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tipologia: Analitici; Id: 1543272


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Titolo Roberto Longhi, Velazquez 1630: «la rissa all'ambasciata di Spagna»
Riferimento diretto ad opera
Diego Velázquez, La rissa all'ambasciata di Spagna (1630) {Diego Velázquez, La rissa all'ambasciata di Spagna (1630)}+++   saggio su+++   
Responsabilità
Longhi, Roberto+++
  • ente ; ente
  autore+++    
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Trascrizione Non markup - automatica:
ROBERTO LONGHI VELAZQUEZ xfco ‘ LA RISSA ALL’AMBASCIATA DI SPAGNA’ A nella collezione dell5‘Aurora5 in palazzo PallaviRoma cini-Rospigliosi, è, fin dall’antico, un piccolo quadretto su (di circa 35 cm. 20) riferito al van Dyck (e forse, a giu X car dal soggetto, s’intendeva piuttosto Polandese J. A. Duck che, quando mi accadde di vederlo la prima volta, nel mi sembrò del Velazquez 1-6/. Non ebbi agio di rin jtavole novare la visita per quasi un quarto di secolo; e, in lungo tratto, l’infievolirsi del ricordo lasciò sfiorire la f schezza della prima impressione e ridusse gradatamente Cop rà a semplice esemplificazione di un ‘problema5, ch’era qu lo di come il naturalismo caravaggesco e, in sostanza, mo no, si fosse atteggiato nei caravaggeschi ‘a passo ridot del 1630 e nei loro simili: fra cui è compreso il Velazqu Per l’importanza dell’argomento è forse utile riportar ‘ in extenso5 le parole con cui il vecchio ricordo si riaffac‘LA RISSA’ DEL VELAZQUEZ

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va nella conclusione degli ‘Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia5 (cProporzioni5, 1943, p. 34 e 62).

‘Sempre sul 1630 è anche la nuova meditazione che Fidea caravaggesca, ormai respinta dai compiti di storia e di decorazione chiesastica, trova nei pittori « a passo ridotto », intendo a formato minimo, come l’iniziatore van Laer e il nostro Cerquozzi. Nulla di più essenziale delle prime spregiatissime « bambocciate » a meglio intendere quest5altra assimilazione profonda che, per non trovare fra noi altro che il breve sbocco nel gruppo napoletano guidato dal lucidissimo Aniello Falcone, si fa nuovamente strada 'nel Nord...5. E qui si apriva una nota a soggiungere: ‘È anche necessario proporre che il Velazquez, dopo essere stato nei suoi primi anni in rapporto con le più antiche generazioni caravaggesche (Caracciolo, Borgianni, Tristan, Cavarozzi e simili) venendo a Roma nel 530 si appassionasse vivamente a queste nuove tendenze che venivano a chiarirgli le possibilità di una «lontananza» caravaggesca in confronto alla più tradi-dizionale caravaggesca « imminenza ». La « Veduta di Zara-goza », la « Caccia al Pardo », e insomma i vari quadri « terzini » di Velazquez e della sua bottega, non stanno, a mio parere, senza Fassimilazione delle creazioni più alte del van Laer e del Cerquozzi, soprattutto quelle sorprendenti, ma così poco note, della raccolta Incisa della Rocchetta. A rifletter bene, la stessa « Tunica di Giuseppe », la stessa « Fucina di Vulcano », entrambe del 530, più che quadri « al naturale », sono ingrandimenti mentali di quadri « a passo ridotto ». In rapporto con questi interessi culturali del Velazquez nel suo primo viaggio romano sarà anche da studiare un piccolo dipinto inedito della raccolta privata Pallavicini, con figure di cavalieri in piedi alFaperto, squisitamente problematico, e che, già molti anni or sono, mi parve giusto a mezza via tra il grande pittore spagnolo e Aniello Falcone5.

L5urgenza di rinnovare il contatto diretto col dipinto, era ormai palese. Vi riuscii nei primi mesi del 1945 e sùbito Fimpressione antica rinacque con nuova forza, forse perchè accresciuta dalla lunga esperienza intermedia. Il quadretto era veramente del Velazquez e, in formato e materiale preferiti dai nordici, rappresentava con verità incredibile un fatto di cronaca del 1630, che tuttavia i romani ‘Avvisi5 (la gazzetta di quei tempi) avrebbero sicuramente trascurato. Una rissa tra italiani e spagnoli presso un corpo di guardia che, a giudicar dai costumi, dovrebbe esser quello dell’am-basciata di Spagna ; però, a giudicar dal paesaggio, non quel30

ROBERTO LONGHI

la di città, ma di campagna: una ‘casa de campo5, insomma, forse affittata dal Monterey, per scampare il gran caldo, verso

i Castelli; in basso sembra, infatti, di intravvedere il lago di Albano, sotto Castel Gandolfo.

