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tipologia: Analitici; Id: 1543253


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Titolo Recensione di Franco Martina a Daniela Coli, Croce, Laterza e la cultura europea
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dia, l’avanguardia catalana in questo caso, tra i non pochi risultati innovativi che ottenne può infatti annoverare l’utopica riunificazione della letterarietà squisita, elitista e raffinata, e della pratica paraletteraria, spesso dialettale e consolatoria. Cultura urbana e frustrazione contadina si misero insieme allora per la prima volta e, da allora, non si sono più separate.

Giuseppe Grilli

Daniela Coli, Croce, Laterza e la cultura europea, Bologna, il Mulino, 1983, pp. 237.

Orgoglio e timore sembrano essere alla base di mostre e convegni, di studi e celebrazioni che si addensano con crescente frequenza per sottolineare il ruolo dell’editoria novecentesca. Orgoglio per un lavoro culturale prima che economico; timore per un futuro fatto di forme nuove di trasmissione e fruizione del sapere. Tuttavia, non manca un effetto positivo, anche se, forse, non quello principalmente sperato. Lo studio dei cataloghi, gli scavi negli archivi degli editori non solo vanno abbozzando un capitolo per sé importante della recente storia intellettuale, ma contribuiscono a chiarirne questioni e personalità centrali. Del resto, l’editoria è stata fin dall’inizio del secolo uno dei terreni su cui si sono mossi e scontrati notevoli tentativi di egemonia culturale. Scelte e tendenze, ideologie e mode hanno trovato nella carta stampata e nella sua diffusione un necessario momento di prova; mentre la figura dell’editore è venuta trasformandosi per l’esigenza di trovare un difficile equilibrio tra scelte culturali e necessità di bilancio.

Daniela Coli con questo libro è andata all’origine della nuova funzione dell’editoria. Certo, non è nuova l’attenzione per il rilievo culturale della casa barese, sottolineato in diverse circostanze da Russo, Garin, Gregory e oggetto di un recente libro di Claudia Patuzzi (Laterza, Napoli, Liguori, 1982) ispirato comunque più da intenti informativi che di indagine storica. Nuova è invece l’angolazione scelta dalla Coli per studiare il rapporto tra Croce e Laterza. L’aver basato lo studio sui materiali dell’archivio Laterza (con riscontri in quelli di Croce, Russo e De Ruggiero) ha permesso non solo di incrinare o sfatare consolidate opinioni, ma anche di tracciare un quadro più mosso e ricco degli interessi e delle relazioni intellettuali di Croce; per altro verso ha permesso di dare giusta collocazione alla figura di Giuseppe Laterza, che nel rapporto con un Croce spesso invadente e pignolo volle fin dall’inizio rivendicare la specificità del proprio ruolo. Divenendo « editore di roba grave », secondo il consiglio del filosofo, Laterza si mostrava consapevole che la sua volontà di essere editore di tipo nuovo, moralmente e civilmente impegnato, doveva procedere parallelamente a un’opera di profondo rinnovamento intellettuale.

Da parte sua Croce arrivava a quell’incontro con un’esperienza abbastanza chiara dei limiti dell’editoria tradizionale. Egli stesso aveva fatto tentativi editoriali. Nel 1903 aveva pubblicato Dal Genovesi al Galluppi di Gentile, primo e unico volume di una progettata collana di « Studi di letteratura, storia e246

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filosofia pubblicati da B. Croce ». La stessa stima e fiducia per Valdemaro Vecchi (alla cui « Rassegna Pugliese » aveva assiduamente collaborato anche con prove poetiche e alla quale doveva non poca della sua notorietà pugliese) non dovevano farglielo apparire più di uno « stampatore ». Quei limiti acquistavano maggiore consistenza mano a mano che si consolidava la collaborazione con Gentile. Quando usci L’insegnamento della filosofia nei licei all’aut or e, sconfortato per la scarsa eco suscitata dal libro, Croce, che intanto da letterato si avviava « a diventar filosofo », osservava: « Voi avete ragione nel notare che nessuno in Italia vuole discutere questioni di filosofia. Dunque c’è qualcosa da fare: svegliare le menti alla discussione. Ma non bisogna contare sui vecchi o sugli uomini maturi, cresciuti nell’odio alla filosofia e ormai impotenti a comprenderla: non bisogna mettere il vino nuovo nelle botti vecchie. Bisogna contare sui giovani. Occorre preparare una nuova messe, dissodando il terreno e seminando; ed avere la pazienza di aspettare » (Lettere a Giovanni Gentile, Milano, Mondadori, 1981, p. 84).

