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tipologia: Analitici; Id: 1543251


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Tipologia Periodico
Titolo Recensione di Luigi Ambrosoli su Livia Antonielli, I prefetti dell'Italia napoleonica. Repubblica e Regno d'Italia
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RECENSIONI

Livio Antonielli, I prefetti deU’Italia napoleonica. Repubblica e Regno d’Italia, Bologna, il Mulino, 1983, pp. 568.

Da tempo è stata avvertita l’opportunità di studiare con maggiore attenzione che nel passato la classe dirigente dellTtalia napoleonica; le risultanze di tale approfondimento dovrebbero chiarire diversi aspetti della politica francese verso PItalia e delle intenzioni anche recondite del Bonaparte riguardo la situazione italiana. Un’altra ragione di questo indirizzo di ricerca è quella di verificare il reale apporto dato dagli italiani al regime napoleonico e i limiti entro i quali si poteva parlare di una loro autonomia. Il lavoro dell’Antonielli, come emerge dal volume ora pubblicato, mostra come questo itinerario di ricerca sia proficuo e, oltre ad offrire nuovi elementi di giudizio, possa consentire di correggere luoghi comuni della storiografia tradizionale. Va precisato che il volume non comprende Papparato biografico dei 52 prefetti della Repubblica e del Regno che sarà pubblicata in altra sede insieme ai relativi riferimenti bibliografici.

L’istituto prefettizio trae origine dalla legge del 17 febbraio 1800 ed è motivato dalla volontà, dopo la parentesi dell’occupazione austro-russa, di realizzare un maggiore accentramento riducendo o addirittura annullando l’autorità della rappresentanza elettiva dipartimentale per porre a capo di ogni dipartimento un prefetto di nomina governativa e mettere in tal modo i dipartimenti stessi sotto il diretto controllo del governo. Le ragioni di questo provvedimento sono di natura politica e finanziaria. Da un lato esisteva la preoccupazione che potessero manifestarsi eccessive volontà autonomistiche e si volesse dare un carattere troppo italiano ad un organismo statale che doveva rimanere « satellite » rispetto alla Francia. Dall’altro lato si faceva sentire la preoccupazione di controllare sempre più attentamente le finanze dello Stato in costante difficoltà, se non in vera e propria crisi, assegnando tale compito all’intervento del funzionario governativo posto alla testa del dipartimento.

La situazione, anche per quanto riguarda la nomina dei prefetti, è abbastanza differente durante la Repubblica e durante il Regno. Nel primo periodo alla testa del governo italiano è il vicepresidente Melzi d’Eril che cerca di salvaguardare i caratteri nazionali; nel secondo periodo, con Eugenio viceré, prevale in modo deciso la volontà di considerare la situazione italiana nella prospettiva dei prevalenti interessi francesi.

Durante il periodo repubblicano il Bonaparte aveva lasciato una notevole libertà d’iniziativa al Melzi, vicepresidente della Repubblica, incaricato di provvedere anche alla designazione dei prefetti; il nobile milanese aveva ereditato lo238

RECENSIONI

spirito illuministico del Settecento lombardo, era alieno da atteggiamenti rivoluzionari e diffidente nei confronti dei vecchi giacobini tanto da essere verso di loro più rigido e intransigente del Bonaparte. Il Melzi avrebbe voluto designare quali prefetti uomini nei quali si trovassero, contemporaneamente, le qualità di proprietario (quindi non assillati da problemi economici e meno propensi, presumibilmente, alla corruzione) e di fautore del governo repubblicano senza precedenti compromissioni cisalpine; la difficoltà maggiore che il Melzi incontrò fu quella di trovare proprietari disposti ad abbandonare la loro residenza e la diretta cura dei loro affari per trasferirsi nei dipartimenti che venivano loro assegnati.

Secondo l’Antonielli, poche delle scelte operate dal Melzi risultarono positive, alcune designazioni di prefetti ebbero effetti disastrosi. A complicare le cose venne la legge del 26 luglio 1802 sull’organizzazione dell’autorità amministrativa che creò un sistema abbastanza ambiguo perché, accanto al prefetto, riesumava l’amministrazione dipartimentale, ripristino che, sempre secondo l’Antonielli, doveva essere stato suggerito da motivi economici e cioè dall’intenzione di far gravare gli stipendi degli impiegati sui bilanci dei dipartimenti e non sulla cassa nazionale in perenne difficoltà. Naturalmente, i rapporti tra prefetti e amministrazioni dipartimentali furono caratterizzati da diffidenza e contrasti. Interventi per ottenere una riduzione degli impiegati incontrarono decise resistenze prefettizie; Melzi pensò persino, ma non gli fu possibile attuarne il progetto, ad una riduzione dei dipartimenti. L’Antonielli giunge alla convinzione, avvalorata dalle stesse relazioni prefettizie, che il governo, con i prefetti, aveva creato un istituto con grandi poteri teorici ma non era stato in grado di creare le condizioni perché essi avessero un funzionamento positivo e costruttivo.