È troppo facile dire che, tematicamente, l5argomento non è senza il ricordo delle risse contadinesche che dal vecchio Brueghel erano giunte, pochi anni prima, fino al Rubens (v. 1620) e al Lyss (v. 1622). Ma, in confronto al rusticano lepore di quei divertimenti mentali che si accettavano come ‘genere5 particolare, ma rigorosamente ‘inferiore5 (‘pittura inferiore5 è definizione che dura fino al Lanzi ed oltre), qui è la seria obbiettività con cui il pittore si pone di fronte a un fatto quotidiano; e ciò proveniva piuttosto, diritta via, dai ‘Bari5 del Caravaggio che erano di quasi quarant5anni prima. Il pittore pare farsi testimonio della verità, con la mano al petto: — Il fatto successe venerdì scorso che sarà stata poco più dell5ora di sesta; visto coi miei occhi. Io stava sulla porta per entrare e mi voltai. V5 erano tre italiani e due spagnoli: misero la mano alle armi. Il sergente Alonso e il portero volsero dividerli. V5erano delle carte napoletane stracciate a terra. Non ho visto altro se non che uno seduto che si riparava. Non so chi sia stato il primo —.

Da un referto (immaginario) come questo, c5è poco da arguire oltre Tesattezza. Ma rocchio del Velazquez (che, fisionomicamente, per davvero assomiglia al gentiluomo sulla porta d5entrata) era penetrato più in là, fino allo spessore dei ferrajoli, alle luci sulle ‘golillas5, ai baffoni in piega del sergentone spagnolo nella sua flemma poderosa. Un attimo di cronaca svelato nel colore delParia romana, ispessita dalle nubi; i riflessi rapidi, mano alla fronte, delPira che sale; i cappellacci di feltro, i fucili a terra col calcio di legno chiaro; la bandiera arrotolata alla finestra; i guardiacaccia rhe parlottano più in basso, nella vigna.

Nessun giudizio sul fatto, nessuna ironia, nessun pregiudizio di classe; e poiché i pregiudizi venivano allora dall'alto questo atteggiamento è indubbiamente ‘popolare5, come il Caravaggio aveva indicato persino nei quadri sacri, negli astanti, per esempio, che si schivano dal ‘fatto di sangue in chiesa5 (il Martirio di S. Matteo). Si domandano in quei giorni al Velazquez quadri di mitologia pagana e biblica (sono di quell5anno la ‘Fucina di Vulcano5 e la ‘Tunica di Giuseppe5) e il Velazquez ne risente qualche impaccio mentale e dipinge allora per suo gusto pieno ‘la rissa del 16305 (valendosi di uno dei modelli che figura anche nella Fucina).CLA RISSA’ DEL VELAZQUEZ

3i

Sei anni dopo gli domanderanno un quadro di storia recente, ‘ La Resa di Brcda5 (che infatti io credo del *36, non più tardi) ; e semmai gli chiesero prima come pensasse di cavarsene, il Velazquez avrà potuto rispondere che ci s’era già provato : — A Roma, sei anni fa, dipinsi una rissa tra italiani e spagnoli alPambasciata ! Ora dipingerò la riconciliazione dopo una rissa più lunga; lo Spinola lo conosco bene, Tho visto a Genova.

— E la composizione, il disegno, l’azione e gli affetti, tutta roba che deve stare già in testa al pittore, come la grammatica e la sintassi al letterato ? — E in una rissa non ci sono azione e affetti ? Quanto al resto lasciate fare a me, alla mia ‘ ritentiva5 ; se vi darò lo specchio della verità, sarete contenti ? Anche a Roma capii quel giorno che bisogna far tenere tutto in un punto solo di ‘naturalezza5: vedo ancora i mantelli di nero bruciato, le ciocche di capelli sul cielo coperto, il giaco di cuoio giallo, il sodo del terreno, i lustri sull5elsa, il cordone attorcigliato del ‘portero5. Io non so più che sia composizione (lo saprà il Carducho)5 ma sento che da quel grado di memoria incentrata vien fuori qualche cosa che ha nome evidenza ; finzione che è la più ardua di tutte. —

