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Bernard Andreae, L'immagine di Ulisse. Mito e archeologia, Torino, Einaudi,
1983, pp. xxv-206.
Girolamo Arnaldi e Manlio Pastore Stocchi (a cura di), Dalla Controriforma alla fine della Repubblica, 4-5 della Storia della cultura veneta, Vicenza, Pozza,
1983, pp. xvi-662.
Franco Brioschi Costanzo Di Girolamo, Elementi di teoria letteraria, Milano, Principato, 1984, pp. 298.
Bruno Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V secolo, Roma-Bari, Laterza, 1983, pp. ix-414. -Diamo volentieri per ora un benvenuto all’ultimo numero della * Collezione storica ’ laterziana: Poesia e anche pubblico, perché l’attenzione è qui concentrata sul destinatario, e sui « diversi procedimenti formali, simbolici e pragmatici del fare poetico ». Con lo scopo precipuo di « capire in concreto la mentalità dell’uomo greco arcaico », e con il senso della storia - torna in mente Adolfo Omo-deo - l’ascoltato critico integrale con vene hermannfrànkeliane traccia un « percorso vario e fruttuoso che disegna alla fine un affresco completo e nuovo della storia letteraria e della civiltà greca più antica ». Uno stadio preliminare del percorso è l’individuazione della « poetica della mimesi », una vera e propria «estetica dell’esecuzione, nella quale diveniva una componente non secondaria 1’ “orizzonte di attesa” dell’uditorio » (75). Un pregio del volume è il riconoscimento e il rispetto del pragmatismo e del pluralismo della poesia arcaica. Da una parte ne esce incoraggiata l’analisi biografica per es. di Pindaro contro lo slogan dissuasivo della fiction di Mary R. Lefkowitz; dall’altra
ne viene arricchita la vivacità e la libertà di quella poesia rispetto al determinismo dei generi: la poesia giambica ad es. non è coatta al ritmo giambico, anzi talvolta predilige ritmi elegiaci e in generale esa-metrici. Automatica non è neppure la veste linguistica: l’estraneità della lingua poetica letteraria agli idiomi epicorici e l’inferiorità culturale dei dialetti epigrafici sono solo pregiudizi, benché radicati. Perciò la tabellina di Ahrens (ionico: epos, elegia, poesia esametrica in generale; dorico: lirica corale, ecc.) risulta ingiallita di fronte al « diasistema » della dialettologia di Weinreich, e fallisce con testimonianze recalcitranti, come la nota iscrizione per i morti corinzi a Salamina, ionica ma con un eloquente dorismo in Plutarco, e dorica invece nell’inalterabile pietra. Anche l’eposa omerico, avrà fatto, nella quotidianeità agonistica e ciclica, i conti con la molteplicità delle realtà locali. E non potrà che giovare il ripristino di altre perdute epiche accanto alla superstite collezione linguistica omerica, una collezione singolare perché, per la sua vocazione enciclopedica, è fatta di doppioni, più che di pezzi unici: l’epica del corinzio Eume-lo, che scrisse un prosodio dorico per Deio, dello smirneo Magnete, col suo insolito pubblico di donne, del lacedemone Cinetone, del mitilenese Lesche, del campanilista Asio di Samo, e anche l’epica virtuale dello sperimentalista Stesicoro, che, non senza speciali effetti di performance, traduceva certune formule omeriche proprio nel dorico e nell’iperdorico della minoranza imerese. (belf.).
Paolo Rossi Lucilla Borselli Chia-retta Poli Giancarlo Carabelli, Cultura popolare e cultura dotta nel Seicento, Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 251. -Atti di un convegno a Genova novembre 1982: oltre ai contributi in copertina,252
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interventi di altri undici, quasi tutti storici della filosofia, nonché una sintesi della comunicazione di Carlo Ginzburg, scritti poco omogenei e spesso lontani dal tema in discussione. Altrettanto diseguale il ruolo dei collaboratori: Rossi, il cui nome campeggia, in realtà è autore solo di pochi paragrafi a conclusione del saggio di Borselli e Poli sul parigino Bureau d’Adresse, peraltro molto lungo e con appendice di testi (11-65). Ancor più esteso Carabelli, II selvaggio di casa. La cultura folklorica inglese tra ’600 e 900 (67-129), il quale tuttavia ha il merito di analizzare con eccellente informazione le radici storiche e ideologiche della grande scuola antropologica inglese. A parte questo contributo, il volume delude profondamente. Il tema in effetti non de-v’esser piaciuto a più d’uno. Luisa Muraro, per es., ammesso di non avere preparazione storiografica e di occuparsi di storia della filosofia solo « per amore della filosofia » (183), nega con franchezza ogni interesse alla ricerca sui rapporti tra « dotto » e « popolare », perché « la filosofia non riconosce come propria una simile distinzione » (189). Meno intransigenti, gli altri relatori s’industriano a tirar fuori qualche accenno a pratiche e costumi del popolo negli autori, immancabilmente dotti, di cui si sono occupati per altri motivi: una variegata compagine di medici, di filosofi non illustri e di pii ecclesiastici, dalla quale appaiono assenti proprio quei savants del xvn secolo che con maggior cura illustrarono riti e credenze dei ceti più umili (si pensi a un Jean Baptiste Thiers).
Qualche pizzico di sale, e non poco aceto, aggiunge ai lavori Paola Zambelli, che in una sorta di controrelazione respinge metodo e conclusioni dell’assente comunicazione di Ginzburg (Topi o « to-poi »?y 138-143). « Ingrato, forse contro producente il compito dell’interlocutore -se non vuole anch’egli mancare agli impegni presi - quando la relazione non è consegnata agli atti », lamenta la studiosa fiorentina (138): senza esimersi però di aggiungere che Ginzburg fin dal 1978 aveva pubblicato « due volte e in termini quasi uguali » il contributo presentato al convegno genovese, cosicché la sua tesi si può considerare nota. Come già per il Menocchio del Formaggio e i vermi, la Zambelli nega che per Costantino Saccardino, il ciarlatano e distillatore bolognese, si possa parlare di cultura popolare, indicando piuttosto la dipendenza più o meno immediata da autori del-Yélite intellettuale, quali Pomponazzi e Agostino Nifo, in una lunga tradizione filosofica che risale fino ad Averroé. La Zambelli, per amore di polemica, mette direttamente a confronto il libro del Saccardino con gli scritti di un Pomponazzi
o di un Nifo - o anche dei loro meno illustri epigoni -, diversi per origine e destinazione, e contrapponendo libro a libro, citazione a citazione, non esce dall’ambito della cultura dotta e dei suoi schemi esclusivi: lo stesso concetto di cultura popolare viene praticamente negato. Cosi il Saccardino, che campava vendendo pomate e illusioni, è ridotto alla pura risonanza di un’annosa contesa tra professori: magari avendo in mente un’attuale, arciaccademica contesa professorale. (Silvano Cavazza).
Sebastiano Timpanaro, Il socialismo di Edmondo de Amicis. Lettura del « Primo Maggio », Verona, Bertani, 1984, pp. 214.
Gaetano Trombatore, Saggio sul Manzoni. La giovinezza, Vicenza, Pozza, 1984, pp. 252.
Carlo Ferdinando Russo direttore responsabile Autorizzazione del Tribunale di Firenze N. 89 in data 25 marzo 1949
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