Il rapporto con Laterza nasceva e si situava all’interno di questo ancor iniziale progetto di rinnovamento. È merito di Daniela Coli averne verificata la portata in relazione a un aspetto certamente discusso ma anche affascinante: l’atteggiamento e la disponibilità nei confronti della « cultura europea ». Ne è venuta la possibilità di affrontare quell’accusa di « provincialismo » rivolta prima a Croce e poi, nel secondo dopoguerra, a quanti fecero della critica a Croce il punto di avvio d’un necessario rinnovamento culturale. Un’accusa ancora attiva, almeno sul terreno storiografico. Pietro Rossi in un recente saggio su Croce e la storia (« Mondoperaio », ottobre 1982, p. 115) sosteneva l’isolamento e la sostanziale antitesi di Croce nei confronti dello storicismo tedesco sopravvenuti al proficuo confronto d’inizio secolo e sottolineava l’ignoranza, verificabile già in Teoria e storia della storiografia, « della conoscenza dei saggi diltheyani [...] dei saggi metodologici di Max Weber [...] Weber aveva letto e discusso il Croce della Logica; Croce si limiterà a conoscere il Weber politico, e ne farà tradurre presso Laterza Parlament und Regierung im neugeordneten Deutschland ». Lo studio e le ricerche della Coli ci permettono di valutare meglio questi atteggiamenti crociani. Sappiamo ora della stima e dell’interesse che Croce aveva non solo per il Weber politico, ma anche per quello della Ròmische Agrargeschichte e soprattutto di Die protestantische Ethik, come anche per alcuni saggi di Troeltsch che dipendevano da Weber. A questi occorre aggiungere i nomi di Simmel, di Meinecke, di Fueter e altri che infittivano le proposte di traduzione per Laterza. Se molte di quelle opere non furono mai pubblicate in italiano, fu a causa non solo delle « pretenzioni » degli editori stranieri e soprattutto tedeschi, ma anche per la scarsa fortuna che incontravano sul mercato, come proprio il caso di Parlamentò e governo dimostrava.

La Coli insiste su questo punto per sottolineare i condizionamenti esterni che limitavano i programmi di Croce e Laterza. Osservazioni giuste, ma insufficienti da sole a dar conto delle scelte che comunque venivano operate: perché un certo Meinecke o un certo Fueter? perché Freud e Dewey e nonRECENSIONI

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Mann o Russell? Emerge anche dai materiali dell’archivio Laterza la piena consapevolezza crociana d’essere parte integrante e non riflesso del dibattito europeo. Ciò che fa della diffusione in Italia di alcune grandi opere europee l’espressione non di un astratto spirito illuministico, ma un’articolazione delle posizioni crociane. Se per un verso le traduzioni furono lo strumento per una più ampia circolazione delle idee, per altro verso furono anche un importante momento di confronto e di sostegno della specifica prospettiva crociana. Lo ha mostrato bene la Coli rilevando il legame esistente tra alcune traduzioni e particolari aspetti del dibattito interno. È il caso, per fare un solo esempio, della traduzione del libro di Simmel su Schopenhauer und Nietzsche voluto anche per contrastare il nietzschianesimo dannunziano. Tuttavia il confronto era tutt’altro che ristretto. Soprattutto con il trionfo del fascismo la casa editrice divenne un terreno di incontro e di lavoro per molti intellettuali confinati (« Ho pensato - scriveva Laterza a Croce nel ’39 — che sono proprio destinato ad essere l’editore delle anime del Purgatorio ») e, per Croce in particolare, un momento di confronto con personaggi che andavano battendo strade assai diverse dalla sua. Si rifletteva su questo atteggiamento la convinzione crociana del valore primario delPintellettuale, come il solo in grado di stabilire e garantire il necessario rapporto tra razionalità e realtà, tra eticità e politica. Al punto che potè mettere insieme senza sentire la contraddizione il disprezzo per Spengler e l’accondiscendenza e l’aiuto per Julius Evola, come anche di tenere un atteggiamento ironico ma non ostile verso la « Biblioteca esoterica » (che doveva essere la prima prova di autonomia culturale di Laterza nei suoi confronti), nel momento in cui in alcune pagine della Storia d’Italia, scritte alla Zerstorung der Vernunft, attaccava, mettendoli insieme, intuizionismo e misticismo, pragmatismo e teosofismo, magismo e futurismo.

