è quasi esclusivamente indugiata sulle escogitazioni cromatiche del maestro (studi sui metodi di Delacroix, sui testi scientifici di Chevreul, ecc.). Poco invece si è fatto per recuperare la cultura formale di Seurat, forse anche più essenziale delPaltra. E bisognerebbe riparare.
A questo proposito il passaggio più importante è quello che si trova nel Bianche, eh5era della stessa generazione. Occorre saperlo leggere, perchè in parte guasto dal solito dentino avvelenato, ma resta sempre intelligente soprattutto nella stesura più vasta (non in quella monca citata dal Rewald) che è nel volume del 1930, ‘Les Arts Plastiques9, a p.CULTURA FORMALE DI SEURAT
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267-268. ‘Ce qu’on a peu décrit, c’est le milieu Cacadémie de peinture’ et nommément Julian où il [Seuiat] s’est affirmé alors qu’il était encore étudiant. Il y aurait un essai a écrire sur Seurat, Angrand, Signac et Fècole des pointillistes d’aca-démie, primés vers 1883-1884-1885 dans les concours d’atelier. À la base de leur dessin, nous discernons des principes géo-metriques primaires que l’on enseignait alors, qui devenaient commodes pour la construction d’une figure nue, mais que Seurat sut styliser et qu’il appliqua mème à la distribution de la lumière en blanc et noir.
Quand nous travaillions chez Gervex et Humbert, à la rue Verniquet, académie assez pauvre en sujets brillants pour les Salons, où il emportait d’obtenir des récompenses,
il nous fut dépèché de chez Julian, à titre de moniteurs et de stimulants, tels forts en thème dont le nom n’a pas été retenu; nous attendions toujours le fameux Seurat annoncé, mais ce furent Angrand et un nommé Cassard que l’on nous manda. Avec le jeune Jean Ajalbert, déjà poète naturaliste de la banlieue de Paris, nous allàmes faire des croquis sur les fortifications, aux usines de Suresne, à Montmartre et à l’ile de la Grande-Jatte, rives inspiratrices de Seurat. Chacun construisait ses figures et les modelait comme Seurat. La mode était de faire des croquis d’après les baigneurs de la Seine et le peuple de Suresne et de Lavallois. Si bien que quand les fameuses toiles, d’abord la Baignade (1884, celle-ci, aujourd’hui honneur de la Tate Gallery à Londres, mais déjà désaccordée, dépouillée de sa lumière et de sa résonance),. puis Un dimanche à la Grande-Jatte (1886); quand ces oeuvres-drapeaux furent exposées aux Indépendants, ce n’est pas nous qu’elles étonnèrent par leur audace. Leur schématisation, nous la trouvions tout académique. Je crois me souvenir que nous étions plus sensibles au pointillisme de Henry-Edmond Cross ’.
Se anche lievemente alterato dalla parzialità e dal dispetto, questo brano d’ambiente artistico, poco dopo l’8o, è pienamente azzeccato. Ma ora si domanda: che cos’era quel curioso disegno geometrizzante? Anche se accademico, o forse proprio per questo, non poteva che rifarsi a precisi precedenti culturali. La cultura prevalente delle accademie era ancora sulla traccia di Ingres (Lehmann allievo di Ingres fu maestro di Seurat all’École des Beaux-Arts), ma anche Ingres non era tanto un classicista quanto un ‘primitivista’ a suo modo; guardava Raffaello, ma raccoglieva Masolino. Ci sarebbe anzi da fare un curioso studio nell’agganciare,42
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entro la pittura francese dell’Ottocento, le varie riprese del disegno ‘arcaistico5 all’italiana : prima nel gruppo di Ingres e dei contemporanei ‘Nazarener’; poi nella generazione degli allievi di Ingres, Mottez soprattutto che, verso il 546, negli affreschi di Saint Germain l’Auxerrois, s’ispira non già a Raffaello ma al Quattrocento italiano e forse a Fouquet; poi nella nuova generazione arcaizzante di Puvis de Chavan-nes che sbocca ormai ai tempi di Seurat e di Gauguin e dei Nabis, tutti anch5essi arcaizzanti e, quel che più preme, c italianisants \ 6 A cette époque-là (pourquoi?), un des sar-casmes que nous adressions à un peintre intellectuel, c5était: « il fait du Quattrocento rammenta altrove Bianche; e l’impiego della parola italiana, così raro in Francia, significa molto, già esso solo, per il richiamo di quella cultura.