Questa era stata del resto l5estetica del Caravaggio e dei suoi, già prima del Velazquez; e il Velazquez lo sapeva bene. S’era ricominciato da un cestino da frutta, da una caraffa di fiori, da un elmo arrugginito, e ci s5era accorti che valevano meglio di una cornucopia o di una panoplia, meglio di tante figure: Testetica ‘classistica5 del rappresentabile era caduta: la ‘Stufa5 del Cerquozzi era più sincera del ‘Bagno di Diana5 del Domenichino; i cipressi sconvolti di Villa Medici (anche questi, io credo, dipinti dal Velazquez nello stesso viaggio del *30) più sinceri dei lecci mitologali di Annibaie, di Poussin e, fra poco, di Claudio.

Nella verità nuova, una strada può ritrarsi com5è: un frammento di evidenza. E, già nel 1627, un pittore genovese, Sinibaldo Scorza, aveva messo il cavalletto in piazza Pasquino, vista d5angolo, mentre Pombra gira sui palazzoni e la gente si sberretta e Parrotino e il cartolaio attendono ai fatti loro /tavola 7/; nulla di mappa catastale, perchè una ‘veduta5 è quel che si vede. E a Napoli, ventanni dopo, il bergamasco Codazzi, che pure già andava ‘specializzando5 codeste ‘vedute5 dipinge ancora presso Monte Oliveto, palazzo Gravina jtavola 8/ colpito dal gran traversone dell'ombra portata e la carrozza del duca nella gora di quelPombra, mentre, lungo il muro soleggiato, due gesuiti neri arrancano verso il can32

ROBERTO LONGHI

tone dov’è il rigattiere e la sua mostra di ‘croste5. Di qui è la strada che porta al Canaletto.

A intendere questa inclinazione libera, spregiudicata, da tornar buona per tutti, il Velazquez era, del resto, singolarmente preparato anche da fatti più antichi di quelli caravaggeschi che' pure gli avevano già servito per i ‘bodegones’ e P ‘Aguador’. Erano, quei fatti, il trapianto in terra spagnola di una particolare cultura fiorentina che, già nel pieno del manierismo, aveva cercato di esprimere una più modesta e accostante verisimiglianza. Poteva bene Michelangelo (e come sarebbe stato altrimenti?) schernire la sedulità descrittiva di un Santi di Tito; eppure questi aveva cercato a lungo il modulo di un’affabilità quotidiana che quel superuomo non poteva neppure indovinare. Si vede a Firenze in quegli anni, che sono i primi della Controriforma, si vede nell’arte di figura un nuovo modo di racconto sacro che, pure intendendo servire alla chiesa costituita, arieggia la novella di ceto medio, popolaresca se non popolare. È l’ideale di San Filippo Neri, non di Sant’Ignazio. Questi modi recano in Ispagna i ‘galeoni di quadri’ che si caricavano a Livorno e poi, in persona, i fratelli Carducci, presto naturalizzati in Carducho. Vicente, che è l’ingegno più alto, parla e scrive dotto e accademico, ma opera diversamente. Caravaggio ‘monstruo de naturaleza’ lo sgomenta, non lo disgusta. E, dal 1626, il Carducho dà fuori i bozzetti per la certosa del Paular che sono la ‘Biblia pauperum’ della nuova cultura figurativa spagnola. Lo Zurbaran e il Velazquez li ammirano. E certi fondi di quelle sue novelle cristiane, uno dei quali si riproduce /tavola 9/, sono a modo loro, e avanti lettera, velazqueziani. Del resto, anche a Roma e a Mantova negli stessi anni, un creato del toscano Cigoli, Domenico Feti, nei suoi travestimenti delle parabole evangeliche aveva toccato la stessa corda, con una modernità un po’ convulsa ma pur con accenti di evidenza da non dispiacere, ne sono sicuro, al Velazquez. Come poteva dispiacergli questo brano /tavola 10/ della ‘Parabola dei ciechi’ che sembra illustrazione per una‘novela ejemplar’? O, a più forte ragione, la ‘Pena capitale’ che sembra tolta dall’‘Alcalde de Zalamea’?