Ma occorre dire che la questione del « provincialismo » ne comporta un’altra: quella della « sprovincializzazione », del suo momento d’avvio, dei suoi caratteri. Identificato il primo con Croce, con la Laterza e quindi con il Mezzogiorno, la rinascita europea non poteva venire che dal Nord. Si delineò cosi, ha scritto qualche anno fa Sergio Bertelli, una contrapposizione « tra l’Einuadi e la casa editrice barese dei Laterza: due poli distinti della cultura antifascista, ma portatori anche di due culture, le culture delle due Italie, in cui ancora la Penisola è divisa » {Il gruppo, Milano, Rizzoli, 1980, p. 305). Certo quella divisione c’era e il non averla opportunamente valutata ha prodotto non pochi guasti. Tuttavia, la linea di demarcazione non è cosi lineare. L’idea che ci fosse Croce, il liberalismo, l’idealismo da una parte e l’Europa, la cultura positiva, il socialismo, quando non il comuniSmo, dall’altra, rispondeva a uno schema che se ebbe efficacia polemica nel dopoguerra non per questo rispondeva a verità. Proprio Norberto Bobbio, che tra i primi sottolineò la contrapposizione tra le due Italie, ha ricordato poi come Torino fosse dopo Napoli la città dove più fortuna aveva avuto Croce. Mentre la Coli ha ricostruito con garbo i rapporti di Croce con Leone Ginzburg. Quando all’inizio degli anni Cinquanta si sviluppò quella sorta di grande Debatte intorno a De Sanctis e si delineò la248

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possibilità della doppia edizione delle opere, una presso Einaudi l’altra presso Laterza, le preferenze di Croce furono per la prima, diretta dall’« azionista » Muscetta, mentre non risparmiò critiche a quella della « sua » casa editrice, che doveva essere diretta da Russo, reduce dalla Russia bolscevica, e alla quale doveva collaborare il « comunista » Ernesto Ragionieri (da questo punto di vista sono interessanti le Lettere di Benedetto Croce a Manlio Ciardo, Bologna, Li Causi Editore, 1983 1).

Il lavoro di Daniela Coli contribuisce a meglio conoscere un periodo decisivo della storia non solo intellettuale italiana, ma anche a delineare un’immagine di Croce, come anche altri epistolari mostrano, meno fiduciosa e ottimistica di quanto le grandi opere non lascino trasparire. Non negli ultimi anni della sua vita ma nel 1929, recensendo il libro del Frànkel che lo riguardava, osservò: « Si può essere, come sono io, rinserrato e stretto per ogni parte dai concetti e dalle argomentazioni che mi vietano di affermare altro che non sia il mondo della storia; e tuttavia sentirsi, come mi sento, sempre disposto ad indirizzare la vista ad altri segni che altri crede di poter additare e che rivelerebbero un altro mondo, un mondo al di sotto o al di sopra della storia e delPumanità. Le savant a Vesprit douteux ». Forse, in que&esprit douteux c’è un aspetto dell’insegnamento crociano che meriterebbe ancora di essere guardato con interesse.

Franco Martina

Giovanni Da Pozzo, L'ambigua armonia. Studio sull'Aminta del Tasso, Firenze, Olschki (Biblioteca dell,« Archivum Romanicum »), 1983, pp. 330.

Forse proprio perché enigmaticamente sigillata nella sua qualità di « portento », secondo la celebre frase carducciana tante volte replicata dal 1894 ad oggi, la « favola boschereccia » del Tasso sembra invitare senza soste a nuovi assaggi critici, compiuti con le più varie strumentazioni, al fine di carpirne lo sfuggente ‘ segreto \ Di recente ci si sono provati, fra gli altri, Varese, Fenzi, Della Terza, Guglielminetti, Mario Chieregato; dispiegando sul testo tassiano le risorse ora di una sottile ricognizione della fortuna critica, ora di un’articolata analisi interna, orientata prevalentemente in senso storico-ideologico, ora di un rigoroso vaglio linguistico, e perfino statistico-lessicale. È adesso la volta di Giovanni Da Pozzo, che, ricorrendo, nel corso di questo fitto volume, a diffe
1 Per tale pubblicazione Alda Croce ha scritto poco fa in « Rivista di studi crociani », gennaio-marzo 1983: «Quanto poi ai tagli opportuni nel rendere pubbliche corrispondenze private, voglio riferirmi alle lettere a Manlio Ciardo uscite quest’anno. Se l’editore si fosse rivolto a noi come doveva, avremmo chiesto di omettere alcuni giudizi su amici con i quali erano sorti contrasti, giudizi nella sostanza già noti dalle opere a stampa, ma che in quella forma epistolare impaziente ed eccessiva erano senz’altro da escludere. Queste decisioni, appunto, spettano agli “eredi” ».
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31381+++
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1984 Mese: 3 Giorno: 31
Numero 2
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2


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