Ma, per venire a Seurat e alla sua disperata serietà di ricerca, Taggancio col precedente di Puvis, già complicato con un impoverimento di classicismo Poussiniano, si sente poco portante. Ci si provò, di fronte alla Grande-Jatte, il Fénéon, dicendo: ‘dessin hiératique et sommaire... comme d’un Puvis modernisant ’. Modernizzante o più strenuamente arcaizzante? Stessa incertezza negli altri critici della prima ora: Paul Adam e Mirbeau si rifacevano ai ‘cortei faraonici5, Moréas alle ‘processioni panatenaiche5, Verhaeren al-Parte gotica. Ma, così, non si usciva dal generico. Andava poco più oltre Gustave Kahn, nel 1891, citando oltre che gli egiziani anche i ‘primitivi5 e, più ancora, gli affreschi greci (?) e le statue di Fidia...
Su quella parola ‘primitivi5, sostituita allora nella critica a quella generica di ‘gotici5, ci si può soffermare. Essa veniva, credo, non dalla lingua degli studi ma da quella della storia dell5arte. C’era stato in quegli anni qualche cosa di più preciso nei suoi confronti. Subito dopo 1’ ’8o e prima della Baignade e della Grande-Jatte, Seurat sfogliava assiduamente i libri della biblioteca dell5École des Beaux Arts e, come rammenta il Coquiot, glie li forniva con premura cordiale il grande ‘italianista5 Eugenio Muntz. Precisamente nell5’8o uscivano ne ‘UArV gli articoli di David Sutter, già professore d5estetica all5Ecole, dove le definizioni prospettiche sembrano cavate dalla trattatistica del Quattrocento italiano. Ed è provato che Sutter fu uno dei testi di Seurat. Ma v’era anche di meglio dei libri. Proprio in quegli anni il direttore dell’accademia, Charles Blanc, aveva fatto eseguire dal pittore Loyeux e porre nella Chapelle de l’École des Beaux-Arts alcune copie dagli affreschi di Piero ad Arezzò. SarebbeCULTURA FORMALE DI SEURAT
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fatile ostinarsi a credere che Seurat non le abbia vedute, studiate, e, soprattutto, intese.
Questa, per me, quasi certezza è già espressa nella seconda edizione del mio cPiero della Francesca5 (allestita nel 1942 e, per la guerra, apparsa nel 1946) dov’è detto precisamente (a p. 158): ‘a proposito delle copie degli affreschi di Arezzo eseguite intorno all’ottanta, per incarico di Charles Blanc, dal pittore Loyeux, e che dovrebbero trovarsi ancora nella Chapelle dell’École des Beaux-Arts, sarebbe molto importante ricercare se su di esse non abbia forse meditato il giovine Seurat che molto frequentò quelle aule d’accademia. Verrebbe così a indicarsi una fonte molto più solenne che non sia Puvis de Chavannes per il « neo-impressionismo » e per il « sintetismo ». Non ne scapiterebbe il genio di Seurat, ma la mediocre Oceania di Gauguin, ri-schierebbe, com’era da aspettarsi, di ridiventare un cavallaccio di ritorno dal contado aretino5.
La indicazione è stata subito rilevata ed accolta con favore in Inghilterra sia dal recensore del Burlington Magazine che ha persino voluto accertarsi che le copie di Piero sono sempre a rue Bonaparte, sia dal Kenneth Clark che ha pienamente ripreso l’ipotesi nel suo libro affascinante sul ‘Paesaggio nell’arte5 (Londra 1949). Non sembra invece ancora raccolta in Francia e perciò la ripeto qui in una rivista di più facile comunicazione.
Si trattava dunque d’intender meglio quali precisamente fossero i ‘primitifs5 cari a Seurat negli anni della Baignade e della Grande-Jatte. Primitivi che lo sovvenivano non soltanto per la metrica formale delle singole figure ma anche per il loro legamento prospettico in una partitura spaziale che, nei due famosi dipinti, è, anch’essa, completamente antitetica all’impressionismo.
E rimane che, fra le molte rievocazioni culturali del primitivismo, care alla pittura francese nell’ultimo ventennio del secolo scorso, quella di Seurat è certamente la più penetrante, sia per la sceltezza dell’antico richiamo, sia per la suprema intelligenza di chi ce l’ha riproposto in forma nuova e personalissima. | |
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