Queste idee si trovano già svolte con maggiore ampiezza più di vent’anni fa in un mio saggio su ‘un San Tommaso del Velazquez e le congiunture italo-spagnole tra il ’5 e il ’6oo’ (in Vita artistica, 1927); ma perché non sembrano giunte tuttora a notizia degli storici dell’arte di Spagna, ho creduto buono riassumerle in questa fortunata occasione.* LA RISSA’ DEL VELAZQUEZ

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Dopo aver dunque agganciata quella più antica cultura con quella del Caravaggio (chè 1’ ‘Adorazione dei Magi5 del 1619 appare davvero una perfetta collimazione toscanocaravaggesca), Velazquez, venendo a Roma nel 1630, poteva rimeditare sul posto la portata quasi senza limiti di quei precedenti e, ora, la nuovissima soluzione in mano ai pittori ‘a passo ridotto5.

Ma perchè si è visto che, nelPimpallidire del mio ricordo della ‘Rissa5, il napoletano Falcone era quasi venuto a fiancheggiare da pari a pari il Velazquez (6 giusto a mezza via tra il Velazquez e Aniello Falcone5), una giustificazione occorre anche su questo punto.

Non ve n5è di migliore che in questo dipinto inedito favola 11/, ritrovato da poco in Napoli, dove, anche nello splendore delParia cruda e limpida, il Falcone viene più vicino al Velazquez che non possano i ‘bambocciari5 di Roma, per osservanza caravaggesca sempre più contrastati di lume o, come si diceva nella lingua degli studi, più ‘sbattimentati5.

Ma, nella comune ascendenza caravaggesca, Paffinità mentale col Velazquez è anche nello svuotamento del soggetto che, probabilmente di origine sacra (forse la carità di Santa Lucia e di Santa Elisabetta), è svolto senza più tracce di sutura col quadro ‘composito5 di storia ecclesiastica, anzi come una comune scena di elemosina alPaperto fra il popolino di Napoli. Ed è un dipinto da toccare forse prima del 1640.

Nel suo gran libro sul Velazquez, molti anni fa, Cari Justi, provandosi a spiegare questa inclinazione veristica del pittore, tanto più sorprendente nelPaddetto a una corte stringata e d5etichetta come la spagnola, insiste su una certa qualità obbiettiva dello spirito spagnolo (a contrasto con Paltra opposta di sogno mistico, trascendente) e si appella a certi aspetti di Cervantes, di Lope, di Calderon. Giusto. Perchè non ricordare anche questo? Ma, nella ‘relativa5 autonomia della storia delParte figurativa, resterà sempre che la cultura novellistica dei toscani emigrati e soprattutto la rivoluzione del Caravaggio e dei suoi, presenti a Roma nel 1630, saranno sempre più decisive che non siano le parti picaresche e di ‘genere5 popolaresco nella letteratura spagnola di quei tempi.

NelParte figurativa la rivoluzione ‘realistica5 fu insomma più completa e, per questo, più avversata. Non è un caso, ma un destino sociale, che il Caravaggio e i suoi, compresi gli spregiatissimi ‘bambocciari5 e il Velazquez medesimo (salva la sua intatta fama locale come pittore di corte, e qualche grido ammirativo di colleghi di passaggio, dal Gior-dano al Mengs) non siano stati intesi a fondo che nella conda metà dell’Ottocento (non voglio dire dopo il 18 che sarebbe precisazione troppo materiale). La critica a lica (e non v’era, si può dire, posto che per quella) nella ta del braccio secolare, li aveva ricusati per più di due se in ossequio alle istituzioni. Questa è una storia che po rebbe lontano, ma, come andò, è facile egualmente intu Era stata una pittura che vedeva chiaro anche al di là d l’arte e che, per non aver uso di parola, dovè salvarsi s dir motto o tutt’al più mormorando : saremo intesi fra du tre secoli. Ciò che, infatti, si è poi verificato.g - V. Carducho: incontro di Certosini (c. 1626)

Collezione privata
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 32922+++
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Testata/Serie/Edizione Paragone - Arte | Prima serie | Edizione unica
Riferimento ISBD Paragone. Arte : mensile di arte figurativa e letteratura. - 1(1950)-. - Firenze : Sansoni, 1950-. - 21 cm Bimestrale. (( La periodicità varia. Editore e luogo di edizione variano. )) {Paragone. Arte [rivista, 1950-]}+++
Data pubblicazione Anno: 1950 Mese: 1 Giorno: 1
Numero 1
Titolo KBD-Periodici: Paragone. Arte 1950 - 1 - 1 - numero 1


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