Il 15 marzo 1805 venne pubblicato a Parigi il primo statuto costituzionale del Regno d’Italia del quale Napoleone veniva proclamato Re; il 18 maggio successivo egli venne incoronato a Milano. Egli presiedette dal 10 maggio all’11 giugno il supremo organo del Regno, il Consiglio di Stato suddiviso nei consigli dei consulenti, legislativo e degli uditori; l’8 giugno fu promulgato il decreto sull’amministrazione pubblica in virtù del quale il prefetto tornava ad essere l’unico centro di potere dei dipartimenti mentre venivano soppresse le amministrazioni dipartimentali e veniva istituito il consiglio di prefettura. Il prefetto rispondeva del suo operato direttamente al ministro degli interni.

Napoleone intendeva raggiungere l’obiettivo di superare il contrasto tra i vecchi giacobini e coloro i quali, pur non avendo passato rivoluzionario, avevano accolto con favore il nuovo regime; cosi, anche nella nomina dei prefetti non doveva prevalere nessun criterio discriminatorio ma dovevano essere valutati gli effettivi meriti dei candidati, in particolare la competenza e l’esperienza amministrativa. Molti dei precedenti prefetti repubblicani vennero confermati, mentre i nuovi vennero scelti in conformità ai criteri espressi dall’imperatore. L’istituzione dei nuovi dipartimenti veneti dopo la pace di Presburgo (aprile 1806) fece affiorare una sensibile divergenza di opinione tra Napoleone e ilRECENSIONI

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viceré. Il secondo avrebbe voluto, infatti, utilizzare quali prefetti i funzionari francesi venuti in Italia al suo seguito per favorire un più diretto legame tra i territori appena annessi e la Francia, ma l'imperatore non fu d'accordo. Rimase, forse in dipendenza di questo fatto, una certa ostilità dei funzionari francesi verso i prefetti italiani. L’Antonielli esamina anche i rapporti dei prefetti con la polizia e la posizione dei prefetti dopo l’istituzione della leva militare obbligatoria affidata a una specifica amministrazione.

Gli ultimi anni del Regno d'Italia furono troppo difficili sul piano politico e militare perché il sistema creato nel 1805 potesse consolidarsi e l’organizzazione amministrativa statale potesse trovare un assetto definitivo. Il lavoro dell’Antonielli consente di rilevare come non si possa parlare di completa liquidazione, nel periodo napoleonico, del personale di provenienza giacobina e cisalpina. Lo stesso Melzi, nonostante la diffidenza nutrita per i rivoluzionari, fu costretto a ricorrere ad alcuni di essi con risultati quasi sempre positivi; molti rivoluzionari proseguirono nella carriera amministrativa e politica e raggiunsero cariche importanti. Il Bonaparte non pensò mai di emarginare gli ex-rivoluzionari avvertendo come essi potessero costituire un fattore di equilibrio ed evitare involuzioni moderate destinate ad avere ripercussioni negative in una parte dell’opinione pubblica. Le qualità politiche di Napoleone emergono dalla ricerca dell’Antonielli il quale non può, d’altra parte, non evidenziare la fragilità della costruzione bonapartiana italiana e soprattutto il distacco tra gruppi dirigenti e larghi strati della popolazione che ha quale conseguenza la costante inquietudine dello spirito pubblico.

Attendiamo con interesse le biografie dei 52 prefetti che l’Antonielli ci ha promesso a completamento delle succinte note sulla formazione e sulla provenienza di essi proposte in questo volume; importante sarà anche il verificare le loro vicende dopo la fine del Regno d’Italia. Ci pare che soltanto lo Scopoli, già prefetto e poi direttore dell’istruzione nel ministero degli interni, sia rimasto in servizio per qualche anno sotto l’Austria, ma lo Scopoli era il tipico prefetto scelto per competenza amministrativa ed era privo di rilievo politico. A questo proposito va notato come l’affermazione dell’Antonielli che lo Scopoli avrebbe prestato servizio come medico nell’armata napoleonica non trovi sicuro riscontro nei documenti noti che lo riguardano, molto lacunosi per gli anni dal 1794 al 1800 {cfr.: Il contributo di Giovanni Scopoli all’istruzione pubblica tra regno italico napoleonico e restaurazione austriaca in Problemi e momenti di storia dell’educazione, Atti del 1° Convegno nazionale del Centro italiano per la ricerca storico-educativa, Parma, 23-24 ottobre 1981, Pisa, ets, 1982, p. 11). Inoltre l’« assimilazione » veronese dello Scopoli (p. 432) non dipese dalla provenienza del padre (che era trentino e aveva insegnato mineralogia e metallurgia a Chemnitz, dove nacque Giovanni, e chimica e botanica nell’ateneo pavese) ma dal fatto che egli sposò una veronese di autorevole famiglia e considerò Verona come la sua città fino a prendervi stabile residenza dopo il collocamento in pensione.

Luigi Ambrosoli
 


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in: Catalogo KBD Periodici; Id: 31381+++
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Testata/Serie/Edizione Belfagor | Serie unica | Edizione unica
Riferimento ISBD Belfagor : rassegna di varia umanità [rivista, 1946-2012]+++
Data pubblicazione Anno: 1984 Mese: 3 Giorno: 31
Numero 2
Titolo KBD-Periodici: Belfagor 1984 - 3 - 31 - numero 2


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